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Autore: Angel Selphie    19/02/2007    6 recensioni
Può un forte amore fraterno diventare qualcosa di più? E può questo sentimento essere tanto forte da sfidare l’autorità e l’ira di un padre ingiusto? Warning: INCESTO.
Genere: Romantico | Stato: completa
Tipo di coppia: Slash | Personaggi: Boromir, Denethor, Faramir
Note: nessuna | Avvertimenti: Incest
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Salve a tutti! Sono di nuovo io, e di nuovo alle prese con una fic! Questa è la mia prima fic seria su “Il Signore degli Anelli”, e si tratta di una slash, che corrisponde ad una shounen-ai o yaoi. I personaggi di questa storia, o almeno quelli principali, sono Faramir e Boromir. Giacché questa narrazione tratta di un amore fra due uomini, e per di più fratelli, se la cosa vi infastidisce siete pregati di non leggere oltre. Premetto anche che questa sarà una Alternative Universe, in quanto i fatti qui narrati hanno poca attinenza con quelli raccontati nei tre film e nel libro (che peraltro non ho letto, anche se sto tentando di farmelo prestare da un mio amico…speriamo bene!), e spesso i particolari saranno inventati di sana pianta!
Bene, fatte queste piccole specificazioni posso lasciarvi alla lettura!
Selphie, the Forbidden Angel of Darkness
P.S= Come al solito dedico questa schifezza al mio super brother Seifer, alla mia cuginetta adorata Lif (ovvero Iaele) e alle mie super friends Zil, Vale-chan, Biada, Ely Costa, Annagiù e Tommyl! Siete dei tesori e vi adoro!
P.P.S= La poesia che trovate nel racconto l’ho scritta io. Non è un gran che, mi è uscita fuori mentre ascoltavo May It Be e Wild Child di Enya…è questa poesia che dà il titolo alla fic!


Un Sogno Antico Vestito D'Oro

Il sole risplendeva gioioso, quella mattina, la prima mattina di primavera, quasi a voler dimostrare a tutti la sua vittoria sull’inverno che, sconfitto, si stava accingendo ad abbandonare la Terra di Mezzo fino all’anno successivo. Il cielo azzurro era punteggiato di tante piccole nuvolette bianche dall’aspetto soffice, come ciuffi di dolce panna montata, e alcuni uccelli volavano allegri, compiendo ampi volteggi e giocando a nascondino tra di esse. Un venticello fresco spirava da est, portando con sé una deliziosa fragranza di fiori e di libertà, e nel suo lento soffiare faceva danzare impercettibilmente i fili d’erba color della speranza che già da un paio di settimane avevano cominciato a foderare il terreno, oltre che, naturalmente, i rami degli alberi, già ricoperti di gemme. Anche Minas Tirith riluceva allegra sotto i raggi del dio Sole, e le sue vie erano incredibilmente animate, quasi la popolazione stessa vivesse sulla sua pelle il fermento della natura.
Boromir, figlio di Denethor, Sovrintendente di Gondor, uscì sul piccolo terrazzino della sua camera da letto, e prese ad osservare con interesse i movimenti della gente in città. In ogni strada il viavai continuo aumentava man mano che trascorreva il tempo: nessuno rimaneva sotto i portici ombrosi a oziare, i bambini non giocavano a rincorrersi nelle piazzette e le donne avevano abbandonato le faccende domestiche. Tutto ciò, come l’uomo ben sapeva, era dovuto all’ormai prossima Festa della Primavera, che quell’anno avrebbe coinciso anche con il ritorno di suo padre da un lungo viaggio che lo aveva portato per molto tempo lontano da Gondor. Un ritorno che la popolazione attendeva con ansia, poiché si sarebbe rivelato un ottimo pretesto per distrarsi dalle preoccupazioni che la vita di tutti i giorni portava inevitabilmente con sé, ma anche perché il ritorno del Sovrintendente avrebbe significato maggiore sicurezza per i cittadini, che vivevano da anni sotto la costante minaccia di orchi e Uruk-Hai. Un ritorno che, però, avrebbe fatto nuovamente soffrire una delle persone che Boromir amava di più, forse quella a cui più teneva in assoluto.
Conosceva fin troppo bene quello che era accaduto anni or sono: quei fatti gli erano tristemente noti, ed era proprio in queste occasioni che il loro peso insostenibile gravava di più sulle sue spalle di uomo, di figlio, e soprattutto di fratello maggiore. Quando aveva circa cinque anni gli era giunta alle orecchie una splendida novità, un annuncio che aveva fatto ben presto il giro di tutta la città, riempiendo il cuore dei suoi abitanti di una grande gioia: la sposa del Sovrintendente di Gondor era in attesa del secondo figlio. Perciò nei nove mesi successivi all’emanazione di quella notizia ognuno si era chiesto come sarebbe stato il nuovo figlio di Denethor, e capitava di sovente che a palazzo giungessero piccole delegazioni di donne venute a rendere omaggio alla futura madre con dei piccoli doni, quali sontuosi abitini per il piccolo, finemente ricamati e fabbricati di una stoffa così morbida e leggera da sembrare quasi inconsistente. Ovviamente nessuno mancava di far arrivare qualche presente anche per il piccolo Boromir, temendo che il bambino potesse ingelosirsi e non prendere a benvolere il nuovo membro della famiglia, ignorando che lui, nonostante la giovanissima età, si sentiva onorato e compiaciuto del suo futuro compito di fratello maggiore. Così i giorni della gravidanza erano trascorsi lieti e festosi per la nobile famiglia, almeno fino al giorno del parto: ci furono delle complicazioni, di natura sconosciuta, e i medici di corte sconsigliarono alla bella consorte del Sovrintendente di mettere al mondo il figlio, poiché avrebbe rischiato la vita, ma lei non ne volle sapere, e accadde ciò che nessuno avrebbe voluto. La donna morì dando alla luce il piccolo, trasformando in questo modo quello che avrebbe dovuto essere un evento festoso in una triste realtà, e gettando Denethor nella più cupa disperazione. L’uomo, che fino a pochi istanti prima era stato impaziente di vedere il suo secondogenito, si era subito chiuso in una coltre di dolore, rancore e rabbia; per i due mesi successivi alla nascita del bambino, si rifiutò persino di vederlo, affidandolo alle premurose cure di una nutrice, e dando ordine che a scegliere il nome del bebè fosse Boromir, il quale fra le molte idee che popolavano la sua mente, estrasse quella che più gli piaceva: Faramir…
Gli anni erano trascorsi, i primi consumatisi nel dolore della morte, che poi si era andato affievolendo, fin quasi a scomparire. I due fratelli erano cresciuti forti e sani, oltre che molto belli, ma un aspetto fondamentale li differenziava, ovvero l’amore che il padre provava per loro. Boromir, impulsivo e poco incline alle tergiversazioni, era il preferito di Denethor, e non solo per una questione di primogenitura, mentre Faramir, più riflessivo e calmo (anche se certo non meno valoroso) e quindi apparentemente più debole, era trattato con una freddezza tremendamente dolorosa. La verità di fondo era che il padre non gli aveva mai perdonato di avergli “strappato” la sua sposa, che amava più della sua stessa vita, con la semplice azione del venire al mondo. Nonostante la disparità di trattamento che i due ricevevano, erano sempre stati molto legati, e moltissime volte Faramir aveva cercato sostegno tra le braccia del fratello maggiore nei momenti di assoluto sconforto.
Boromir sospirò tristemente, prima di rientrare nella sua stanza, chiudendo dietro di sé la porta che dava sul balcone. Faramir…chissà come aveva preso la notizia del ritorno di Denethor…non lo sapeva, era dalla mattina precedente che non lo vedeva, e ormai stava anche cominciando a sentire il morso della preoccupazione chiudergli lo stomaco con violenza. Dove poteva essersi cacciato quel piccolo incosciente? Piccolo, perché non aveva mai smesso di considerarlo, in qualche modo, un bambino, un bimbo bisognoso di affetto e di amore, che lui avrebbe voluto dargli.
Lo sapeva! L’aveva fatto di nuovo! Aveva nuovamente pensato a lui in altri termini, che non erano certo quelli di fratello minore, ma era più forte di lui. Se ne era reso conto da molto tempo: l’amore che nutriva nei confronti del più piccolo di casa non era più di tipo fraterno, ma si spingeva più in là, andando a lambire i confini del desiderio e della passione. Inizialmente si era imposto di ignorare quel fremito che lo coglieva ogniqualvolta i loro sguardi si incrociavano, e aveva deciso che si sarebbe accontentato di stringere il fratello tra le braccia quando quello avesse avuto bisogno di essere consolato, si sarebbe limitato ad accarezzare piano i suoi capelli, e a respirare il suo profumo speziato che lo faceva impazzire. Poi però si era accorto che quelle rare occasioni non gli bastavano più, desiderava qualcos’altro, sperava che Faramir ricambiasse quell’amore tanto profondo quanto sbagliato.
L’insistente bussare alla porta lo distolse da quella valanga di riflessioni più o meno dolorose. Ordinò al misterioso visitatore di entrare, e quando i battenti di legno si separarono tra di loro apparve la figura bassa e rotondetta della nutrice Esethil, colei che per lunghi anni aveva fatto da madre ai due fratellini. Purtroppo, però, il suo viso solitamente gaio era oscurato da un’ombra di tristezza, frammista a grande preoccupazione e ansia incontenibile.
-Vieni pure avanti, Esethil!- la invitò Boromir con fare conciliante.
-Grazie, mio signore!- rispose quella, accompagnando le parole con un profondo inchino.
-Via, via! Esethil, non devi fare tutti questi cerimoniali! Mi hai allevato come fossi tuo figlio, e i Valar solo sanno quante volte mi avrai pulito il sedere, perciò te ne prego: niente convenevoli!- ridacchiò l’uomo.
-Non è il momento di scherzare, mio signore! Il giovane Faramir è scomparso! Da ieri mattina non si hanno più sue notizie, e il suo cavallo manca dalle scuderie! Temo che sia successo qualcosa di grave!- esclamò la nutrice, ancor più preoccupata.
-Lo so…forse è giusto che io vada a cercarlo, chissà dove si è cacciato…- affermò Boromir, pensieroso.
-Non vorrei che commettesse qualche sciocchezza! È un ragazzo tanto riflessivo, ma la notizia del ritorno di Denethor vostro padre l’ha scioccato! Comunque, posso esservi d’aiuto in qualche modo, mio signore?-
-Sì, grazie Esethil! Fai sellare il mio cavallo!-

Mezz’ora più tardi, Boromir stava cavalcando attraverso le pianure di Gondor, nei pressi di Osgiliath. Si fermava in ogni luogo che, a suo giudizio, avrebbe potuto catturare la curiosità del fratello o avrebbe potuto spingerlo a fermarsi. Non osava nemmeno ipotizzare in che modo lui avesse accolto la notizia del ritorno di Denethor, ma d’altra parte non avrebbe neanche dovuto stupirsi più di tanto: era ovvio che non si sarebbe trattenuto per sempre a Rohan, la meta del suo viaggio. Prima o poi avrebbe fatto il suo ritorno a Minas Tirith, e a quel punto la vita sarebbe tornata a piombare nel solito grigiore. E quello che più lo faceva arrabbiare era che lui non poteva assolutamente nulla contro tutto questo: si era giurato di proteggere Faramir da qualunque cosa potesse ferirlo, ma se la prima causa della sua sofferenza era proprio il padre, era difficile evitare gli scontri. Da parte sua, cercava di non dare troppa soddisfazione al vecchio, ma quello era sempre pronto a giustificarlo, e spesso attribuiva le negligenze del maggiore dei suoi figli al minore, accusandolo di distrarre il primogenito dai suoi compiti con sciocchezze culturali inutili. In condizioni del genere, i tentativi di ribellione si rivoltavano sempre contro colui che, invece, avrebbe dovuto trarne vantaggio.
Scosse la testa, e spronò il cavallo. Aveva fretta, era in ansia, aveva paura. In quei tempi non era difficile essere circondati da un gruppo di Uruk-Hai sfuggiti allo sterminio, e non aveva idea delle condizioni di Faramir: era disarmato o aveva portato con sé la sua spada? Aveva cibo a sufficienza? Stava bene?
Boromir trovò presto risposta a questi quesiti: riuscì a scorgere Faramir in un piccolo boschetto nei pressi delle rive del fiume sulle sponde del quale era costruita Osgiliath. Il ragazzo stava seduto su una roccia, con lo sguardo fisso davanti a sé e perso completamente nel vuoto. Accanto a lui c’erano i resti di un focolare, e nelle vicinanze di questo anche una tenda, molto modesta. Al tronco di un albero era legato il cavallo, equipaggiato con alcune borse che sembravano piene di cibo.
Boromir, un po’ meno preoccupato, si avvicinò cautamente, squadrando il fratello da capo a piedi: era bellissimo, con i capelli biondo ramati ondulati, mossi appena da quel filo di vento che soffiava lì intorno, le iridi azzurre fisse in un punto non meglio definito della boscaglia, e quelle vesti di pelle che lo fasciavano da capo a piedi, mettendo in evidenza un fisico slanciato e scolpito, plasmato da anni di allenamento con le spade, che lo rendevano ancora più provocante. Era un fascino, il suo, leggermente trascurato, e proprio per questo molto più magnetico.
-Faramir!- lo chiamò Boromir, rendendosi conto che l’altro non si era accorto della sua presenza.
Il giovane sussultò spaventato, ma si riprese subito dopo, quando vide chi lo aveva interpellato.
-Ciao Boromir! Cosa ci fai qui?- chiese con finta noncuranza.
-Cosa ci faccio qui? Cosa ci fai TU qui, piuttosto! È da ieri mattina che di te, al palazzo, non si sa più nulla! E la povera Esethil era talmente in pena…-
-Ah…- un sospiro smorzato che uscì dalla gola del più giovane senza che questi se ne rendesse conto.
Un sospiro deluso, come quello di un bambino che attende spasmodicamente il più bello dei balocchi e si trova invece tra le mani una misera caramellina.
-Fara…che c’è? Ho detto qualcosa che non va?-
-No, no…Esethil…cara vecchia donna! È l’unica che si preoccupi veramente per me…-
-Cosa stai dicendo? Cos’è? Una delle tue crisi di vittimismo?-
-Vittimismo?-
-Sì, esatto Faramir! Cosa credi? Che io non fossi preoccupato per te, forse? Credi che sia venuto fin qui solo per una passeggiata all’aria aperta?-
-Beh, scusa tanto se non capisco chi parla a metà!-
-Pensavo che fosse sottointeso! Per i Valar, sono tuo fratello!-
-Sai, a volte farebbe piacere sentirsi dire da una persona quanto questa tiene a te!-
-Potrei dire lo stesso, sai?-
-Ah, davvero Boromir? Beh, perché non vai a fartelo dire da nostro padre? Non credo che avrà problemi!-
-Non…non parlare così! Io…lo sai che…-
-No, non so proprio niente!-
Calò un pesantissimo silenzio, interrotto di tanto in tanto dal cinguettio di qualche uccellino o dal frusciare delle fronde. Il maggiore dei due fratelli teneva lo sguardo basso, e si fissava insistentemente gli stivali, come alla ricerca di una minuscola macchia invisibile, e nel frattempo rifletteva. Sapeva che Faramir aveva ragione, sapeva che tutto ciò che aveva detto era vero, maledettamente e tristemente vero. Ma sapeva anche che non poteva fare quello che gli aveva chiesto. Se avesse provato a dirgli quanto tenesse a lui avrebbe finito per tradirsi, per rivelargli l’amore che provava nei suoi confronti, un amore peccaminoso, sbagliato, ma dannatamente forte, bruciante e sconvolgente.
Alzò appena gli occhi, incontrando lo sguardo pieno di lacrime del giovane di fronte a lui, il volto contratto in un’espressione di assoluta sofferenza, di sconforto e anche di resa nei confronti di una vita con lui troppo ingiusta, che lo aveva privato dell’affetto e del calore di una famiglia. Boromir questo lo capiva, non era uno stupido, ma non poteva stare accanto al fratello come avrebbe desiderato, per la paura di lasciarsi trasportare troppo. Ma, a vederlo così, non poté evitare di avvertire una violenta fitta al cuore, e prese l’unica decisione davvero giusta: si avvicinò a Faramir e lo abbracciò di slancio, stringendolo a sé come mai aveva fatto prima d’allora.
-Scusami, Fara! Scusami tanto, non volevo…non volevo essere cattivo con te, non volevo farti del male, e…hai ragione, lo so…dovrei dimostrarti il mio affetto più spesso, però…forse è colpa del mio carattere, ma non ci riesco…ma sappi che io sono qui, per proteggerti…non permetterò a nessuno di farti del male…capito? Nessuno, nessuno…tantomeno Denethor…- Boromir aveva detto tutto ciò sussurrandolo appena contro l’orecchio del fratello, mentre lasciava una mano scorrere tra i capelli di lui e con il braccio libero gli cingeva la vita in una stretta possessiva.
-Scusami tu…la rabbia ha parlato per me…però, ti prego, rimaniamo così per sempre…-
-Per sempre? Non è un periodo un po’ lungo?-
-Non se tu sei con me…- mormorò Faramir, senza nemmeno pensare a quello che diceva.
Quella frase gli era scappata di bocca senza che potesse rendersene conto. Ma cosa gli era saltato in mente di dire? Stava dando i numeri, era sicuramente così! Quella mezza affermazione sarebbe certo stata bene in uno di quei romanzi che tanto spesso aveva letto, quelle storie di cavalieri impavidi innamorati di giovani e belle dame, quelle poesie epiche intrise di amore sofferto, di disperazione e di speranza, di paura e di felicità, ma non aveva nulla di attinente con ciò che stava accadendo. E allora perché? Perché i battiti del suo cuore acceleravano man mano che Boromir lo sfiorava, perché tremava fra le sue braccia, perché non smetteva di sentire quella strana sensazione di qualcosa che svolazza nello stomaco? Se non fosse stato così razionale avrebbe detto che si trattava di un caso di innamoramento, ma come è mai possibile innamorarsi del proprio fratello maggiore? Non lo è, punto e basta. Forse tutto quello che provava in quegli istanti era dovuto alla stanchezza, al bisogno di affetto e all’insieme di emozioni che si erano fatte strada in lui da quando aveva appreso che suo padre avrebbe fatto presto ritorno a casa. Forse. Era solo una supposizione, ma preferì aggrapparsi a quella, senza pensare, gustandosi quell’attimo, godendo del calore che Boromir gli trasmetteva, lasciando che il suo cuore rilasciasse tutta la tensione accumulata e scoppiando, poco dopo, in un pianto liberatorio.
-Fara…non piangere, non…sono qui…sono qui per te…sfogati…dimmi cosa di fa stare così male…-
-Nostro padre…-
-Non badarci…sai com’è…lui non ti darà mai affetto e comprensione…non può farlo…il suo cuore è troppo chiuso…ma il mio no…ci sono io…se hai bisogno di me…-
-Lo so…ho bisogno…di qualcuno che mi scaldi il cuore…ne ho tanto bisogno…aiutami, Bori!-
-Non preoccuparti! E adesso vieni. Torniamo a casa, ti va?-
-Sì…-
I due si separarono, per cause di forza maggiore, e si apprestarono a salire in groppa alla loro cavalcature, pronti per il viaggio di ritorno.

Era ormai calata la sera su tutta la Terra di Mezzo, e nel palazzo di Minas Tirith si udivano i caratteristici rumori che precedevano la quiete ed il silenzio della notte. Alcuni inservienti camminavano lungo i corridoi deserti, mentre i loro passi echeggiavano nella semioscurità, attenuata soltanto dalla spettrale luminescenza delle torce disposte lungo le fredde pareti di pietra, torce che gettavano riflessi di luce, come lame affilate, sul pavimento in marmo, creando strani disegni ed allungando le ombre in modo quasi grottesco. Ed era in questo ambiente surreale che una giovane anima non riusciva a trovare la serenità. Un ragazzo percorreva a passo di marcia gli androni dell’ala della reggia destinata alle camere da letto, senza riuscire a darsi pace, come un angelo rinchiuso in gabbia. La sua mente era al lavoro, pur contro la sua volontà. Non riusciva a fare a meno di pensare a ciò che sarebbe accaduto l’indomani: Denethor sarebbe tornato a Minas Tirith, portando con sé tutto il suo odio verso di lui, e riversandoglielo addosso come pece bollente.
Si era illuso, aveva cercato di vivere nel presente allontanando l’idea del futuro incombente, ma non ce l’aveva fatta. Più il tanto temuto giorno si avvicinava, più in lui cresceva l’angoscia. Di nuovo gli sarebbe stata sbattuta in faccia la sua colpa, l’aver indirettamente causato la morte della consorte del Sovrintendente, di nuovo avrebbe dovuto sopportare i silenzi, i musi lunghi, le frecciate velenose e i continui rimproveri e segni di scontento. Eppure lui perseverava, non abbandonava la speranza che un giorno sarebbe riuscito a conquistare l’amore paterno…. Però, cosa avrebbe dovuto fare, in attesa di quel momento? Sapeva di poter contare sul fratello, certo, ma non poteva sempre riversare su Boromir i suoi problemi e le sue preoccupazioni, o a lungo andare anche lui si sarebbe stancato della sua compagnia: avere attorno un ragazzino immaturo che non fa altro che lagnarsi e piangersi addosso…
E tuttavia quella non era l’unico pensiero che affollava la mente del giovane Faramir. Qualcosa di quasi altrettanto grave lo angustiava. Da quella mattina, nel bosco vicino al fiume…non riusciva a smettere di pensarci, per quanto si impegnasse. Non poteva, non voleva dimenticare la sensazione di completo appagamento provata nell’essere abbracciato in quel modo dal fratello, e più trascorreva il tempo, più si acuiva quel rinnovato desiderio di ricevere altre attenzioni di quel tipo…se non più intime ancora. E qui stava il vero nocciolo della questione: non riusciva a pensare a Boromir senza immaginarsi accanto a lui, avvinghiato a lui, baciato, sfiorato, accarezzato da lui.
Stava assolutamente diventando pazzo! Non era possibile fare certi pensieri su un membro della propria famiglia! Però, per quanto si sforzasse di rimuovere dalla sua testa certe immagini, una parte di lui glielo impediva. Anzi! Più lui tentava di scacciare quelle impure fantasie, più queste prendevano piede nella sua testa, assumendo contorni definititi, netti. E poi ci si mettevano anche le farfalle nello stomaco! Aveva provato tisane varie, bagni caldi, rimedi classici e altro ancora, ma nulla gli aveva donato il sollievo sperato. E in fondo doveva ammettere con se stesso che non era affatto unna sensazione spiacevole, quanto per meglio dire strana. L’unica cosa sbagliata era il fatto che la provasse con suo fratello. Era sbagliato! Era sbagliato, dannazione! Non era ammissibile, non poteva essere, non era possibile che stesse accadendo a lui!
Con chi confidarsi? Con chi parlare per alleviare almeno in parte il senso di oppressione, di angoscia e di vergogna che provava? Non aveva nessuno. Mai, in vita sua, aveva avuto un amico fidato, se non Boromir stesso. Ma dirlo a lui era fuori discussione! Avrebbe perso la sua amicizia, oltre che la sua stima. E per l’ennesima volta in vita sua sarebbe stato solo. Abbandonato. Evitato. Lasciato in disparte. Lui, quel bambino che era dovuto crescere troppo in fretta, senza l’affetto di una madre e il calore di una vera famiglia, nella speranza di compiacere un padre che lo aveva ripudiato il giorno stesso della sua nascita. Lui, con i suoi sogni, la sua voglia di contare qualcosa nella vita, di poter diventare la ragione di vita di una persona, e che per l’ennesima volta si vedeva costretto a scontrarsi con la barriera di pietra che il destino gli aveva innalzato di fronte.
-Perché?- sospirò piano, senza quasi accorgersene.
-Perché cosa?- una voce familiare dietro di lui lo fece dapprima sobbalzare e poi voltare, sorpreso.
-Boromir! È tardi! Non dovresti essere a letto?-
-Potrei farti la stessa domanda, fratellino! I bambini devono andare a nanna presto!-
-Ma se il bambino in questione non ha sonno?-
-Fai i capricci, adesso?-
-L’hai detto tu che sono un bambino, no? E da bambino mi comporto!-
Boromir non poté fare a meno di sorridere. Quel ragazzo davanti a lui aveva sempre il potere di stupirlo: nonostante la tristezza, riusciva a sorridere e scherzare. Era forte, il suo Fara, e se ne rendeva conto man mano che il tempo passava. Forte, più forte della fredda testardaggine di Denethor. Più forte di quanto non fosse disposto ad ammettere. E lui invidiava la sua forza, che non aveva nulla a che vedere con la prestanza fisica: qualcosa di interiore, una volontà ferrea e una determinazione sconfinata, oltre che il desiderio di non mettere a nudo le proprie debolezze.
Intanto, però, lo sguardo del più giovane era sempre sconfortato e velato di una sottile cortina di lacrime.
-Faramir…lo so che qualcosa non va! Perché non me lo vuoi dire?-
Nella voce del maggiore c’erano preoccupazione e tanto affetto.
-Perché non capiresti mai…- rispose sconsolato.
-Non è vero, e lo sai. Ho il compito di proteggerti, di sorreggerti…sono il tuo angelo custode, a me puoi dire qualsiasi cosa…-
-Lo sai…è per domani…per…per nostro padre…. Sai anche tu come andrà a finire! Sai, ogni giorno trascorso mentre lui era in viaggio mi è sembrato così allegro, così diverso…in questi giorni ho vissuto veramente, come mai ho fatto nei miei vent’anni. Però è stato tutto come un bellissimo sogno, un sogno che domani si concluderà con il brusco ritorno alla realtà in cui sono invischiato senza possibilità di fuga…. È il mio fardello, e non potrò fare nulla per liberarmene. Sono condannato a scontare la morte di nostra madre, a non valere nulla per quell’uomo che avrebbe dovuto dimostrarmi amore, invece che odio…-
Le parole uscivano dalla bocca di Faramir come un torrente in piena. Erano parole cariche di amarezza, un’inarrestabile tumulto di emozioni vomitate a tratti con violenza e a tratti con voce rotta, come schegge di cristallo su un pavimento di candido marmo. Era come se vent’anni di soprusi subiti in silenzio fossero venuti a galla tutti in quella notte.
-Mi…mi dispiace. Faramir, vorrei poterti aiutare, lo vorrei davvero!-
-Grazie…so di poter contare su di te!-
-Non mi devi ringraziare! Sono tuo fratello, e il tuo bene, per me, viene prima di tutto!-
-Esagerato!- rise il giovane, guardandolo negli occhi.
-Realista!- replicò l’altro, scompigliandogli leggermente i capelli con la mano, in un gesto amorevole.
Ci fu un attimo di silenzio. Sembrava che la discussione fosse finita lì, ma Faramir aveva ancora una cosa da chiedere, una richiesta che però richiedeva un po’ di coraggio, e non era sicuro di averne abbastanza.
-Abbracciami!- disse d’un fiato, per paura che quella determinazione che si era impossessata di lui potesse fuggire all’improvviso.
-Eh?- Boromir era un po’ perplesso.
Non era sicuro di aver sentito bene: il fratello gli aveva chiesto di abbracciarlo! Poteva soddisfare quel desiderio? Non ne era sicuro, perché non era sicuro di riuscire a limitarsi solo ad un abbraccio, e aveva paura di perdere il controllo. Ma in fondo, era una semplice dimostrazione d’affetto tra fratelli, quindi perché avrebbe dovuto temerla? Un motivo valido, se non quel sentimento perverso e diabolico che lo divorava come un lento fuoco infernale, non esisteva…non apparentemente, almeno, e perciò fece quello che gli era stato domandato, e che desiderava da morire.
Strinse a sé il corpo perfetto del ragazzo, che ricambiò con forza, quasi con disperazione, come se stesse cercando di non allentare la presa su quello che pareva essere il suo unico appiglio alla vita, la sua unica ancora di salvezza. Come se, perdendo quel contatto, avesse potuto perdere la sua stessa anima. Così Faramir si rannicchiò ancora di più in quella nicchia di calore inebriante, chiudendo gli occhi per meglio assaporare il vortice di suggestioni colorate d’oro e d’argento che lo aveva intrappolato al suo interno, trascorrendo quelle che sembrarono lunghe ore e, allo stesso tempo, brevi battiti d’ala di farfalla.
-Fara…- la voce del fratello lo stava riportando alla realtà.
-Mmmmh…-
-Fara, ti sei addormentato?-
-No…-
-Dai, si sta facendo veramente troppo tardi, e domani sarà una giornata intensa per entrambi. È meglio se andiamo a dormire.-
-Hai…forse hai ragione…-
-Come sarebbe a dire forse? Io ho SEMPRE ragione!-
-Va bene…se ne sei così convinto…-
-Non fare l’impertinente con me, sai?-
-Non oserei mai…-
Andarono avanti a discutere un altro po’, camminando lungo il corridoio, finché non arrivarono davanti alle porte delle loro stanze, una di fianco all’altra.
-Beh…allora io vado a dormire! Riposa bene, Bori!-
-Anche tu, Fara…-
Sorridendo, Faramir fece per girarsi ed entrare nella sua stanza, ma improvvisamente il fratello lo trattenne per un braccio, costringendolo a voltarsi, quindi gli si avvicinò e gli stampò un bacio sulla guancia, prima di sussurrargli:
-Sogni d’oro.- e di sparire poi dietro i battenti dell’uscio della sua camera.
Il ragazzo rimase lì in piedi per qualche istante, immobile, basito, con una mano appoggiata sul punto in cui le labbra di Boromir lo avevano sfiorato, provocandogli una serie di brividi caldi, mentre le guance gli si imporporavano appena. Era sconvolto: l’uomo non l’aveva mai fatto, mai si era lasciato andare a tali dimostrazioni d’affetto, tranne quando erano bambini…
Confuso, mosse qualche passo, giungendo proprio di fronte alla porta della sua stanza, e ancora in uno stato di totale smarrimento, si rifugiò al suo interno, sperando che la notte gli portasse consiglio.

La mattina seguente, al contrario di quanto Faramir aveva sperato, il sole scintillava e baciava con i suoi raggi aurei sia la città che la pianura circostante. Il palazzo risuonava del chiasso tipico che indicava i preparativi per una grande festa: nel primo pomeriggio, infatti, Denethor sarebbe tornato e la sera del giorno seguente nel salone principale avrebbe avuto luogo una grandissima festa, alla quale erano invitati tutti i massimi esponenti della nobiltà della Terra di Mezzo.
Il figlio minore del Sovrintendente si alzò e spalancò con forza le imposte della finestra, lasciando che anche quella stanza godesse della grande luce proveniente dall’esterno, mentre lui si vestì in fretta pronto per scendere a fare colazione in compagnia del fratello, come accadeva ogni mattina da quando il padre era partito. Sarebbe stata loro ultima colazione insieme: Denethor non approvava la simpatia che Boromir nutriva nei confronti del piccolo di casa, riteneva che quel rapporto di amicizia avrebbe, a lungo andare, rammollito il figlio maggiore, di cui lui andava particolarmente fiero. Perciò Faramir aveva sempre consumato i pasti, salvo rare eccezioni come feste o ricorrenze particolari, in un’altra sala, in solitudine, come del resto era costretto a trascorrere tutta la giornata. Per lui, quindi, era stata una piacevole novità quella di mangiare assieme ad altre persone che non fossero gli inservienti addetti a portargli in tavola le vivande, e il pensiero di dovervi rinunciare, assieme a tutto il resto delle belle esperienze fatte nell’ultimo periodo, contribuiva a deprimerlo ancora di più. Proprio per questo il bel tempo gli aveva procurato un moto di nervoso: se almeno si fosse presentata una giornata grigia, avrebbe rimpianto di meno la fine della “bella vita”. Ma gli sembrava che quel sole splendente che nuotava nel cielo turchino gli rinfacciasse ancora di più la sua condizione di prigioniero.
Intanto Boromir, già sveglio da un’ora abbondante, stava girovagando senza meta per il castello, aspettando il momento in cui il fratello, meno mattiniero di lui, si sarebbe degnato di alzarsi. Visto che era una bella giornata, optò per una passeggiata in giardino, un’ottima occasione per godere del tepore del sole, respirare aria fresca e pensare in pace. Percorse quindi androni e anticamere, fino a giungere davanti all’uscio che conduceva nel giardinetto interno. Respirando a fondo il buon profumo di fiori e di acqua fresca, vi entrò con circospezione, quasi che, se avesse mosso un passo di troppo o se avesse prodotto anche il minimo rumore, quell’incantesimo di bellezza si sarebbe spezzato. Continuò ad avanzare silenziosamente, mentre alcuni uccellini che avevano nidificato sui rami degli alberi intorno cantavano il loro amore con gioiosi trilli e gorgheggi.
“Cosa darei per essere uno di loro…per poter fare quello che voglio, senza dover rendere conto a nessuno. Senza che la colpa delle mie azioni sconsiderate ricada su una persona innocente…per potermi muovere liberamente, per potermi finalmente godere la vita…” pensò Boromir, alzando lo sguardo verso il cielo terso.
Era talmente preso nella sua contemplazione dolorosa, che non si rese conto che qualcuno gli si era avvicinato senza far rumore, e che lo stava osservando con innocente curiosità, almeno finché non si sentì tirare insistentemente per la tunica. A quel punto si voltò, ben intenzionato a dirne quattro a quello scocciatore che si divertiva a tirare le tuniche altrui, ma ciò che vide lo lasciò confuso e senza parole.
Di fronte a lui, ancora con un lembo della sua veste stretto nel pugno, stava una bambina di circa otto o dieci anni. Non era molto alta, ma era assolutamente stupenda: una nuvola di boccoli biondi le incorniciava il visino perfettamente ovale, scendendo fino alla vita. Un paio di scintillanti occhi simili a zaffiri si aprivano e chiudevano ritmicamente, mettendo in evidenza le lunghe ciglia nere, in grande contrasto con la carnagione nivea. Una deliziosa bocca a forma di cuore era stretta in un adorabile broncio spazientito, e la fronte aggrottata era un chiaro segno di disappunto. Un vestitino bianco, lungo fino alle caviglie, infine, completava l’opera.
L’uomo restò per un interminabile istante a fissare quella che sembrava una stupenda bambola di porcellana, chiedendosi in cuor suo da dove potesse mai provenire una tale bellezza: non aveva mai visto quella piccina prima di allora, ed era talmente giovane che non poteva nemmeno ipotizzare si trattasse di una nuova inserviente. Magari erano arrivati degli ospiti a palazzo, quella mattina, e gli alti funzionari si erano occupati di riceverli al suo posto, e magari quella era la loro figlia…però era quantomeno singolare che una bimba così piccola si aggirasse tutta sola per il castello, specialmente se poi si trattava della nobile rampolla di un’altrettanto nobile famiglia.
-Ciao piccola…cosa ci fai qui?- le chiese quindi, con fare conciliante.
-Ti è caduta questa, signore!- gli rispose lei, tendendogli la fibbia decorativa che fermava il suo mantello.
-Oh, grazie! Posso chiederti come ti chiami?- domandò l’uomo, prendendo il monile dalle mani della bimba e appuntandoselo al petto.
-Io sono Isethril! E tu, signore?-
-Mi chiamo Boromir. Ma dimmi un po’, cosa ci fai qui tutta sola, principessa?-
-Non sono sola! C’è Darsiel con me!-
-Darsiel? E chi è?-
-Ma non lo vedi? È il mio folletto!- si indispettì Isethril, indicando un punto imprecisato sopra la sua spalla destra.
-Ah, sì! Che sbadato, non me ne ero accorto! Suppongo che dovrei scusarmi con lui!- disse Boromir, stando al gioco.
-Lo penso anch’io! Darsiel è un po’ offeso!-
-Allora le porgo ufficialmente le mie scuse, signor Darsiel!- dichiarò l’uomo, sorridendo.
-Credo che così possa andare!-
Ci fu un breve attimo di silenzio, interrotto subito dopo dalla voce squillante della bambina.
-Perché sei triste, signore?-
-Io…io non sono triste!- esclamò l’uomo con un leggero disappunto.
-Non si dicono le bugie, non lo sai?-
-Hai ragione…ma è una storia troppo complicata…-
-Non ti credo!-
Boromir rise di gusto: quella bambina apparsa dal nulla era talmente dolce…. Non riuscì a resistere all’impulso, e di scatto le si avvicinò e la prese in braccio, sorridendo, mentre la piccola Isethril si lasciava andare ad una risata leggera e argentina. Compì qualche volteggio e poi la fece scendere.
-Sai che sei proprio simpatico, signore?- gli disse la bambina, lasciando che il suo viso si illuminasse del più radioso dei sorrisi.
-Anche tu sei simpatica, principessina!-
-Grazie! Adesso devo andare! Ci vedremo ancora, signor Boromir!- lo salutò, prima di voltarsi e uscire correndo dal giardino.
Un saluto che aveva il sapore di una dolce promessa.

Faramir giunse nella sala della colazione, trovandola completamente vuota, anche se apparecchiata per due. Dov’era sparito Boromir? Solitamente il fratello, che si svegliava prima di lui, era già seduto a tavola quando lui arrivava. Invece quel giorno pareva che fosse in ritardo. Beh, non che ci fosse da preoccuparsi: aveva venticinque anni, si presumeva che sapesse badare a se stesso. Tuttavia era veramente strano che fosse in ritardo. Magari stava male ed era rimasto a letto…forse era meglio assicurarsene.
Fece per alzarsi dalla sedia quando Boromir irruppe nella stanza con aria affannata.
-Faramir! Buongiorno! Che ci fai qui tutto solo?-
-Bori! Calmati! Sembra che tu abbia appena combattuto contro un manipolo di Uruk-Hai! Hai fatto una corsa?-
-No, io non…ma dove sono gli ospiti???- chiese il più vecchio dei due, scioccato nel vedere che la tavola era apparecchiata soltanto per due, come al solito.
-Ospiti? Bori, sei sicuro di sentirti bene? Quali ospiti?- domandò legittimamente Faramir, che non stava capendo assolutamente niente di quello che il fratello stava biascicando sconnessamente.
-Isethril…gli ospiti…stamattina io…prima nel giardinetto…-
-Per i Valar! Stai calmo! Vorresti spiegarti in maniera che possa capire quello che stai dicendo?-
Il maggiore dei due rimase per qualche istante in silenzio, prendendo fiato e mettendo in ordine logico le idee, dopodiché iniziò a raccontare.
-Dunque, questa mattina mi sono alzato un po’ prima del solito e, non sapendo cosa fare, sono andato nel giardinetto, e lì ho incontrato una bambina bionda. Non avrà più di dieci anni e credo che sia la figlia di qualche ospite importante, magari arrivato prima che mi svegliassi…o almeno credo! Tu l’hai vista, per caso? E hai visto i suoi genitori?-
-Io non ho visto nessuno…dopo svegliato, mi sono preparato e sono venuto qui. Anzi, ti dirò che iniziavo a preoccuparmi non vedendoti arrivare! Comunque, non ho visto nessuna bambina né tantomeno ho incrociato nobili vari, mi dispiace! E poi, che cosa c’entra questa Isethril che hai nominato poco fa?-
-Isethril è il nome della bambina! Ma…com’è possibile??? Ero sicuro…insomma, ci ho parlato e l’ho anche presa in braccio!-
-Boromir, non te la prendere, ma io credo che tu abbia preso un abbaglio. A parte noi due, i soliti funzionari e la servitù qui a palazzo non c’è nessun altro.-
-Sarà come dici tu, Fara…può darsi che io mi sia addormentato e abbia sognato tutto…sarà sicuramente così, ma è stato un sogno talmente reale…-
-Capita anche a me, ogni tanto…ti pare proprio di vivere la realtà, non ti sfiora neppure l’idea che sia tutta una situazione fittizia, elaborata dalla tua mente…provi perfino le stesse sensazioni che proveresti da sveglio in una situazione analoga…e forse sono questi i sogni più belli, non credi?-
-Hai ragione…spesso si sognano avvenimenti talmente assurdi che ci si rende conto di non viverli veramente, e si è coscienti che tutto è un parto del nostro io più remoto…-
La discussione si protrasse ancora a lungo, spaziando su vari argomenti. Ciò non fu dovuto soltanto a un’abitudine particolare degli abitanti di Gondor, che voleva che la giornata iniziasse con una abbondante e prolungata colazione, quanto piuttosto alla volontà da parte di entrambi i giovani di vivere al massimo i pochi attimi di vera libertà che restavano loro.
-Però…è proprio una bella giornata. La bella stagione si è fatta attendere, quest’anno, ma alla fine è giunta in tutto il suo splendore.- osservò Boromir, posando la forchetta dopo aver ripulito il piatto con un pezzo di pane.
-Ti sbagli, fratello. Per me la bella stagione è finita oggi.- sospirò tristemente Faramir, prima di alzarsi da tavola e uscire velocemente dalla sala, per impedire al giovane di vedere le lacrime che premevano per uscire dai suoi stupendi occhi color del mare.

Una gran folla si era radunata lungo le strade di Minas Tirith. Non solo uomini, ma anche donne, vecchi e bambini, si ammassavano, addossati l’uno all’altro, nella speranza di vedere Denethor. Un vociare confuso riempiva l’aria, mentre il sole scintillava con più forza. Nell’insieme, la città aveva un aspetto maestoso, proprio quello che si addiceva alla situazione. Ma se una buona parte dei cittadini costeggiava le vie del centro abitato, l’altra metà stava facendo capannello attorno alla porta del palazzo, in attesa che i due figli del Sovrintendente di Gondor uscissero a cavallo, diretti ai portoni della capitale per scortare il padre fino alla regale residenza.
Il cuore di ognuno esultava di gioia: finalmente la minaccia di orchi e altre bestie mostruose sarebbe stata in parte quietata! Finalmente si sarebbe festeggiato! Finalmente ci si sarebbe presi una pausa dal lavoro e dalla routine! Erano questi i pensieri comuni: erano tutti troppo preoccupati a gioire, e nessuno si accorse di un volto triste, inondato dal bagliore del meriggio. Un volto la cui espressione comunicava molto di più che mille parole. Un volto segnato dell’ansia, dallo sconforto e dall’abbandono. Un volto nobile, una persona importante, conosciuta e rispettata…rispettata da tutti, tranne che da chi avrebbe dovuto farlo per primo.
Una mano si posò sulla spalla del giovane mentre, ancora a cavallo, scendeva verso i portoni di legno. Una mano rassicurante, quella del fratello, che gli cavalcava accanto.
-Fara…come stai?- appena un sussurro, confuso con il canto del vento.
-Non lo so…- una debole risposta, priva di ogni vigore, come colui che l’aveva pronunciata.
-Andrà tutto bene…ci sono io con te…- la rassicurazione amorevole di Boromir scivolò sulle ali dello zefiro, perdendosi nel nulla.
-Vorrei che questo momento non fosse mai giunto…ma l’ineluttabilità del destino…- parole rassegnate, di chi non spera più.
-Il destino si può cambiare! Ma purtroppo per il momento dobbiamo adeguarci a ciò che lui ha scelto per noi. Però non sarà sempre così…perché siamo noi i padroni di noi stessi, non devi dimenticarlo mai, Faramir…-
Silenzio di nuovo, tra i due. Tutt’attorno, clangore di armature, scalpiccio di piedi e il piacevole e cadenzato suono degli zoccoli dei cavalli sul selciato chiaro. Un gran vociare di folla completava il quadro dipinto di forti tinte, un quadro di aspettativa per molti e di angoscia per pochi, un quadro che solo un buon intenditore avrebbe saputo ben decifrare. E in questo onirico momento di luce e ombra echeggiò nell’aria il suono di un corno, si sentirono distintamente i destrieri galoppare, a poca distanza dalle mura di cinta. Il pesante portale ligneo fu spalancato, e i figli di Denethor si disposero al centro dell’apertura che dava accesso alla città, uno di fianco all’altro, pronti ad affrontare insieme quella prova così dura.
Il Sovrintendente di Gondor frenò la sua cavalcatura proprio di fronte ai figli, che non poterono certo fare a meno di notare lo splendido purosangue che, privo di cavaliere, seguiva la piccola delegazione di armigeri, la scorta del nobile padre.
-Boromir, figlio mio! Hai un bell’aspetto! Sano e forte, come deve essere un blasonato rampollo di una importante famiglia.-
-Anche voi avete un bell’aspetto, padre! Il viaggio vi ha giovato.- replicò Boromir, mantenendo un tono formale, freddo.
Denethor, tuttavia, non vi fece caso, o forse finse deliberatamente di non aver notato il timbro ghiacciato della voce del figlio. Spronò invece il cavallo perché avanzasse, e solo quando si trovò a fianco del minore dei due fratelli gli rivolse la parola.
-Faramir…- sibilò appena, con un lieve gesto del capo che, nelle sue intenzioni, sarebbe stato un saluto.
Faramir salutò il padre con il rispetto richiesto dall’etichetta, anche se dentro di sé avrebbe voluto prenderlo a pugni fino a ridurre la sua faccia altera e sprezzante ad una maschera tumefatta. Comunque non incitò il suo destriero. Attese silenziosamente che il fratello gli si accostasse: desiderava rimanergli a fianco, solo con lui si sentiva tranquillo, solo con lui riusciva a spalancare le porte del suo cuore e a confidarsi…desiderava restare solo con lui, per placare quell’uragano di disperazione e solitudine che, improvviso temporale estivo, lo stava opprimendo. Ma sapeva che non sarebbe stato possibile: appena fossero giunti alla reggia, Denethor avrebbe chiamato il figlio prediletto per discutere del suo ultimo viaggio e per essere aggiornato sugli avvenimenti del regno, quindi avrebbero cenato insieme, trattenendosi fino ad un’ora molto tarda, e solo dopo un’altra serie di discussioni sulla politica e l’economia di Gondor Boromir sarebbe stato libero di ritirarsi nelle sue stanze. A quel punto, però, sarebbe stato troppo stanco per sopportare gli sfoghi di un ventenne colpito da una grave forma di vittimismo…avrebbe dovuto aspettare la festa dell’indomani. Ma non era sicuro di farcela. Era talmente abbattuto che si sentiva come se fosse sempre stato sul punto di accasciarsi al suolo come un sacco di iuta privato del suo contenuto. Non immaginava ancora che ciò che era accaduto fino a quel momento non era nulla in confronto a quello che lo attendeva.
Arrivati davanti all’ingresso del palazzo, infatti, il Sovrintendente di Gondor smontò da cavallo, subito imitato dai figli, e si avvicinò al maggiore, tenendo per le briglie il meraviglioso destriero senza cavaliere giunto da Rohan.
-Questo è per te…mi sembra una cavalcatura degna del mio primogenito adorato. O forse mi sbaglio?-
-Non…non credo di poter accettare!- si schermì Boromir.
-E perché mai?-
-Non ho fatto nulla di speciale per meritare un dono così importante.-
-Ma non sempre un regalo deve avere una valida motivazione.- concluse il vecchio, e detto ciò si ritirò, accompagnato dal solito drappello di soldati.
Faramir aveva le lacrime agli occhi. Perché doveva essere così? Perché doveva fare da tappezzeria? Perché non poteva contare almeno la metà del fratello? Non era stupido, né tantomeno infantile: non se ne aveva a male per un regalo non ricevuto, e neppure era invidioso del fatto che Boromir avesse un nuovo cavallo e lui no. Era il ragionamento di fondo del padre a farlo soffrire. Era sempre stato trattato con freddezza, gelo che molte volte aveva sfiorato la violenza verbale. L’episodio più pesante era accaduto circa cinque anni prima: il maggiore dei due fratelli era caduto da cavallo durante una battuta di caccia. Oltre a varie fratture, aveva perso conoscenza e non accennava a svegliarsi. Denethor, appresa la sciagurata notizia, era sprofondato nell’angoscia, diventando null’altro che un pallido spettro di se stesso. In quell’occasione, il disinteresse verso il più piccolo di casa aveva raggiunto vette mai toccate prima d’allora, tanto che Faramir aveva chiesto al padre:
-Avreste preferito che ci fossi stato io, al suo posto, non è forse così?-
-Sì, è così!- era stata la temuta risposta, un coltello conficcato con crudo cinismo nel cuore di una vittima innocente.
A che pro continuare a soffrire? Era insensato, ma non poteva impedirselo. Il sentimento, in questo caso, aveva preso con prepotenza il sopravvento sulla ragione.
-Io non lo voglio, quel cavallo…- un sussurro.
-Bori…-
-Fara, perché? Perché i tuoi occhi devono sempre essere così tristi?-
-Perché per me non c’è pace…la mia anima è destinata a soffrire, IO sono destinato a soffrire…-
-Vuoi che resti con te? Hai bisogno di compagnia?-
-No, Bori…hai dei doveri nei confronti di nostro padre. Vai pure tranquillo, non preoccuparti per me! Quando avrai tempo e se ne avrai voglia, allora mi piacerebbe rimanere in tua compagnia, ma non voglio che LUI vada in collera con te…-
-Io…non so se sto facendo la cosa giusta, lasciandoti solo…-
-Ho vent’anni, so badare a me stesso! Grazie comunque!- sorrise amaramente il minore, accarezzando lievemente i lunghi capelli dorati del fratello.
-Allora…allora io vado. Ci vedremo domani. Buonanotte!-
-Buonanotte a te, Bori…a domani!-
I due uomini si divisero, prendendo direzioni opposte, come quelle delle loro vite tormentate, mentre la notte, lenta danzatrice sul suono del silenzio, dolcemente sostituiva il suo blu profondo alle accese ferite vermiglie del tramonto.

Qualcuno bussò alla porta, svegliando il secondogenito di Denethor, che si guardò intorno. La luce del nuovo giorno filtrava attraverso le pesanti tende. Probabilmente era qualche inserviente giunto con l’intento di aiutarlo a vestirsi, anche se più e più volte aveva ribadito che non ce n’era bisogno. Comunque, non potendo sapere in anticipo chi ci fosse dall’altro lato della porta, pregò il visitatore di entrare.
Quando i battenti si aprirono, una nuova luce invase la stanza: una forma offuscata da un accecante alone bianco avanzava verso di lui, con lentezza, a passi misurati. Con cautela l’intruso giunse accanto al letto di Faramir, che finalmente riuscì a scorgere i contorni di quella figura lucente: in piedi, con le braccia abbandonate lungo i fianchi stava un ragazzo, che non doveva avere più di sedici anni. Il fisico perfetto era fasciato da una tunica candida e da un paio di pantaloni altrettanto bianchi, che si confondevano quasi con la pelle diafana. Gli occhi azzurri celavano un sorriso, mentre corti capelli dorati si muovevano appena, sospinti da una leggera brezza proveniente da chissà dove.
-Chi siete?- chiese il figlio di Denethor allo sconosciuto.
-Mi chiamo Darsiel, mio signore!- rispose quello.
-Fate parte della servitù? Stano, non vi ho mai visto! Siete nuovo?-
-Spiacente di deludervi, mio signore, ma non sono uno della servitù.-
-E allora di cosa vi occupate? Cosa ci fate qui? E come avete fatto ad entrare?-
-Quante domande, mio signore! Ma temo di non potervi dare una risposta. Posso solo dirvi che qualcuno mi ha chiesto un favore e che…sono qui per aiutarvi a fare chiarezza.- dichiarò Darsiel con un angelico sorriso.
-Chi vi manda?- domandò Faramir, sempre più perplesso.
-Una mia cara amica, Isethril.-
A questo nome l’uomo sussultò. Dove lo aveva già sentito? Perché era sicuro di averlo sentito da qualche parte, ma non ricordava minimamente dove. Non poteva certo essere la protagonista di un romanzo, perché le protagoniste dei romanzi non esistono veramente. Nessuna delle ragazze che conosceva portavano tale nome, e nemmeno le donne che lavoravano al castello…e allora perché gli suonava così familiare?
-Vi sentite bene, mio signore?- domandò Darsiel con preoccupazione.
-Non come vorrei, ma non è qualcosa di tanto grave da potermi…- cominciò l’interpellato, parlando senza troppo riflettere.
-Perché non vi sentite come vorreste?- lo interruppe il giovane sconosciuto.
-Non capireste mai, nemmeno se rimanessimo qui a parlare per anni vi rendereste conto…-
-Ma potete sempre provare a riassumere i fatti!-
-Certo, naturalmente…ma io non vi conosco! Come posso fidarmi di voi?-
-Dovete scegliere…non posso certo costringervi a raccontarmi la vostra vita, ma potrei aiutarvi a capirvi di più.-
Faramir non sapeva cosa fare: dare retta a quel ragazzo misterioso? E a che pro? Avrebbe davvero potuto aiutarlo a capire? Sarebbe stato in grado di dare un nome a quel sentimento che stava popolando il suo cuore, conquistandone ad ogni secondo un altro pezzo, al punto da riuscire ad appropriarsene del tutto? Sarebbe stato in grado di trascendere il fatto che quell’emozione così violenta era provocata da suo fratello, o lo avrebbe giudicato un immorale? E se poi si fosse recato da suo padre raccontandogli tutto? Certo, Denethor non aspettava altro: attendeva solo il minimo appiglio per poterlo allontanare definitivamente da Minas Tirith, se non addirittura da Gondor…
-…. Ma io non conosco vostro padre e non sono una sua spia, come voi pensate!- esclamò Darsiel.
A quel punto il figlio minore del Sovrintendente di Gondor lo fissò sbalordito: come poteva sapere quello che lui stava pensando? Non era plausibile che quel giovane fosse in grado di leggergli nella mente…o forse sì?
-Esatto! Avete indovinato! Sono in grado di sondare le menti degli altri, se ne ho voglia. È un dono raro, ereditato da mia madre. Di solito non me ne servo, ma voi mi costringete a farlo. Se non mi fate partecipe dei vostri dubbi sulla mia persona come potrete mai decidere se fidarvi di me oppure no? Se non fossi in grado di leggere i vostri pensieri sarei perduto.-
-Come…come può…- Faramir balbettava, era sconvolto.
-Non aggiungete domande alle domande. Io non ho alcun tipo di rapporto con vostro padre, come vi ho già detto poc’anzi, e non ho nessuna cattiva intenzione. Sono qui semplicemente per aiutare voi e rendervi felice, oltre che a fare un favore ad Isethril. Vengo per aiutarvi, non per peggiorare la vostra situazione.- spiegò pazientemente il ragazzo.
Ci fu un attimo di silenzio. Il figlio di Denethor non sapeva cosa fare, anche se qualcosa dentro di lui lo spingeva a fidarsi: forse era il viso innocente di Darsiel, o forse tutta quella luce che lo avvolgeva, rendendolo simile ad un elfo…. Valeva la pena di provare.
-Ho preso la mia decisione.- sentenziò con tono solenne.
-E potrei sapere quale, mio signore?-
-Visto che non mi sembrate un malintenzionato, voglio concedervi la mia fiducia. Tuttavia credo che sia scomodo e oltremodo sconveniente intavolare una discussione in una camera da letto. Perciò, se avrete cuore di pazientare qualche istante, mi vestirò e poi potremo scendere insieme in giardino.-
-Mi sembra un’ottima idea.- convenne l’adolescente.



Per chi era e non è più.
Per chi ha donato se stesso per ciò in cui credeva.
Per chi non sa più trovare la sua strada,
Nelle nebbie della solitudine.

Per tutti questi
E per molti altri ancora.
Per loro il sole sorge ogni giorno.
Per restituire loro brandelli di gioia.
Per aiutarli a credere ancora.
Per tenere accesa la loro fiamma.

Per chi vede il buio e sogna la luce.
Per chi striscia nel fango e vorrebbe volare.
Per chi vive nel ghiaccio e anela al fuoco e al calore.

Per tutti questi.
E per molti altri ancora.
Per loro gli uccellini cantano ancora.
Per far loro sentire che vita è speranza.
Per aiutarli a sollevarsi da terra.
Per spronarli a respirare davvero.

Per chi si lascia vivere senza lottare.
Per chi non ha più la forza di sorridere.
Per chi non distingue più bene e male.

Per tutti questi.
E per molti altri ancora.
Per loro soffia il vento dell'est.
Per ritemprare i loro spiriti esangui.
Per spingerli a impugnare il loro destino.
Per mostrare loro le gioie celate.

E per tutti coloro che attendono il risveglio ogni giorno.
Per quelli che godono del tepore benefico dell'amore.
Per tutti coloro che sono felici.

Per tutti questi.
E per molti altri ancora.
Per loro la Terra continua a girare.
Perché possano insegnare agli altri ad amare.
Perché possano donare la loro gioia a chi la sta cercando.
Perché il mondo possa essere un posto migliore.

Perché il sole possa finalmente brillare davvero.
Perché il vento possa soffiare con dolcezza.
Perché l'acqua possa tornare a scorrere libera.
Perché possa finalmente avverarsi questo sogno antico vestito d’oro.

Boromir depose la penna, sospirando appena, mentre un raggio di sole entrava dalla finestra andando a posarsi sul foglio di pergamena inchiostrato. Aveva scritto quella poesia di getto, pensando a Faramir, e a come doveva sentirsi in quei momenti.
La sera precedente aveva desiderato di andare da lui, a porgergli la spalla come al solito, ma gli impegni con il padre lo avevano trattenuto fino ad un orario impossibile, e quando finalmente era riuscito a congedarsi, con la scusa di una tremenda emicrania, era talmente tardi che aveva giustamente ipotizzato che il fratello stesse dormendo, e quindi non si era recato da lui per non disturbarlo. Aveva avuto una giornata talmente pesante…e lui non aveva potuto dargli il giusto conforto.
Ma non era tempo di rimuginare su avvenimenti passati: quel giorno ci sarebbe stato il grande ricevimento, in concomitanza con la Festa di Primavera. I preparativi si sarebbero protratti per tutta la mattina, e il palazzo sarebbe rimasto immerso nella confusione più totale: del resto quel pomeriggio sarebbero giunti ospiti da tutta la Terra di Mezzo, ed era dovere del padrone di casa render loro la giusta accoglienza.
Sapeva con precisione come si sarebbe svolta la festa: per tutta la sera sul volto di Denethor sarebbe calata una gelida maschera di ipocrisia. Avrebbe finto di adorare il figlio minore, dandola a bere a tutti i presenti, quando la realtà delle cose, invece, era molto diversa. E ancora il fratello ne avrebbe sofferto come non mai: era sempre stato così, e in quella occasione le cose non sarebbero certo cambiate. Perché mai avrebbero dovuto cambiare? Al padre stava bene così…lui non avrebbe mai dimostrato a Faramir nemmeno un briciolo del suo affetto.
Cosa poteva fare per modificare almeno in parte quella situazione? Non lo sapeva, ma da giorni, mesi, anni ormai cercava la risposta a quella domanda che lo aveva lasciato sveglio molte, troppe notti. Eppure voleva fare qualcosa, perché non sopportava che il viso della persona che amava fosse sempre oscurato dal rimpianto, dalla malinconia e dai sensi di colpa. Forse l’unica cosa rimasta era provare a dialogare col Sovrintendente di Gondor: in tutti quegli anni non lo aveva mai fatto, perché temeva che il fratello, da un’azione del genere, avesse solo che da rimetterci. Nulla da guadagnare. Però ora erano cresciuti entrambi: se il padre avesse cacciato Faramir, attribuendogli come al solito la colpa della sua insubordinazione, avrebbe fatto anche lui le valigie. Era grande abbastanza da potersela cavare da solo. Era abbastanza adulto da poter decidere della la sua vita e da potersi assumere la responsabilità delle sue azioni, senza che queste dovessero per forza ricadere sulle spalle innocenti di chi aveva la sola colpa di essere venuto al mondo.
L’uomo si scostò una ciocca dorata dalla fronte, gettando uno sguardo al di fuori dei vetri della finestra: il tempo era dei migliori. Se fosse continuato così, i raccolti, quell’estate, sarebbero stati ottimi e abbondanti. Il sole scaldava già l’aria, e uscire senza il mantello pesante non era più un problema, quanto piuttosto una goduria vera e propria. Fuori, per le strade e nelle mulattiere, il brulichio di persone era raddoppiato rispetto ai giorni precedenti: sembrava quasi di osservare un formicaio in fermento, con il suo classico viavai di operaie che si affaccendavano a portare alla regina il cibo necessario a nutrire la comunità. Già, era un paragone molto azzeccato.
Ma non era certo il momento migliore per perdersi in fantasticherie del genere. Voleva innanzitutto trovare il fratello e comunicargli la sua decisione di parlare col padre del comportamento che teneva nei loro confronti, e poi recarsi proprio dal vecchio e cantargliene quattro una volta per tutte. Un compito arduo, che avrebbe richiesto una buona dose di coraggio…e certo non si sarebbe fatto intimorire! Doveva farlo per il bene suo, di Faramir e di tutto il castello. Non che Denethor, infatti, fosse molto popolare tra i suoi inservienti, anzi! Tutti si trovavano perfettamente d’accordo nel dire che era un insopportabile arrogante con manie di protagonismo, un egocentrico borioso la cui unica occupazione, più che gli affari di politica, era quella di operare spaventose disparità di trattamento fra i suoi due eredi. Certo, dal capo cuoco al più misero dei lustrascarpe, tutti sarebbero stati ben contenti nel sapere che qualcuno aveva finalmente dato il fatto suo a quell’insopportabile uomo.
Cercando quindi di auto-convincersi con queste riflessioni e supposizioni, Boromir uscì dalla sua stanza, diretto nella saletta dove Faramir consumava solitamente tutti i pasti della giornata. Ci mise certamente più del previsto: i corridoi erano continuamente attraversati da donne cariche di coperte e piumoni, camerieri armati del necessario a rendere specchi, cornici e quant’altro splendente come oro zecchino, e altri ancora. Chi si lamentava di non trovare le lenzuola di seta turchina per Sire Celeborn e Dama Galadriel, chi misurava gli androni a lunghi passi, chiedendosi perché mai la lista degli invitati non si trovasse più in nessun luogo, chi litigava, lasciando che assordanti urli e imprecazioni da lavandaie rimbombassero più e più volte nelle sale, per motivi futili quali la scomparsa di una delle tovaglie di lino bianco ricamato (costoro pienamente ignoranti del fatto che a palazzo erano talmente tante le tovaglie di lino che una in meno non avrebbe certo fatto la differenza)…
In tutto questo caos infernale, finalmente l’uomo riuscì ad arrivare alla meta. Scoprì ben presto, però, che i suoi sforzi erano stati del tutto vani. Il fratello non si trovava lì. Forse perché l’ora della colazione era passata da un pezzo, o forse perché stava male e non se la sentiva di scendere…. Erano entrambi risposte plausibili, ma delle due la più convincente era senz’altro la prima, il che da una parte era un sollievo, perché voleva dire che Faramir stava bene, ma dall’altra era un’ulteriore preoccupazione: cercare un ragazzo in quel castello in fermento era come pretendere di scovare un ago in un pagliaio, se non addirittura peggio. E da dove cominciare le ricerche? Forse dalla stanza da letto, il posto più comodo, visto che avrebbe anche permesso di verificare anche l’attendibilità dell’ipotesi che voleva il piccolo di casa a letto malato. Bene, ora che aveva stabilito il da farsi, poteva mettere in atto le sue teoriche elucubrazioni.
Tornò quindi ad attraversare buona metà della reggia, finché non arrivò alla stanza del fratello. Qui giunto bussò con cautela, ma senza ottenere risposta alcuna. Riprovò più e più volte, ma il risultato non subì mutamenti: dall’altra parte solo silenzio. Magari il giovane era uscito in giardino! Già, la mattinata era ottima, e forse aveva voluto approfittarne.

-Credo di aver capito la vostra situazione!- esclamò Darsiel, schioccando le dita.
-Davvero? Mi fa piacere…se non altro voi ci siete riuscito!- sibilò ironicamente Faramir.
I due erano giunti già da una mezz’ora abbondante nel giardinetto interno del palazzo e si erano accomodati su un sedile di pietra bianca, parlando del più e del meno. Ma quando poi il misterioso adolescente aveva toccato “quella” nota dolente, il secondogenito del Sovrintendente si era improvvisamente bloccato. Con fatica era riuscito a raccontare i suoi sentimenti, cercando di spiegarli nel modo più semplice e comprensibile, con l’unico risultato, nient’affatto apprezzabile, di farne venir fuori soltanto un gran garbuglio. Tuttavia, complice anche la sua straordinaria abilità che gli consentiva di esplorare la mente altrui, Darsiel era riuscito ad afferrare il problema di quello che ormai considerava un amico.
-Se la mente non mi inganna, voi non capite cosa vi leghi a Boromir, anche se siete sicuro che non sia più solo affetto fraterno. Mi sbaglio forse, mio signore?-
-No, affatto. Forse far chiarezza mi aiuterebbe a stare meglio, mi aiuterebbe a non sentirmi in colpa, o magari non mi aiuterebbe affatto, ma sono stanco di vivere nell’incertezza.-
-Vi capisco. Nonostante questo, vorrei che mi diceste cosa provate veramente quando siete con lui…cosa vorreste fare in sua compagnia, come vorreste che lui vi trattasse…insomma, dovete spiegarvi.-
-Non è semplice…so soltanto che passerei l’intero arco del giorno con lui, anche semplicemente a fissarlo negli occhi…. Però io…insomma…vorrei che lui mi vedesse sotto una luce diversa da quella di fratello minore da proteggere. Vorrei che dimenticasse che siamo parenti, e che mi trattasse come un uomo che desidera amore, che è alla ricerca di amore…vorrei che lui guardasse a me in questo modo, niente di più.-
-Ne siete sicuro?- lo sguardo di Darsiel era indagatore: sapeva che l’altro non gli aveva detto tutto, ma non riusciva o più probabilmente preferiva evitare di entrare nei suoi pensieri e violarne la segretezza. Voleva che le confessioni che Faramir gli stava facendo non fossero troppo forzate, perché innanzitutto desiderava che si sfogasse.
-Non vi si può nascondere nulla, vedo…non vi ho detto tutto…ma da un lato è un po’ imbarazzante…comunque avete ragione. Sapete, io…io…io vorrei che mi abbracciasse come si abbraccia un amante, vorrei che mi accarezzasse come se fossi il suo gioiello più prezioso, vorrei che mi baciasse con la stessa passione e la stessa forza che adopera quando combatte…vorrei che lui vedesse solo me, vorrei essere la sua “ragione di vita”, in qualche modo…vorrei, vorrei e solo vorrei! Sono solo sogni…lo so già, non mi illudo nemmeno…-
-Vi siete accorto di esservi già chiarito con voi stesso? Avete finalmente capito qual è la natura del vostro sentimento!-
-Cosa…cosa dite? Io non…vi giuro che ancora non mi ritrovo!-
-Cosa credete che sia questo se non amore, mio signore?-
-A…amore? Non…non posso…non è possibile…io non credo che…lui…io…-
Faramir era sconvolto: aveva appena capito di amare il fratello, la persona con cui aveva condiviso tutte le sue sventure, tutti i suoi turbamenti e le sue paure…Non poteva, non voleva crederlo possibile! Incesto! Si trattava di incesto! Se suo padre avesse saputo dei suoi sentimenti…non osava pensare alla reazione che avrebbe avuto! Lo avrebbe cacciato, bandito da Gondor…. No, era assurdo! E poi, ammettendo che il fratello lo ricambiasse, cosa avrebbe fatto se fosse finita? Avrebbe perso il suo appiglio alla vita, la sua speranza di rinascita…avrebbe perso tutto.
-Cosa…cosa posso fare?- chiese flebilmente l’uomo, passandosi nervosamente una mano tra i capelli.
-Innanzitutto: avete mai pensato a cosa Boromir provi per voi?- domandò Darsiel.
-Certo che no…è talmente assurdo che lui…-
-Nulla è assurdo!- lo interruppe.
-Ma lui non può amarmi! Come potrebbe mai? Non faccio che usarlo come valvola di sfogo, ma gli ho mai chiesto se avesse qualche problema? Lui non me ne parlerebbe mai se non lo incitassi, e io non l’ho mai fatto…-
-Avete mai pensato che forse non vi ha mai esposto i suoi problemi perché per lui voi venite prima di tutto?-
-Non credo…non credo che sia così!- sospirò Faramir, scuotendo la testa.
-Non potete esserne sicuro! Perché non vi fate avanti?-
-Ma se lui, dopo una confessione come la mia, rimanesse disgustato da me? Cosa dovrei fare, a quel punto?-
-Potreste sempre allontanarvi da Gondor: non avreste nulla da perderci, arrivato a quel punto!-
-Ma non avrò mai il coraggio di…-
-Stasera, alla festa. È una buona occasione, e quanto al coraggio…se avete coraggio a sufficienza per scontrarvi solo contro una delegazione di orchi, non credo che vi mancherà per dire a vostro fratello come realmente le cose stanno. E, se mi è concesso esprimere un personale parere, non credo che il vostro Boromir vi scaccerà, anzi! Parlategli, chiaritevi! Se lo farete, vedrete che vi toglierete un peso dallo stomaco e un pensiero dalla testa!-
-Ne siete convinto?-
-Totalmente! Oh, si è fatto parecchio tardi! Il sole è alto, deve essere quasi mezzogiorno! Io devo andare, mio signore! Spero che seguirete il mio consiglio! Arrivederci e buona fortuna!- salutò il giovanotto, voltandosi verso l’entrata del giardino.
-Arrivederci a voi, Darsiel! Farò come mi avete suggerito! Grazie di tutto!- ricambiò Faramir, mentre un lieve sorriso gli stirava le labbra.
Il primo vero sorriso da quando il padre aveva fatto ritorno.

Boromir stava ancora vagolando per i corridoi, seguendo quelli che lo avrebbero condotto al giardinetto. Gli pareva di non arrivare mai, si sentiva come se stesse continuamente girando intorno, senza mai giungere a una svolta, ma questa sensazione era dovuta solo al fatto che bruciava dalla voglia di vedere il fratello, aveva bisogno di sapere che stava effettivamente bene, e poi non vedeva l’ora di annunciargli che aveva deciso di affrontare il padre.
Preso com’era nelle sue elucubrazioni, non si accorse di dove metteva i piedi e non riuscì così ad evitare la figura che aveva malauguratamente incrociato la sua traiettoria.
-Mi dispiace molto. Sono mortificato.- si giustificò, alzandosi dal pavimento lucido sul quale era atterrato dopo l’urto, e sollevando lo sguardo sulla sua “vittima”.
-E crederei bene! Insomma, capisco che tu stia invecchiando, ma che stia diventando anche cieco…-
La voce suonò molto familiare alle orecchie di Boromir, che infatti, non appena si rese conto di chi aveva di fronte, sorrise felice e sollevato.
-Ah, e io starei invecchiando, eh?-
-Beh, venticinque anni hanno il loro peso…-
-Grazie, sai? Veramente, sei un fratello minore molto rispettoso per quelli più vecchi di te! Antipatico!-
-Eddai, mica te la sarai presa perché ho detto che sei un po’ in là con l’età, vero Bori?- cantilenò Faramir.
Ci fu un secondo di silenzio: il maggiore desiderava parlare con il fratello, e desiderava farlo in maniera seria, lasciando da parte scherzi vari e battutine provocanti.
-Fara, a parte gli scherzi…come stai?- chiese, col volto coperto da un velo d’ansia.
-Beh, mi sto rassegnando…come del resto è giusto che sia…non posso pretendere niente, e lo sai. Mi dispiace solo che stasera dovrò subire l’ennesima umiliazione…- il più giovane aveva un’aria totalmente sconfitta.
-Mi…mi dispiace di non essere venuto, ieri sera…avrei voluto starti vicino…-
-E io avrei voluto averti accanto, ma non te ne voglio fare una colpa…hai i tuoi doveri, e io non posso antepormi ad essi…-
-Nemmeno se te lo chiedessi?- chiese Boromir, con un tono di supplica che mai prima d’ora aveva usato.
-No, nemmeno se me lo chiedessi…non sarebbe giusto nei tuoi confronti: hai dei compiti e delle responsabilità. I miei magoni e le me crisi depressive non possono essere più importanti di tutto ciò…non devono esserlo…-
-Perché? Me lo spieghi il perché?-
-Il perché di cosa?-
-Perché devi essere sempre così maledettamente convinto di non meritare un briciolo di considerazione, eh? Me lo spieghi?- si scaldò il più vecchio.
-Forse perché mai nessuno, a parte te, mi ha fatto capire di contare qualcosa…-
Boromir non ce la faceva più. Ne aveva abbastanza di vedere il fratello così. Era stanco di non poter mai vedere il suo viso illuminato dalla gioia di vivere, stanco di vederlo in balia delle sue paure, stanco di non riuscire a dargli una mano…frustrato. E forse fu per dimenticare la frustrazione, forse per consolare il giovane che gli stava di fronte, o forse semplicemente perché non riusciva a stargli lontano che con un passo lungo e rapido coprì la distanza che c’era fra loro e strinse a sé quel corpo per cui spasimava, quel ragazzo che gli faceva perdere la ragione, l’uomo che di notte sognava in versioni molto poco caste.
Lo fece per tante ragioni, eppure per nessuna in particolare: desiderava solo perdersi in quel calore confortante e non doverlo abbandonare mai più, anche se era perfettamente cosciente che la sua mente e il suo cuore avevano espresso un desiderio irrealizzabile.
Anche Faramir, da parte sua, stava bene. Adorava quei momenti di intimità, viveva solo per essi, attendeva con ansia che il fratello lo avvicinasse in quel modo così piacevole, rassicurante…quei pochi attimi vissuti di sfuggita erano in grado di fargli dimenticare qualsiasi preoccupazione avesse, sapevano ricucire almeno in parte le ferite del suo cuore, gli trasmettevano sicurezza e amore. Amore che provava nei confronti della persona sbagliata, ma che non voleva impedirsi di sentire, perché era l’unica cosa che lo aiutava a proseguire. Amore sbagliato, eppure un amore che desiderava, un amore che sperava fosse ricambiato, anche se era sicuro che un fatto del genere non si sarebbe mai verificato.
Boromir abbracciò il ragazzo con maggior vigore: lo amava, da impazzire, più di qualunque altra cosa, più della sua stessa vita. Lo amava e non era in grado di dirglielo, perché non voleva sentirsi rifiutato, lui che pure nella vita aveva sempre avuto tutto…non credeva di poter reggere un rifiuto, non in quel campo. Ma come impedirsi di andare a fuoco con quel corpo stretto fra le braccia? Come riuscire a dominarsi di fronte alla triste ma disarmante bellezza di quei due cieli azzurri sempre più frequentemente coperti dalla coltre delle lacrime? Come evitare di impazzire, di posare le labbra su quella bocca che sapeva essere tanto maliziosa quanto saggia? E come evitare di doversi porre, ogni volta, le stesse domande senza risposta?
-Bori…- la voce di Faramir suonò distante, quasi non appartenesse a quel mondo.
-Sì?-
-Come mai questo abbraccio?-
-Forse…forse per farti capire che tu per me conti più di tutto…-
-Più…di tutto?-
-Fara, tu…insomma, io ti voglio talmente bene che nemmeno lontanamente immagini, e per farti star bene sarei disposto a qualunque sacrificio…per questo, solo per questo ho deciso che andrò a parlare con nostro padre. Gli dirò chiaramente ciò che penso…che sono stufo di vedere in che modo assurdo ti tratta…e che…che o ti considererà al pari mio, oppure me ne andrò, e ti porterò con me!-
-No! Non puoi…sei impazzito?- gridò Faramir scostandosi bruscamente dal corpo del fratello.
-Non sono pazzo! È quello che desidero, non capisci? Sono stanco di vederti in queste condizioni! Hai vent’anni, dovresti goderti la vita, e non trascorrere il giorno rimuginando e lasciandoti divorare da immotivati sensi di colpa! Non capisci che così fai star male anche me?-
-Non voglio farti star male, per i Valar! E penso che lo sappia anche tu!-
-Certo che lo so! Non ho detto che è colpa tua! Dico solo che mi si stringe il cuore ogniqualvolta scorgo la luce amara dei tuoi occhi! Vorrei solo vederti felice, questo vorrei!-
-La mia felicità…la mia felicità…. La mia felicità è talmente irraggiungibile che nemmeno tu immagini!-
-Perché? Cosa potrà mai desiderare un uomo di così impossibile?-
-Non posso dirtelo…non posso confidarmi, non questa volta…mi dispiace, Bori!-
-Mi sento così inutile…- fece quello, con un tono spento, lasciando cadere le braccia lungo il corpo e abbassando lo sguardo.
-Sei tutt’altro che inutile! Se non avessi te…probabilmente l’avrei fatta finita già da un pezzo…-
-Non devi dirlo neppure per scherzo! Non ti azzardare nemmeno, capito? Non ti conviene neanche provarci! Cosa credi che fare io, senza di te?-
-Non sarebbe lo stesso, Bori…-
-Cazzo, perché non mi credi? Io…io…lasciamo perdere! Non vale la pena di sprecare fiato in questo modo!- ringhiò Boromir, pentendosi subito dopo delle parole pronunciate.
Lo aveva ferito. Aveva ferito il suo amore, lo aveva di nuovo fatto star male…. Ma d’altra parte, cosa credeva Faramir? Che lui non avesse dei sentimenti? Che fosse insensibile e rozzo come il padre? E, soprattutto, si rendeva conto anche minimamente che lo amava? Che non avrebbe voluto far altro che baciarlo e tenerlo stretto a sé per interminabili ore, sotto le coperte a fare l’amore mentre fuori la luna rischiarava il corso dell’Anduin? Oramai però il danno era fatto e, complice anche il suo orgoglio, che a volte ragionava per lui, il maggiore si voltò di scatto, allontanandosi a grandi passi in una direzione sconosciuta.
Faramir crollò a terra, mentre dagli occhi sgorgavano copiose lacrime di una disperazione senza fine. Il fratello era ormai scomparso nell’intricato dedalo di stanze e corridoi più o meno deserti che davano vita al palazzo, e lui invece era ancora lì, dandosi dello stupido per essersi nuovamente comportato come un bambino viziato ed egoista, che vede solo se stesso e i suoi problemi. Alla fine Bori si era stancato di lui, e lo aveva allontanato, lasciandolo cadere sempre più nel profondo baratro d’ombra e depressione.
No, basta, era troppo! Adesso sarebbe andato da Boromir e avrebbe chiarito la situazione…anche se non gli avrebbe comunque rivelato i suoi sentimenti. Se non altro si sarebbero spiegati: non poteva sopportare l’idea di non poter più godere delle attenzioni del fratello, di non potersi più rifugiare da lui, di non potergli confidare i suoi turbamenti, e quindi indirettamente di non poter più sperare di poter essere felice assieme a lui, un giorno. Avrebbe reagito!

Boromir aveva raggiunto la sua stanza e, dopo esservi entrato, si era buttato di peso sul letto, tentando di dormire per dimenticare ciò che aveva appena fatto, ma si accorse ben presto che ogni suo tentativo di chiudere gli occhi risultava vano. E in più c’era quel continuo bussare alla porta, quel rumore di sottofondo così fastidioso ed irritante…perché non cessava? Forse perché il visitatore, chiunque fosse, voleva parlargli…. E se fosse stato l’adorato fratello? A questo pensiero si rallegrò un poco, così si alzò e si diresse alla porta, mentre il suo cuore martellava senza posa nel petto, squassandolo.
Quando aprì, però, si trovò di fronte Isethril, la bimba bionda incontrata il giorno precedente.
-Ciao principessina! Cosa ci fai da queste parti?- domandò con un sorriso, anche se il tono della voce tradì la sua delusione.
-Sono venuta a trovarti! Te l’avevo promesso, signore! Mi devi raccontare come mai sei triste.-
-Forse è troppo complicato da comprendere…-
-Guarda che sono grande abbastanza, sai?- lo rimproverò lei, mettendo il broncio.
-Certo, ti credo! Però è una storia lunga e difficile…-
-Non potresti riassumerla in poche parole, signore?-
-Se vuoi, ti accontenterò! Ma vieni, non rimanere lì sulla porta. Ti va di sederti sulle mie ginocchia, principessina? Forse non sarò il trono più comodo del mondo, ma mi farebbe davvero piacere. Mi faresti l’onore di accontentarmi?- chiese l’uomo scherzosamente.
La piccola annuì, scotendo appena quella nube dorata che le incorniciava il volto, e nella quale i raggi del sole si divertivano a giocare, creando sempre nuovi riflessi. Entrò nella camera, attese che Boromir si fosse accomodato su una poltrona sistemata di fronte al caminetto spento e poi si fece sollevare e gli si sedette in braccio.
-Allora, signorina…sei ancora sicura di voler ascoltare i racconti di un vecchio come me?-
-Certamente! Anche Darsiel è impaziente.-
-Darsiel? Il tuo folletto? Bene, vi accontenterò…per essere breve mi sono innamorato di una persona che non dovrei assolutamente amare…-
-E questa persona lo sa?-
-No, non lo sa…non gliel’ho mai detto perché non vorrei perdere la sua amicizia e la sua stima…-
-E sei sicuro che questa persona non ti ami?-
-No, ma…-
-Allora, signore, glielo dovresti dire…-
-Fosse così semplice…- sospirò Boromir.
-Perché? Ti è forse difficile parlare, signore?-
-No, certo che no, principessina…-
-E allora che difficoltà può mai avere un uomo come te a dire a questa persona, chiunque essa sia, due paroline semplici come “ti amo”?- domandò pensosamente la bambina, spalancando gli occhi, quasi meravigliata del fatto che un uomo potesse aver paura di scoprire i suoi sentimenti di fronte agli altri.
-Le difficoltà sono molte, e prima fra tutte la paura che questa persona, dopo una mia dichiarazione, non voglia mai più vedermi…per me sarebbe peggio che morire, non riuscirei a vivere sapendo che questa persona mi odia…- mormorò Boromir, mentre con una mano carezzava dolcemente i capelli di Isethril.
-E non credi che forse valga la pena rischiare, signore? Hai parità di possibilità, se ignori i sentimenti che questa persona prova per te…perché vuoi negarti la felicità, signore?-
-Oh, Isethril…parli come se fosse ovvio che questa persona mi ama…- sospirò l’uomo.
-Non è detto che non sia così, signore! Ti prego, provaci! Anche Darsiel lo desidera! Più di qualunque altra cosa vorremmo vederti contento…-
-Vale veramente la pena di rischiare?- domandò Boromir, più rivolto a se stesso che non alla sua giovane interlocutrice.
Si sentiva così sciocco! Stava sognando, senza ombra di dubbio, e per di più stava raccontando i suoi problemi ad una bambina, opprimendola con il peso di scelte non sue…perché mai faceva tutto ciò? La risposta era ovvia: sentiva il bisogno di confidarsi con qualcuno, e quella piccola gli dava fiducia, e per di più parlava con una maturità inconsueta per la sua giovanissima età. E proprio per questo forse era il caso di fidarsi delle sue parole, di seguire il suo consiglio, rischiando il tutto e per tutto, con la consapevolezza di poter però giungere alla felicità tanto sognata, la felicità vera, non quella fittizia in cui era vissuto fino a quell’istante.
Così, dopo quelli che per Isethril sembrarono interminabili momenti di riflessione, l’uomo si decise a parlare.
-Ho preso una decisione: credo che farò come tu mi hai consigliato, principessina…certo, c’è il rischio, ma a questo punto sono disposto a correrlo…sperando che il mio cuore serbi in sé abbastanza coraggio…-
-Il coraggio non potrà mancarti, signore! Solo, dovrai saper attendere il momento giusto…-
-Il…momento giusto?-
-Certo…non puoi correre da questa persona subito, devi aspettare…per certe cose è necessaria anche un po’ di atmosfera…come nelle fiabe!- sorrise la piccola.
-Forse…forse la festa di stasera…- rifletté Boromir ad alta voce.
-Credo che possa andare bene, signore. Adesso ti devo lasciare…si sta facendo tardi, ed io comincio ad avere fame…comunque, buona fortuna per questa sera!- augurò Isethril, prima di scendere a terra con un piccolo balzo ed allontanarsi verso la porta.
-Grazie mille, principessina…non dimenticherò il tuo aiuto!- la salutò il giovane.
Dopo che la bambina se ne fu andata, Boromir rimase seduto a lungo su quella poltrona, riflettendo e cercando in tutti i modi le parole giuste per svelarsi. E fu proprio durante questa immaginaria ricerca che gli sovvenne un piccolo particolare che per tutta la discussione aveva trascurato: il padre. Se fosse venuto a sapere qualcosa, Faramir si sarebbe di nuovo trovato in guai seri, come sempre accadeva.
Forse, a questo punto, sarebbe stato più conveniente recarsi da Denethor per parlare con lui solo l’indomani, a festa finita, cosicché avrebbe anche avuto l’occasione per chiarirsi con Faramir. Già! E poi voleva evitare di dare scandalo proprio poche ore prima del tanto atteso festeggiamento, perciò avrebbe affrontato il padre il giorno seguente.
Restava il problema della sua “dichiarazione”: non poteva scoprirsi. Non lo avrebbe fatto. Poteva mettere in pericolo la già fragile stabilità emotiva del fratello e sottoporlo al rischio certo di sicure ripercussioni se Denethor avesse scoperto qualcosa? No, era sbagliato, come era sbagliato quel sentimento tanto bello quanto soffocante che lo pervadeva, il fuoco nero dell’amor proibito e per questo più agognato che mai. Per quanto doloroso potesse essere, non avrebbe detto nulla. Avrebbe continuato a sperare, a illudersi e a morire nell’anima, falciato dalla follia di quel desiderio inconsulto, ma non avrebbe messo in pericolo il suo amore, la sua ragione di vita…Faramir non c’entrava nulla, e avrebbe dovuto rimanere al di fuori di quella faccenda!
Ora che aveva ben chiaro in testa ciò che voleva fare, uscì di nuovo, per andare a scusarsi col più piccolo. Non voleva che quello fosse in collera con lui, il solo pensiero che potesse odiarlo gli distruggeva mente e corpo. Pensare che lo odiava per ciò che gli aveva detto e fatto gli faceva troppo male, gli toglieva il respiro, perciò bussò alla porta accanto. Una voce strascicata gli rispose flebilmente, invitandolo ad entrare, e Boromir lo fece senza esitazioni, trovandosi davanti la beltà struggente di un consueto spettacolo a cui più e più volte in vita sua aveva assistito, unico spettatore di cotanta dolorosa meraviglia: Faramir stava in piedi, accanto alla finestra, con il volto illuminato dalla calda luce dell’astro del mattino, mentre lacrime eterne scendevano senza posa dai suoi occhi arrossati per il troppo piangere. Guardava ora lui, ora il paesaggio che si estendeva al di là del vetro trasparente, mentre il respiro affannato, traditore della sua disperazione, riempiva l’aria del suo suono amaro.
L’uomo si sentì un perfetto idiota, rendendosi conto che la sofferenza bruciante che pervadeva la stanza era il solo spinoso frutto delle sue azioni senza senso, e per un attimo provò la forte tentazione di prendersi a pugni, ma ne convenne che non avrebbe certo migliorato la situazione, anzi: forse l’avrebbe fatta peggiorare. Ma non era giunto lì per psicoanalizzarsi, il suo scopo era un altro.
-Fara…posso…?- chiese timidamente.
-Fai come ti pare, non mi interessa.- fu la brusca risposta che ricevette in cambio, condita con un’alzata di spalle.
-Non sono venuto qui per fare quello che mi pare…-
-Bene, allora dimmi perché sei qui e poi vattene…non voglio vedere nessuno.-
-Nemmeno me?- domandò speranzoso.
-No! Vattene!-
-Non me ne vado! Nemmeno morto! Neanche se tu mi sbattessi fuori di qui a calci!-
-Te l’ho già detto: fai come vuoi, allora…-
-Perché fai l’indifferente? Vorrei…io vorrei parlare, ma così non mi aiuti…-
-Beh, vorrà dire che te la dovrai cavare senza il mio aiuto.-
-Che ti succede, Fara? Non sei più tu!-
-Io…io sono sempre lo stesso, dannazione!-
-E allora guardami negli occhi!-
-Se sei venuto per farmi la predica…-
-Sono venuto per scusarmi con te! Non volevo essere scortese, prima…e non volevo andarmene via come invece ho fatto…mi dispiace, ho agito solo per orgoglio, e ho sbagliato. Per i Valar, ultimamente mi sembra tutto così difficile…ho paura, ti sento distante…è come se tu ti stessi dissolvendo, lasciandomi qui da solo…e credimi, questa è l’ultima cosa che desidero. Anch’io ho bisogno di te, Fara, anche se non ti sembra…. Ho bisogno di consolarti, di starti vicino come è giusto che un fratello maggiore faccia. E non credere che mi sia difficile o che lo faccia malvolentieri…adoro quei momenti…ci siamo solo noi due, con le nostre paure e i nostri problemi, possiamo lasciar cadere le nostre maschere, possiamo essere noi stessi e possiamo permetterci di mostrarci deboli e vulnerabili, perché nessuno ci verrà a giudicare, nessuno potrà mai dirci che è sbagliato…noi due soli, e il mondo fuori dalle mura di questa stanza…. E non voglio che ora, per colpa del mio comportamento stupido tutto questo vada perduto, perciò…ti chiedo solo di perdonarmi, di farlo per me, perché ti voglio troppo bene, e per te, perché tu possa ancora vedere in me la figura del tuo angelo custode…-
-Non so…non so se ne avrò la forza…-
-Allora te la donerò io! Ti sorreggerò, sarò qui, sempre, per te…ma non odiarmi, non lo sopporto…fa troppo male, da matti, e fa male anche a te!-
-No…-
-Perché? Cos’ho fatto di così grave da…?-
Boromir non terminò mai quella frase. La voce rotta, i singhiozzi e le lacrime glielo impedirono. Era da molto che non accadeva più. Da anni non versava una lacrima, da anni la sua debolezza rimaneva rinchiusa antro i confini del suo nobile cuore. Ma col passare del tempo quella debolezza prima rassegnata si era fatta astuta. Si era aperta una breccia, evadendo indisturbata ed espandendosi sempre di più come un pericoloso veleno, ed ora era uscita allo scoperto. Rovinosa e terribile come una tempesta.
-Bori…- la voce di Faramir si era di molto raddolcita rispetto a poco prima.
-Non devi compatirmi…se ce l’hai con me, lasciami perdere…-
-Non ti sto compatendo, non è nelle mie intenzioni…-
-Allora perché cerchi di consolarmi se solo cinque minuti fa mi avresti preso a calci e fatto volare fuori da quella finestra?-
-Perché detesto che le persone a cui tengano piangano a causa mia, e perché sono io, ora, a dovermi scusare…ho esagerato…-
-Con questo cosa vuoi dire?- chiese Boromir, mentre ancora qualche lacrima scorreva sul suo viso.
-Che ti perdono, che cancello tutto quello che è accaduto prima, che voglio che facciamo finta che non sia successo niente e che voglio anche che ti asciughi gli occhi…-
-Proposta accettata!- convenne il maggiore, che non fece in tempo ad estrarre il fazzoletto da una tasca della tunica, perché la mano delicata del fratello aveva già provveduto a spazzare via quegli ultimi residui di tristezza dai suoi occhi azzurri.
Il gesto non poté essere ignorato: le gote del più vecchio si tinsero appena di un alone rosato del tutto inusuale per lui, che tuttavia gli donava molto.
Faticava lui stesso a crederci: era arrossito! E per una carezza di suo fratello, per giunta! A quella consapevolezza il cuore gli si strinse, ricordando ciò che si era ripromesso poco prima: Faramir non doveva venire a conoscenza dei suoi sentimenti…ma certo era che se avesse continuato a comportarsi in quel modo l’autocontrollo avrebbe finito per lasciare il posto a qualcos’altro…
-Fara…- mormorò prendendogli la mano fra le sue –andiamo a mangiare? Oramai è mezzogiorno passato, il cuoco avrà già preparato il pranzo…-
-Mi prometti che finirai in fretta? Odio mangiare da solo, e così cerco sempre di sbrigarmi, ma tu…-
-Non temere! Anzi, sai che ti dico? Siccome sicuramente nostro padre mi tratterrà per un po’ a causa di qualche motivo assurdo, mi attenderesti nella mia camera? Vorrei che tu mi aiutassi a scegliere il vestito per stasera, visto che quanto a buon gusto io potrei assomigliare ad un orchetto…-
Faramir rimase in silenzio qualche istante, prima di annuire con il capo: non poteva evitare di pensare a quel “mi attenderesti nella mia camera”, che lo aveva fatto sussultare, avvampare e fremere di desiderio, come un bambino a cui venga detto che dietro la porta lo attende il più bel giocattolo del mondo. La camera di Boromir…quante volte aveva sognato di andarci in veste di amante? Migliaia, quasi ogni notte…peccato solo che poi il più grande avesse specificato che aveva bisogno di una consulenza in campo di abbigliamento, altrimenti avrebbe fatto un infarto sul colpo…ah, ma perché non la piantava di illudersi così? Ci avrebbe provato, quella sera…avrebbe tentato di dirgli “quella cosa”, e sperava in un sì, anche se si aspettava un no…. Beh, per il momento era meglio non pensarci: cominciava ad avvertire i morsi della fame e così, affiancatosi al fratello, uscì diretto verso la sala da pranzo.

Boromir rientrò nella sua stanza, sperando di trovarvi dentro il suo tesoro più prezioso, anche se era una speranza un po’ “retorica”, dato che era sicuro che lo stesse già aspettando. Fortunatamente Denethor a pranzo non aveva avuto una gran voglia di parlare, probabilmente troppo preso a pensare al modo più appropriato per accogliere ogni singolo ospite e al colore della tunica che avrebbe sfoggiato quella sera, così il figlio era stato libero di andarsene prima del solito.
Contento e un po’ gasato, scostò i battenti di legno: trovò Faramir seduto sulla poltrona davanti al camino, con lo sguardo nuovamente triste perso nel vuoto. Un po’ timoroso gli si fece vicino, per sapere se andasse tutto bene.
-Cosa è successo? Sei di nuovo triste…come mai?- si informò premurosamente.
Il fratello si limitò ad indicare il letto con un gesto svogliato della mano: adagiata languidamente sopra le coperte, infatti, stava una bellissima tunica di velluto verde scuro, quasi nero, decorata da ricami argentati ovunque, specialmente sul petto dove i fili si intrecciavano a formare l’Albero Bianco di Gondor. Un abito veramente pregevole…
-Capisco…- sospirò Boromir.
-Da parte di chi credi che sia?-
-Lo so, lo so…Denethor! Ma…vuoi indossarlo tu, al posto mio? A te starebbe meglio!-
-No, no…non è necessario…non darti disturbo per questa sciocchezza…-
-Non mi sembra tanto una sciocchezza, visto che te la sei presa…-
-Bori, non è per via del tuo vestito…è che io non ho niente di decente da mettermi stasera, e nessuno ci ha pensato…-
-Vorrà dire che ti presterò qualcosa di mio, vuoi?-
-Davvero?-
-Mi fa piacere sapere che indossi qualcosa di mio…mi fa sentire come se fossimo sempre vicini…-
-Hai letto uno dei miei libri, per caso?- sorrise Faramir, scherzoso.
-No, anche se mi piacerebbe…peccato che mi addormenti sempre dopo le prime due pagine!-
-Beh, ti rifarai, un giorno!-
-Ah, stiamo deviando, e invece voglio sapere se ti va bene che ti presti uno dei miei vestiti!-
Appurato che la risposta del fratello era affermativa, il maggiore si diresse verso l’armadio e, dopo aver aperto in fretta e furia le ante, si mise a rovistare freneticamente alla ricerca di qualche veste veramente regale. Ce n’erano molte che potevano essere adatte all’occasione, ma nessuna rispecchiava ciò che aveva in mente. Nonostante ciò, la tunica venne trovata poco dopo, celata dalle altre: il rosso cupo e il blu notte giocavano in inusuali contrasti di seta morbida e lucente, mentre alamari dorati chiudevano il colletto e una cintura nera completava l’opera, accompagnata da un paio di aderenti pantaloni di stoffa altrettanto scura.
-Quello? Tu vuoi che io metta quello?- si scandalizzò il più giovane, sconvolto.
-Non ti piace?-
-Altroché! Ma ne sei sicuro?-
-Sì! È il mio preferito, l’ho messo solo una volta e…vorrei che lo tenessi tu, se ti fa piacere.-
-Non posso accettare! Hai detto tu che è il tuo preferito!-
-Proprio per questo te lo regalo! Voglio che lo abbia tu!-
-Beh…grazie! Posso provarlo?-
-Tsk! È tuo ora! Non devi chiedere il permesso!-
Faramir era al settimo cielo: non solo la veste gli piaceva, ma gliela aveva donata il suo Bori! Galvanizzato, senza nemmeno preoccuparsi del fatto che qualcuno sarebbe potuto entrare e vederlo, si tolse i suoi vestiti, per provare la nuova tunica. Era fresca, leggera, e conservava ancora il profumo della pelle del suo precedente proprietario, nonostante fosse stata indossata una volta soltanto. Dal canto suo Boromir era a bocca aperta: non solo quell’abito stava al fratello in modo divino, ma il fatto di averlo visto praticamente nudo, eccezion fatta per la biancheria, gli aveva fatto venire un leggero attacco di tachicardia.
-Allora, come mi sta?- domandò il minore dei due.
-Beh…non ci sono parole per descrivere abbastanza bene…-
-Addirittura? Sono così bello?-
-Diciamo che non sei da buttare via! Stasera tutte le dame faranno a gara per ballare con te.-
-Certo, e immagino che ti lasceranno in disparte, no? Avanti, non dire scemenze: con te sotto agli occhi, chi si curerà di me?-
-Non dovresti porti certe domande sciocche!-
In quel mentre, una cameriera bussò alla porta, annunciando che i primi ospiti erano arrivati e che Denethor gradiva che entrambi i figli si presentassero nel grande salone d’entrata per accoglierli come di dovere. Dopo questo annuncio, Boromir dovette decidersi a prepararsi: si cambiò, sistemò i capelli che si erano un poco arruffati e partì alla volta del salone, seguito dal fratello.

La sala era illuminata a giorno, e lunghe tavolate di legno erano allineate lungo le pareti. Disposti sulle tovaglie immacolate, stavano vassoi d’argento e grandi piatti ricolmi di cibo, manifesto del lusso e del benessere di cui godeva non solo il palazzo, ma l’intera Gondor. Molte sedie dall’alto schienale ricoperto di tessuto damascato circondavano i tavoli, pronte ad accogliere i commensali. Cameriere graziosamente vestite erano pronte a servire le portate al minimo cenno del capo del padrone di casa.
Molti ospiti erano giunti, da tutta la Terra di Mezzo: Dama Galadriel e Sire Celeborn stavano amabilmente conversando con un alto elfo biondo, in cui si poteva riconoscere la figura di Haldir di Lorien. Una piccola delegazione di Hobbit ciarlava allegramente, producendo un discreto rumore e una gran quantità di lavoro alle cameriere, che faticavano a soddisfare la continua richiesta di birra. Dalla parte opposta della sala rispetto a quella in cui si trovavano gli elfi, era radunata una rappresentanza dei nani, tra i quali Gimli e suo cugino Balin, signore di Moria, erano quelli più vitali e confusionari. Intento a parlare con Denethor, invece, era Theoden, re di Rohan, fiancheggiato dal figlio Theodreth, mentre Eowyn ed Eomer, nipoti del Signore dei Cavalli, si stavano intrattenendo discutendo con Elrond di Granburrone e la figlia Arwen, una fra le dame più belle presenti quella sera. Questi e molti altri ancora popolavano la vasta stanza, producendo un rumore di sottofondo che avrebbe portato chiunque ad una forte emicrania nel giro di un paio d’ore.
Anche Boromir e Faramir si erano perfettamente calati nei panni dei padroni di casa, e stavano facendo conversazione con un paio di madamigelle abbastanza civettuole che, colpite dalla bellezza dei due fratelli, si erano loro avvicinate nella speranza di riuscire a strappar loro almeno un bacio furtivo, ignorando completamente che le loro “prede” non erano affatto interessate a quel genere di attenzioni, anche se entrambi dovettero convenire che le due avvenenti fanciulle, oltre ad essere estremamente graziose, erano altrettanto intelligenti.
-Veramente una splendida atmosfera, miei signori!- si complimentò una delle due giovani, che rispondeva al nome di Elemiah.
-E anche la compagnia è gradevole!- aggiunse quella che si rivelò essere la sorella, Damabiah.
-Possiamo dire altrettanto!- affermò Faramir con cortesia.
-Vogliate scusarci. Nostro padre desidera parlarci. Siamo costretti a congedarci, ma è stato un piacere discorrere con voi, madamigelle.- si congedò Boromir, parlando anche a nome del fratello.
Le due giovani li salutarono con un gentile cenno del capo e un grazioso inchino che fece frusciare i loro abiti leggeri, mentre i due si avviavano in direzione del Sovrintendente di Gondor.
-Cosa credi che voglia da noi?- domandò Faramir spaventato, camminando.
-Nulla di cui preoccuparsi. Probabilmente vorrà solo indicarci i nostri posti durante la cena.- lo rassicurò l’altro.
-Spero che sia così…lo spero tanto.-
-Non devi temere nulla: ci sono io con te, non potrà toccarti nemmeno con un dito, né tantomeno farti del male.-
-Grazie, grazie per quello che fai per me!-
-Lo sai che è un piacere!-
Intanto erano arrivati al cospetto del padre il quale, dopo aver rivolto uno smagliante sorriso al suo prediletto ed aver appena degnato di uno sguardo il suo secondogenito, intonò un interminabile discorso sulle posizioni da tenere a tavola.
-Tu Boromir, figlio adorato, siederai alla mia destra, accanto ad Eomer, nipote di Theoden. Tu, Faramir, siederai alla mia sinistra al fianco di Gimli, cugino di Balin. Spero che sarai in grado di dimostrarti all’altezza di noi tutti e di tuo fratello. Non intendo tollerare figuracce, non questa sera.- dichiarò seccamente il padre, con il suo sguardo di ghiaccio puntato dritto contro il figlio minore.
-Come desideri.- rispose quello, con un leggero cenno del capo.
-Ottimo, veramente ottimo! Vogliate scusarmi, vado a prendere posto!- disse il Sovrintendente, voltandosi poi in direzione della tavolata centrale, dietro alla quale troneggiava, nel mezzo, una grande poltrona che bene si addiceva ad un governante del suo rango.
-Beh, ti è andata bene, Fara…-
-Fortunatamente sì, ma non sopporto questa farsa. Odio la finta benevolenza di quell’uomo, così come odio tutto di lui. Non lo sopporto, non sopporto la falsità con cui dice in giro che sono il suo figlio preferito, non sopporto l’ipocrisia che mette nel sorridermi in quel modo talmente falso da fare quasi paura…è insopportabile!-
-Lo so, e se potessi fare qualcosa, qualsiasi cosa per aiutarti, io la farei…peccato che non abbia la più pallida idea del punto da cui io possa cominciare a raddrizzare questa faccenda…-
-Fai già molto più di quello che dovresti…non darti più pena. Pensiamo a goderci il cibo, e speriamo di dimenticare il resto!-
-Già! Oh, gli altri ospiti stanno già prendendo posto…sarebbe scortese farli attendere. Andiamo!-
-Bori?-
-Sì?-
-Questa sera…questa sera ti va di venire un po’ da me?-
-Come mai questa richiesta?-
-Non lo so, ma credo che dopo la serataccia che mi attende avrò bisogno di sfogarmi con qualcuno…ah, solo se ti va, non sentirti obbligato!-
-Beh, per me va bene…sai che mi piace stare in tua compagnia, no?- incalzò Boromir.
-Sì…come potrei mai dimenticarlo?-
-Ah, non lo so…sei tu quello con la testa sempre tra le nuvole!-
-Solo perché al posto di pensare continuamente agli allenamenti e a tirar di scherma mi diletto con la lettura! Tutta invidia la tua!-
-E di cosa dovrei essere invidioso, di grazia?-
-Forse della mia immensa cultura?-
-Molto modesto a quanto vedo, Fara!-
-Grazie! Lo prenderò come un complimento!-
-Vedi un po’ tu cosa è il caso di fare.-

La cena non fu particolarmente divertente, ma nemmeno disastrosa. O perlomeno all’inizio. Infatti Faramir aveva acceso un dibattito sulle miniere di mithril assieme al nano Gimli, e da quell’argomento avevano poi cominciato a parlare del più e del meno come amici di vecchia data, scoprendo che molte cose li accomunavano. Il fratello maggiore, invece, non aveva avuto altrettanta fortuna: Eomer, infatti, era troppo occupato a discutere di chissà quali faccende con alcuni dignitari per potersi fermare e intavolare una conversazione con lui. Dopo una breve presentazione di cortesia, per l’appunto, il nipote di re Theoden aveva aperto una discussione riguardante principalmente la politica del regno di Rohan, e non si era ancora fermato. Non che a Boromir interessasse più di tanto parlare con lui, ma l’atmosfera sonnacchiosa che si era venuta a creare, il peso del cibo che cominciava a riempire lo stomaco e il soporifero brusio di sottofondo lo stavano facendo addormentare, e si sa che crollare con la testa nel piatto non è una gran figura già per un qualsiasi popolano, figurarsi poi per il figlio del Sovrintendente di Gondor. Se almeno avesse avuto con chi parlare sarebbe riuscito in qualche modo a tenersi sveglio, e poco importava che l’argomento di discussione fosse l’eccessiva presenza di zanzare, piuttosto che la nuova formazione di battaglia degli Uruk-Hai scampati allo sterminio. Così, tanto per fare qualcosa, afferrò la prima brocca che gli capitò a tiro, ne versò una parte del contenuto nel bicchiere, ignorando comunque che cosa fosse, e bevve tutto d’un fiato.
Un sapore dolce e forte allo stesso tempo gli riempì la bocca, stordendolo per qualche secondo: doveva trattarsi sicuramente di qualche bevanda elfica, ne era sicuro! Solo le bionde creature, infatti, erano in grado di sopportare un liquore tanto forte senza diventare brilli all’istante. E quanto a diventare brilli, Boromir si accorse di esserlo, eccome! La testa gli girava leggermente, e avvertiva una specie di senso di nausea, fortunatamente non così forte da costringerlo ad una strategica ritirata nel bagno più vicino. E poi, improvvisamente si stava rendendo conto di quante belle donne ci fossero, a quel tavolo. Prima non aveva avuto occhi che per Faramir, ma lui…oh, lui non lo avrebbe considerato di certo! Era suo fratello, e quindi non poteva amarlo, no! Però forse, lì in quella sala…forse lì c’era qualcuno che lo potesse amare…
Le sue riflessioni confuse vennero interrotte da una voce profonda e possente: Eomer di Rohan aveva finalmente posto la parola fine a quel lungo dibattito che tanto lo aveva impegnato, ed ora si era girato verso di lui, porgendogli le sue scuse per la scortesia dimostrata. Boromir lo fissò a lungo: era un bell’uomo, non c’era che dire! Spalle larghe, muscoli non troppo evidenti ma tonici, colorito abbronzato di chi passa molte ore all’aria aperta, capelli biondi molto lunghi e ondulati e occhi scuri come pece…non era niente affatto male! E poi Eomer lo stava fissando in un modo…o forse erano solo i fumi dell’alcol. Non lo sapeva, e non si rese nemmeno conto di aver parlato e di aver accettato le scuse, se non quando l’altro replicò:
-Grazie, mio signore! Sono davvero spiacente,non è stato un comportamento corretto, ma si trattava di una questione urgente e…-
Con quella battuta il ghiaccio fra i due si sciolse. Parlarono a lungo, quella sera, di molte cose, e fra una battuta e un’importante riflessione bevevano birra, oppure liquore, o chissà quale altra bevanda alcolica: dopo un paio d’ore, entrambi erano abbastanza ubriachi da poter commettere qualche sciocchezza. Ovviamente questo comportamento non era certo sfuggito all’occhio vigile di Denethor, il quale però non mosse un dito per fermare il figlio: tutti stavano bevendo, lui stesso aveva buttato giù un paio di calici di vino e una birra, quindi perché impedire a Boromir di fare altrettanto? Certo, se lo avesse fatto Faramir il discorso sarebbe stato diverso! Quel ragazzo: non aveva fatto che dargli delusioni fin dal momento in cui era nato. Lo odiava, lo odiava con tutto se stesso! Era colpa sua, solo sua se la sua adorata consorte Finduilas era morta! Era colpa sua se il figlio maggiore spesso gli disobbediva! Lo traviava con discorsi culturali, con racconti di trame di libri assurdi…e il più vecchio lo lasciava fare! Ormai aveva perso il conto di quante volte avesse ripetuto al più piccolo di non infastidire il fratello maggiore, di stargli alla larga…ma nulla aveva funzionato! I suoi due figli erano legati dalle catene dell’amore, e Denethor, personalmente, cominciava a temere che non si trattasse più di puro e semplice amore fraterno. Lo vedeva da come si guardavano, dalla tenerezza che traspariva dai loro gesti, da quel tono dolce e protettivo che usavano uno nei confronti dell’altro quando discorrevano…ma cosa poteva fare per dividerli? Non poteva allontanare Faramir dal castello, lo sapeva fin troppo bene: in quel caso Boromir lo avrebbe seguito, ne era certo. Come lottare contro l’irrevocabilità delle decisioni prese dal destino? Non ne aveva idea, era solo cosciente del suo desiderio di far sì che il suo secondogenito la smettesse di importunare il suo prediletto, e dell’impossibilità di realizzarlo.
Mentre il padre era perso in certe elucubrazioni pur mantenendo sul volto la sua solita espressione di totale distacco e freddezza, Faramir cercava di sbirciare, con la coda dell’occhio, le mosse del fratello. La preoccupazione stava salendo a chiudergli la bocca dello stomaco, e non aveva un’idea precise di quando questa sensazione spiacevolissima fosse cominciata. O, per meglio dire, lo sapeva ma voleva auto-convincersi del contrario: da quando aveva visto Boromir dare tutta quella confidenza al giovane di Rohan, gli era venuto un improvviso groppo in gola, e lo stomaco gli si era contratto talmente tanto da fargli venire un attacco di nausea improvviso. Era geloso, geloso da morire, geloso di una persona di cui non aveva il diritto di esserlo, eppure…. Eppure non voleva darsi per vinto, non voleva credere che stesse veramente accadendo quello che lui tanto temeva. Non voleva, non era giusto, per i Valar! Era stufo di essere sempre secondo, nella vita! Voleva anche lui poter provare la gioia…ma l’unico sentimento che riusciva a saggiare vedendo quei due insieme, era la rabbia. Rabbia che aumentò notevolmente quando si accorse che i due, dopo aver trangugiato l’ennesimo boccale di birra di malto, si erano alzati e si stavano dirigendo fuori dal salone, verso il giardinetto. Non si accorse nemmeno di quello che stava facendo, tanto era forte la collera dentro di lui: chiese flebilmente scusa, si alzò di corsa e seguì il Signore dei Cavalli, che stava camminando cingendo con un braccio la vita di Boromir. Fece piano, badando bene di non farsi scorgere e attese.
I due uomini erano abbastanza lontani da lui, e stavano parlando sommessamente, tuttavia Faramir riuscì a carpire qualche preoccupante brandello di quella conversazione, che si stava svolgendo all’aperto, sotto il cielo stellato, su quella panchina sulla quale lui e il fratello avevano passato alcuni dei momenti più belli della loro vita.
-E così, Boromir…così voi sareste un uomo casto…e puro?- chiese strascicatamene Eomer.
-Esattamente…-
-Ma se avete la fama…di essere un Dongiovanni!-
-Chi, io?-
-Beh, effettivamente…hic…capisco il motivo di questo…soprannome, sapete?-
-Ah, sì? E quale…hic…sarebbe di grazia?-
-Fate venire un’irresistibile voglia…di fare questo.- dichiarò il Cavaliere di Rohan prima di sporgersi un poco in avanti e baciare l’uomo di fronte a lui sulle labbra.
A quel gesto, il secondogenito del Sovrintendente di Gondor sentì la terra mancargli sotto i piedi. Avvertì un dolore sordo al petto, come se qualcuno gli avesse improvvisamente strappato il cuore a mani nude e avesse cosparso di sale la ferita. Eomer aveva baciato Boromir. E Boromir lo aveva lasciato fare, come se niente fosse, anzi: erano ancora lì, avvinghiati l’uno all’altro, le labbra incollate, i respiri mescolati, i corpi premuti assieme in un’unica macchia che si fondeva con il nero cupo della notte. Nero il cielo, nero l’animo di chi lo osservava in un silenzio straziante, semi-incosciente e incapace di realizzare che quello che stava accadendo non era un incubo dal quale ci si sarebbe potuti svegliare, ma si trattava della realtà, la maledetta e terribile realtà.
Boromir, invece, si rese conto di cosa stava facendo solo quando udì un gemito sofferente seguito a ruota da uno scalpiccio veloce, il classico rumore di una corsa. Come ridestatosi da un profondo stato di coma, si separò immediatamente da Eomer e gettò uno sguardo nella direzione dalla quale erano venuti i rumori, appena in tempo per scorgere una sagoma per lui fin troppo familiare intenta a correre verso una meta che nessuno mai avrebbe potuto definire con precisione. Cosa poteva fare? Non lo sapeva, il suo cervello pareva non voler più collaborare, sentiva il vuoto dentro di sé, misto ad uno stranissimo contorcimento di budella che avrebbe fatto rivoltare persino i Valar. Avrebbe voluto muoversi, fare qualcosa, qualsiasi cosa, ma le gambe non rispondevano ai suoi comandi: non riusciva a muovere un passo, era paralizzato dal dolore e dalla paura che Faramir potesse commettere qualche sciocchezza.
Improvvisamente si rese conto, non senza stupore, che la sbornia gli era completamente passata e cominciò così ad accorgersi del tarlo della colpa che serpeggiava in lui, lacerando la sua anima. Cosa aveva fatto? Come aveva potuto baciare un altro, come aveva anche solo potuto pensare di fare una cosa del genere? Come aveva potuto stringere tra le braccia un corpo che non fosse stato quello del suo Faramir, come? Cosa lo aveva spinto a tanto? La disperazione, l’amara certezza di non poter essere altro, per lui, che un fratello, la voglia incontrollabile di affogare le sue preoccupazioni, di scaricare dalle sue spalle per brevi istanti il peso di venticinque anni di incompletezza e di tensione. Ma era stato veramente utile farlo?
Domande, tante, troppe domande, che man mano venivano sostituite da un unico grande quesito, il più tremendo, quello di cui aveva più paura, ma anche quello che lo portava a sperare: perché il suo Fara aveva reagito in quel modo? C’era sicuramente una spiegazione, ma non riusciva a vederla. L’unica cosa che gli riuscì fu di scusarsi con il nipote del re di Rohan per il suo comportamento assolutamente sconveniente, pregandolo di dimenticare l’accaduto al più presto.
-E perché dovrei…dimenticare?- bofonchiò quello.
-Perché il mio è stato un errore, uno sbaglio. Ho visto in te il riflesso della persona che amo, e ho perduto quel poco di testa che l’alcol mi aveva lasciato. Mi dispiace veramente…-
-Nulla avviene mai…hic…per sbaglio. Tutto ha uno scopo preciso. E se quello che…è avvenuto fra noi poco fa…dovesse essere servito a qualcosa…hic…credo che sopporterò meglio il dolore…- sospirò Eomer, con una punta di rammarico nella voce.
-Grazie. Sei comprensivo, Signore dei Cavalli. Spero che potremo rimanere buoni amici!-
-Con piacere. E ora…hic…corri, vai da Faramir…-
-Come…?-
-Te lo si legge in faccia, amico mio…-
-Cosa mi si legge in faccia?-
-Che tu lo ami…tuo fratello…tu ami tuo fratello!-
-Speravo non fosse tanto evidente!-
-E invece lo è, ma…hic…non perdere tempo qui a parlare…vai a scusarti…hic…con lui!-
-Beh, se insisti…comunque grazie di tutto, Eomer!- lo salutò Boromir, prima di voltargli le spalle e incamminarsi a passo svelto nella direzione in cui il fratello era sparito.
Sparito davvero, però! Il figlio maggiore di Denethor, illudendosi invece di poterlo ancora raggiungere, rientrò nella sala del banchetto, permeata della solita atmosfera di baldoria: il piccolo gruppetto di suonatori del paese ingaggiato per la serata si stava ancora esibendo in un repertorio di danze popolari molto orecchiabili, mentre le dame si affaccendavano a cercare i loro cavalieri per ballare, ignare (non si sa se volutamente o meno) del fatto che tutti i rappresentanti del sesso forte, o quasi tutti, avevano un tale quantitativo di alcool in corpo che sarebbe bastato per accendere tutte le torce del palazzo. Ma di tutta questa allegria nulla giungeva al povero Boromir, che dopo aver fatto un breve cenno di saluto al padre, il quale lo stava fissando con aria assai interrogativa, uscì dal salone per ritrovarsi finalmente nella quieta semioscurità dei corridoi silenziosi, nei quali nemmeno una nota della leggiadra musica riusciva a intrufolarsi, né attraverso le fessure sotto le porte, né approfittando di qualche buchino nelle solide pareti di pietra grigia.
Per qualche istante l’uomo rimase immobile, con la schiena appoggiata al muro freddo, ad occhi chiusi, ascoltando il ritmo del suo stesso respiro, come se questo avesse potuto avere il potere di calmarlo. In effetti era sempre stato così, fin da bambino, ma quella sera il piccolo espediente parve non voler funzionare, cosicché il primogenito del Sovrintendente di Gondor si ritrovò in un tale stato di profonda agitazione che quasi gli sarebbe venuto da piangere. Tuttavia non ne aveva il tempo, visto che doveva cercare il fratello. Era completamente ignaro del fatto che Faramir si trovasse nel luogo più ovvio, ossia la sua stanza, ed era ancora più ignaro del fatto che il giovane se ne stava sdraiato sul letto, col viso nascosto nel cuscino di piume d’oca, cercando di soffocare i singhiozzi sempre più alti e più frequenti.

Faramir alzò per un istante la testa dal cuscino, rendendosi conto che era mattino inoltrato. Doveva essersi addormentato. Erano anni che non piangeva così. Si sentiva come se il suo cuore fosse stato fatto in mille pezzi e che, non appena lui fosse riuscito a rimetterli insieme, questi si fossero rivelati essere stati incastrati al posto sbagliato, costringendolo a ricominciare tutto daccapo per tentare di ricomporre il puzzle. Dio, era tutto talmente difficile! Stropicciandosi gli occhi nel tentativo di svegliarsi, afferrò il suo fazzoletto e si soffiò il naso stranamente gocciolante. Nel fare ciò, lanciò un’occhiata al suo povero guanciale: era completamente bagnato di lacrime, lui, unico testimone della sua tristezza inconsolabile…già, aveva pianto anche in sogno. Sogno che gli tornò subito alla mente, nitido come uno specchio: Eomer e Boromir insieme, in un letto coperto di lenzuola di seta e petali di rose, mentre facevano l’amore sussurrandosi continuamente parole cariche d’affetto.
No, no, doveva smetterla di torturarsi così! Perché continuava a pensarci? Si stava facendo solo del male! Ma la mente di un uomo non si piegherà mai al controllo della volontà dello stesso, e questo il giovane lo sapeva fin troppo bene, altrimenti si sarebbe impedito di amare il fratello, si sarebbe impedito di soffrire…e molte cose non sarebbero mai accadute. Il che forse sarebbe stato un bene, o forse no…in fondo, per quanto stupido fosse, l’amare il fratello gli consentiva di godere di quei momenti in cui si consolavano a vicenda, uno tra le braccia dell’altro. Gli mancavano quegli attimi, così come gli mancava lui, ma non poteva più sperare, nemmeno quello gli era concesso da quando il nipote del re di Rohan aveva fatto breccia nel cuore di Boromir.
Scosse la testa, mentre un sospiro doloroso gli sfuggì dalle labbra. Agendo come un automa si lavò il viso, si pettinò e si cambiò i vestiti, ormai troppo stropicciati visto che con quelli aveva dormito, e uscì diretto in giardino per riflettere un po’, sperando segretamente che il fratello non si trovasse nelle vicinanze: non era nelle condizioni di affrontarlo, di guardarlo negli occhi senza scoppiare a piangere, di parlargli senza rivelargli il suo amore. Era troppo fragile, in quel momento.
Non si preoccupò nemmeno di passare nella sua saletta privata per fare colazione: non aveva fame, lo stomaco era troppo annodato per l’ansia e la disperazione che aveva provato e continuava tuttora a provare, e probabilmente anche la più minima briciola lo avrebbe fatto rimettere. E poi non aveva tempo, non voleva assolutamente trovare LUI in giro per i corridoi, non voleva vederlo, o forse lo voleva con tutto se stesso ma preferiva fuggire, perché si rendeva conto di non essere in grado di tenergli testa. Si perse così a vagolare per il palazzo: a fatica rammentava che la sera prima aveva avuto luogo il ricevimento, per cui quando incrociò Haldir di Lorien intento ad ammirare uno dei tanti arazzi affissi alle pareti la sua prima reazione fu quella di chiedersi cosa mai ci facesse l’elfo nei dintorni, dandosi subito dopo dello stupido a causa della sua patetica dimenticanza e avvicinandosi all’eterea creatura per scambiare qualche educata parola, come si conviene ad un padrone di casa.
-Buongiorno Haldir! Avete riposato bene?-
-Buongiorno Faramir! Per i Valar! Avete un aspetto orribile! Io ho dormito divinamente ma voi avete l’aria di non aver chiuso occhio! Qualcosa vi turba?-
-No, non datevi pena per me. Va tutto bene, è solo un po’ di stanchezza.-
-Mi rassicurate. Ora vi lascio alle vostre occupazioni, non vorrei trattenervi oltre. Spero di vedervi a pranzo, oggi.-
-Certamente. A dopo.-
-A dopo.-
Così, salutato Haldir, Faramir proseguì nella sua direzione, mentre corridoi più o meno bui e stanzette si alternavano senza posa sotto i suoi occhi spenti e arrossati. Apparentemente era tutto normale: le cameriere come sempre lo salutavano ossequiose, inchinandosi al suo passaggio, i facchini piegavano rispettosamente il capo e la tranquillità permeava l’ambiente. Dentro di lui, però, la tensione aumentava, la tristezza gli aveva fatto scoppiare una fortissima emicrania e si sentiva all’erta, come se un pericolo fosse in agguato là in giardino. Forse non avrebbe dovuto andare, in fondo era tardi: di lì a un’ora circa tutti si sarebbero riuniti per il pranzo, e non era buona educazione arrivare in ritardo. Tuttavia c’era qualcosa, una forza misteriosa che spingeva a proseguire, un potere occulto che Faramir non era in grado di contrastare. Perché? In sostanza, il piccolo parco si stava rivelando una meta stranamente combattuta! Ma cosa avrebbe mai dovuto esserci di così pericoloso da spaventarlo?
Ricevette la risposta alla sua domanda solo pochi secondi dopo quando, svoltato un angolo cupo, si trovò di fronte al grande arco che consentiva l’accesso al giardinetto: all’interno di questo, in piedi accanto ad un albero c’era Boromir, con un volto talmente preoccupato da trasfigurarlo quasi: si vedeva che aveva pianto, e i suoi occhi erano cerchiati da pesanti segni neri. Perché era ridotto così? Chi aveva osato, chi si era permesso di fargli del male per ridurlo in quello stato? Insomma, l’uomo che aveva davanti agli occhi era solo un pallido spettro del guerriero forte e dall’animo impavido che tutti conoscevano. La scena gli fece talmente pena che per un attimo fu tentato di correre da lui e fargli forza, di sorreggerlo, e questa tentazione gli fu fatale: in un attimo di sbandamento portò in avanti un piede, producendo un lieve scricchiolio che gli fece immediatamente ritirare la gamba, con la speranza di non essere stato udito, ma il danno era fatto. Boromir si era voltato all’improvviso rumore e lo aveva scorto.
-Vieni avanti, Faramir…- mormorò appena, con voce rotta.
Il silenzio, unico interlocutore, gli rispose.
-Ti prego…devo parlarti…- altre parole al vento.
Faramir intanto, da dietro l’angolo dov’era nascosto, stava riflettendo: non poteva scappare, lo avrebbe inseguito. Il fratello non era un tipo che si arrendeva tanto facilmente, e non lo avrebbe lasciato andare così. Doveva essere uomo, doveva uscire e affrontarlo, per quanto poco si sentisse pronto per farlo: doveva mettere definitivamente in chiaro la sua posizione e i suoi sentimenti, se non altro per aggiungere un altro rimpianto ai tanti che si trovavano già sulla sua lista. Aveva paura, tanta paura che dopo quella rivelazione sarebbe finito tutto, ma a quel punto avrebbe anche potuto gettarsi dalle mura della città: nessuno lo avrebbe rimpianto. Presa la decisione, inspirò a fondo, cercando il coraggio, e mosse qualche incerto passo in direzione della luce e quindi del giardino. Continuò ad avanzare, con lo sguardo rivolto al suolo, pregando i Valar che Boromir non lo disprezzasse per quello che gli avrebbe detto.
Si trovarono così uno di fronte all’altro, dolorosamente vicini, e terribilmente lontani allo stesso tempo, ma era giunto il momento, era scoccata per loro l’ora della verità.
-Ciao…- salutò flebilmente Faramir.
-Ciao…- gli fece eco l’altro.
-Volevi…parlarmi?-
-Sì, ecco…io…ti ho cercato a lungo, ieri sera…non capivo…non capivo perché eri scappato…-
-Bori, io…-
-Tu?-
-Ami Eomer?- chiese il più piccolo a bruciapelo.
-Non…non capisco cosa…-
-Rispondimi! Lo ami?- il tono del minore cominciava a traballare, segno che le lacrime erano imminenti.
-No, non lo amo.-
-E allora perché? Perché ieri sera lo hai fatto?-
Cos’erano tutte quelle domande senza senso? Insomma, perché Faramir gli stava chiedendo se amasse Eomer? Cosa poteva interessargliene? Boromir non sapeva dare una risposta a questi quesiti pressanti…non capiva il comportamento del fratello: sembrava quasi che fosse geloso, anche se si trattava di un’ipotesi assolutamente infondata.
-Ho fatto cosa?- domandò.
-Sai benissimo di cosa sto parlando! Non fare il finto tonto, non con me! Non prendermi in giro, te ne prego!- supplicò il più giovane.
-Non ti sto prendendo in giro, ma non capisco a cosa ti stai riferendo! Salti di palo in frasca, non riesco a seguire il tuo discorso!-
Menzogna. Boromir sapeva a cosa stava alludendo il giovane di fronte a lui, ma non riusciva ad intuire le sue intenzioni, e voleva andare a fondo. Voleva capire cosa era dettato il suo modo di fare improvvisamente così possessivo, così irruento e stranamente impulsivo.
-Insomma, credi che sia scemo? Credi che non ti abbia visto mentre baciavi Eomer in quel modo, ieri sera? Credi che non abbia visto in che modo lo tenevi stretto?-
-A parte il fatto che non è comunque affar tuo quello che faccio io e in che modo mi comporto con gli altri, ma comunque sappi che ero ubriaco. Avevo bevuto un liquore strano, credo qualcosa di elfico, non so…. Certo che resta il fatto che non deve interessarti quello che ho fatto io con Eomer!- rispose bruscamente il primogenito di Denethor, che da una parte era felice di questa gelosia immotivata, ma dall’altra si rendeva conto di essere stato troppo duro. Non era necessario essere scortesi.
-E invece quello che fai con lui mi interessa…- Faramir aveva quasi urlato, mentre gli occhi avevano preso a stillare nuovamente piccole gocce d’anima, che scivolavano poi sul suo bel viso tormentato.
-E perché?- fu l’ovvia domanda che ricevette in risposta, formulata con un tono speranzoso come non mai.
-Perché…perché…io non voglio che tu baci gli altri, non voglio che tu li stringa al petto, non voglio che tu possa sussurrare al loro orecchio quelle calde parole cariche di desiderio che ogni amante desidererebbe poter udire…non voglio, ti sembrerà egoistico, ma non voglio…non voglio dividerti con gli altri…-
-Cosa…?- boccheggiò Boromir, sconvolto da quella rivelazione che poteva lasciare che un raggio di speranza si infiltrasse nel suo cuore.
-Mi ha fatto male, ieri, vederti con Eomer, e sono stato…geloso…geloso perché…perché in quel momento stava godendo di tutto quanto io avevo desiderato da sempre…perché avrei voluto esserci stato io al suo posto…perché avrei voluto essere io l’uomo che ieri sera baciavi a quel modo…da sempre, da sempre lo voglio e mai te l’ho detto…ed ora lo sai, e solo una cosa ti chiedo: non disprezzarmi, ti prego…non allontanarmi da te, perché se tu lo facessi, a me non resterebbe nulla…né una famiglia, né un amico…niente di tutto ciò.-
Ce l’aveva fatta! L’aveva detto, finalmente! Era riuscito a mettersi a nudo di fronte alla persona più importante della sua vita, ma questa era stata la parte meno complicata. Adesso Boromir gli avrebbe risposto, gli avrebbe detto chiaro e tondo cosa pensava, e Faramir temeva questo istante come mai aveva temuto qualcos’altro in vita sua. Non voleva sentirsi dire di no, anche se questo era un altro ragionamento egoistico. In un momento delicato come quello che stava vivendo, pensare di non poter più contare su nessuno se non su se stesso lo spaventava e lo faceva star male. Forse aveva sbagliato tutto, questa era la verità.
Spaventato, cercò nell’espressione del fratello qualche indizio sulla sua prossima risposta: lo sguardo era addolorato, combattuto. In quei due occhi di zaffiro si poteva assistere ad una vera e propria tempesta di sentimenti differenti, dei quali però non vi era uno che riuscisse a imporsi sugli altri. La fronte era corrugata e l’espressione accigliata: cosa poteva attendersi?
-No…-
-No cosa, Boromir?- chiese Faramir, disperato.
-Non voglio essere per te ciò che tu mi chiedi…non voglio…- rispose l’interpellato, anche se dal tono di voce usato e dalla sua espressione si capiva chiaramente che non era convinto egli stesso delle sue parole.
-Non vuoi…o non puoi?-
-Non…non voglio, non…ti prego, non rendermi tutto più complicato! Facciamo finta di nulla, torniamo a comportarci come fratelli…fingiamo che questa conversazione non abbia mai avuto luogo…non chiedermene il perché, non riusciresti a comprenderlo bene nemmeno tu. Limitati a ciò che ti ho detto…te ne supplico…lo so che sto scappando dai miei doveri e anche da me stesso, ma non potrei darti spiegazioni…non ora…solo, ti prego di scusarmi per il comportamento di ieri sera, e di fingere che tutto questo non sia mai accaduto…- supplicò il maggiore dei due giovani con le lacrime che premevano per uscire.
E finito di parlare, senza nemmeno attendere la reazione dell’altro, uscì dal giardino, superandolo e lasciandolo lì, interdetto e ancora più vicino al definitivo crollo della sua volontà.

Si appoggiò alla porta della sua stanza, respirando profondamente: non riusciva quasi a credere alle confessioni che il fratello gli aveva fatto. Non gli pareva vero che fosse veramente stato geloso di Eomer. Non credeva possibile che il suo Fara lo amasse, e invece…e invece lo amava eccome, e lui era stato costretto ad allontanarlo, costretto dal destino, quel meccanismo che controllava lo svolgersi degli eventi, quel giudice inappellabile che condannava fin dalla nascita sia uomini che elfi che nani, e che il assoggettava senza possibilità di scampo alla sua tremenda volontà. Era stato costretto a sacrificarsi per il bene dell’unica persona che per lui veramente contasse, e quel sacrificio lo stava facendo soffrire enormemente, ma sapeva che era giusto, sapeva che così avrebbe protetto il suo amore fino in fondo. Sapeva che era l’unico modo per metterlo al sicuro dalla furia di Denethor il quale, se avesse saputo che fra i suoi due figli era in atto una tresca, avrebbe sicuramente allontanato il più giovane con un pretesto.
Un suo sospiro rassegnato coprì il leggero scalpiccio dei passi sul marmo lucido del pavimento, e quando si sentì sbattere violentemente contro la porta fu costretto ad aprire gli occhi, in un moto fra la sorpresa e il dolore.
-Dimmi perché!- sibilò Faramir, spuntato dal nulla, con il volto a mezzo millimetro dal suo.
La sua espressione irata non lasciava adito a repliche di sorta: in sé aveva la fierezza e la terribile bellezza di un leone pronto a lanciarsi sulla sua preda. In un certo senso faceva paura, anche perché Boromir non era abituato a vederlo in quello stato. E poi le sue labbra, troppo vicine per potervi resistere a lungo…e quelle mani che serravano con la rabbia della ragione le sue spalle in una morsa per certi aspetti dolorifica e per altri così irresistibilmente eccitante…
-Che cosa dovrei dirti?- bisbigliò appena il prediletto del Sovrintendente, deglutendo a vuoto nel tentativo di controllare i suoi impulsi.
-Perché non posso essere tuo e di nessun altro…dimmelo! È perché ami un’altra persona? O forse non mi ami? O più semplicemente hai paura?- lo incalzò il più piccolo.
-Fara…non mi provocare…io…-
-Ti prego, Bori…. Io non ce la faccio più senza di te! Ho provato a convincermi che fosse solo un’illusione, ho provato a fare finta di niente, ho tentato di nascondermi dietro ad un muro di riservatezza, ma nulla ha funzionato. Degli stratagemmi che ho provato, non uno mi ha permesso di dimenticare…. Il sentimento che provo per te è troppo forte, perciò non mandarmi via…perché io non ce la faccio più a stare in disparte a guardarti, sentendomi il fuoco nelle vene solo per un tuo minimo movimento…non riesco a starti vicino senza pensare al tuo corpo caldo, e mi rodo dalla paura che qualcuno possa essere giunto prima di me, rubandoti il cuore…. Per questo io te lo chiedo, in ginocchio se vuoi, ma se mi ami almeno un po’ tienimi con te!-
L’appello accorato toccò nel profondo Boromir, che però sentì dentro di sé che, anche se le sue difese stavano inesorabilmente crollando, avrebbe dovuto resistere…cosa che non riuscì a fare.
-Fara…non posso…credimi, non posso proprio…io…io…io ti amo, Faramir! Ti amo e non sai quanto sia stato felice nello scoprire che tu provi lo stesso per me, ma non possiamo stare insieme, e lo sai…-
-No, non lo so! Perché? Io amo te e tu ami me! Che ostacolo potrebbe mai esserci?- chiese il ragazzo più giovane, senza rendersi conto che la sua voce si era ormai ridotta a un lamento sommesso.
-Lo sai anche tu, molto meglio di me…lo sai che se nostro padre lo venisse a sapere per me e per te sarebbe la fine. Tu verresti allontanato non solo da Minas Tirith, ma da Gondor, e io non posso permetterlo, perché senza di te non ho più l’aria e non ho più il sole…-
-Bori, sei stato tu ad insegnarmi che non devo dare peso a ciò che nostro padre dice o fa nei miei confronti! Perché adesso dovrebbe importarmene? Ce ne andremo, insieme…ci rifugeremo da qualche parte e cominceremo la nostra vita, insieme…affronteremo le difficoltà, sorreggendoci l’un l’altro…-
-Fara, è quello che abbiamo sempre fatto…cosa cambierebbe?-
-Cambierebbe questo…- sussurrò il fratello minore.
Poi, avvicinatosi pericolosamente alle labbra dell’altro, vi posò un bacio lieve come una carezza, che ebbe però il potere di scuotere Boromir più di mille scosse elettriche, mentre il cuore di entrambi batteva talmente forte da mozzare loro il respiro. Era finalmente accaduto: il sogno di entrambi si era avverato: erano stretti in un abbraccio dolcissimo, abbandonati alle dolci onde della passione, mentre le loro bocche si sfioravano, cercandosi e poi allontanandosi all’improvviso, per poi tornare ad incontrarsi in una danza di mille e più baci impalpabili, finché la dolcezza non fu sostituita dal desiderio, che li spinse più oltre…almeno fino al momento in cui il più grande non decise che era il caso di fermarsi.
-Basta…- bisbigliò appena.
-No!-
-Fara…io…-
-Non parlare, amore, non parlare…-
-Faramir, stiamo sbagliando!-
-Per i Valar, cosa c’è di sbagliato nell’amare qualcuno?-
-Non è quello…e che non voglio che poi nostro padre venga a saperlo, perché saresti in pericolo, capisci?-
-No, non lo capisco!-
-Oh, Valar…mettiti nei miei panni: non ti rendo conto che così mi è ancora più difficile lasciarti andare?-
-E allora non farlo! Nessuno ti obbliga! Ho sempre portato sulle mie spalle sia il peso delle mie azioni, sia il peso di quelle altrui…è come un’abitudine: un peso in più non mi cambierebbe nulla!-
-No…no, basta…Faramir, dimenticati di quello che è successo, te ne prego!-
-Lo farei ad una sola condizione: solo se tu mi giurassi che quel bacio di prima non ti ha incendiato l’anima, solo se tu fossi pronto ad ammettere che potresti rinunciare a tutto quel rimescolarsi di sensazioni che abbiamo provato poco fa, solo se mi dicessi senza mentire che riusciresti davvero a fare a meno di tutto ciò…-
-Mi chiedi qualcosa di impossibile, lo sai meglio di me...-
-E allora non cercare più di allontanarmi…stringimi forte e tienimi con te per sempre…-
-Sei…sei…sei un ricattatore, il più adorabile ricattatore che io abbia mai conosciuto!- sorrise Boromir, finalmente sereno, tirando un lungo sospiro misto a rassegnazione e sollievo.
-Questo significa che accetti?- lo provocò il fratello, ben sicuro della risposta che le sue orecchie avrebbero udito.
Ma non ci fu risposta, solo un altro bacio profondo, atteso, insperato, e talmente desiderato che ora ad entrambi sembrava tutto un sogno, un futile gioco della loro mente. L’unico suono che si poteva avvertire era quello dell’amore incondizionato, senza riserve, puro come il cuore di un bambino o di una vergine bianca. In quel momento, per i due uomini, non c’erano altro che i loro corpi desiderosi di attenzioni, le loro mani strette insieme a sancire quell’unione indissolubile, appena nata eppure già così forte, i loro respiri affannosi e la loro felicità ritrovata dopo giorni di tumulto interiore e di paura.
-Devo prendere questo gesto come un “sì”?- domandò innocentemente Faramir.
-A meno che tu non desideri il contrario…-
-Non c’è pericolo! Piuttosto, forse sarebbe il caso che ci levassimo di qua! Se passa nostro padre…-
-Abbiamo la porta della mia camera dietro le spalle…tu cosa ne dici?-
-A me andrebbe bene anche il gabinetto, pur di stare con te.-
-E visto che la mia stanza è molto meglio di un gabinetto…- affermò Boromir, voltandosi di malavoglia per aprire l’uscio ed entrare nel locale, seguito naturalmente dal fratello.
Non appena furono dentro ed ebbero chiuso la porta a chiave, si gettarono sul letto, dimentichi del fatto che ormai era ora di pranzo e che gli ospiti forse li stavano attendendo per iniziare a mangiare. In quegli istanti importava solo di poter finalmente essere vicini, dopo tante sofferenze, dopo tanto dolore, dopo tante paure che un solo gesto aveva soffiato via, quasi quelle non fossero state altro che minuscoli granellini di polvere. Ora c’era solo gioia, il sole aveva invaso quella camera, e i due uomini inspirarono a pieni polmoni quella nuova aria, non più stantia, non più claustrofobicamente viziata…era l’aria di chi amava, e loro si amavano.
Rimasero a lungo in silenzio, abbracciati, stesi su quel grande letto che tante volte li aveva visti insieme, anche se solo in veste di fratelli, alternando momenti di totale immobilità e pace a momenti di passione sfrenata, in cui labbra e corpi diventavano incandescenti…in breve si accorsero di non poter più stare l’uno senza l’altro, e venne loro naturale domandarsi mentalmente con quale straordinaria forza d’animo avessero resistito fino ad allora, senza impazzire. Quella domanda però, lo sapevano entrambi, non avrebbe mai trovato risposta…o quasi mai. Forse col tempo sarebbero riusciti a spiegarselo, ma per il momento non restava loro da fare altro se non lasciarsi completamente andare, senza curarsi del domani, e vivendo attimo per attimo, giorno per giorno.
Tra un bacio e una carezza, comunque, era già passata una buona mezz’ora, e i due sarebbero stati capaci di andare avanti a quel modo ancora a lungo, se non fosse stato che una domanda di Faramir li fece separare, permettendo così che entrambi riprendessero un po’ di fiato.
-Bori, mi chiedevo…quando l’hai capito?-
-Quando ho capito cosa?-
-Di amarmi…-
-Beh, credo…credo di averlo sempre saputo, alla fin fine…non so da quando ne sono cosciente, so solo che dentro di me credo di averti sempre amato, forse perché desideravo compensare la totale mancanza di affetto che ti regnava attorno, e ho finito per legarmi a te così tanto che ora…eccomi qua!-
-Uhm, io no…io…io sentivo qualcosa per te, già da moltissimo tempo, ormai, ma non riuscivo ad identificarlo. Sapevo che di amore si trattava, ma ero talmente chiuso da non volerlo ammettere a me stesso, e così ho tentato di convincermi che era solo suggestione, ma…hai visto anche tu che non è così! Poi però qualcuno mi ha aiutato a fare chiarezza.-
-Chi?-
-Un ragazzo…avrà avuto sedici anni, non di più…però era molto saggio. Avresti dovuto vederlo: se non fosse stato per i capelli troppo corti, l’avrei scambiato per un elfo. È stato lui ad aiutarmi…non ha fatto molto, a dir la verità: mi ha ascoltato con attenzione e mi ha aperto gli occhi su alcuni punti che io tralasciavo, cosicché alla fin fine le risposte me le sono date da solo…-
-Era uno degli ospiti del ricevimento?-
-Non lo so…sinceramente ieri sera non l’ho visto, ma forse tu ci hai parlato: ha detto di chiamarsi Darsiel, e ha aggiunto che era venuto ad aiutarmi per conto della sua amica Isethril…magari…-
-Darsiel ed Isethril, hai detto?- chiese Boromir, parecchio stupito.
-Sì, perché?-
-Isethril è il nome di quella bambina, ricordi? Ricordi la mattina di due giorni fa, quando sono arrivato nella sala della colazione tutto trafelato, chiedendoti se erano arrivati ospiti? Ricordi che ti ho parlato di una bambina bionda, una certa Isethril?-
-Sì…ora rammento! Quando Darsiel mi ha detto che era venuto da me su richiesta di Isethril, questo nome mi è suonato familiare, ma non riuscivo a ricordare dove l’avessi già sentito…adesso ho capito, però!-
-Ma scusami, ora sono io che non capisco: di preciso, che aspetto aveva questo Darsiel?-
-Beh,un bel ragazzo…alto, slanciato, vestito di bianco…-
-Niente ali? Nessuna traccia di orecchie a punta???-
-Bori, sei sicuro di stare bene? Perché mai…?-
-Perché quando Isethril venne da me mi parlò del suo folletto, e mi disse che si chiamava Darsiel…capisci?-
-Stai scherzando?-
-Nemmeno un po’!-
A questo punto, i fratelli si guardarono negli occhi, stupiti, nel tentativo di raccapezzarsi: insomma, stavano parlando delle stesse persone, ma…
In quell’istante, Boromir sentì uno strano rumore, come di carta stropicciata, e si mise a cercare qualcosa di sconosciuto esattamente nel punto dal quale era provenuto lo strano suono: sotto al cuscino sul quale era appoggiato, infatti, stava una busta immacolata, sigillata con della ceralacca rossa. Come era finita quella lettera lì sotto? Non lo sapeva, e per cercare di far luce sul mistero afferrò la missiva e se la rigirò tra le mani, nella speranza di trovare un indizio. Tuttavia, l’unica cosa che trovò fu la scritta “Per Faramir e Boromir”, tracciata in bella grafia sul dorso della busta.
Sempre più sconcertato, l’uomo si voltò in direzione del fratello minore, mostrandogli ciò che aveva trovato.
-È per noi…non so come sia arrivata sotto i cuscini, e non mi interessa…la apriamo?-
-C’è una buona ragione per cui dovremmo fare a meno d farlo?-
-No…-
-E allora aprila, magari è importante!- suggerì Faramir.
-Ma è per entrambi!- protestò Boromir.
-E allora aprila e poi leggimela…-
-Va bene!-
Detto questo, il preferito di Denethor aprì con delicatezza la busta e ne estrasse il contenuto. Scorse brevemente i fogli che vi trovò all’interno, e poi cominciò a leggere ad alta voce. La missiva diceva più o meno così:
Carissimi Boromir e Faramir,
chi vi scrive è Isethril, in compagnia di Darsiel, che sta facendo il supporto morale. Sono felice che alla fine i vostri sentimenti abbiano avuto il sopravvento sulla ragione: si vede lontano un miglio che siete nati per stare insieme, e vedervi soffrire perché convinti di provare un amore non ricambiato ha spinto Dama Galadriel a chiederci di intervenire.
Forse vi starete chiedendo cosa abbia a che fare la Signora della Luce con tutto ciò: dovete sapere che io e Darsiel siamo gli ultimi due esponenti di una specie particolare di folletti, discendente dagli elfi (dai quali abbiamo ereditato i capelli biondi e gli occhi chiari). Quando eravamo ancora piccoli la magnanima signora ci accolse presso di sé, crescendoci come figli suoi, e per questo le saremo eternamente grati. Così è stato proprio per dimostrarle la nostra gratitudine che abbiamo accettato di darvi quella spintarella necessaria a far sì che vi chiariste e che finalmente vi lasciaste andare ai vostri sentimenti. Infatti, la sposa di Sire Celeborn ci disse che avrebbe desiderato aiutarvi, ma che aveva bisogno di due “figure estranee” per agire, in quanto se lei si fosse immischiata personalmente voi avreste potuto non gradire. Inoltre era invitata a palazzo per festeggiare il ritorno di vostro padre, e quindi non avrebbe potuto recarsi a Minas Tirith se non per il giorno previsto, visto che presentarsi in anticipo sarebbe stato estremamente scortese.
Comunque sia, facendo quanto richiesto abbiamo assunto sembianze diverse dalle nostre solite: sia io che Darsiel siamo adulti, e abbiamo pensato che ringiovanendoci vi sareste meglio fidati di noi. I fatti alla fine ci hanno dato ragione, ed ora stiamo gioendo molto più di quanto non possiate credere. L’unica cosa che ci rincresce e di non avervi salutati personalmente, ma ormai la nostra presenza non era più necessaria e non saremmo certo passati inosservati se fossimo rimasti a palazzo.
Ora vi salutiamo, lasciandovi i nostri migliori auguri per un bellissimo futuro insieme. Speriamo di potervi rivedere, e forse un giorno questo nostro desiderio si realizzerà. Nel frattempo, non ci resta altro da fare che rinnovarvi i nostri auguri.
Arrivederci, e buona fortuna.
Vostri
Isethril e Darsiel
Boromir finì in fretta di leggere la missiva, e poi la consegnò al fratello perché le desse un’occhiata.
-Non trovi che siano stati carini?- commentò Faramir sorridendo.
-Molto. Sai, non avrei mai creduto che Isethril…insomma, un po’ mi dava da pensare: non dimostrava più di dieci anni e parlava con una maturità paragonabile alla nostra…. Darsiel invece mi ha stupito! Non credevo che esistesse veramente: la piccola Isethril si comportava come se si fosse trattato di un suo amichetto immaginario…-
-Eh eh…-
-Cos’hai da sogghignare?-
-No, niente…solo, mi veniva da ridere a pensare a te che assecondi i capricci di una bambina…non sei proprio il tipo…-
-Dubiti forse della mia capacità di trattare con i piccoli? Guarda che so essere molto paziente e dolce, se voglio…-
-Posso avere l’onore di una dimostrazione?- domandò Faramir con aria maliziosa.
-Quando vuoi…-
-Anche subito, allora!-
Il più giovane non fece in tempo a finire la frase che si ritrovò stretto fra le braccia dell’altro, mentre le labbra di questo salivano lentamente, passando dalla clavicola, al collo e poi su, fino a giungere la tanto ambita meta, quella bocca tanto maliziosa quanto saggia, sensuale e casta allo stesso tempo…. I due uomini si persero in un bacio senza tempo, che li trasportò in una dimensione nuova, dove non esistevano doveri, parentele più o meno scomode, pregiudizi o quant’altro, solo loro e il loro amore, solo la danza tribale dei loro cuori assetati del più bello dei sentimenti.
In breve i fratelli si ritrovarono a rotolarsi sul letto, in una dolcissima lotta per una supremazia in realtà del tutto inesistente, e così facendo non si accorsero di aver urtato involontariamente il foglio di carta che i due folletti avevano loro lasciato: la lettera si librò in aria, volteggiò per qualche secondo, scendendo sempre più in basso, seguendo una traiettoria circolare, e infine si posò a terra senza un rumore.
Nell’istante esatto in cui la pagina toccò il tappeto che ricopriva il pavimento, questa si dissolse, infrangendosi e frammentandosi in mille e più piume candide che, sospinte da una brezza arcana, si alzarono danzando attorno al letto, odalische sinuose risplendenti di magia.

La porta si aprì con un leggero scricchiolio, che tuttavia non ebbe il potere di destare il dormiente. Una figura avvolta dall’ombra si addentrò nella stanza da letto, quella stanza che ormai conosceva in ogni suo più piccolo e insignificante dettaglio. Una lama di luce a fatica si era insinuata tra le due tende che coprivano la finestra, ed ora si rifletteva sul pavimento in un continuo gioco di luce cangiante. Una seconda figura si trovava nella camera, rannicchiata nel letto e avvolta da un ammasso informe di lenzuola e coperte varie, nonostante il caldo. Si poteva chiaramente distinguere il ritmo regolare del respiro di colui che stava riposando, dato dal ritmico sollevarsi e abbassarsi di quel groviglio senza capo né coda.
L’intruso avanzò piano, in religioso silenzio, attento a non produrre rumori molesti che potessero in qualche modo dare fastidio alla persona che giaceva addormentata, oltrepassò a questo modo il letto e, giunto ad una sufficiente distanza dai cortinaggi ne afferrò un lembo per parte e tirò, scostandoli e permettendo alla luce del mattino di illuminare l’ambiente. Uno dei tanti raggi entrati, poi, andò a baciare il volto del ragazzo addormentato rivelandone i lineamenti stupendi, eleganti e raffinati, resi ancora più fini dal rilassamento del sonno.
Boromir osservò la figura del fratello, beandosi di quella visione splendente e ringraziando i Valar per avergli concesso la fortuna di poter godere di tutto l’affetto che quella straordinaria creatura sapeva elargire con tanta facilità. Respirò profondamente: non sapeva se svegliare quel viso d’angelo subito o se attendere qualche istante. In fondo, per i canoni di Faramir, le nove e mezzo del mattino erano ancora l’alba! Decise comunque di optare per la prima scelta: non vedeva l’ora di potersi specchiare in quei pozzi celesti, di poter assaggiare le sue labbra, di poterlo coccolare e straviziare come si fa con un bambino piccolo. E soprattutto, non vedeva l’ora di sentirsi ripetere con quella voce pacata e cristallina di valere, per il suo amore, ancor più della sua stessa vita. Era stupendo: non si era mai sentito così importante, nonostante le continue premure del padre, che si era costantemente adoperato per non fargli mancare nulla. Si sentiva sempre al sicuro, protetto, riscaldato da un fuoco che non scotta…ed era così da quasi due mesi, ormai. Due mesi…due mesi erano passati da quando lui e Faramir avevano finalmente deciso di vivere il loro amore, senza più angosce e preoccupazioni. Ed erano stati i due mesi più belli della loro vita.
Allontanandosi da queste riflessioni totalmente fuorvianti, Boromir si avvicinò con cautela al letto, si chinò piano e posò un leggero bacio sulla bocca del fratello: l’azione ebbe l’effetto desiderato, perché subito quello si mosse, anche se leggermente, e dopo pochi secondi spalancò anche le sue iridi cerulee, con il risultato che appena vide chi era chino su di lui, il suo volto si accese di un radioso sorriso.
-Buongiorno amore!- lo salutò Boromir, prima di baciarlo di nuovo.
-Buongiorno a te! Sdraiati un po’ qui! Fammi compagnia!-
-Sei impazzito??? Sai che sono quasi le dieci del mattino?-
-L’hai detto tu: “quasi”. E quasi a casa mia ha un solo significato. Visto che comunque non sono ancora le dieci…-
-Ti sto viziando troppo!- sentenziò Boromir con uno sbuffo, infilandosi con aria sconfitta sotto le lenzuola del letto del fratello.
-E secondo te è un male?- provocò Faramir, ottenendo come risposta il terzo bacio della mattinata.
-No, credo di no…-
-Credi o ne sei convinto???-
-Non è un problema urgente. Piuttosto…è una così bella giornata! Ho voglia di fare qualcosa, ma non mi viene in mente niente di abbastanza interessante…-
-Potremmo rimanere a letto tutto il giorno…-
-Fara, e chi lo spiegherebbe a nostro padre?-
-Che c’entra lui adesso?-
-Penso che daremmo abbastanza nell’occhio se non ci presentassimo né a colazione, né a pranzo né a cena!-
-Uffa…però in fondo hai ragione! E poi tu avrai i tuoi impegni…-
-Nessun impegno! Ho deciso di prendermi una giornata libera…per stare con te.-
-Non dovevi…guarda che potevo benissimo aspettare stasera!-
-Non ti credo…-
-Fai a meno!-
-Antipatico!-
-Senti chi parla!-
-Seriamente parlando…cosa vorresti fare?-
-Bori, ho paura che se te lo dicessi non usciremmo più di qui…-
-Ma come siamo provocanti stamattina!-
-Mi hai chiesto tu cosa vorrei fare…uhm, però…però…pensandoci bene, ti ricordi quando mi hai detto che ti sarebbe piaciuto leggere uno dei miei libri?-
-Sì, ma…non capisco dove vuoi arrivare!-
-Se ci vestissimo, andassimo in giardino con un libro e ti leggessi qualcosa?-
-Faramir, non sono un bambino! Sono capace di leggere anche da solo!-
-Ma fino a prova contraria sei stato tu a dire che appena prendi in mano un libro ti addormenti…ma se la storia te la leggessi io…-
Boromir si fermò un attimo a riflettere: in fondo non era un’idea malvagia…sarebbe stato come un ritorno all’infanzia, quell’infanzia che sia lui che suo fratello non avevano mai avuto. E poi sarebbe stata un’occasione per stare insieme più unica che rara: nel giardino interno infatti nessuno metteva piede, solitamente, tranne loro due. Avrebbero potuto passare la mattinata come meglio desideravano senza essere disturbati, con la certezza che nessuno li avrebbe seguiti: finalmente avrebbero potuto respirare la libertà, avrebbero potuto fare a meno di guardarsi alle spalle con il timore che qualcuno li stesse spiando per poter riferire tutto quanto a Denethor. Sì, era decisamente una grande idea.
-Bori, sei ancora vivo?- lo chiamò Faramir.
-Ah, sì…ci sono, ci sono!-
-Allora, cosa hai deciso? Ti va la mia proposta?-
-Decente…-
-Solo decente? Ti dirò che mi aspettavo un po’ più di entusiasmo, fratellone!-
-Ma è possibile che tu in vent’anni non abbia ancora imparato a capire quando scherzo?-
-Possibilissimo!-
I due continuarono a punzecchiarsi ancora per un po’, finché, stanchi e a corto di idee su come prendersi in giro, si separarono: Boromir tornò in camera sua per vestirsi e sistemarsi, lasciando così il tempo a Faramir di fare altrettanto.
Quando si ritrovarono in corridoio, si lanciarono uno sguardo di pura ammirazione: il maggiore indossava, sopra i pantaloni neri, una bella tunica estiva cremisi, ornata da profili dorati, mentre il minore portava una semplice tunica verde abbinata a un bel paio di calzoni scuri. Nonostante gli abiti semplici, però, erano entrambi molto affascinanti. Avevano qualcosa che li rendeva simili a figure epiche: forse i tratti tipicamente nobili, o forse il portamento fiero, o magari gli sguardi severi ma carichi di una moltitudine di sentimenti davvero impressionante. Il sole, poi, contribuiva a renderli simili a immagini semidivine, donando loro un’aura aranciata che emanava benessere e calore, oltre che grande potenza. Erano talmente belli che, quando si incamminarono silenziosamente alla volta del giardino, più di qualche cameriera o sguattera si voltò a guardarli, rimanendo poi totalmente imbambolata e incapace di qualsiasi pensiero o gesto coerente. Ed in tutto questo insieme, la loro completa incoscienza del fascino che esercitavano li rendeva stupendamente irraggiungibili, come proiezioni di sogni velati d’oro e d’argento, come i raggi lunari, come un miraggio.
-Fara, secondo te perché tutte le cameriere si girano a guardarci?- chiese Boromir, in imbarazzo a causa di tutti gli sguardi che sentiva puntati su di sé.
-Perché si sono accorte di quanto sei bello…ah, ma che non pensino di attentare alle tue virtù! Tu sei mio, e di nessun altro, sai? E guarda che potrei diventare molto, ma molto geloso!-
-Ma non c’è nessun motivo di essere geloso! Tanto io guardo solo te, degli altri non mi interessa! Cambiando argomento, invece: che libro hai in mano?-
-Uhm…è un racconto cavalleresco: è la storia di un semplice cavaliere che si innamora della solita principessa irraggiungibile, data la disparità della condizione sociale…la trama è scontata, certo, ma è molto bella e scritta bene. Vale la pena di leggerla. Bori? Bori, ma mi hai ascoltato si o no?-
Boromir, infatti, non aveva seguito una parola del discorso del fratello, troppo preso ad osservare il movimento delle sue labbra, le delicate carezze delle sue mani sulla copertina del volume rilegato, i capelli particolarmente splendenti sotto i raggi del sole che penetrava da feritoie e finestrelle varie. In un certo qual modo si sentiva in soggezione: gli pareva di trovarsi al cospetto di un bellissimo angelo, e proprio non gli riusciva di togliergli gli occhi di dosso. La distrazione, però, gli fu fatale: troppo preso a guardare ciò che faceva l’uomo al suo fianco, non prestò la minima attenzione a dove stava mettendo i piedi, e ben presto inciampò, complice la strettissima fessura tra due delle lastre marmoree che pavimentavano il corridoio, nel quale si era leggermente impigliato il suo stivale. L’unico risultato che si riuscì a ricavare da tutto questo fu Boromir sgraziatamente steso per terra che tentava di rimettersi in piedi e Faramir che, abbandonato ogni nobil contegno, rideva come un ossesso, tanto che gli vennero le lacrime agli occhi e anche un sonoro mal di pancia.
-Non ci trovo nulla di divertente, per l’amor del Cielo!- inveì il maggiore.
-Ma io sì…dovevi vederti!- replicò l’altro, tentando invano di riprendere il suo atteggiamento composto, senza tuttavia riuscirci.
-Grazie! Vuoi provare tu?-
-No, no…mi basta vedere te! Valar, che ridere! Non ce la faccio più!-
-Guarda che non mi offendo mica se la smetti, sai?-
-Ma è più forte di me! Cerco di non pensarci, ma continua a venirmi in mente la tua faccia sconvolta e finisco per scoppiare!-
-Tsk! Fratello degenere! Invece di darmi una mano mi sbeffeggi! Ma tu guarda…-
-Ok, va bene, la smetto! Scusami, ma anche tu ti saresti messo a ridere se avessi visto ciò che ho visto io!-
-Va bene, d’accordo! Mandami un piccione viaggiatore quando credi di esserti rimesso!-
A parte questo incidente, il resto del tragitto proseguì senza intoppi di sorta, anche se Faramir ogni tanto si copriva la bocca con una mano per nascondere una risatina al pensiero di quello che era avvenuto poco prima.

-Direi che qui può andare!- sentenziò il ragazzo più giovane, lanciando uno sguardo al compagno, in cerca della sua approvazione.
-Sì, anche secondo me…è un bel posticino, all’ombra, riparato dal caldo…mi piace, sì-
-Perfetto allora.-
Detto questo i due uomini si sedettero. Avevano scelto di appartarsi all’ombra della chioma di una grande quercia secolare, che si ergeva in tutta la sua maestosa altezza proprio al centro del giardino. Attorno, poi, c’erano altri alberi e cespugli carichi di fiori variopinti. L’erba in quel punto era particolarmente morbida, tanto che, di comune accordo, era stato deciso di non usare nemmeno la coperta che si erano portati dietro. Inoltre il prato era asciutto, visto che erano parecchi giorni che non pioveva, e quindi non sussisteva nemmeno il rischio di macchiarsi i vestiti. Così Faramir, che doveva leggere, si sedette sull’erba appoggiandosi con la schiena al tronco nodoso dell’albero, mentre Boromir si spaparanzò lungo disteso, col capo appoggiato alle gambe del fratello.
-Bori, sei sicuro di non addormentarti, così?- gli chiese il più piccolo, dopo essersi chinato per dargli un dolce bacio.
-Sì, sì…non ho sonno, non so come potrei dormire…-
-Ah, non lo so nemmeno io: per me è inconcepibile che qualcuno si addormenti durante la lettura!-
-Per te, che in vent’anni ti sei praticamente divorato la biblioteca di famiglia…ma io non sono mai stato abituato a leggere, non ho mai avuto una forte passione per i libri…le storie mi piace ascoltarle, non leggerle.-
-Va bene…continuerò a non capirti in eterno!- sentenziò il secondogenito di Denethor, prima di seppellirsi dietro il grande volume dalla copertina nera, incisa in caratteri dorati.
Cominciò così a leggere, con voce suadente e melodiosa, cercando di rendere come meglio poteva i sentimenti, gli stati d’animo, i pensieri e anche i gesti dei personaggi, sia di quelli principali che delle pure e semplici comparse. Attraverso di lui, chiunque fosse passato di lì anche solo per puro caso sarebbe riuscito ad immaginare nei più minimi dettagli le scene che si susseguivano su carta, pur non avendo seguito la vicenda dall’inizio, creandosi mentalmente un enorme arazzo in cui si muovevano tutti i protagonisti, e nel quale ogni filo, intrecciato ad un altro, rendeva la trama del racconto, che andava man mano delineandosi.
Ogni tanto Faramir si interrompeva per qualche secondo, e staccava gli occhi dalle pagine per osservare il fratello, trovandolo a volte con gli occhi spalancati, come in estasi, ed altre volte con le palpebre socchiuse, quasi stesse cercando di afferrare un’immagine dai contorni ancora troppo grossolani per poter essere compresa e memorizzata.
Quando poi riprendeva a narrare, si immergeva completamente anche lui tra le pagine bianche, tanto da perdere la cognizione dello spazio e del tempo. Era sempre stato così, fin da quando era bambino. Non ricordava di preciso chi gli avesse insegnato ad amare i libri, chi gli avesse svelato i mille e più segreti della lettura, chi lo avesse iniziato a tale arte sopraffina, ma si ripeteva in continuazione che, chiunque fosse stato, era degno di un riconoscimento ufficiale. Spesso, infatti, il giovane provava a immaginare come potesse essere la sua esistenza senza il piacere di quelle pagine fruscianti odorose di carta antica: non gli era facile pensarci. La sua vita era già abbastanza miserevole, se poi gli fosse anche stato proibito quell’unico diletto…forse sarebbe impazzito, o forse si sarebbe lasciato scivolare sempre di più nell’ombra della non-vita, si sarebbe lasciato trascinare dagli eventi molto più di quello che già non faceva, e forse tutto questo l’avrebbe portato sull’orlo del suicidio. Ma la crudele fortuna, alla fin fine, si dimostra sempre benevola con i meritevoli: ora attorno a sé vedeva solo il sole, aveva trovato la sua metà mancante, chi fosse in grado di completarlo perfettamente, amandolo per ciò che era, con pregi e difetti, senza tentare di imporsi e di cambiarlo, e allo stato attuale delle cose poco gli importava che questa persona avesse il volto del fratello.
All’improvviso, un mugolio sommesso recise il filo dei suoi pensieri agrodolci. Non sapendo chi o che cosa avesse emesso tale suono, alzò le sue stupende iridi turchine dalle pagine e si sporse oltre il lembo del suo romanzo, con l’occhio vigile e attento di chi sta cercando qualcosa pur non sapendo di cosa si tratti e non conoscendone quindi l’aspetto. Ma questo fantomatico aspetto gli era molto più familiare di quanto avesse mai osato credere: colui che aveva infatti emesso quel suono qualche istante prima, altri non era che Boromir il quale, complici la calura, la voce e il calore rassicuranti del fratello e il quasi completo silenzio che regnava, non aveva trovato nulla di meglio da fare che addormentarsi, rannicchiato sul fianco sinistro, con il capo ancora posato sulle gambe di Faramir.
Quest’ultimo, constato che non c’era nulla da fare con quello zuccone del suo amore, posò il testo sul prato, si chinò in avanti e, dopo aver deposto un leggero bacio, più simile ad una carezza, sulle sue labbra di rosa, con le dita sfiorò quasi in trance i biondissimi capelli del suo tesoro più prezioso, chiudendo gli occhi per gustare appieno ogni sensazione derivante da quel contatto così semplice eppure così carico di un significato ancora troppo grande per poter essere compreso.
-Per fortuna che avevi detto che non ti saresti addormentato…sei sempre il solito…ma in fondo ti amo anche per questo…comunque sia, riposa bene, tesoro mio…- sussurrò appena, rivolto più a se stesso che a Boromir.
Nel frattempo, ignare di tutto, due cinciallegre di ritorno dal loro migrare invernale si erano appollaiate placidamente su uno dei rami più bassi della gigantesca quercia, osservando dalla loro postazione privilegiata tutta la scena, l’una accanto all’altra, ed avevano poi intonato un dolce canto di gioia, che non era ben chiaro se volesse celebrare la loro felicità o quella dei due fratelli. Tuttavia il loro allegro cinguettio si era fatto ben presto talmente rumoroso che Faramir, temendo che quella melodia stupenda potesse destare il fratello, aveva alzato lo sguardo verso i due piccoli uccellini e si era portato un indice alle labbra, in un tacito ordine di fare silenzio, mentre sul suo viso affiorava ancora una volta un sorriso che fece impallidire il sole.

Nell’ombra dell’angolo buio del portale che dava accesso al giardino, una figura immersa nell’oscurità stava scrutando con occhio avido tutto quanto stava avvenendo all’esterno, mentre nella sua mente mille e più domande si susseguivano senza pace alcuna.
Come aveva potuto? Come aveva osato quel piccolo demonio rubargli il figlio tanto amato? Con quale strana alchimia lo aveva soggiogato? Quel piccolo, ingrato, lurido bastardo…. Sorrideva, godendosi i suoi miseri attimi di felicità…e gli sarebbe convenuto sorridere finché avesse potuto, perché non lui intendeva tollerare un simile comportamento. Gli aveva strappato la moglie, gli aveva strappato il figlio…se avesse continuato così in breve avrebbe potuto tentare di appropriarsi del regno. Quel sudicio repellente rifiuto umano, quell’errore della natura…non avrebbe dovuto nascere, non avrebbe mai dovuto godere della luce del sole…un parassita! Un parassita, solo quello poteva essere: era venuto al mondo strappando l’alito vitale dal petto di sua madre, e lui era stato così debole nella sua disperazione e nella sua depressione senza confini da affidarlo ad una nutrice. Ed ora, era così che veniva ripagato della sua compassione? Aveva sbagliato ad essere tenero di cuore, aveva sbagliato a credere che comunque era ingiusto uccidere un neonato!
Per lo meno avrebbe dovuto farlo chiudere nelle prigioni, non appena fosse stato abbastanza grande da poter mangiare da solo, ma non l’aveva fatto. E sapeva che in fondo, nemmeno la prigionia sarebbe stata sufficiente. L’unica cosa veramente giusta da fare sarebbe stata ucciderlo appena venuto alla luce…sicuramente avrebbe anche evitato gli scandali. Ma ora era troppo tardi…quel demonio schifoso l’aveva fatta franca, era riuscito a sopravvivere nonostante la pesantissima pressione psicologica che su di lui veniva esercitata. Quante volte aveva cercato, con le parole, di portarlo sull’orlo della follia e di spingerlo al suicidio? Non lo ricordava nemmeno, aveva perso il conto…purtroppo però nessun espediente aveva funzionato. Quell’ignobile rifiuto aveva dimostrato di essere tenace come la mala erba, e man mano che il tempo trascorreva, trovare una soluzione diventava sempre più difficile.
-Maledetto, maledetto schifoso…goditi pure la tua felicità…ma un giorno me la pagherai, lo giuro, dovesse essere l’ultima cosa che faccio in vita mia!- sibilò Denethor all’indirizzo di Faramir, troppo lontano da lui perché potesse sentirlo, prima di voltarsi con un leggero fruscio del mantello e di scomparire inghiottito dall’oscurità dei corridoi.

Faramir, ignaro di ciò che era accaduto chiuse gli occhi e inspirò profondamente, godendosi l’aroma fiorato dell’estate. Poi osservò il cielo: sereno, senza nemmeno una nuvola. Chissà, forse anche il suo amore sarebbe rimasto per sempre sereno…non lo sapeva, non poteva fare previsioni al riguardo, e in fondo nemmeno gli importava, perché ora aveva finalmente coronato quel suo arcano sogno vestito d’oro.


Fine

NOTE POST-FIC: Ufuf…è finita! E mi dispiace tantissimo! In fondo mi ero affezionata a questa storia, ci ho lavorato per più di un mese e mezzo e ho cercato di metterci tutto quello che ho dentro. Prima di salutarvi, però, mi sembra doveroso aggiungere alcune cose. Innanzitutto, la storia non è venuta come la volevo, o meglio: non è venuta come io l’avevo progettata. Ero partita con un’idea in testa completamente differente da questa, ma poi quando ho cominciato a scrivere i personaggi hanno cominciato ad agire per conto loro, ed io mi sono limitata a riportare le loro azioni o pensieri, ma senza essere totalmente cosciente di quanto ho scritto! Insomma, ho mandato i protagonisti allo sbaraglio, non sono stata capace di trattenerli, e così ne è uscito quello che avete appena finito di leggere…sono cosciente che sia un raccontino modesto, non di grandi pretese e scritto in un italiano non scorretto ma nemmeno brillante…solo che scrivere mi piace troppo, e quindi vado avanti, cercando di correggere i difetti…. Un’altra cosa che mi preme dire è che questo racconto è veramente introspettivo. È la prima volta che mi cimento in questo genere di storia, per cui non ho la più pallida idea di come sia venuta, se sia gradevole o terribile…per questo gradirei i vostri commenti, sia positivi (e quelli fanno sempre piacere), sia negativi (che aiutano tantissimo a migliorare, purché siano costruttivi e validamente motivati). Un’altra cosa: questa storia è stata un po’ una sfida con me stessa, non tanto per la lunghezza (è la prima volta che scrivo un racconto autoconclusivo così lungo!), quanto piuttosto perché è nata in un momento di crisi dovuto ad una terribile delusione che ho preso partecipando ad un concorso, in seguito al quale mi sono demoralizzata al massimo, e sono entrata in crisi mistica…perciò questo lavoro mi è stato molto utile…ho fatto un po’ come la fenice, sono rinata dalle mie ceneri…. Un’ultima cosa: questo lavoro è super-dedicato alle mie amiche speciali Fede e Ila-pyon, che oltre a sopportarmi quando comincio a sclerare di brutto, mi hanno dato una mano ad uscire dalla crisi…vi voglio un mondo di bene, ragazze! Siete uniche! Un altro grazie anche a tutti coloro che sono arrivato coraggiosamente fin qui e che vorranno o meno commentare! Siete speciali!
Selphie, the Forbidden Angel of Darkness

  
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