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Autore: LaMicheCoria    05/08/2012    1 recensioni
Peccato che la curiosità non potesse in alcun modo spiegare il perché, in quel momento, fosse seduto dietro la bimba a pettinarle i capelli. Molto probabilmente non era stato neanche lui a muoversi, ma l’insolazione gli aveva fatto bollire il cervello o, peggio, un luccio radioattivo lo aveva morso, prendendo il controllo sulle facoltà motorie.
Poteva essere plausibile.
Quale che fosse il motivo, Giorgio era lì, dietro di lei, e le passava il pettinino rosa fra le ciocche scure, lisce come la sete che Will era solito portare dalla Cina, nere d’ardesia con intrecci di un castano che ricordava fin troppo quello di Veneziano. Passava e ripassava i denti di plastica fra i capelli per toglierle la salsedine che li rendeva tanto ispidi, faceva scorrere la ciocca sul palmo e finiva per giocherellare con le punte ancora umide, lasciandole ricadere con dolcezza sulle spalle della piccola. Questa rideva tutta felice, cinguettando, sgambettando e pucciando i piedi nel groviglio d’acqua e schiuma delle onde genuflesse sulla battigia.

[A Eileen Shinigami]
[Personaggi: Giorgio Vargas di Seborga, Aurora "Zena" Vargas /(c) di Eileen/, Will Vargas /(c) Figlia/]
Genere: Fluff, Introspettivo, Slice of life | Stato: completa
Tipo di coppia: Nessuna | Personaggi: Nuovo personaggio, Principato di Seborga
Note: Missing Moments | Avvertimenti: nessuno
- Questa storia fa parte della serie 'Oldin Olidena'
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Disclaimer: I personaggi di Hetalia: Axis Powers non mi appartengono
Ma sono di proprietà di Hidekaz Himaurya ©
Allo stesso modo non mi appartengono i personaggi e le storie e il carattere di:
Aurora “Zena” Vargas (Genova) – Eileen Shinigami ©
Will Vargas (Liguria) – Figlia Elena ©

 

 

 

 

 

 

 

 

Alla nipotah che mi ha dato l’idea <3~

 

 

 

 

 

 

 

 

 

.: Ricordi di Salsedine :.

 

Sei uno stupido. Uno di quegli stupidi che sono talmente stupidi da non sapere nemmeno di essere stupido. Sei così stupido da non riuscire nemmeno a vincere la medaglia d’oro per la stupidità. Sei tanto stupido…
E via con altre, amene aggettivazioni di siffatta natura.
Non che Giorgio avesse una bassa considerazione della propria persona –Al contrario, ne aveva molta di più di quanto si confacesse ad una Micronazione non riconosciuta di trecentododici abitanti, tuttavia in quel momento non si sentiva affatto dell’umore per comporre un elogio squisitamente barocco delle sue qualità.
Più che altro, avrebbe voluto prendere uno di quei cocchi che gli strilloni strillanti e sudati vendevano sulla spiaggia e poi darselo in testa. Ma non il pezzetto minuscolo che ti servivano alla modica cifra di un euro: direttamente il secchio.
Perché, insomma, erano anni che non si sentiva più con quello schizzoide di Will. Anni che si considerava come un atollo in mezzo ad un mare di niente, arroccato nella propria torre eburnea di pesto e belin, con un passato di ombre che lui stesso aveva contribuito a creare. Non pensava alla Liguria, non pensava a niente.
Molto probabilmente l’ultima volta che aveva fatto l’errore di chiamarlo era stato per chiedergli quanti grammi di corxetti dovesse pesare per una persona sola.
E invece era lì, su quella spiaggia tutta sassi e scogli di Sori, praticamente chiuso a cozza sopra l’asciugamano a stelle marine, le ginocchia in gola tanto teneva le gambe strette al petto. Se ne doveva tornare in stazione, ecco cosa. Riprendersi borsone, cappello, crema solare, saltare sul primo Regionale diretto a Ventimiglia, scendere a Bordighera, aspettare la corriera tra un santo e una bestemmia e poi correre a casa e rinchiudersi in un bozzolo di coperte. Altro che rimanere lì con la bambina.
Will diceva di averla trovata mentre se ne stava sola e spaesata sulla spiaggia; l’aveva accolta con sè, attirata dal ricciolo fin troppo simile a quello dei Vargas e dal viso stranamente familiare, e l’aveva osservata accogliere nel cuore e nella mente l’intera storia dell’antica Genova, diventandone la personificazione a tutti gli effetti. Aveva solo sette anni.

Vieni a vederla.
Liguria non gli aveva detto altro e Seborga non aveva ancora capito se era stato un ordine, una richiesta..una preghiera.
Alla fine aveva accettato ed era andato fino a Sori, ma solo per curiosità, mica per un qualche sentimento affine con la piccola –Si era fatto quasi violenza pur di relegare in un angolo la spuma e le onde, i passi insicuri verso un richiamo muto, le cadute, l’altipiano, gli occhi di Liguria che lo osservavano divertiti da dietro un cespuglio..tutti ricordi di cui non aveva più bisogno da almeno cinquant’anni.
Peccato che la curiosità non potesse in alcun modo spiegare il perché, in quel momento, fosse seduto dietro la bimba a pettinarle i capelli. Molto probabilmente non era stato neanche lui a muoversi, ma l’insolazione gli aveva fatto bollire il cervello o, peggio, un luccio radioattivo lo aveva morso, prendendo il controllo sulle facoltà motorie.
Poteva essere plausibile.
Quale che fosse il motivo, Giorgio era lì, dietro di lei, e le passava il pettinino rosa fra le ciocche scure, lisce come la sete che Will era solito portare dalla Cina, nere d’ardesia con intrecci di un castano che ricordava fin troppo quello di Veneziano. Passava e ripassava i denti di plastica fra i capelli per toglierle la salsedine che li rendeva tanto ispidi, faceva scorrere la ciocca sul palmo e finiva per giocherellare con le punte ancora umide, lasciandole ricadere con dolcezza sulle spalle della piccola. Questa rideva tutta felice, cinguettando, sgambettando e pucciando i piedi nel groviglio d’acqua e schiuma delle onde genuflesse sulla battigia.
Seborga non si era presentato subito, anzi, per tutto il pomeriggio era rimasto ben distante da Will e dalla bambina; solo quando Liguria si era allontanato per un bagno veloce –Quel maledetto lo sapeva, sì, lo sapeva che lui era lì e, volente o nolente, avrebbe badato alla figlioletta adottiva- e aveva visto la bimba lottare con i capelli incrostati di salsedine, solo allora le si era avvicinato.

Faccio io le aveva detto con un sorriso che aveva sperato rassicurante. Con la fortuna che aveva doveva essergli uscita un’espressione degna da maniaco dei film horror.
La bambina l’aveva fissato per un po’ e poi si era girata con un saltello, cominciando a raccontargli di questo e di quello, dei racconti di leggendarie spiagge sabbiose e castelli che uscivano dai secchielli come per magia, di granchietti simpatici e paguri antipatici, di meduse mollicce e patelle puzzolenti.
E Seborga si era sentito tornare piccolo, quando Liguria lo faceva sistemare sulle sue ginocchia calde per le brache di lana pesante e cominciava a spazzargli i capelli per togliere ogni traccia di salino.

Siamo gente di Mare ripeteva sempre, mentre gli accarezzava la testa col palmo e le dita dure di calli Siamo nati dalle onde, il sale mica ce lo togliamo via facile come gli umani, belin!
Giorgio sorrise, sollevando il pettinino per dare un’altra passata.
Era un ricordo bello, che sapeva di mare e di malinconia, che si gonfiava nel cuore del seborghino come marea di tristezza e amore. Faceva male? Faceva bene? Non avrebbe saputo dirlo, però era una sensazione di completezza come non provava da tempo.
-Come ti chiami?- le chiese.
-Si chiama Aurora-
Il cuore gelò nel petto; Giorgio si voltò di scatto a guardare orripilato un Liguria grondante ancora d’acqua mentre si sedeva dietro di lui, allungava un braccio verso la figlia e le regalava un dolce buffetto sulla guancia.
-E’ una trovatella- continuò, mentre Aurora -Ormai stanca della seduta dal parrucchiera- si acciambellava in grembo al seborghino -..Proprio come te-
Seborga tentò di dire qualcosa, di ribellarsi, di alzarsi, andarsene per non rimanere, non annegare nella marea sempre più alta, sempre più forte. Non voleva più sentirsi legato a Liguria, non voleva più sentirsi costretto a rimanere un bambino. Lui era cresciuto, poteva continuare a crescere e l’avrebbe fatto.
Stava bene da solo. Non aveva bisogno di nessuno. Non di lui, non della piccola. Era Indipendente, ormai.
Se voleva levarsi il salino dai capelli andava dal barbiere all’angolo, anche se non aveva le brache di lana né il farsetto di velluto rosso.
-Ma guarda te…-
Giorgio s’irrigidì nel sentire la mano di Will sulla testa. Si rilassò subito dopo, quando Liguria sostituì alle dita i denti del pettine.
Anche se non avrebbe voluto, anche se non avrebbe dovuto.
-…Hai tutti i capelli incrostati di sale. Dai, faccio io-
-Mamma..- Aurora inclinò la testolina sul petto di Seborga e roteò gli occhi verso Will –Perché io, te e lo zio Giorgio abbiamo i capelli tutti appicicaticci di salino?-
Seborga sorrise e circondò la vita della bambina con le braccia, gli occhi chiusi: annegò nel buio, e nel riflesso scuro dei ricordi tornò a sentire lo scoppiettare del fuoco nel camino, il pizzicare del farsetto di Liguria contro la schiena, i calli che sfregavano contro la nuca e il calore della lana pesante.
Abbracciato alla piccola Genova si sentì finalmente meglio. Più tranquillo.
Meno solo.
-Siamo gente di Mare. Siamo nati dalle onde, il sale mica ce lo togliamo via facile come gli umani, belin!

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

Note Finali
Aurora chiama Will *Mamma* anche se è un maschio. Non è un amore?

   
 
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