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Autore: FaDiesis    06/08/2012    4 recensioni
Non per lui.
Lui che le aveva distrutto la posizione sociale e anche quello straccio di vita che le era rimasto dopo il reality. Perfino quel misero frammento aveva spaccato, lentamente, come un vaso che cade a rallentatore da un mobile.
Lei aveva visto il profilo del vaso scivolare, aveva teso le mani per afferrarlo, aveva osservato impotente il vaso sfiorare la superficie del suolo, frantumandosi a terra con un sonoro schianto.
E non le era sfuggita l’espressione orgogliosa di chi sa di essere colpevole, di chi sa di aver soddisfatto finalmente la sua vendetta. Non le erano scappate le mani dietro la schiena e la falsa espressione innocente in quegli occhi verdi.
Non avrebbe mai dimenticato quel sorriso.
E, come il figlio ingiustamente incolpato, era stata accusata.

Pazzia, follia, avevano definito la sua malattia.
Ma lei non era pazza, no.

[Angst+CrackPairing!]
 
Genere: Angst, Malinconico | Stato: completa
Tipo di coppia: Crack Pairing | Personaggi: Heather, Sorpresa
Note: OOC | Avvertimenti: nessuno | Contesto: Contesto generale
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Brandelli di cuore
 

  
Umido, goccioline d’acqua. Nebbia.
Solo questo riusciva a sentire Heather. Nient’altro che schizzi sul suo viso.
Si strinse di più nell’impermeabile, ignorando il freddo pungente che le pizzicava il corpo, trapassandola come aghi appuntiti.
Fissò incantata il getto d’acqua che dalla superficie del lago s’innalzava per ben 140 m.
Era forte, lui. Aveva la potenza di arrivare a toccare il cielo e di riscendere, inesorabile, con quella fredda grazia che non provocava impatti.
Era come credeva di essere.
Era come prima credeva di essere…
Perché ormai lo aveva capito: era cambiata.
Non era più la fredda ragazza di una volta, non più l’essere spietato impassibile con tutti.
Ormai non era rimasto più nulla del suo cuore.
Solo un inutile organo macellato, tagliato a strisce, brandelli di cuore.
Heather rise, amara.
Della sua condizione ora, di come era finita così.
Non l’avevano ritenuta degna della società. L’avevano considerata uno scarto.
Rinchiusa, come un gatto in una gabbietta.
Ma lei non era pazza, affatto.
Vendetta, era solo stato un caso di vendetta.
Tutti l’avevano creduta malata di mente, ma era stata ingannata.
Lei non era pazza, no.
Era stato lui.
Lui l’aveva illusa, lui l’aveva raggirata, lui l’aveva accusata di follia.
E ci era riuscito, aveva convinto tutti.
“Codesta persona risulta negativa al test di sanità mentale, confermato anche dai precedenti atti di follia che comprendono lo stalker e l’aggressione fisica e morale ai danni del Signor Burruomuerto. In quanto instabile mentalmente, riteniamo opportuno mandare la signorina Wilson in cella di isolamento nell’ospedale psichiatrico per sei mesi.”
Eccolo, il sottotitolo da prima pagina più letto negli ultimi tempi!
E’ incredibile, è incredibile come era riuscito ad incastrarla senza reali prove materiali.
Eppure aveva passato sei mesi in isolamento.
Sei mesi chiusa dentro una cella dalle pareti morbide, completamente bianche.
Le avevano legato le mani. L’avevano abbandonata là, da sola, in balia della solitudine più assoluta.
Ci aveva fatto quasi l’abitudine, a stare sdraiata per terra, con una guancia sporca appiccicata al pavimento e le braccia che le dolevano per la posizione scomoda.
Guardava sempre fisso avanti a sé, lo sguardo immobile, gli occhi asciutti.
Neanche una lacrima aveva sprecato, non ne valeva la pena.
Non per lui.
Lui che le aveva distrutto la posizione sociale e anche quello straccio di vita che le era rimasto dopo il reality. Perfino quel misero frammento aveva spaccato, lentamente, come un vaso che cade a rallentatore da un mobile.
Lei aveva visto il profilo del vaso scivolare, aveva teso le mani per afferrarlo, aveva osservato impotente il vaso sfiorare la superficie del suolo, frantumandosi a terra con un sonoro schianto.
E non le era sfuggita l’espressione orgogliosa di chi sa di essere colpevole, di chi sa di aver soddisfatto finalmente la sua vendetta. Non le erano scappate le mani dietro la schiena e la falsa espressione innocente in quegli occhi verdi.
Non avrebbe mai dimenticato quel sorriso.
E, come il figlio ingiustamente incolpato, era stata accusata.
Pazzia, follia, avevano definito la sua malattia.
Ma lei non era pazza, no.
Per una volta, era veramente la vittima.
La vittima di una crudele vendetta. Esagerata, crudele vendetta.
Aveva sbagliato, a protestare.
Quando erano arrivati a casa sua, lei ancora non aveva capito nulla.
L’avevano guardata un secondo, mentre prendeva il thè con il suo gatto bianco accovacciato sulle gambe, e poi l’avevano assalita, cercando in qualche modo di immobilizzarla mentre urlava, si dimenava.
Si era opposta, ma aveva ottenuto solo occhi spalancati con una vena di paura.
Alla fine ce l’avevano fatta, l’avevano rinchiusa.
E lei non aveva potuto far nulla.
Il silenzio era diventato la sua musica, i suoi pensieri i suoi libri, la guardia che le portava il cibo l’unico essere vivente che riusciva a vedere.
Una volta si era fermato più tempo, il signore.
L’aveva guardata in modo strano, con sospetto ma anche con curiosità.
Heather aveva scosso la testa, lo sguardo rivolto verso il basso.
-Che c’è? Hai anche tu paura della pazza? –gli chiese, pacata e senza tono.
Lui non rispose, continuando ad osservarla.
La ragazza sospirò. –Se sì sei giustificato… d’altronde, mi hanno incastrato, ce l’hanno fatta…- concluse con un mormorio sommesso.
La guardia si era appoggiata al muro, sempre in silenzio.
-Hai tutto il diritto di scappare, di avvertire le autorità, di riferire spaventato che la pazza ha cercato di interagire con te, che ha cercato di assalirti e di ferirti con… -alzò il cibo che stava mangiando, con un leggero sospiro -…questa coscia di pollo. Ne hai il diritto, in fondo.
L’uomo piegò la testa, spiegando le sopracciglia che fino a quel momento erano aggrottate.
-Cosa farò, dopo? Appena uscirò da questo posto tutti mi escluderanno, mi daranno una reclusa, della fallita… e io cadrò ancora più giù, più di adesso.
Morse piano il pollo, prese una patatina.
-Magari mi trasferisco, cambio nome… magari vado in Europa, in Svizzera, magari. Avrò bisogno di cioccolata, dopotutto, no?
Scosse ancora la testa, sconsolata.
Dopo un quarto d’ora Heather aveva finito il suo mesto pranzo, per la prima volta in compagnia. La guardia si era seduta là, accanto a lei, in silenzio.
Quando ebbe terminato, si alzò e le ritirò il piatto.
-Io non sono pazza- sussurrò debolmente Heather, mormorio difficile a sentire.
Ma l’uomo la udì lo stesso, si girò e la fissò, annuendo.
-Ti credo.- disse in un soffio, e se ne andò.
Quella era stata l’unica volta in cui la ragazza aveva parlato a qualcuno di reale, a qualcuno che non fosse una parete bianca o un piatto d’insalata.
E poi, finalmente, i sei mesi erano finiti. L’avevano rilasciata, con il nulla dentro di sé.
Non aveva detto niente, non una parola.
Era fuggita alle interviste, ai paparazzi.
E aveva davvero cambiato paese, cambiato nome, cambiato aspetto.
Era scappata da tutto, da tutti.
Ora viveva una vita in silenzio, da sola.
Veniva lì spesso, sotto il getto.
Quasi ogni sera, verso il tramonto, si dirigeva verso la striscia di cemento che si allungava sul lago. E poco prima del faretto, c’era quel getto, che tanto la affascinava.
Prendeva un impermeabile e si sedeva là sotto, seduta su una sdraio.
Guardava i migliaia di turisti passare, osservava le coppie abbracciarsi e i volti sorpresi ed eccitati della gente colpiti dagli schizzi del getto, quando ci passavano sotto.
Immaginava la vita degli altri, delle persona che ce l’hanno, una vita.
Ecco, una ragazza giovane passava di lì a braccetto con un quarantenne… di sicuro non era la moglie, un’amante forse. E lì, guardate!, due bambini che si rincorrano… saranno sicuramente fratelli, si assomigliano. E quel signore alto là, quello incappucciato con un grosso cappello nero che gli copre la faccia… certamente sarà l’investigatore che indaga per conto della moglie del quarantenne, sì.
Ormai la sua vita era così, creata dalla gente. Ormai la sua vita era la vita degli altri.
Qualcuno aveva provato a parlarle, a interagire con lei. Ma niente, lei era impassibile. Uno sguardo, e tornava a fissare davanti a sé.
Un giorno si era attardata fino a notte, era tardi.
Fissava le stelle, in cerca di risposte.
Perché era andata così? Perché non aveva più una vita? Perché non aveva la forza di ribattere, di andare avanti?
E mentre si perdeva nel labirinto intricato dei suoi pensieri, sentì dei passi alla sua destra.
Stancamente girò il volto, pronta a guardare il passante che cercherà di compatirla e poi ritornare a fissare il nulla.
Ma quando sì voltò, per la prima volta da mesi il suo volto assunse una nota sorpresa. Quasi le facevano male, quelle piccole rughette sulla fronte.
Riconobbe all’istante quegli occhi acquamarina, la pettinatura insolita e i piercing.
Duncan.
Non sapeva cosa ci faceva là, non sapeva perché era venuto e come aveva fatta a trovarla, ma nel suo sguardo vide complicità, intesa.
Lui sapeva.
Duncan sapeva tutto, le avrebbe creduto. O forse, già le credeva.
-Tu… tu sai tutto.- constatò, la voce roca. Chissà quant’era che non parlava.
Lui annuì.
Heather lo fissò. Stavolta non fissava il nulla, stavolta fissava qualcuno.
Lo seguì con lo sguardo mentre si sedeva accanto a lei.
Non parlarono, Duncan e Heather, restarono in silenzio.
D’un tratto Heather sentì rinascere qualcosa, di piccolo, di minuscolo, nella sua anima. E mano a mano che i giorni passavano, le sue sere al molo non erano più sole, e neanche il suo cuore.
Stavano lì, bagnati dagli schizzi, taciturni.
Si scambiavano qualche parola, di rado, qualche volta si tenevano la mano.
E condividevano tutta la loro vita, la loro angoscia, in quegli attimi.
Testimoni, solo le stelle.
 

 
 
Note di Esis
 
Buonsalve!
Ed ecco, sono tornata! Ta-taaa!
Sì, lo so, Heather è OOC, ma in fondo, in un Angst chi è IC?
Dedicata a Bes (Elizabeth Mary Greengrass), mia mogliA, regina dell’Angst e dei CrackPairing!
Per te ♥
Spero vi sia piaciuta! ^^
Prima o poi contagerò tutto il fandom con la Dunther, sappiatelo!  u.u
A presto, e ricordate, un commentino non fa mai dispiacere  =P
 
Esis

   
 
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