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Autore: solosilenzio    04/08/2012    7 recensioni
Come ho potuto permettere che mi ritrovassi in una situazione in cui l’unica via di scampo è la solitudine?
Avrei dovuto parlarne prima con Scott, ma avrebbe compreso?
Mi avrebbe accettato per quello che sono?
Lo ha sempre fatto, ma, pur fidandomi ciecamente di lui, non posso fare a meno di pormi queste domande la cui risposta potrà o non potrà distruggermi definitivamente.
E se nemmeno il mio migliore amico avesse capito, allora cosa mi sarebbe rimasto? Nulla. Nulla. Nulla.
Innamorarsi di un alpha: ma dici sul serio, Stiles? Prevedo già il suo stupore, l’avvertimento negli occhi.
E - anche se riuscirebbe comunque a percepire la menzogna aleggiare nell’aria - no, vorrei poter essere in grado di rispondergli, non dico davvero.
Due barche parallele l’una all’altra che non hanno alcuna possibilità di incontro: in cosa speravo?
Genere: Romantico, Song-fic, Sovrannaturale | Stato: completa
Tipo di coppia: Slash | Personaggi: Derek Hale, Stiles Stilinski
Note: nessuna | Avvertimenti: Spoiler!
- Questa storia fa parte della serie 'I'm the one keeping you alive.'
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trying to find our way down a road we don’t know. ♥




Stiles’ pov.

Gocce di pioggia fredde e inesorabili si confondono con lacrime calde e insaziabili tracciando i contorni del mio viso: è acqua quella che mi sovrasta, solo acqua. Una giacca leggera cerca di proteggermi inutilmente dalle intemperie, ma non sa che l’unica parte di questo debole corpo a necessitare di una protezione è proprio quell’ammasso di sangue e sentimenti che si suole definire cuore; il mio non possiede più una forma: di esso ne rimangono solo pochi frammenti, quasi schegge che lacerano senza pietà i tessuti interni. Porto una mano alla nuca, come a volermi accertare che con un movimento tutto avrà fine nel mio risveglio: è solo un incubo dopotutto, giusto? Eppure non è così, lo percepisco dall’amplificarsi dei miei battiti, dalle lacrime che ancora copiose marcano la mia debolezza. Come ho potuto permettere che mi ritrovassi in una situazione in cui l’unica via di scampo è la solitudine? Avrei dovuto parlarne prima con Scott, ma avrebbe compreso? Mi avrebbe accettato per quello che sono? Lo ha sempre fatto, ma, pur fidandomi ciecamente di lui, non posso fare a meno di pormi queste domande la cui risposta potrà o non potrà distruggermi definitivamente. E se nemmeno il mio migliore amico avesse capito, allora cosa mi sarebbe rimasto? Nulla. Nulla. Nulla. Innamorarsi di un alpha: ma dici sul serio, Stiles? Prevedo già il suo stupore, l’avvertimento negli occhi. E - anche se riuscirebbe comunque a percepire la menzogna aleggiare nell’aria - no, vorrei poter essere in grado di rispondergli, non dico davvero. Due barche parallele l’una all’altra che non hanno alcuna possibilità di incontro: in cosa speravo? Così mi lascio cadere afflitto su quel letto di foglie secche che fino a poco prima i miei piedi sovrastavano e lì le mie membra sembrano trovare la pace tanto agognata, per poi sciogliersi lentamente sopra il dolce fruscio di queste. L’oscurità incombe e la pioggia non cessa, mi chiedo se mi trovo ancora qui.

like ships in the night
you keep passing me by
just wasting time
trying to prove who’s right
and if it all goes crashing into the sea
if it’s just you and me
trying to find the light?


***


Derek’s pov.

Cinque ore son già trascorse e il soffitto è ancora intrappolato nei miei occhi: l’insonnia sembra voler stringere amicizia con il sottoscritto, a quanto pare. Scosto brusco la coperta e mi dirigo verso i miei indumenti, sparsi in disordine per casa, stando attento a coprirmi bene prima di varcare la soglia. Il vento soffia attraverso le fessure e il gelo si impossessa del mio corpo, sono quasi sul punto di rivalutare la possibilità di tornare a letto, quando la mia mano cerca la maniglia: ha già deciso lei per me. Subito la pioggia investe il mio corpo, ma continuo a camminare pur non avendo una meta ben precisa. Potrei considerarmi pazzo o forse solamente bisognoso di azzerare i miei pensieri, ma lascio che a guidarmi per il bosco siano i miei sensi, o meglio, la perdizione. I miei passi rimbombano nella notte, a tratti veloci, a tratti confusi, quando ad un tratto un profumo familiare raggiunge le mie narici. Affretto il passo e ai miei occhi si presenta la fonte di quell’odore: un indifeso Stiles raggomitolato su sé stesso riposa su un tappeto di foglie secche, completamente fradicio. In men che non si dica mi avvicino e cerco di svegliarlo, ma lui sembra non sentirmi. Ed eccola, la morsa al cuore. Preoccupato lo carico sulle mie spalle, correndo verso casa: sicuramente rimanere lì non lo avrebbe aiutato. Ma per quale motivo avrebbe dovuto trovarsi lì? Mi chiedo. Che si fosse perso? Improbabile, casa mia distava pochi kilometri, anche volendo avrebbe potuto orientarsi. Era un incosciente, ecco cos’era. Incredibile. O forse non sarei dovuto giungere a conclusione affrettate: dopotutto chi era uscito a propria volta con una tempesta in corso? No, nonostante questo, proprio non riuscivo a concepire cosa avesse combinato. Non ci riuscivo. I suoi battiti sembravano zoppicare: cosa diavolo stava succedendo?! Poggio una mano sulla fronte, per poi scoprirla bollente: come minimo avrà una febbre da cavallo, fantastico. Apro con un calcio la porta e quasi lo scaravento contro il pavimento. «Stiles? Stiles? Svegliati! Svegliati, cavolo!» quasi urlo. Eppure rimane ancora immobile. Il panico mi pervade dal capo fin alla punta dei piedi. E adesso? Con entrambe le mani faccio pressione sul petto, sperando di rinsavirlo. Un leggero movimento della sua bocca precede l’aprirsi dei suoi occhi marroni. «Umph.» mormora per poi sputare tutta l’acqua che si trova in corpo. «C-che diavolo c-ci faccio qui?» balbetta sconvolto nella mia direzione. «Ti ho trovato praticamente svenuto nel bel mezzo di una tempesta, in una foresta, intendiamoci. Qui quello che deve spiegazioni sei tu.» ribatto alquanto arrabbiato. «Non-non ricordo, ma sarà meglio che io vada: mio padre avrà cominciato le ricerche, conoscendolo e l’ultima cosa di cui ho bisogno al momento è una centrale di polizia alle calcagna.» mormora a testa bassa cercando di posizionare correttamente le braccia in modo da poter alzarsi. «Dove credi di andare in queste condizioni? Scottavi prima, avrai sicuramente la febbre!» non posso fare a meno di rispondergli. «E a te cosa importa scusa?» inarca un sopracciglio. «Un bel niente. Quindi se vuoi andartene fai pure, prego, quella è la porta.» gli salvo la vita e questo è quanto ricevo in cambio? Avrei dovuto lasciarlo lì. «Con molto piacere.» dice prima di avvicinarsi alla porta, aprirla e uscire in poche falcate. Sento i battiti del suo cuore risuonare contro la gabbia toracica, la portiera della macchina sbattere, il rumore di un motore messo in moto e poi il nulla. Perché preoccuparsi di quel moccioso? Che facesse pure come credeva, non era affare mio. «Oh, al diavolo» mormoro per poi tuffarmi sul divano.

like ships in the night letting cannonballs fly
say what you mean and it turns to a fight
fists fly from my mouth as it turns south
you’re down the driveway
I’m on the couch


***


Stiles’ pov.

E così non potevo avere nemmeno la libertà di commettere sciocchezze, eh? Come se il mondo non ci fosse abituato e come se non fosse solamente colpa sua, tra l’altro. Avrei dovuto essergli grato di avermi trovato? Magari lo ero, ma non abbastanza. La rabbia sembrava diramarsi prepotente dentro di me, non lasciando spazio a nessun altro sentimento. Perché ogni singola sfortuna esistente al mondo era destinata a me, dico io? Come se non bastasse essere cresciuto senza una madre. Il destino sembrava volermela fare pagare con ogni mezzo possibile, ne ero consapevole. E intanto non potevo fare a meno di pensare alla sua espressione preoccupata, nonostante mi imponessi di farlo. Porca miseria, come ne sarei uscito? Non ero ancora sicuro di dovermene occupare in futuro, dato che con molta probabilità mio padre avrebbe messo fine alla mia vita una volta varcata la soglia di casa, ma poco importava. La testa sembrava essere sul punto di esplodere sotto il peso di tutti quei pensieri, aggravati dalla pioggia e sicuramente dalla febbre, come aveva ipotizzato Derek. Ringraziai tutti gli angeli presenti al mondo per avermi permesso di tornare vivo a casa, quando scorsi il viale di casa mia a pochi metri da me. Accostai, scesi e con passo cauto mi fiondai dentro. Ed eccoli lì, mio padre, con un bicchiere di tequila in una mano e il cellulare in un’altra. «Hai idea dello spavento che mi hai fatto prendere? Per poco non mi prendeva un infarto! Come ti salta in mente di non farti vivo? Rispondere alle chiamate non si usa? E poi perché sembri un cadavere vivente? Sei completamente fradicio, cosa diavolo hai combinato? Dio, non riesco a crederci.» ed ecco anche il suo fiume di parole. «Ennesima delusione, eh?» mi rendo conto di aver dato vita a quelli che erano i miei pensieri quando uno schiaffo mi spiazza. «Puoi dirlo forte, fila in camera tua. E fai in modo di non uscirne per almeno un mese.» risponde. Che senso avrebbe ribattere? Nessuno, la risposta arriva inconsapevolmente anche questa volta. Salgo le scale e mi tuffo sul mio letto completamente dolorante. A volte desidererei solamente vivere una vita normale e invece mi ritrovo a vagare nel grigiore in cerca di uno spiraglio di luce.

chasing your dreams since the violent fifth grade
trying to believe in your silent own way
cause we’ll be okay, I’m not going away
like you watching at fourteen as it went down the drain
your pops stayed the same and your mums moved away
how many of our parents seem to make it anyway
we’re just fumbling through the gray
trying to find a heart that’s not walking away


***


Derek’s pov.

Le prime luci dell’alba mi illuminano il viso stanco e ormai arreso dinanzi all’inconcepibile prospettiva di riposo. Sarei andato avanti così per molto? Spero proprio di no, altrimenti Peter avrebbe potuto farmi fuori in quattro e in quattr’otto, nipote o meno. La mia mente sembrava aver esaurito il limite di memoria; avevo bisogno di ripartire da zero, tabula rasa. Ma come fare? Non di certo era la prima volta che mi imponevo di fare qualcosa di simile e suppongo sia inutile dire che al tutto erano susseguiti risultati a dir poco disastrosi. Come avrei dovuto cancellare ogni singola traccia di quel Stilinski? Sembrava essere un virus, pericoloso pure, di quelli che non ti abbandonano poi così facilmente. Ero un appestato, forse? Peggio, continuavo a dirmi. Inutile provare e riprovare: prima o poi sarei ritornato alla normalità, avrei solamente pensato a me stesso e alla mia sopravvivenza. Mi alzai di botto con ancora quei pensieri contrastanti e decisi di uscire, dopotutto a cosa sarebbe servito barricarsi in casa? Quello che soleva essere mio zio poteva entrare quando e come voleva, senza il bisogno di alcun permesso, Scott avrebbe potuto fare lo stesso e Stiles… beh, Stiles dubito lo avrebbe mai fatto, visti e considerati i recenti avvenimenti. Basta, Derek, smettila. La mia coscienza sembrava finalmente essersi fatta viva, seppur in ritardo. Provavo un misto di ribrezzo e compassione nei miei stessi confronti: quella confusione era a dir poco orribile. Uscii di casa e mi diressi verso la mia Camaro che, splendente, mi attendeva. Pochi minuti dopo mi ritrovai involontariamente sotto casa di Stiles. Perché? Cosa c’era che non andava in me? Perché quello che sembrava essere collegato al mio fascio di nervi mi attirava a sé? Mi chiesi sconvolto. Scendere o non scendere? Questo è il dilemma. Consideriamo pure i pro e i contro: scendere? Beh, a quale scopo? Per urlargli contro per aver reagito a quel modo dopo avergli salvato la vita, magari. Non scendere? Suonava già meglio mettere in moto. Decisi allora di girare per Beacon Hills senza uno scopo ben preciso, indeciso se tornare lì o meno. Pochi minuti dopo la mia auto era accostata vicino alla sua Jeep e i miei passi sembravano indirizzarmi verso la sua camera: sarei entrato dalla finestra – data l’ora lo sceriffo Stilinski mi avrebbe sicuramente sparato contro. Entrai e lo vidi appisolato su di un lato, noncurante del resto del mondo. Sembrava quasi pacifico quando dormiva, bisognava riconoscerglielo. Diedi un’occhiata veloce alla stanza, per accertarmi che tutto fosse al suo posto, quando vidi due valigie vicino alla scrivania. E ciò cosa stava a significare? Che stava per partire? Sento un tonfo, quasi un rumore sordo all’altezza del cuore. E mi accorsi di sentirlo già lontano, sebbene distasse da me di soli pochi centimetri. Mi sentivo ferito, credo – anche se non ero pienamente a conoscenza del motivo, lo ero davvero. Perché poi? Perché tutti questi dubbi? Perché queste notte insonni? Perché tutte queste domande e nessuna risposta? Mi sentivo solo e strano. Sì, strano. E dannatamente solo.

turn the lights down low
walk these halls alone
we can feel so far
from so close


***


Stiles’ pov.

Boom. Boom. Boom. La mia testa era in procinto di scoppiare, ne ero sicuro. Prima di chiudere gli occhi non solo avevo potuto annotare la mia temperatura elevata, ma avevo anche ipotizzato una fuga: l’avrei messa in atto? Non so, non sembrava più una buona idea. Con questa incertezza aprii gli occhi e mi ritrovai immerso nel verde degli occhi di quella che potevo perfettamente considerare la mia recente tortura. «Cosa diamine ci fai qui?» ormai non sembro chiedere altro. «Parti.» quella non era una domanda, era una constatazione. Cosa avrei dovuto rispondere? Magari con la verità, sebbene non sembrasse una delle idee più geniali mai partorite da quell’obbrobrio che era il mio cervello. «Sì, parto.» Mai lasciarsi guidare dall’istinto, presi nota. «Lo hai deciso adesso?» chiede. «Da un po’ a dire il vero, avrei davvero, ma davvero bisogno di una pausa. Sai, tra lune piene e lupetti sarebbe anche plausibile.» vai così, Stiles! Lo hai deciso massimo trenta secondi fa, ma poco importa, giusto? Giusto. «Dove vai?» era un interrogatorio o cosa? Voleva forse pedinarmi e uccidermi? «Non fuori da Washington, credo.» ero deciso a rimanere nello stato, per il bene mio e di Scott: non avrei sopportato di essergli così lontano e di non sapere nulla, adesso che sua madre era venuta a conoscenza della sua ‘natura’. «Capisco, beh, divertiti allora. Vado.» quasi ringhia. Cosa gli prende? Perché è arrabbiato? Magari per questa notte e sta cercando di avvertirmi del suo prossimo spuntino. Il secondo dopo è già sparito, rimane solo una traccia del suo dopobarba. È così che mi pervade un senso di vuoto e chiudo nuovamente gli occhi. Nessuno saprà il mio nome all’infuori di qui, sembra la cosa migliore. La cosa migliore, sì.

I’m at the airport waiting on the second plane
had to pack you had cramps
and i was late heading to a red carpet
they won't know my name
riding in silence
all that we wanna say
about to board when you call on the phone
you say 'i'm sorry I’ll be waiting at home'


***


Derek’s pov.

Strano non era l’aggettivo adatto: fuori come un balcone, ecco cos’ero. Perché arrabbiarsi? Perché? Ennesima domanda a cui non riuscivo a trovare una risposta. Lui scappa e tu, da perfetto deficiente, ti arrabbi? Oh, fantastico. Sono stufo di tutti questi dubbi, proprio stufo, voglio risposte e anche in fretta. Lo avevo trovato sotto la pioggia senza alcuna difesa ed ero corso a proteggerlo come meglio potevo, come se ne dipendesse la mia stessa vita; lo avevo portato a casa mia per curarlo, lui mi aveva subito liquidato ed io ci ero anche rimasto male; non sono riuscito a chiudere occhio a causa sua e dice già tutto di per sé; vengo a sapere della sua partenza e, chissà per quale strano scherzo del destino, mi ritrovo in questo stato. Analizzata, la situazione sembra ancora peggiore. Scopro adesso che le risposte, beh, ci sono eccome. Che non le volessi considerare? Probabile. La confusione non sembrava essere diminuita e sebbene tutto stesse assumendo un senso, io proprio non capivo. Allora provavo qualcosa per quel… quell’essere? No, no, no continuavo a ripetermi, era impossibile. Eppure tutto tornava: le morse al cuore erano giustificate, così come quell’indomabile istinto di protezione nei suoi confronti. Che fare allora? Va bene, avevo capito, ma non avrebbe sistemato un bel nulla o sbaglio? Lui è in procinto di partire ed io sono qui, in questo letto troppo scomodo per poterci anche dormire su. O magari il problema non era il letto, piuttosto, ero io. Non sono mai stato un codardo, eppure adesso mi sembrava di averne assunto le sembianze. Dovevo andare da lui e chiarire? Ma chiarire cosa esattamente? Avrei dovuto chiarire con me stesso prima, quindi quest’opzione era da escludere a priori. È come se stessi cercando di trovare la mia strada in una città che non conosco. Ma è propria questa la mia strada? Sono pronto ad ammetterlo non solo a me stesso, ma anche agli altri? E a lui? Prima che sia troppo tardi? Forse, se non stessi qui a rimuginare come un tredicenne, potrei anche farcela. Datti una mossa, Derek. Datti una mossa, una volta per tutte.

feels like we’re burning this out on our own
trying to find our way down a road we don’t know


***


Stiles’ pov.

Tutto era pronto, o quasi. Mio padre era via, quindi non avrebbe potuto fermarmi: gli avrei lasciato un biglietto sopra il tavolo; avevo avvisato Scott, informandolo dei miei piani e assicurandogli che sarei tornato al più presto in caso di bisogno, ero pur sempre reperibile per telefono, ma non bastava e mi sentivo terribilmente in colpa per questo; avevo preparato il minimo indispensabile e contavo di mancare per due settimane, al massimo, quindi andava più che bene. Mi affliggevano però due domande: 1. Mio padre mi avrebbe perdonato e permesso di tornare? 2. Era una buona idea quella di scappare da tutto e tutti? Da Scott e… e da Derek? Forse no, ma andava fatto: mi avrebbe aiutato, o almeno, così speravo. Scesi le valigie al piano di sotto e le posizionai vicino al divano: avrei ingerito qualcosa prima di andare, mi conoscevo fin troppo bene. Aprii il frigo e presi il cartone del latte, presi una tazza e gliene versai una generosa quantità, poi presi i cereali e li affogai senza pietà in quel liquido biancastro. Presi a masticare velocemente, non strozzandomi per poco, abbandonami – come ero solito fare – ai miei pensieri. Non ebbi nemmeno il tempo di assaporare il momento ché sentii il campanello suonare più volte. E adesso? E se fosse stato mio padre? Beh, ero fottuto, diciamocelo pure. Però se fosse stato lui non avrebbe avuto bisogno di suonare, no? Quindi scartai sollevato l’ipotesi. Scott? Uhm, magari. Jackson in veste di Kanima pronto a squartarmi? Il padre di Allison che mi reclamava come esca per i suoi loschi scopi? O forse Allison stessa spinta dai suoi istinti omicidi? Wao, che positività! «C-chi è?» urlai spaventato. «Derek. Vuoi aprire o no?» chiede scocciato. Derek? Cos’altro vuole adesso? Mi dirigo verso la porta e, come se ad aspettarmi ci fosse una bomba ad orologeria, la apro lentamente, quasi a scatti. «Credo sia la terza volta che ti ripeto questa domanda nel giro di 12 ore: che ci fai t-» comincio, quando le parole mi muoiono sulle sue labbra. Cosa diamine c’era in quel latte? E se quelli non fossero stati cereali ma bensì funghetti allucinogeni? Stiles, stai male, credimi, stai male continuavo a ripetermi. Poi tutto ebbe fine e me lo trovai dinanzi a me con un’espressione alquanto imbarazzata, non proprio da lui. Si aspettava una mia reazione, credo. «E questo?» chiedo a corto di parole sensate. «Oh, ti prego, non rendere il tutto più imbarazzante di quanto già non sia.» mormora. E poi scoppio in una risata sguainata prima di tuffarmi a mia volta sulle sue labbra. «Puoi dirlo forte.»

i’m gonna find my way
back to your side
i’m gonna find my way
back to your side








disenchanted_ corner: ehm ehm. scusate per questa schifezza, davvero, è stato più forte di me. D:
come avrete capito quella in cui vi siete imbattuti è una sterek (otp, otp, otp.) ed è una song-fic.
la canzone su cui mi sono basata è Ships in the night di Mat Kearney ed è qualcosa di meraviglioso.
chiedo ancora perdono e... beh, se volete lasciarmi una recensione io potrei anche amarvi all'infinito. ♥
se volete seguirmi su twitter sono @lovelesstear. i follow back. bye bye.

   
 
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