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Autore: Cheche    06/08/2012    3 recensioni
“Non ti ho mai sopportata, sappilo. Anche adesso… volevo farti tacere. Ma ciò non vuol dire che tu per me non sia importante. Volevo farti capire chi è Sandra per me. Volevo farti capire che per qualcuno sarai sempre il centro dell’universo.”
[BlackthornShipping][Gameverse][Partecipa alla Challenge 'Six Prompts for Valentine' indetta da Akemi_Kaires sul forum 'Writer's Palace']
[Alla mia cara Amy, per il suo compleanno]
Genere: Fluff, Romantico, Triste | Stato: completa
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Lance, Sandra
Note: What if? | Avvertimenti: nessuno | Contesto: Videogioco
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Premessa: In questa storia ho cercato di inserire alcune caratteristiche comuni a molte persone. Se tenterete l'impresa di immergervi nella lettura di questa fic, spero riuscirete a rispecchiarvi in Sandra e Lance.
L'introduzione sarà piuttosto sbrigativa, in quanto l'avevo già scritta ma internet mi ha chiuso la pagina. Era molto lunga, e oggi ho scritto molto. Stavo preparando questa fic da circa una settimana, ma per oggi non l'avevo ancora completata e mancava un pezzo piuttosto consistente. Spero di aver fatto un buon lavoro, perchè Amy se lo merita e voi del Fandom meritate di leggere storie fatte bene. Spero che questa fic si possa annoverare tra di esse. Mi piacerebbe, se vorrete leggerla, che lasciaste un commento, che mi diciate cosa ne pensate. Se volete, ma mi aiuterete davvero tanto se lo faceste, e vi risponderei con molto lovv. (?)
Uff, la prima premessa era di gran lunga più seria di questa. Dunque, diciamo che volevo fare di nuovo gli auguri ad Amy (Akemi_Kaires) per il suo compleanno. La mia Mogliettina merita questo e tanto altro, e non vorrei perdere l'occasione per dimostrarle il mio affetto. Lo continuerò a fare con ogni gesto in mio potere. Questa fic è dedicata a lei.
Sono proprio prolissa. La mia fic ne è la dimostrazione tangibile!
Ad ogni modo, vorrei specificare che questa shot partecipa alla Challenge 'Six Prompts for Valentine' indetta sul forum Writer's Palace. Il prompt è comprensione.
Buona lettura. : D








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Closer
 

 
Le due del mattino erano scoccate da una manciata di minuti che nessuno si era premurato di quantificare. Il silenzio di una Ebanopoli serale, in quel freddo inverno, era totale e mai turbato da gorgheggi di animali notturni.
Quella calma assoluta era destinata a non durare. Sandra, Capopalestra della città, fece irruzione nella sua grande casa spalancando la porta con un secco strattone, dopo aver infilato la chiave nella serratura. L’uscio si aprì su un ambiente dall’arredamento spartano, in cui non si ravvisava alcun tocco femminile. Una borsetta in pelle volò sul sofà, seguita da un mantello un po’ sgualcito. I due oggetti rotolarono l’uno sull’altro, destinati ad essere temporaneamente dimenticati dalla loro padrona.
La Capopalestra era furiosa. Si notava perfettamente dal suo volto paonazzo che tratteneva a stento il pianto, dai capelli sconvolti da un’incursione incontrollabile delle sue stesse mani febbrili, dai denti digrignati che sembravano ingrossarle le mascelle in maniera inverosimile.
Non aveva neppure acceso la luce e i riscaldamenti. Si era immediatamente precipitata nel cucinino stringendosi nelle spalle per ignorare il freddo, concentrata com’era solo sulla propria rabbia e sul proprio dolore. Si era inginocchiata, aprendo uno sportello e rivelando una disordinatissima dispensa colma di prodotti probabilmente scaduti. Le sue mani tastarono ansiosamente il contenuto, buttando fuori ciò che non era di loro interesse. Una confezione di vini in tetrapak volò fuori dal suo caldo cantuccio, presto raggiunta da alcuni cartoni del latte e due pacchi di cracker prodotti da un’azienda fallita circa sei mesi prima.
La foga di Sandra si placò un poco quando le dita incontrarono finalmente le forme di un recipiente di vetro. Si trattava di una minuscola fiaschetta dalla forma tondeggiante e colma di un liquido trasparente. La Domadraghi restò a fissarla qualche secondo, finché gli occhi non si allargarono come per dare la prova tangibile della muta decisione di aprire quel dannato recipiente e riempirsi lo stomaco con il liquido al suo interno.
Bevve come sopraffatta dal desiderio di affogarsi con l’ardente liquore che le scivolava meravigliosamente lungo la gola. Ogni cosa che l’alcool toccava iniziava a bruciare, confortata. Quella bella e terribile sensazione si irradiò in men che non si dica in tutto il petto, e poi nel sangue, riscaldandola, tenendole compagnia.
La giovane si accorse ben presto di esserne spaventata. Con sgomento staccò le labbra dall’apertura della fiaschetta. Lei non era avvezza all’alcool, quell’oggettino non era stato messo da lei in quella dispensa. Posò il piccolo recipiente, poi si appoggiò al ripiano e si portò una mano alla tempia.Che ho combinato?
Ciondolò per casa strisciando contro il muro, cercando la sua stanza. Sbagliò strada e si ritrovò vicino all’ingresso. Accorgendosene, si sentì stanca. I suoi sensi erano alterati, impazziti. La porta di fronte a lei sembrava eseguire una danza dalla coreografia discutibile: prima si spostava a destra, poi a sinistra, si stringeva e si allargava senza criterio.
Esausta, sentendosi gli arti pesanti come fossero imbottiti di piombo, si lasciò cadere sul freddo pavimento di pietra, ben propensa a scambiarlo con il suo letto.
Meno male che sono sempre sola. Pensò, con i sensi annebbiati ma con la mente ancora lucida. Nessuno deve vedermi in questo stato.
Dall’istante in cui chiuse gli occhi, il tempo sembrò volare.
 
Odore di lenzuola. Sandra si allungò, e le sue ossa produssero un lieve schiocco. Si sentiva avvolta da una tiepida morbidezza che lambiva la sua pelle. Le labbra si piegarono in un sorriso beato e gli occhi si dischiusero. Non si era svegliata con quell’opprimente sensazione di solitudine che la assaliva ogni mattina. Era ancora buio, fuori dalla finestra il cielo aveva una sfumatura indaco scuro. Erano le prime luci dell’alba, quindi non erano ancora le sei, probabilmente.
Chiuse gli occhi di nuovo, ma si accorse che le palpebre prudevano. Non riuscì a tenerle abbassate un secondo di più, quindi le sgranò e puntò lo sguardo sulla parete adombrata. Eppure le era parso di aver dormito ben poco. Non  ricordava di essersi messa tanto comoda, quando era scivolata nel suo profondo sonno. Anzi, rimembrava solo un gran freddo, tanta tristezza e un tripudio di brutte sensazioni.
Ora che aveva la vaga impressione di ricordare, i sensi estranei alla vista si acuirono nel buio e la testa cominciò a pulsare fastidiosamente. Sprofondò un po’ nel cuscino candido, sentendolo ancor più profumato del solito. Ciò non fece che aumentarle i dolori, mentre tentava di rimettere insieme faticosamente i ricordi delle ore passate. Nulla, nella sua testa dominava il vuoto più totale.
Si bloccò improvvisamente quando avvertì mani posarsi sulle sue spalle nude. Tuttavia non si allarmò affatto: sicuramente aveva nuovamente stretto l’aria in un abbraccio, accorgendosi di essere sola. Quelle mani non potevano che essere le sue.
Lei non aveva mai abbracciato nessuno, nella sua vita: i suoi genitori e gli altri parenti erano molto freddi, e lei non aveva amici. Trattava i Pokemon con una certa indifferenza, perché le dava fastidio essere considerata ‘Allenatrice dal cuore d’oro’, ‘amica dei Draghi’ o sciocchezze simili. Aveva sempre sperato, però, che qualcuno la stringesse in una presa calorosa, con così tanta forza da farle sentire dolore. Era uno dei tanti desideri inconfessati di Sandra. Sembrava sempre soddisfatta e fiera di sé, eppure c’erano tante cose che bramava: era come una bambina, e se ne vergognava.
Oramai un po’ di luce si intravedeva dalla finestra, quasi a voler distrarre delicatamente Sandra da quei cupi pensieri con una carezza. Mosse una mano, come per accogliere il tocco del sole dorato socchiudendo gli occhi e godendo di quelle attenzioni immaginarie. Era così che fantasticava: avere un amante immateriale fatto di luce e di aria, che la coccolasse e la consolasse. A volte cercava addirittura di distinguere parole nel soffio del vento. Le piaceva sentirsi sussurrare ‘ti voglio bene’ insieme ad altre parole di conforto nei momenti difficili.
Ma, come spostò la mano, si accorse che delle dita stringevano ancora la sua spalla. Le pareva improbabile che le fosse cresciuto un altro paio di braccia durante la notte. Man mano che i sensi si acuivano, le sembrò ovvio che non era sola nel suo letto. Si udiva nel silenzio una respirazione troppo lenta e pesante per essere la sua, e un alito sottile stava smuovendo ad intermittenza i capelli di Sandra sulla schiena.
Non era certo abituata a stare così vicina ad altre persone. Eppure, concentrandosi, riusciva a percepire il calore del corpo estraneo che giaceva a pochi centimetri dal suo. Poteva trattarsi solo di una persona. Nel pensarci, sentì gli occhi gonfiarsi del pianto trattenuto.
Si morse le labbra per trattenere un singhiozzo inopportuno. Armata di coraggio, voltò lentamente la testa e lo vide. O, perlomeno, distinse nella penombra le stesse ciocche di capelli ribelli che ricordava, con la medesima chioma cremisi, vagamente illuminata dalla luce proveniente dall’esterno, rimasta perfettamente uguale dopo il loro ultimo incontro. Era Lance, suo cugino, colui che avrebbe dovuto dividere con lei la casa.
Strano che fosse lì e, soprattutto, che si trovasse nel suo letto. Era felicissima, ma non doveva assolutamente darlo a vedere. Si levò a sedere di scatto, la testa che protestava martellando con caparbietà. Dunque affondò la mano nella chioma di Lance, sentendola inimmaginabilmente soffice. Afferrò una ciocca e tirò verso l’alto, costringendo il capo del cugino a rimanere appeso a mezz’aria. La luce tremula rischiarò la pelle dorata del giovane, facendo risaltare la rotondità della spalla nuda che faceva capolino da sotto le coperte. Il pallido sole rivelò anche la smorfia infastidita di Lance, che tuttavia si ostinava a tenere gli occhi serrati.
“Nh…” Si lamentò con voce flebile. “Buongiorno…”
“Se ti degnassi di aprire gli occhi, ti renderesti conto che c’è ancora troppa poca luce per dire ‘buongiorno’.” Sibilò Sandra con tono impastato. “Si può sapere cosa ci fai qui, imbecille?”
Lance riuscì a sottrarsi dopo aver dischiuso gli occhi color ambra. Si mise a sedere, sbadigliando e portandosi una mano ad accarezzare la cute ancora dolorante. “Buonanotte, allora.” Bofonchiò, puntando lo sguardo sulla cugina. “Mi dovresti almeno un po’ di gratitudine, dato che ti ho salvata da una morte certa per assideramento.” Stava cercando di guardare Sandra in viso, ma i suoi occhi stavano scivolando decisamente più in basso del dovuto.
La giovane si rese conto solo in quel momento di indossare solo la biancheria, e di stare mostrando un po’ troppa pelle nuda, sbattendola sfacciatamente sotto il naso di Lance. In un moto di comprensibile pudore, afferrò un lembo del lenzuolo e si coprì il petto prosperoso.
“Lance… Perché sono nuda?” Ringhiò Sandra, sicura che Lance non avrebbe avuto pronta alcuna scusa per giustificare quel fatto bislacco. “E tu anche!” La luce crescente rivelò ben presto il petto glabro e muscoloso del Campione.
“Secondo te perché?” Lance sorrise, e a Sandra parve di percepire nel suo sguardo una nota di scherno. “Pensi che io abbia approfittato di te, indifesa com’eri? Non sarebbe un gesto da Campione. E poi sono tuo cugino, non vedo perché dovrei farti una cosa del genere. Sappi però che ti ho trovata in uno stato pietoso, quindi ti ho raccolta da terra e ti ho messa a letto. Non ho trovato le camicie da notte. Ecco giustificata la nostra nudità.”
Le camicie da notte. Pensandoci bene, dovevano essere ancora appese all’esterno ad asciugare. Col freddo che faceva in quei giorni, impiegavano tantissimo tempo ad eliminare ogni traccia d’acqua. Ecco perché non le aveva trovate.
“Allora spiegami cosa ci fai nel mio letto, almeno. Mi sembra di averti detto, tempo fa, che il tuo posto è il divano!” Sandra tornò all’attacco. Con Lance, ogni discorso o disputa si trasformava in una piccola battaglia. E la Capopalestra si era ripromessa che non avrebbe mai perso contro di lui, in qualunque cosa.
“Ieri ho lavorato molto… sai, stiamo facendo dei lavori per rinnovare un po’ la Sala del Campione. Non sono abituato a questo tipo di fatiche, così sono arrivato qui con un mal di schiena terribile.” Disse Lance, digrignando un poco i denti al ricordo di quella sgradevole sensazione. “Il divano è molto scomodo. Penso che tu possa capire senza arrabbiarti, almeno questo.”
Sandra era contentissima di quella decisione presa da Lance, ma doveva mostrarsi furiosa per essere fedele alla maschera che si era imposta fin da bambina, quella stessa facciata che non le aveva mai consentito di andare d’accordo con nessuno.
“No, hai comunque violato le regole che ti avevo imposto!” Protestò la giovane, alzandosi e portandosi dietro le lenzuola per non far vedere a Lance le mutandine di pizzo che indossava. Così facendo, fu Lance a rimanere scoperto. Sul suo volto non apparve alcuna traccia di vergogna, nonostante lui fosse così impudente da indossare un paio di slip in presenza della cugina, invece che un più decoroso boxer come ogni maschio degno di tale nome – secondo il parere di Sandra - avrebbe dovuto fare.
“Stanotte eri così tenera… mi sembrava strano, in effetti.” La prese in giro Lance, alzandosi a sua volta e ridacchiando scioccamente.
“Tenera…?” Sandra rimase impietrita sulla sua posizione, scioccata da quell’aggettivo che si addiceva così poco al suo essere. “In che senso? Spiegamelo!” Si voltò di scatto, i capelli arruffati svolazzarono a mezz’aria. “E mettiti qualcosa addosso, che cavolo! Sei osceno!” Strillò, facendo il gesto di coprirsi gli occhi con una mano.
Ovviamente, non lo pensava affatto. Tuttavia era abituata a fingere, e si considerava una vera maestra nell’arte di indossare maschere in grado di celare i propri veri sentimenti.
Lance si avviò verso l’armadio, pieno di alcuni dei suoi abiti smessi ormai da tempo. Era sempre fuori casa, e l’ultima volta che era stato lì risaliva a circa tre mesi prima. Sospirò, e si rassegnò a spiegare a Sandra ciò che voleva sapere sulla sera prima.
 
Le buste della spesa erano stracolme, e sembravano voler trascinare Lance verso il terreno sottostante. Pensava comunque che fosse una gran fortuna che ad Ebanopoli ci fosse ancora quel supermercato aperto ventiquattro ore su ventiquattro. L’instancabile proprietario l’aveva salutato con un gran sorriso, invitandolo a chiacchierare per una volta dopo così tanto tempo.
Lance appariva affaticato, ma resisteva grazie ai muscoli temprati dall’allenamento. Con affanno si aggrappò al pomello della porta.
Era già passato da casa quella notte, ed era uscito notando che la coinquilina era assente e, soprattutto, che il cibo scarseggiava nella dispensa. Si era sorpreso di quanto poco Sandra potesse mangiare. Ricordando le abitudini di sua cugina, gli tornò in mente che lei non sapeva affatto cucinare. Ciò lo portava a pensare che fosse un’assidua frequentatrice di ristoranti e simili.
La porta si aprì con un cigolio sommesso. Il lampione alle spalle di Lance gettò uno spiraglio di luce verso l’interno dell’abitazione. Ad essere illuminate non furono le nude mattonelle di pietra.
Il Campione sgranò gli occhi ambrati, impallidendo in un istante. La bocca si schiuse, asciutta, e non un filo di fiato uscì da essa. Finché non si trovò a gridare nel silenzio.
“Sandra!”
Lance tastò il muro alla ricerca dell’interruttore. Finalmente le lampadine sul soffitto irradiarono la propria luce nello squallido ingresso. Sandra giaceva a terra; in men che non si dica, Lance le fu sopra e, trovandola distesa prona, la rivoltò, in modo da poter vedere meglio il suo viso. Il corpo della giovane era caldo, e il volto si mostrava arrossato. Gli occhi erano socchiusi, ma non illuminavano l’insieme: erano vacui, spenti. In un impeto di paura, Lance posò un dito palpitante sulla tenera gola di Sandra. La vena pulsava energicamente.
Lance ne fu sollevato. I suoi lineamenti induriti dalla tensione si distesero, e una sensazione di pace lo portò gradualmente a recuperare il ritmo normale del respiro. Prese in braccio il corpo privo di conoscenza di Sandra, stupendosi della sua leggerezza. Era immobile, abbandonata tra le braccia di Lance, eppure aveva il peso di una bambina. Lui fu sul punto di chiedersi se mangiasse abbastanza.
Si appoggiò ad un secondo interruttore, e per premerlo dovette servirsi del gomito. Come il riscaldamento fu acceso, un vago tepore cominciò a diffondersi lentamente nell’ambiente. Lance inspirò l’aria chiusa di quella sorta di grossa stamberga in cui si trovava. Strinse la presa sul fianco e sulla spalla di Sandra, sentendo la morbidezza della pelle attraverso i vestiti leggeri. Sotto quei due strati sottili c’era poco più che dure ossa.
Iniziò a dirigersi verso la camera da letto a grandi falcate. Avrebbe steso sul materasso la cugina dormiente, poi sarebbe tornato in salotto per aprire le finestre e lasciar entrare un po’ d’aria. Non si respirava bene, l’aria era immobile, ovunque c’era l’odore di Sandra e della sua fatica di vivere.
Comprese che, da quando lui non c’era, lei stava vivendo ormai senza regole, costretta ad una continuità senza fine dal suo stesso turbamento. Senza dubbio Sandra stava passando un periodo difficile, anche se probabilmente non si sarebbe mai aperta con nessuno, né sfogata. Lance era stato via tanto tempo, e un poco di pentimento per non esserle stato vicino attraversò rapido la sua mente.
Ora però la Lega era chiusa per lavori, e lui avrebbe potuto starle accanto. Non aveva mai sopportato tanto il pessimo carattere della cugina; ma, sentendola così fragile tra le sue braccia, si era ripetuto tante volte che non poteva abbandonarla.
“Mh… mettimi…” Queste parole uscirono improvvisamente dalla bocca di Sandra, cogliendo Lance di sorpresa. “Mettimi giù…” Era solo un mugugno, ma pronunciato con una certa decisione.
La ragazza scosse la testa, voltandola a destra e poi a sinistra. Gli occhi tornarono della loro profondità, anche più lustri e gonfi del solito. Si lagnò debolmente mentre Lance obbediva al suo volere e la faceva sedere delicatamente a terra.
Il Campione si inginocchiò di fronte alla Capopalestra. Era diversa dal solito. Dondolava, apparentemente sconvolta, intenta a riprendersi da quello che aveva tutta l’aria di essere uno svenimento. Boccheggiò un altro secondo, prima di diventare ancor più scarlatta di quanto non fosse.
“Tu… qui?” Squittì Sandra, come spaventata nel vedere Lance a pochi centimetri da lei, serio come mai era stato.
“Io qui, sì.” Rispose Lance, mentre gli angoli della sua bocca si piegavano impercettibilmente verso l’alto. Era forzato, si vedeva dagli occhi rimasti fissi.
“Come hai fatto ad entrare…?” Biascicò la sua confusa interlocutrice.
“Vivo anche io qui. Ho le chiavi. L’avevi dimenticato?”
“Quasi. Non ci sei mai. Non sei mai con me…” Gli occhi di Sandra presero ad arrossarsi. “Sono felice che tu sia venuto a trovarmi. Idiota… come ti permetti… come!”
Lance rimase sbigottito, seduto immobile sul suo metro quadro di pavimento. Non capiva cosa stesse dicendo, ma c’era una cosa assolutamente fuori posto: lei non si sarebbe mai comportata in quel modo davanti a nessuno.
“Come mi permetto a fare cosa…?”
“Come ti permetti di sconvolgermi ora…? Non hai uno straccio di sensibilità. Non ne hai mai avuta. Dovresti vivere qua, eppure anche adesso sembri… capitato qui per sbaglio…” La Capopalestra strinse i pugni, facendoli tremare per la veemenza del gesto. Si piegò in avanti, i capelli disordinati le scendevano sulle spalle e strusciavano sulla pietra del pavimento. “Te ne andrai…?”
“No. No, ora non posso lasciarti qui.” Sbottò Lance, scuotendo la testa energicamente. “Cosa ti sta succedendo, Sandra?” Chiese infine, il voltò adombrato da una serietà quasi esasperata.
Lei rimase in silenzio, stringendo le labbra tra loro e portandole a sbiancare. Gli occhi traboccarono di lacrime, il suono del suo respiro tradì una certa fatica a portare l’aria ai polmoni. Mentre sulle guance iniziavano ad allungarsi le prime linee del pianto, Sandra tuffò la testa contro il petto di Lance, che fu pronto ad accoglierla tra le sue grandi mani.
Accarezzò i sottili capelli azzurri della cugina, con i lineamenti nuovamente contratti da un’improvvisa preoccupazione dovuta allo stupore di vederla in quel modo inedito.
“Stai male?”
“Sto malissimo!” Sandra spinse ancora di più il capo contro il corpo caldo di Lance. “Ma che vuoi saperne tu? Se ci fossi un po’ di più…”
Sempre lo stesso era il rimprovero che andava a rivolgergli. Aveva bisogno di qualcuno, non poteva stare da sola. E solo lui poteva starle accanto.
Da secoli la loro famiglia incoraggiava le relazioni tra parenti. Non combinava matrimoni, ma i giovani membri maschi della stirpe andavano a vivere insieme alle femmine con un vicino grado di parentela in case predisposte dai genitori, per abituarsi a stare insieme. Tutto ciò per preservare la purezza del casato più importante di Ebanopoli.
Sandra e Lance erano cugini di primo grado, spesso forzati a farsi compagnia nonostante il carattere poco compatibile. La ragazza aveva un carattere difficile, non andava d’accordo con nessuno. Per quanto Lance potesse trattarla gentilmente, il cuore di Sandra era sempre rivestito da una scorza spinosa che lo rendeva inavvicinabile.
Il Campione non sopportava troppo l’idea di stare a stretto contatto con la cugina. Lei era pungente, acida, e non sembrava mai apprezzare ciò che si faceva per lei. Quella degli impegni alla Lega era stata la scusa preferita di Lance per le sue continue fughe. Tante volte aveva dormito in alberghi pur di non tornare a casa a stendersi su quello scomodo divanetto che Sandra gli aveva rifilato.
Ora era tornato perché cominciava a preoccuparsi. Un viandante in un pub nei pressi dell’Altopiano Blu aveva detto che ad Ebanopoli era iniziato un periodo di grossa confusione ed indeterminatezza.
“Una mocciosa… sta cercando di portarmi via la Palestra! La mia Palestra!” Sandra si aggrappò alla divisa di Lance con entrambe le mani. Alzò faticosamente la testa ciondolante, guardandolo negli occhi con enorme intensità. Il tono della sua voce andava via via spegnendosi. “Quello per cui ho dato tutto…”
Il Campione fece qualcosa che mai si era sognato di fare, o almeno non con sua cugina. Baciò la sua fronte due, tre volte, sentendo sulle labbra il sudore freddo della ragazza. Poi la strinse con vigore, rabbrividendo nell’avvertire le ossa sporgenti e i muscoli tesi della giovane contro la sua carne. Fu il primo abbraccio della vita di Lance, come lo fu anche per Sandra. Ma quest’ultima purtroppo avrebbe dimenticato tutto il giorno dopo.
“Non sono nulla senza la mia Palestra… non sono nulla…” Mormorava Sandra col fiato mozzato, bagnando l’incavo della spalla di Lance di lacrime cristalline.
“Non dire così… tu sei la fiera Sandra. Sei un’ottima allenatrice, sei una ragazza forte e sei anche mia cugina.” Lance sussurrava queste parole al suo orecchio, ripetendole come fosse una litania. Sembrava tentasse di imprimerglielo. Ogni tanto posava un soffice bacio tra i capelli di lei, sentendo il sudore impregnarle anche la cute.
La stretta di Sandra andava allentandosi ogni minuto. Si stava lentamente abbandonando al calore del cugino, affidando a lui il proprio sonno, come se avesse lasciato la vita tra le sue mani. Lance sorrise vagamente, quasi lusingato da quel cuore ormai più calmo che sentiva battergli contro la pelle della spalla, attutito da un seno non più tanto prosperoso.
“Non avresti dovuto vedermi così…” Mormorò Sandra pianissimo.
“Sei proprio uno straccetto.” Rise Lance a bassa voce.
“Nh… taci…” Lei chiuse gli occhi.
“Ora sì che ti riconosco…” Disse lui, ma la cugina era già scivolata nel sonno.
Lance sorrise un’ultima volta, sollevando nuovamente la giovane tra le sue braccia. La casa era ormai più calda, lo scintillio di un tondeggiante oggetto di vetro si intravedeva in lontananza, proveniente dalla cucina buia. Era la fiaschetta del liquore, probabilmente, la giustificazione dello strano comportamento di Sandra quella sera. Per una volta, l’aveva vista senza quella sua maschera di orgoglio esasperato. E gli era piaciuto il suo vero volto.
Con delicatezza, distese la ragazza sul letto. Poi si sdraiò accanto a lei, stringendole dolcemente una mano e chiudendo finalmente gli occhi.
 
Lo squillo di un telefono risuonò per le stanze. C’era un bel sole fuori, una mattina ideale per recarsi alla Palestra. Sandra era sempre impeccabile nella sua divisa da Domadraghi. L’unico disturbo era quella ruga in mezzo alla fronte che aveva fatto la sua comparsa dalla fine del resoconto di Lance della notte appena trascorsa.
Lance si affacciò dalla cucina, chiamandola.
“San! Dovresti rispondere tu! Se mi mettessi a parlare ora le uova si brucerebbero!”
Sandra sbuffò. Solo perché lui l’aveva vista in quel momento altamente imbarazzante la notte prima, si sentiva in diritto di abbreviare il suo nome. Arricciò le labbra, poi fu costretta a dischiuderle per poter rispondere al telefono che aveva appena appoggiato all’orecchio.
“Pronto?” Disse bruscamente.
“E’ Sandra di Ebanopoli?” Rispose la voce di un uomo.
“Sì, sono io. Mi dica.”
“Chiamo per conto della commissione della Lega Pokemon di Johto.”
Sandra sgranò gli occhi, sorpresa. Non aveva idea di cosa volessero, ma un atroce sospetto si stava rapidamente facendo strada in lei.
“Volevo parlarle del prossimo futuro della sua Palestra. Abbiamo deciso di affidarla a Cetra.”
“Ce… Cetra? Quella bambina…?”
“Sì, è vero, non è neppure una Domadraghi. Personalmente riteniamo però che sia utile cambiare, di tanto in tanto, la gestione delle nostre palestre.”
“Ma… perché proprio la mia…? Io…”
“Qualunque altro Capopalestra avrebbe reagito allo stesso modo. Lasciano sempre a me questi compiti incresciosi… Cerchi di capirmi. Arrivederci.”
“No che non capisco! Io…!” Ma udì il ‘bip’ del telefono ripetersi ad intermittenza. Dalla parte opposta avevano riattaccato.
Sandra lanciò la cornetta per terra, dimenticando di non essere sola. L’intero telefono fisso cadde sul pavimento con un tonfo, trascinato dal filo. Lei ci salì sopra, lo pestò con furia, trasformandolo in un groviglio confuso di cavi elettrici e ingranaggi. Così facendo rischiava di prendersi una scossa ad alto voltaggio, ma non le importava affatto.
Slegò i capelli come aveva già fatto il giorno prima. Se ne strappò alcuni urlando, trovandosi in mano una ciocca azzurra mista a sporadici fili candidi. Il suo volto si contrasse in una ragnatela di rughe, mentre gli occhi saettavano alla ricerca di qualcos’altro da distruggere.
Solo allora Lance si decise ad uscire dalla cucina, con un irritante grembiule rosso e rosa indosso.
“San! Ehi, che ti prende?”
“Non lo immagini?! Mi hanno preso la Palestra! Non sono più la Capopalestra della città!” Strillò Sandra, tirando la sopravveste di Lance e strappandogliela di dosso. “Hanno ucciso Sandra di Ebanopoli! Ridi, se ne hai il coraggio! Ridi come fai sempre! Sono una fallita!” Strinse convulsamente il grembiule con entrambe le mani, tentando di appallottolarlo come fosse carta.
Lance le tolse di mano quel mucchio di stoffa, quindi lo gettò alle proprie spalle. Quando Sandra tentò di inseguire l’oggetto ciecamente come fanno i cani, il Campione la accolse tra le braccia, e la strinse tanto vigorosamente da impedirle ogni movimento. Ancora una volta si rese conto di quanto era magra.
Era recalcitrante, ma esercitava una resistenza sempre più debole. Premeva il viso contro il suo orecchio, tanto che Lance poteva sentire la contrazione delle mascelle della cugina furibonda.
“Ti sei calmata?” Chiese Lance con tono vagamente affannoso.
“Non mi calmerò mai. Tu non mi capisci… Come potrai mai calmarmi?”
“Io capisco.” Lance si staccò da lei. Senza accorgersene, erano finiti in ginocchio sul pavimento. Sandra guardava in basso, ma sembrava non avere più energie per accanirsi contro gli oggetti che le capitavano sottomano. “E vorrei ripeterti ciò che ti ho detto stanotte. Tu sei Sandra. Sei forte e bella. Sei mia cugina.”
“Che consolazione.” Sandra rise amaramente. “E’ tutto qui quello che sai fare?”
“Fammi finire.” Mormorò Lance, zittendola. “Tu sei una delle più grandi Capopalestra che Ebanopoli abbia mai avuto. Pochissime sono le persone in grado di batterti.”
“Un idiota come te ci riesce. Secondo te posso rallegrarmene? Posso davvero considerarmi brava?” Lo interruppe ancora una volta la ragazza.
“Tu sei importantissima. Non è vero che non sei nessuno.”
“E come puoi pensare che io ci creda? Non ho uno straccio di prova… Chi potrebbe mai tenere a me? Per chi sono importante? Mi sono fatta odiare da tutti…!”
Sembrava sul punto di dire qualcos’altro, ma non ne ebbe il tempo. La sua bocca fu chiusa da un altro paio di labbra, che si scontrarono morbidamente contro le sue. Lance la stava baciando con dolcezza, in modo gentile. Era caldo, confortevole, consolante. Molto più avvolgente dell’aria impalpabile, molto più rassicurante dei raggi di sole dorato che la accarezzavano ogni mattina.
Combattute dall’orgoglio, le sue mani indugiarono a mezz’aria. Stringerlo e approfondire il bacio, permettere a Lance di esplorare i meandri del suo essere, portandolo ad una conoscenza più profonda della sua solitudine e fare in modo che lui la colmasse. Aveva una voglia matta di divorare le sue labbra in cerca di amore. Placare la solitudine con quel gesto meraviglioso, così semplice e puro all’apparenza.
Alla fine appoggiò le mani sulla schiena forte di Lance, stringendolo a sé. Ciò autorizzò il giovane ad approfondire il bacio. Questa conoscenza ancora più intima durò pochissimo, perché ad entrambi mancò il fiato. Ansimarono un poco, a pochi centimetri l’uno dall’altra.
“Cosa rappresenta?” Chiese Sandra, riuscendo finalmente a sussurrare qualcosa.
“Non ti ho mai sopportata, sappilo. Anche adesso… volevo farti tacere.” Disse Lance. “Ma ciò non vuol dire che tu per me non sia importante. Volevo farti capire chi è Sandra per me. Volevo farti capire che per qualcuno sarai sempre il centro dell’universo.”
“Tu te ne sei andato perché non mi sopportavi, vero?” Il cuore della giovane batteva all’impazzata. Voleva sentirsi rassicurare, desiderava con tutta se stessa che lui placasse la sua sete di risposte, confermandole i sentimenti che provava nei suoi confronti senza ombre di dubbi. “Ora torni di punto in bianco e te ne esci in questo modo.”
“Tutto quello che dici è vero. Mi sono pentito di essermene andato, ora ti starò accanto. Non ti si può proprio lasciare sola.” Lance sorrise vedendo Sandra avvampare. “Adesso che ti sei aperta con me - anche se non per tua volontà - ti aiuterò. E’ nel mio interesse che tu stia bene.”
Il Campione si alzò da terra, porgendo una mano alla cugina per aiutarla a fare lo stesso.
“Sul serio. Io ormai ti amo, e non sono il solo. A tante persone dispiacerebbe se ti succedesse qualcosa.” Disse Lance, senza alcuna intenzione di lasciarle la mano. “Anche i tuoi genitori. Capisco che non siano bravi a dimostrarlo, ma sei la loro unica figlia, la luce dei loro occhi. Non dubitarne mai.”
Sandra aveva voglia di piangere di gioia. Non era così sola come aveva sempre pensato, se le parole di Lance fossero state degne di fiducia come lei aveva intenzione credere con tutta la sua anima.
“E poi, ora che non sei più Capopalestra ti si aprono tante altre strade. Il mondo è grande, decidi ora il tuo prossimo obiettivo.” Tenendola ancora per mano, Lance si avvicinò la finestra e la dischiuse. Un soffio d’aria gelida scompigliò i suoi capelli cremisi.
“Oh, dannazione!” Imprecò improvvisamente.
“Cosa succede ora…?” Fu Sandra a parlare, dopo un lungo ed emozionato silenzio.
“Ho dimenticato le uova sul fuoco! Ormai saranno tutte bruciacchiate. Vado a vedere!” Disse Lance, allarmato.
“Aspetta, dove pensi di andare?” Lei gli strinse la mano, impedendogli di liberarsi. “Devo comunicarti il mio nuovo obiettivo, no?”
“Già deciso?” Il giovane mostrò un’espressione sorpresa, dopo essersi voltato di nuovo a guardare la ragazza. “Dimmi.” Rabbrividì leggermente nel vedere ora il volto di Sandra. Ormai ogni traccia di commozione era sparita, e sul suo viso era apparso un sorriso furbo e un poco malizioso.
“Preparati. Ti sfiderò, e poi…” Qui lei fece una piccola pausa, per incentivare una scherzosa suspense. “…diventerò Campione.” Ora il suo tono era serio. La morsa della mano sottile attorno a quella di Lance si fece fortissima, quasi gli stritolò le dita.
La bocca di Lance si schiuse per poter emettere voce ancora un’altra volta.
“Ahia.”
 
  
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