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Autore: Marika Jane Seven    06/08/2012    2 recensioni
Ho deciso di scrivere questa fan fiction (la prima, per di più) grazie a un sogno che ho fatto. Mi ha fatto pensare che nella serie tv non viene dato molto spazio ai rapporti "uomo-donna" tra i protagonisti (com'è giusto che sia in questo genere di serie). Questa fan fiction è quindi soprattutto un tentativo di conoscere meglio McGee non come agente ma come uomo e concentrarsi sull'aspetto sentimentale della sua vita. La prima frase del capitolo è anche il titolo della storia. Tim è turbato da un sogno che ha fatto e che non riesce a ricordare e comincia a chiedersi cosa ci sia che non va in lui dato che non riesce ad avere un rapporto stabile con una donna. Sarà la maledizione di tutti gli agenti federali? In questo caso, l'indagine di Tim riguarderà se stesso.
Genere: Sentimentale | Stato: in corso
Tipo di coppia: non specificato | Personaggi: Abigail Sciuto, Anthony DiNozzo, Leroy Jethro Gibbs, Timothy McGee, Ziva David
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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Avrei dovuto essere io.

Spalancai gli occhi e il mio sguardo guizzò subito verso la cifra rossa lampeggiante della mia sveglia. Le 05:59. Erano più di otto anni – cioè da quando ero stato preso all’NCIS - che il mio cervello sembrava avere imparato a svegliarsi un minuto prima che la sveglia suonasse. Non volevo certo deludere Gibbs.
Quella mattina, comunque, c’era qualcosa che non quadrava. Mi sentivo come se qualcosa mi avesse turbato e credo potesse essere un sogno che avevo appena fatto ma per qualche ragione non riuscivo a ricordare niente. Strano. Sapevo benissimo che accadeva spesso che al risveglio i sogni venissero dimenticati ma mi sembrava che questo stesse ancora vagando per il mio cervello in attesa di una spiegazione. Ero davvero turbato. Tirai fuori le gambe dalle lenzuola e misi i piedi nudi a terra. Di solito questo gesto valeva più di mille docce fredde – ero davvero sensibile al pavimento ghiacciato del mio appartamento – ma qualcosa mi diceva che questa mattina sarebbe stata diversa dalle altre. Appoggiai i gomiti sulle ginocchia e posai le mani sulle tempie. Cosa avevo sognato? Il suono della sveglia mi fece sobbalzare e tornai al presente. Qualsiasi cosa fosse che avevo sognato, se fosse stata davvero importante prima o poi mi sarebbe tornata in mente. Adesso dovevo concentrarmi e cominciare la mia solita routine prima di andare al lavoro. Gibbs non mi avrebbe perdonato se avessi fatto ritardo. Conoscendolo, sarebbe stato già lì a bere caffè aspettando di avere un incarico. Lo ammiravo per questo. Beh, lo ammiravo per tante altre ragioni ancora ma la sua dedizione al lavoro era davvero tra le prime tre. Se avesse saputo che tenevo una lista di cose per cui lo ammiravo mi avrebbe dato uno scappellotto.
Mi costrinsi ad alzarmi e mi diressi verso la cucina. C’era un bel po’ di confusione: ai vari piatti sporchi della settimana (avevamo indagato su un caso davvero complicato e non avevo potuto occuparmi delle pulizie) si erano aggiunti cartoni e buste del take-away cinese della sera prima e anche tre lattine di birra vuote. Avevo smesso di bere birra e alcolici in generale da quattro anni per condurre una vita più salutare ma, non so, ieri ne avevo sentito il bisogno. Forse perché finalmente avevamo risolto il caso di quel marine scomparso e la tensione si era allentata o forse perché nonostante gli sforzi di DiNozzo di “farmi avere una vita sociale”, come diceva lui, con Maxine non era andata bene. Eppure, sempre a detta di Tony, eravamo anime gemelle: io amo i videogames, lei detiene il record della maggior parte dei giochi di ruolo online a cui anch’io partecipo. Insomma, siamo due “nerd”. A quanto pare non è bastato. Due giorni fa lei mi aveva mandato un messaggio in cui mi chiedeva di vederci; aveva qualcosa di importante da dirmi. Per un attimo avevo temuto che fosse incinta, ma di certo non sarebbe stata opera mia dato che a quella fase non ci eravamo ancora arrivati. Avevo trovato un po’ di tempo mentre Tony e Ziva erano in perlustrazione a casa dell’ex moglie del marine che stavamo cercando e avevo detto a Maxine di vederci nella sala ristoro dell’NCIS. Con il senno di poi forse sarebbe stato meglio vederla almeno al bar fuori dalla sede: avrei evitato di rendermi lo zimbello di tutta l’agenzia federale. Sempre se, grazie a Tony, non lo fossi già. Avrei dovuto indagare.
Maxine mi aspettava già lì quando scesi a perdifiato con la camicia madida di sudore per le troppe ore passate seduto nella sala conferenze a mettere in comunicazione Gibbs con Al Qaida. Lei era splendida come sempre, stretta nel suo giubbotto di pelle e con la frangetta che le copriva gli occhi, cosa che le faceva da scudo quando si sentiva a disagio. Era seduta a un tavolino vicino la macchina per il caffè. A quanto pareva ne aveva già bevuto uno mentre mi aspettava, dato che giocava soprappensiero con il bicchiere di carta. Appena mi vide alzò la testa e mi fece un timido sorriso.
“Ciao”, disse.
Cominciai a riprendere fiato pensando che forse non era una brutta notizia quella che era venuta a dirmi con tanta urgenza.
“Ciao”, risposi e ricambiai il sorriso e mi chinai per darle un bacio sulla guancia prima di sedermi di fronte a lei. Mi sembrò che avesse sobbalzato, il che era strano dato che di solito ci salutavamo così.
Continuai a guardarla con un’espressione perplessa e questo forse la fece rilassare un po’ perché mi osservò e poi scoppiò a ridere.
“Tim, sei sempre così allerta. Stai tranquillo.” E forse lo sarei anche stato se nella sua voce non avessi colto una punta di apprensione.
“Hai ragione,” mi costrinsi comunque a dire e sospirai forte. “Allora, come stai? Voglio dire, è successo qualcosa? Mica qualcuno ti minaccia ancora per i codici cifrati che hai scoperto?”
“No, no. Certo che no. Quella ormai è una storia chiusa. Grazie a te.” Mi guardò cercando di capire se finalmente mi fossi rilassato o meno. Non lo ero.
“Grazie a tutta la squadra. Gibbs ha un suo modo personale di avere a che fare con i computer”, dissi, ricordando come il mio capo aveva fermato il programma che avrebbe potuto hackerare i firewall del Pentagono: aveva sparato a tutti i computer trovati nella stanza del programmatore. Mio malgrado, sorrisi.
“Vero. Ma è stato efficace.” Maxine si portò una ciocca dei capelli biondi dietro l’orecchio e si aggiustò la frangetta. Adesso era di nuovo lei a essere a disagio. Non ne potevo più.
“Quindi…se non è niente che ha a che fare con minacce informatiche, cosa c’è di così urgente?”
Lei sollevò di colpo lo sguardo e sembrò ferita dalla mia domanda diretta e priva di tatto. Diamine, detestavo ammetterlo ma aveva ragione Tony: non ci sapevo proprio fare con le donne.
“Sai, potrei essere qui solo perché è più di una settimana che non ci vediamo o almeno sentiamo e potrei aver sentito la tua mancanza.”
Oh. “Beh, questo è bello. Cioè, non è bello che non ci sentiamo o vediamo ma è bello che hai sentito la mia mancanza.” Iniziavo a blaterare. Perché è così difficile farmi capire?
Maxine mi guardò incerta. “E tu?”
Io? “Ehm…cosa?”
Fece un altro sorriso timido, uno di quelli che volevano dire ‘lo sapevo’.
“Tim…hai detto ch’è bello che io abbia sentito la tua mancanza. Ma tu? Hai sentito la mia mancanza?”
Ah. Ecco dove voleva arrivare. Strabuzzai gli occhi e rimasi a bocca aperta per quello che credo fosse qualche secondo ma mi sembrò un secolo. Non sapevo cosa dire e questo era sbagliato perché ovviamente la mia risposta avrebbe dovuto essere ‘sì, certo che ho sentito la tua mancanza. Mi sei mancata giorno e notte’…ma non era così.
Credo che anche lei lo avesse capito o forse lo sapesse già perché mi precedette e disse:
“Non sforzarti. Non sei bravo a mentire.” Sorrise ancora, un sorriso stanco stavolta.
“Tim, hai mai conosciuto una persona – no, una donna che fosse indispensabile per te? Se fosse così mi piacerebbe davvero vederla perché è evidente che non sono io. Da quello che mi hai raccontato sulle tue storie passate so che non ce n’è stata nessuna e speravo potessi esserlo io ma a quanto pare non è così e non credo potrà mai essere possibile. Essere simili non basta. Però, Tim, è quello di cui ho bisogno adesso: di sentirmi indispensabile per qualcuno che voglia vedermi e sentirmi anche s’è occupatissimo con il suo lavoro e che quando mi veda la prima cosa a cui pensi è ‘voglio stringerla, mi è mancata’ e non darmi un semplice bacio di saluto dato quasi di riflesso. Mi sbaglio?”
L’avevo ascoltata con gli occhi ancora spalancati. Cercavo davvero di pensare a Maxine nel modo che lei desiderava e alla sua domanda avrei voluto rispondere che si sbagliava ma la realtà è che aveva ragione, non era indispensabile per me. Tony avrebbe avuto altro materiale per prendermi in giro.
Maxine continuò: “Okay, ho capito. La tua espressione spiega benissimo come ti senti.” Fece per alzarsi e prese la sua borsa con le spille del videogame che adoravamo entrambi.
Finalmente mi riscossi dai miei pensieri. “Mi dispiace, Maxine.” Mi alzai anch’io e cercai di continuare a dirle quanto fossi davvero dispiaciuto ma lei mi fermò alzando una mano in segno di stop.
“Va bene così, Tim. Lo sapevo già ed ero venuta qui con l’intento di chiarire e lasciarti andare. In fondo non abbiamo un contratto di appartenenza l’uno all’altra e non credo che tu mi fermerai e cambierai idea.”
Si alzò sulle punte, appoggiò le mani alle mie spalle e mi baciò la guancia. Lasciai che le sue mani scivolassero lungo le mie braccia fino a prendermi le mani. Abbassai lo sguardo sulle nostre dita intrecciate e poi guardai Maxine. Anche lei mi stava fissando.
“Sai, spero proprio che troverai La Donna Indispensabile. Voglio vederti felice.”
“Anch’io voglio che tu lo sia.” Guardai di nuovo le nostre mani. Qualcosa mi diceva che non era giusto trovarmi in quella situazione con lei. Ancora una volta mi ritrovai a pensare che aveva ragione e che per lei non avevo provato niente più di un semplice affetto. Sciolse la stretta a una mano come se mi avesse letto nel pensiero e cominciò ad avviarsi tenendo ancora l’altra mano nella mia. Rimasi fermo immobile a guardarla finché non si fosse allontanata tanto che era impossibile continuare a camminare senza abbandonare la mia mano. Gliela lasciai. Era proprio così, non l’avrei fermata.
 
Uscii dalla doccia ancora frastornato per il vapore e i pensieri che mi affollavano la mente. Avrei dovuto liberarmene se avessi voluto continuare la stesura del mio prossimo romanzo giallo quella sera. Ammesso che al lavoro non ci fosse stato un nuovo caso. Controllai l’orologio a muro mentre mi tamponavo i capelli con l’asciugamano. Per quanto ci tenessi a essere impeccabile, mi sa che per quel giorno avrei fatto a meno del phon. Ero in ritardo. C’era decisamente qualcosa che non andava in me.
 
“Ehi McGhiro, oggi ti sei alzato dalla parte sbagliata del letto? O hai fatto la lotta con i cuscini con le tue amiche dello Sleepover Club fino a tardi? Ah, ma che dico? Tu non hai amici maschi, figuriamoci amiche!” Non ero neanche uscito dall’ascensore che subito Tony mi aveva intercettato e mi squadrava da capo a piedi. Nonostante la doccia e la corsa per arrivare in agenzia non ero ancora abbastanza sveglio per trovare qualcosa da controbattere.
“Buongiorno, Tony”.
“Io sono amica di McGee.” Ziva sedeva alla sua scrivania e, per quanto fosse divertita dalla battuta di Tony, era anche tanto leale nei miei confronti da prendere sempre le mie difese. Feci un sorriso trionfale mentre posavo lo zaino sulla mia scrivania. Guardai Tony e indicai Ziva con una mano.
“Grazie, Ziva.”
“Certo, non capisco una scopa dei suoi discorsi informatici ma non per questo non siamo amici.”
“Si dice ‘una mazza’, non ‘una scopa’.” Tony la corresse con il suo solito sorriso sornione a trentadue bianchissimi denti.
“Sì, beh, quello ch’è. Comunque io e McGee siamo amici. E per quanto possiate litigare e negarlo fino allo sfinimento, siete amici anche voi due. Sì, Tony,” lo additò mentre lui alzava gli occhi al cielo e io scuotevo la testa, “hai capito bene: siete amici. A te importa di McGee, altrimenti non ti saresti fatto in quattro per mettere una buona parola per lui con quella ragazza, Maxine.”
Oh. Oh. No, Ziva, non tirare fuori Maxine adesso. Non voglio che Tony l’aggiunga alla lista dei miei fiaschi.
Senza volerlo mi ero fatto sfuggire un sibilo e di colpo mi ritrovai entrambi i miei colleghi alla mia scrivania. Mi sedetti e feci del mio meglio per concentrarmi sullo schermo del mio computer fingendo di essere impegnato in un’operazione importante. Niente da fare, restavano fermi alla mia postazione e potevo sentire i loro sguardi folgorarmi.
“Cos’era quel verso, Tim? E’ successo qualcosa tra te e la bella ragazza informatica?” Era stato Tony il primo a cedere. La sua curiosità era senza fine.
“Ehm…io…”
“Lasciate stare McGee. Forza, marine morto trovato in un bosco dietro la casa del sergente Riley.” Era arrivato Gibbs, con il suo tono imperioso a darci istruzioni per il nuovo caso. Tony e Ziva avevano annuito e lasciato subito il loro posto vicino alla mia scrivania e si dirigevano a prendere i loro zaini. Tirai un forte sospiro di sollievo.
“Stai attento, McGee. Se continuerai ad essere così rumoroso la prossima volta non basterà un marine morto a salvarti.” Gibbs fece un segno con la testa in direzione di Tony. Aveva ragione. Ziva avrebbe potuto anche aspettare che fossi io a confessare, ma un altro sospiro del genere e per Tony sarebbe stato come un invito a nozze. Mi avrebbe messo alle strette.

  
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