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Autore: Inquisidora    05/08/2012    3 recensioni
{ Preciousmetalshipping - Gold/Silver
Non è sempre facile dichiarare i propri sentimenti, spesso e volentieri ci sembrano un qualcosa di assurdo, stupido e insensato. Silver questo lo sa bene. Ma cosa fare se non riesci ad accettarli, cosa fare se questi stessi sentimenti ti lacerano il petto con una forza pari a quella di mille coltelli? Prima o poi il dolore finirà per sopraffarlo, Silver non potrà resistere per sempre. E' giunto il momento che comprenda e, soprattutto, che accetti ciò che prova per Gold.
Genere: Fluff, Sentimentale, Song-fic | Stato: completa
Tipo di coppia: Shonen-ai | Personaggi: Altri
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno | Contesto: Manga
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Precisazioni: ovviamente questi due bei bambini non mi appartengono (purtroppo!), mentre questa storia non è assolutameeente scritta a scopo di lucro. Just for fun.
Qui Gold e Silver sono abbastanza cresciutelli, quindi in teoria Sneasel e Aipom dovrebbero essersi evoluti rispettivamente in Weavile e Ambipom, ma io ho preferito lasciarli alla forma base.
Le canzoni che mi hanno ispirato questa fan fiction sono 'Your Call' e 'Like A Knife', entrambe dei Secondhand Serenade.
Enjoy~

P.S: Questa fan fiction mi ha portato via l'energia vitale, lo giuro.




 

 

“Stupido, stupido Gold”.
Silver cacciò la testa sotto al cuscino, cercando in qualche modo di reprimere la rabbia. Che Gold fosse uno stupido non era una novità per il giovane ragazzo dai capelli color porpora, ma questa volta aveva davvero passato il limite, almeno secondo il suo modesto criterio di giudizio. Non che Silver fosse esattamente una persona socievole e portata per le relazioni, questo lo riconosceva lui stesso, però sperava che il vecchio rivale ormai si fosse abituato e che avesse imparato a trattare con lui. E invece era andato contro ogni sua aspettativa, stravolgendo completamente i suoi piani senza farsi troppi problemi.
“Stupido Gold”, mugugnò nuovamente Silver cercando di nascondere maggiormente il viso.
Qualche lacrima dispettosa aveva preso a inumidire il lenzuolo, cosicché il ragazzo, seppur con una certa riluttanza, si liberò del cuscino e prese ad asciugarsi gli occhi. Prima che potesse rendersene conto aveva già cominciato a singhiozzare.
“Merda”, imprecò, portando nuovamente il cuscino a coprire il volto, nella speranza che il suo Pokémon non lo sentisse piangere. Volse quindi la testa alla sua sinistra, là dove sul tavolino stava appoggiato il PokéGear, poi sospirò.
Vaffanculo, Gold”.

Waiting for your call, I'm sick, call, I'm angry 
call, I'm desperate for your voice

La piccola Poké Ball andò a scontrarsi col terreno, lasciando uscire il mostriciattolo che vi si nascondeva all’interno: un maestoso Typhlosion comparve davanti ai piedi del giovane allenatore, mostrandosi in tutta la sua fierezza. Il ragazzo dai capelli corvini invitò con un gesto l’avversario a cominciare l’incontro, un sorrisetto beffardo stampato in faccia. Il malcapitato d’altronde non si fece pregare, preso dall’impeto della battaglia mandò subito il suo Pokémon all’attacco, noncurante dello sguardo ricolmo di sicurezza dello sfidante.
“Granbull, Sgranocchio!”.
Il Pokémon non ebbe neanche il tempo di slanciarsi verso il nemico che si ritrovò circondato da una densa cortina di fumo nero, impossibilitato ad attaccare.
“Ora, Explotaro, Lanciafiamme”.
Il povero Granbull venne investito in pieno da una potente fiammata, per poi essere sbattuto violentemente contro un albero poco distante.
“Cosa? Ma com-“, riuscì appena a balbettare l’uomo.
Granbull riuscì tuttavia a rialzarsi e cercò di prepararsi, barcollando, per un secondo attacco.
“E’ il momento, Explotaro”, annunciò il moretto, “finiscilo con Lacerazione”.
Il veloce Pokémon di tipo fuoco saettò verso l’avversario, colpendolo in pieno con i suoi artigli. Granbull tentennò per qualche istante, per poi accasciarsi, stremato, per terra.
“Explotaro, ritorna”.
L’allenatore del Pokémon sconfitto subito corse in sua direzione, per poi osservare incredulo lo stato in cui era ridotto il suo Granbull. Dopodiché lo fece rientrare nella Poké Ball e si girò verso l’avversario, deciso a fargli i complimenti per l’ottimo incontro e per la maestria con cui domava il suo Pokémon. Purtroppo per lui non appena si voltò realizzò che egli era già scomparso, di lui non era rimasta alcuna traccia. L’uomo sospirò.
“Non si può certo dire che quello non sia un ragazzo particolare”.

***

“Ottimo lavoro, Explotaro, come sempre”, commentò Gold sorridendo mentre osservava il suo Typhlosion dimenarsi dentro la Poké Ball. Rimise dunque la sfera al suo posto, poi chiuse gli occhi e si concesse qualche secondo per godere della fresca brezza primaverile.
“Hn”, mormorò, “credo proprio che sia ora di fare una pausa”.
Così dicendo si guardò intorno alla ricerca di un luogo che fosse adeguato alle sue esigenze, per poi trovarlo all’ombra di una gigantesca quercia non molto lontana dal percorso 44.
“Qui è perfetto”, affermò esibendo uno dei suoi soliti sorrisetti.

Si sedette quindi ai piedi dell’albero, appoggiando la schiena contro il tronco; poi accese il PokéGear, con l’intenzione di cercare una stazione radio che trasmettesse musica adatta ad un bel sonnellino. Quando finalmente s’imbatté in una Poké NinnaNanna si ritenne soddisfatto, quindi girò l’inseparabile cappellino e lo portò a coprire gli occhi, poi si accomodò alla bell’e meglio contro la quercia. Passò giusto qualche minuto, tempo sufficiente a far sì che Gold, esausto dal continuo allenamento, potesse prendere sonno, quando la Poké NinnaNanna volse al termine e cominciò un’altra canzone.

Listening to the song we used to sing in the car
Do you remember? “Butterfly”, “Early Summer”
It’s playing on repeat, just like when we would meet
Like when we would meet

Sneasel balzò sul letto, preoccupato per lo stato del suo fidato allenatore. Silver era immobile, il braccio destro sopra agli occhi nel vano tentativo di nascondere le lacrime, vano poiché i singhiozzi che di tanto in tanto si lasciava scappare lo tradivano miseramente. Il Pokémon donnola osservava il ragazzo, gli occhi languidi.
“Snee”, mugolò appena strofinando il naso contro la guancia di Silver, il quale si degnò finalmente di spostare il braccio dal viso per poter osservare il suo Pokémon.
Lo sguardo del compagno bastò a fargli capire quanto fosse in pena per le sue condizioni.
“Non preoccuparti, Sneasel”, sussurrò appoggiandogli una mano sopra la testa, “sto… bene”.
Ma il Pokémon non sembrava molto convinto. Con un altro balzo scese quindi dal letto, per poi dirigersi verso il tavolino.
“Eh? No, aspett-“.
Troppo tardi, Sneasel era già di ritorno, il PokéGear di Silver ben stretto tra gli artigli. Il ragazzo sbuffò.
“So cosa vuoi che faccia”, disse osservandolo con sguardo severo, “ma non lo farò”.
La donnola dal canto suo non sembrava voler lasciar perdere, al che, indispettita, riprese posto sul letto dell’allenatore e gli appoggiò il PokéGear sulle gambe.
“Siamo insistenti, eh?”.
Il Pokémon annuì. Silver si lasciò scappare un sospiro, dopodiché si mise in posizione seduta e osservò il suo PokéGear.
“Probabilmente ora non si ricorda neanche più ciò che mi ha detto l’ultima volta. Svampito com’è è probabile che abbia già rimosso… tutto”.
Quest’ultima parola la pronunciò con un tono di voce leggermente più basso, quasi avesse paura del suo significato e di ciò che si nascondeva dietro essa. Le sue splendenti iridi argentee tornarono nuovamente a inumidirsi, e ben presto le lacrime ripresero a sgorgare dai suoi occhi.
No, Sneasel, non posso”.

I was born to tell you I love you
And I am torn to do what I have to
To make you mine, stay with me tonight

Per poco Gold non ebbe un sussulto quando si accorse del cambio di canzone.
“Ehi, un momento, ma io questa la conosco…”.
Avvicinò il PokéGear all’orecchio, quasi non credesse a ciò che stava ascoltando. Rimase a bocca aperta per qualche istante, prestando particolare attenzione alle parole, poi, quasi senza rendersene conto, si ritrovò a canticchiare. Passò qualche minuto, dopodiché inevitabilmente la canzone finì, lasciando un vuoto nel cuore di Gold, che, per com’era fatto, avrebbe continuato a cantare per ore. Di colpo si alzò in piedi, lo sguardo improvvisamente serio e l’immancabile ghigno di nuovo sul volto.
“Mantaro”, chiamò facendo uscire il Pokémon acquatico dalla sua sfera e ancorandosi sotto di lui subito dopo, “mi serve un passaggio”.

Stripped and polished, I am new, I am fresh
I am feeling so ambitious, you and me, flesh to flesh
cause every breath that you will take when you are sitting next to me
will bring life into my deepest hopes
What’s your fantasy? What’s your, what’s your…

Non si era mai sentito così in vita sua, mai.
Certo, ne aveva passate di cotte e di crude, mai dimenticherà gli anni passati sotto il controllo di Maschera di Ghiaccio, addolciti solo dalla compagnia della sua cara amica Blue; però bene o male era sempre riuscito a cavarsela in ogni situazione, aveva superato ogni ostacolo senza troppe difficoltà e ogni volta ne era uscito sempre più forte. Ma mai, mai avrebbe pensato che un giorno gli si sarebbe presentato un problema del genere, e, nell’ipotetico caso in cui ci avesse pensato, l’avrebbe sicuramente cestinato come qualcosa di stupido e di poca importanza. Eppure adesso si trovava costretto ad affrontarlo. Non sapeva bene come, ma doveva farlo, doveva trovare un modo per evitare che il dolore che provava arrivasse a squarciargli il petto.
Tra le lacrime e i singhiozzi portò una mano al cuore, quasi ad accertarsi che battesse ancora, cosa di cui ormai non era molto sicuro. Con sua grande sorpresa, i battiti erano enormemente accelerati, al che cominciò a credere che, più che il dolore, sarebbe stato il suo cuore a lacerargli il petto, tanta era la freneticità con cui pulsava.
Poi tornò ad accasciarsi sul letto, incurante del PokéGear che nel frattempo finiva rumorosamente sul pavimento e del povero Sneasel che, in piedi di fronte a lui, osservava tristemente il suo allenatore, incapace di aiutarlo a guarire dal dolore.

I was born to tell you I love you
And I am torn to do what I have to
To make you mine, stay with me tonight

“Ehi Mantaro, con tutto il rispetto, ma… non ti spiacerebbe andare un pochetto più veloce?”.
Mantine per tutta risposta si destreggiò in una magnifica piroetta in mezzo alle nuvole, con tanto di triplo avvitamento, avendo come conseguenza un Gold che per poco non si faceva un volo di 1000 metri, senza il vantaggio del paracadute, naturalmente.
“O-okay”, balbettò il ragazzo mentre cercava di riprendere in qualche modo posizione, “t-ti chiedo scusa, però non provare a farlo mai più, intesi?”.
Il Pokémon annuì muovendo distrattamente le antenne.
“Però… potresti sul serio accelerare un po’? Scusami se te lo chiedo, ma per me è importante, c’è una cosa che devo fare. Te lo chiedo per favore”.
A quelle parole il Pokémon manta capì. Roteò gli occhi, emise un flebile verso e partì veloce come un fulmine alla volta dei cieli più azzurri, là dove, lontano da colline ed edifici, poteva volare al massimo della sua velocità senza correre il rischio d’incappare in qualche ostacolo.
“Sì! Perfetto, è così che ti voglio, grande Mantaro!”, esclamò Gold sistemandosi i suoi storici occhialetti, così da proteggere gli occhi dalle correnti d’aria.
Mantine arrossì ed emise un altro verso, stavolta di gioia, per poi continuare a seguire a tutta velocità il percorso voluto dal suo allenatore. Raggiunta la meta, Gold, irruento come sempre, non si preoccupò neanche di ritirare il Pokémon, spalancò subito la porta dell’abitazione e vi si fiondò dentro senza tanti complimenti, lasciando Mantine libero di tornare a librarsi nei cieli in attesa del suo ritorno.

And I’m tired of being all alone
And this solitary moment makes me
Want to come back home

Sneasel drizzò le orecchie, in allerta, sicuro di aver sentito qualcosa provenire dal piano inferiore. Saltò un’ulteriore volta sul letto e prese a scuotere Silver, con la vana speranza che questo si alzasse e andasse con lui a controllare, ma realizzò subito l’impossibilità del suo desiderio: non voleva saperne di muoversi di lì e probabilmente non l’avrebbe fatto neanche se la casa fosse stata in fiamme. La donnola emise un verso di disapprovazione, poi si lanciò fuori dalla stanza e scese rapidamente le scale, decisa ad annientare da sola l’invasore e a proteggere il suo allenatore.
“Ehi, Sneasel! Ciao!”.
Il Pokémon balzò indietro, colto di sorpresa. Quando si voltò e riconobbe l’identità del famigerato intruso, però, non poté fare a meno di lasciarsi scappare un grido di gioia, per poi saltare in braccio al ragazzo dai capelli neri.
“Da quando in qua sei così affettuoso?”, domandò scherzosamente Gold.
Sneasel strofinò il muso contro il suo petto, incapace di contenere la felicità, poi, ricordatosi improvvisamente dello stato in cui verteva il suo amato allenatore, tornò nuovamente a terra e fece cenno a Gold di salire le scale. Lui non aveva intenzione di farselo ripetere due volte, d’altronde era quello il motivo per cui era venuto fin lì. Si tolse lo zaino dalle spalle e ne estrasse cinque piccole sfere, dopodiché liberò i suoi Pokémon e li lasciò in compagnia di Sneasel.
“Baderai a loro finché non torno, sì?”.
La donnola annuì. Gold sorrise e si avviò verso le scale, incitato dal piccolo Aipom che, proprio come il suo allenatore, aveva non poche difficoltà a stare fermo e, soprattutto, zitto per più di cinque minuti.

***

Non appena Gold si trovò davanti alla porta della stanza di Silver, lasciata socchiusa da Sneasel, si accorse dei singhiozzi che provenivano dall'interno, cosa che gli strinse inevitabilmente il cuore. Portò la mano a sfiorare la maniglia, poi esitò, incerto se fosse davvero il caso di entrare o meno, dato che immaginava quale fosse la ragione che aveva portato Silver a disperarsi così. Poi mandò giù il groppo che aveva in gola e prese coraggio: quella situazione era rimasta irrisolta da troppo tempo, era ora di chiudere la faccenda una volte per tutte. Con un gesto deciso spalancò la porta della stanza, proprio come aveva fatto poco prima per il portone d’ingresso. Silver neanche reagì: era girato verso il muro, dunque gli era impossibile vedere chi fosse appena entrato, e probabilmente credeva che Sneasel fosse tornato dal suo giro di perlustrazione al piano di sotto. Gold, con la sua innata nonchalance, si avviò di soppiatto verso il letto, cercando il più possibile di non farsi notare. Quando fu abbastanza vicino si appoggiò al bordo di esso, quindi avvicinò le labbra all’orecchio di Silver e cominciò a intonare una canzone, una canzone che entrambi conoscevano molto bene.
“MA CHE COS-“.
Silver scattò su di colpo, preso decisamente alla sprovvista.
“M-ma…”, balbettò incredulo non appena realizzò di avere Gold a pochi centimetri da lui.
“Ciao Silver, come butta?”.
Wow, complimenti Gold, questo sì che è il modo di cominciare una conversazione!
“M-m-ma…”, continuò a farfugliare Silver, evidentemente incapace di formulare una frase di senso compiuto al momento.
“Lo devo prendere come un ‘ciao Gold, sto bene e sono felicissimo di vederti’?”.
Silver, riacquistata un minimo di lucidità, si domandò come diavolo riuscisse quel deficiente a fare il cretino pure in un momento simile. Poi si ricordò delle lacrime, del dolore, del cuore che palpitava e di tutto il resto, delle lacrime in particolare, dato che aveva continuato a piagnucolare fino a due secondi prima che l’idiota facesse una delle sue comparsate. Girò quindi il volto nuovamente verso il muro e prese ad asciugarsi gli occhi, nel vano tentativo di cancellare ogni traccia di quelle stupide, stupidissime goccioline che raccoglievano le sue emozioni e che per ore avevano continuato a traboccare dai suoi occhi.
“Sai, Silver, non dovresti asciugarti le lacrime”, disse Gold prendendo posto sul letto, “non hai idea di quanto siano belli i tuoi occhi quando piangi”.
Silver avvampò. Ecco, ci mancavano solo le frasi smielate. Il rosso cominciò a pregare che qualche forza misteriosa se lo portasse via da lì, e che lo facesse il più presto possibile, magari.
“Se sei venuto per dire cazzate sappi che puoi benissimo andartene”, ribatté non appena il suo viso riprese un colorito idoneo.
“Ehi, guarda che sono serio. Sono già molto belli di per sé, ma quando sono umidi le tonalità dell’argento si fanno molto più vive. Sembrano proprio due pietre preziose”.
Certo, due pietre preziose, peccato che l’argento sia un metallo. Ritenta, Romeo.
Gold si avvicinò ulteriormente a Silver, andando ad occupare maggiore spazio sul letto.
“Silver, senti una cosa. Ricordi ancora la canzone che ti ho dedicato qualche mese fa?”.
Il ragazzo dagli occhi argentei sussultò. No, non andava bene, avrebbe sopportato pure altre cento delle sue stupide battute, pur di non dover affrontare quell’argomento. Non sapeva cosa dire per sviare la discussione, dunque si limitò ad emettere un rantolo sommesso.
“Silver, rispondimi”, lo riprese Gold, una puntà di severità nella voce.
“…sì”, ammise infine l’interpellato.
“Sono felice di saperlo”, continuò il moro, “perché l’ho risentita proprio oggi e, ovviamente, mi ha fatto pensare a te. Ecco perché sono venuto a trovarti”.
Silver, in preda all’imbarazzo più totale, evitò di dare ulteriori risposte e nascose il volto tra le ginocchia, sperando così in primo luogo che il rivale rinunciasse e che se ne tornasse da dov’era venuto, in secondo luogo che non vedesse il rossore di cui le sue guance si erano appropriate. Gold, però, che ormai conosceva l’amico più di chiunque altro, non si scoraggiò, anzi: circondò con le braccia il suo corpo, andando poi a stringere le mani di Silver nelle sue.
“Gold, dovresti saperlo che non sono particolarmente propenso a questo tipo di attenzioni”, trovò infine il coraggio di replicare lui.
“Se c’è una cosa su di te di cui sono assolutamente sicuro”, rispose Gold, “è proprio la convinzione che questo tipo di attenzioni siano ciò di cui avresti più bisogno”.
Silver, non trovando più ulteriore coraggio per ribattere, si fece un po’ meno rigido, lasciando che le braccia del rivale lo circondassero completamente. Gold, per il quale questo era una chiaro via libera, si strinse ulteriormente a lui, per poi strofinare lievemente il naso contro la sua guancia. Il rosso si allontanò, imbarazzato: Gold era troppo vicino, decisamente troppo vicino.
“G-Gold”, balbettò Silver, cercando nuovamente di riprendere il controllo di se stesso, “puoi… puoi farmi la gentilezza di allontanarti, cortesemente?”.
“Ma non ci penso neanche!”, ribatté subito l’altro, “Sai da quant’è che aspetto di poterti abbracciare così?”.
Gold gli rivolse uno dei suoi sguardi più severi, cosa che servì solo ad accrescere maggiormente il disagio del compagno.
“L’ultima volta non siamo giunti a una conclusione, non hai voluto ammettere a te stesso che anche tu puoi provare dei sentimenti. Ma questa volta non sarà così. Questa volta voglio che tu apra gli occhi”.
Silver per tutta risposta si divincolò bruscamente dalla sua presa, poi scattò in piedi.
“E’… è tutta colpa tua. Non puoi uscirtene fuori all’improvviso con certe assurdità e pretendere che io faccia lo stesso. E’ assurdo! Io non ho proprio niente da dirti!”, rispose lui, quasi urlando: era evidente che riusciva a malapena a controllare il turbinio di emozioni che provava.
“…bugiardo”.
Gold lo afferrò per un braccio, poi lo trascinò nuovamente sul letto e gli prese i polsi immobilizzando sotto di sé, onde evitare che cercasse di svignarsela di nuovo.
“Perché piangevi prima, Silver?”.
Ovviamente era a conoscenza della risposta, ma sentirla uscire dalle labbra del rosso avrebbe avuto tutto un altro significato. L’interpellato non rispose, impegnato com’era a dimenarsi.
“Perché piangevi prima, Silver?”, ripeté allora Gold, stringendo la presa sui polsi.
Non che volesse fargli del male, figuriamoci, piuttosto voleva che capisse che non l’avrebbe lasciato libero fino a che non avesse ottenuto una risposta.
“Sneas-“.
“Ah, no, non provare a chiamare il tuo Pokémon. E comunque anche se lo facessi lui non ti darebbe retta, lo sa che sto facendo questo per il tuo bene”.
Silver smise improvvisamente di dibattersi. Poi fissò i suoi occhi argentati in quelli dorati di Gold e riprese a singhiozzare, più forte di prima. Dio, quanto si sentiva patetico. Patetico e debole. Quel dannato sentimento era troppo, troppo grande, era riuscito a sopraffarlo, a divorarlo, un po’ alla volta, fino a renderlo completamente vulnerabile. Talmente vulnerabile che ora non riusciva neanche a liberarsi di quel cretino, talmente vulnerabile che qualunque parola uscisse dalle labbra di Gold per lui aveva la forza di mille coltelli. Mille coltelli che continuavano a trafiggerlo da tutti i lati, lasciandogli cicatrici che sapeva non sarebbero guarite mai.
“Gold”, riuscì a mormorare tra un singhiozzo e l’altro.
“Dimmi”, rispose lui senza staccare un solo istante i suoi occhi da quelli di Silver. Gli si struggeva il cuore a vederlo così, ma doveva resistere all’impulso di consolarlo. Per il suo bene.
“Gold… com’è che faceva quella canzone?”.
Il moro sorrise, un sorriso semplice e sincero. Liberò i polsi del compagno e si sdraiò accanto a lui, andando poi a cingere i suoi fianchi in un dolce abbraccio.
I was born to tell you I love you, and I am torn to do what I have to, to make you mine, stay with me tonight…”.
Gold non spiccava di certo per la bravura nel canto, anzi, ma a Silver la cosa non importava granché. Le parole della canzone avevano sicuramente molta più rilevanza rispetto a quella stupida voce da gallina che si ritrovava quell’idiota.
“Silver?”.
“Hn?”.
“Ti amo, ti amo più di ogni altra cosa al mondo. E non importa quante volte mi respingerai, quante volte cercherai di scappare, quante volte nasconderai i tuoi veri sentimenti, io continuerò a farlo fino alla fine dei miei giorni, che ti piaccia o meno”.
Le guance di Silver tornarono nuovamente a imporporarsi, ma questa volta non fece nulla per nasconderlo. Decise, invece, di voltarsi nella direzione del moro, così che i loro occhi potessero incontrarsi di nuovo. Rimase a squadrarlo per qualche istante, incerto, poi, senza pensarci due volte, unì le sue labbra a quelle di Gold. Quest’ultimo, gli occhi sbarrati, si concesse qualche istante per realizzare appieno la veridicità di ciò che stava succedendo. L’aveva decisamente preso in contropiede: già una dichiarazione da parte di Silver gli sembrava una cosa pressoché impossibile, un bacio, poi, figuriamoci. Gettò un ultimo sguardo all’altro ragazzo: aveva gli occhi serrati e l’espressione concentratissima, Gold pensò che fosse la cosa più bella che avesse mai visto. Era deciso a godersi quel momento il più a lungo possibile, peccato che, proprio quando si decise a chiudere gli occhi e a lasciarsi andare, Silver interruppe il contatto.
“Gold, fammi il piacere di non interpretare questo gesto come non devi, ok?”.
Lui sbuffò.
“E’ stato talmente tanto breve che non è che abbia molto da interpretare”.
Silver sospirò, scoraggiato, e si rannicchiò contro il petto di Gold.
“…dai, fammi fare almeno un tentativo. Devo interpretarlo come un ‘sì, Gold, ti amo anch’io ma sono talmente tanto tsundere che non lo ammetterò mai e poi mai dovesse andarne della mia stessa vita’?”.
“Gold, per l’amor del cielo, sta’ zitto”.

***

Era passata più di un'ora da quando Gold era salito al piano di sopra, e Sneasel cominciava ad averne abbastanza d'inseguire il piccolo Aipom per tutta la casa per evitare che facesse danni. Era fortemente tentato di colpirlo in pieno con un Geloraggio, quantomeno una volta congelato se ne sarebbe stato fermo, poi si ricordò che il suo compito era quello di tenere a bada i Pokémon di Gold, non di metterli fuori gioco. Così, rassegnato, lasciò che quella banda di scalmanati continuasse a divertirsi, sperando dentro di sé che non distruggessero niente; e si avviò verso le scale, impaziente di sapere se il moretto avesse o meno adempiuto al suo compito. La vivace scimmietta si apprestò a seguire la donnola, incuriosita. Sneasel le fece cenno di fare silenzio, onde evitare che i ragazzi si accorgessero di loro. Aipom annuì. Il duo di Pokémon si avvicinò furtivamente – per quanto furtivamente potesse muoversi Aipom – alla camera di Silver, poi gettò una frettolosa occhiata all'interno di essa. I due allenatori giacevano sul letto, abbracciati: le braccia di Gold erano fermamente ancorate alla vita di Silver, mentre quest'ultimo teneva la testa appoggiata al petto del compagno. Entrambi avevano le palpebre abbassate e la bocca leggermente socchiusa: Sneasel capì subito che stavano dormendo, quindi cercò di fare meno rumore possibile, al contrario della scimmietta che invece riusciva a stento a contenere la gioia. Il Pokémon donnola le lanciò un'occhiataccia, poi le fece segno di tornare al piano di sotto e chiuse la porta della stanza, felice, lasciando che i due ragazzi continuassero a dormire.

   
 
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