Riverbero
L'imponente
porta di ebano vibrò sotto rintocchi affrettati e calcati,
l'apparente quiete della camera venne spezzata come un ramoscello
secco. Thor si alzò circospetto e posò l'orecchio
sul legno, invaso
tutto d'un tratto dai timori. La sua inquietudine era giustificabile:
aveva la coscienza tutt'altro che pulita.
«Chi
è?» Per un attimo pensò persino di
richiamare Mjöllnir,
tutte quelle storie di complotti a Vanaheimr
l'avevano messo in allerta; per quanto ne sapeva, un sicario avrebbe
potuto bussare alla sua porta da un momento all'altro.
«Si
tratta di vostro fratello, Sire!»
Si
diede dello stupido, erano solamente le due guardie cui aveva
affidato Loki. Lo stress psicologico di quei giorni lo stava facendo
impazzire.
«Entrate!
Spero non sia nulla di grave».
Si
affrettò ad aprire la porta per poi richiuderla con un certo
nervosismo.
Sif
udì il tonfo dal giardino e acuì l'udito, come
una cerbiatta alza
le orecchie allarmata dell'arrivo dei cacciatori. Thor aveva ricevuto
visite.
Era
preoccupata per lui, temeva che potesse fare qualcosa di azzardato se
consigliato dalla voce sbagliata. Ma dopotutto egli era forse il
guerriero più temibile dei Nove Mondi, non aveva nulla da
temere per
la sua incolumità, piuttosto, per quella di Asgard.
«Cosa
avete detto?»
Pallido
e spaventato, una condizione che non si addiceva al dio del tuono.
Non
poteva dar credito alle parole dei due esecutori, non poteva dar
credito alle parole di Loki, che per tirarsi fuori dai guai avrebbe
escogitato qualsivoglia menzogna. Eppure, il timore che avvertiva,
come un formicolio fastidioso all'altezza del petto, significava che
quello che aveva appena sentito poteva essere vero.
«Sono
ovviamente delle bugie, mio Signore».
Nel
frattempo, Sif s'era affacciata sulla porta della camera, e alla
vista delle due guardie si era affrettata ad aggiustarsi la veste.
«Cosa
succede?»
«Taci
Sif», si affrettò a zittirla Thor,
«questa non è una faccenda che
ti riguardi».
Ignorando
completamente la guerriera, il re uscì dalla stanza seguito
dalle
due guardie, deciso a voler chiarire la faccenda di persona.
«Le
bugie di Loki non vi tormenteranno ancora a lungo mio re».
«È
vero, il giorno della sua condanna non si farà attendere
molto!»
«Silenzio,
silenzio!» Intimò Thor alle due guardie moleste.
Capiva che i loro
tentativi di tranquillizzarlo rientrassero nei loro doveri, ma vi
leggeva dietro anche un odio insito verso Loki che mal tollerava.
«Siete fin troppo loquaci. Spetta a me il compito di
giudicare se
quel che dice mio fratello è o no menzogna, e se non
è di mio
diritto decidere le sorti di Loki, posso quantomeno deciderne i
tempi».
Si
lasciò condurre fino alla cella in cui Loki abitava ormai da
un
mese, nascosta tra gli umidi cunicoli scavati sotto il balcone delle
Cascate Spioventi, un precipizio immenso di oltre ottocento metri dal
quale la grossa mole d'acqua del Fridsam saltava nel Grande Lago
Imut. I corridoi erano illuminati da una tetra luce verde, l'aria era
stagnante e pregna d'umidità. Era un luogo in cui persino i
topi e i
pipistrelli disdegnavano di vivere.
Trovarono
Loki ben sveglio, rannicchiato come al solito contro la parete, con
una sola coperta strappata a coprirlo. I suoi occhi erano stanchi ma
vigili.
«Eccolo
qui, il menzognero più talentuoso dei Nove Mondi»,
iniziò spavaldo
Thor, deciso a recitare la propria parte fino in fondo.
Loki
non seppe da quale angolo del suo cuore trovò la forza di un
simile
gesto, ma piegò le labbra in un sorriso beffardo; nonostante
riversasse in una palese condizione di debolezza, riacquistò
la sua
abituale posizione di superiorità e parlò in tono
ironico e
beffeggiatorio.
«È
curioso che sia proprio tu a conferirmi questo titolo, mio re»,
disse, caricando di disprezzo le ultime due parole.
Lo
sguardo di Thor si fece sfuggente, riluttante ad incontrare quello
del fratellastro, anche se il pericolo che egli riuscisse a far
valere le proprie ragioni era pressoché inesistente.
Ora
c'era invece un altra cosa da verificare.
«Che
fantasiosa storiella hai raccontato alle guardie! Come potevi anche
solo sperare di essere creduto?»
Il
prigioniero inarcò le sopracciglia e il suo sguardo si fece
freddo,
freddo e adirato nello stesso tempo.
«La
tua ottusità ha raggiunto livelli inimmaginabili,
è evidente che
avresti dovuto studiare anche sui libri oltre che sul campo di
battaglia. Casomai non te ne fossi ancora accorto, io non sono un
asgardiano, sono uno Jotun! Sai che significa?»
Dannazione,
quello sarebbe stato il momento adatto per acquistare sembianze
femminili. Loki digrignò i denti, proteggendo istintivamente
la
pancia con una mano. La paura di non essere creduto cominciò
ad
invaderlo. Un dolore lancinante lo investì all'improvviso,
diramandosi dall'addome in tutto il corpo, obbligandolo a piegarsi a
terra.
«Thor,
non sto mentendo!»
Il
dio del tuono, impietosito, si rivolse allora alle guardie che fino a
quel momento erano rimaste in religioso silenzio.
«Non
c'è modo di verificare s'egli stia o no dicendo la
verità?»
«L'unico
modo è aspettare».
«No,
è impossibile», Thor si affrettò a
declinare l'idea e si avvicinò
cauto al fratellastro, ancora dilaniato da forti dolori. Loki si
lasciò sfuggire una lacrima, tramortito dall'eccessiva
violenza di
quel male che l'aveva sorpreso senza preavviso.
Senza
che se ne accorse, Thor gli posò una mano sul ventre
credendo di
cogliere un segno, un rigonfiamento, un fremito, qualcosa che gli
provasse l'esistenza effettiva di quella creatura. Il giovane Jotun
colse l'occasione di quella vicinanza per catturare lo sguardo
dell'altro, svelando il suo privo di ombre menzognere, e per
parlargli a mezza voce senza essere udito dalle guardie.
«Thor, ti
sto dicendo il vero. Ricordi la seconda notte che mi portasti in
camera? Il bambino è tuo, è nostro. Non
è una bugia per evitare la
condanna, come potrei sostenere a lungo una menzogna del genere?
Permettigli di nascere e uccidimi dopo, se ciò ti
soddisfa!»
Lo
sguardo di Thor mutò, da adirato e autoritario a spaventato
e
freddo. Ritrasse d'improvviso la mano, come se si fosse scottato:
aveva sentito qualcosa, forse nulla più che un sussulto, uno
spasmo,
ma unito a ciò che Loki gli aveva appena detto lo convinse
della
veridicità delle sue parole. Si alzò in piedi e
arretrò di alcuni
passi, puntandogli un dito contro. La pazzia sembrava essersi
impadronita nuovamente di lui, come era accaduto pochi giorni
addietro.
«T-tu...
era un tuo piano fin dall'inizio, non è così? Mi
hai sedotto per...
contaminare con la tua sporca origine la pura e incorrotta linea di
discendenza di Asgard! Ma sappi che io non riconoscerò
questo figlio
bastardo! Io non lo voglio, e anzi, mi hai presentato un motivo in
più per giustiziarti a breve!»
La
sua voce vibrò insicura e rabbiosa nell'aria stagnante. Loki
accolse
quella sentenza delirante abbassando la testa, sconfitto. Le
insinuazioni di Thor erano così assurde che persino i
carcerieri lo
guardarono turbati, non c'era un briciolo di lucidità in
quelle
parole.
«Andiamo,
vi ordino di cessare le torture. Tra due giorni egli
morrà».
Con
le lacrime che gli imperlavano gli angoli degli occhi, Thor
voltò le
spalle al fratellastro, incapace di sostenerne oltre lo sguardo
affranto; il suo ampio mantello dorato ondeggiò imperioso,
piegandosi in morbide curve. Le guardie lo seguirono, evidentemente
deluse da come il loro re aveva deciso di risolvere la questione. Due
giorni in meno di tortura significavano due giorni in meno di
divertimento.
Loki
rimase nel buio della sua cella. Un orribile sentimento prese
velocemente forma dentro di lui, la paura, la frustrazione, la
rabbia. Le mani e le gambe gli tremavano, anche se le fitte l'avevano
abbandonato. Era tramortito di fronte a una tale mancanza di
pietà.
Ormai non c'era più speranza di salvezza, né per
sé né per il suo
secondo figlio, a meno che Thor non ritornasse a fare appello alla
sua umanità.
Con
un immane peso nel cuore, Loki si drizzò nuovamente a sedere
e
respirò affannosamente. Era madido di sudore, e perpetui brividi
freddi lo
tormentavano.
Stavolta
nemmeno il dio degli inganni avrebbe potuto trovare una via d'uscita.
*
Thor
non poté tenere a bada ancora per molto la
curiosità di Sif. Non
appena mise piede nella Sala del trono, ella era già
lì ad
aspettarlo, esigente di spiegazioni.
«Se
devo essere la tua regina, allora non puoi tenermi all'oscuro di
tutto!»
Il
dio del tuono raggiunse con immenso sforzo il seggio, e una volta
sedutovi fece un profondo respiro, solo allora poté dare
orecchio
alla calda voce della ragazza. Poggiò la fronte su una mano,
come un
vecchio stanco della vita.
«Hai
ragione Sif, ma non puoi aspettare che riordini le idee? Non credo
neanch'io a ciò che sto per dirti!»
La
guerriera lo guardò confusa, poche volte aveva visto Thor
così
sconvolto e insicuro.
«Riordinare
le idee? Ma certo. Con la sua lingua biforcuta Loki riuscirebbe a
confonderle anche al più erudito dei saggi».
A
quelle parole, Thor scattò in piedi e si erse in tutta la
sua
altezza. I suoi occhi fiammeggiavano, il suo sguardo ricordava quello
di suo padre. Era temibile, incuteva soggezione e rispetto.
«Ora
basta Sif! Tieni a freno la lingua!» Sbraitò
adirato, tanto che la
ragazza indietreggiò al suo cospetto. «Non voglio
più udire
maldicenze gratuite su mio fratello».
Sif
trattenne il respiro, intimorita, poi abbassò la testa in
segno di
scusa e deglutì, mortificata.
«M-mi
spiace di averti offeso, mio signore».
«Non
è me che hai offeso, ma Loki. Loki è condannato a
morte. Credo che
sia sufficiente».
Thor
si sedette nuovamente, fece un lungo respiro e cercò di
riacquistare
la calma. Era inutile arrabbiarsi con Sif, se ella ora gli stava
appresso e lo assillava più del solito la colpa era
unicamente sua.
Sua e delle sue promesse di carta.
«Se
posso, mio signore, volevo dirvi che è stato profondamente
ingiusto
scegliere di uccidere quel bambino. Dopotutto, egli era anche figlio
di lady Sygin, e lei ha dato la vita per metterlo al mondo».
Thor
ascoltò le parole di Sif come fossero un'eco distante, e si
perse a
fissare un punto imprecisato oltre le sue spalle.
«So
che era ingiusto. Per questo ho deciso di salvarlo».
«Cosa?»
«È
così. Non ti dirò nulla più».
«E
non mi dici nemmeno il motivo del tuo turbamento?»
Sif
lo guardò speranzosa e implorante, cercando un segno, un
indizio,
qualcosa che l'assicurasse di godere della sua fiducia. Ma in
quell'attimo, le grandi porte della Sala reale si aprirono, e sulla
soglia comparve Frigga, la vecchia regina. Come il proprio figlio,
sembrava mossa da inquietudine e tormento, come se un'ombra oscurasse
la luminosità del suo viso.
«Madre,
non dovresti essere a pranzo?»
«E
tu, dove dovresti essere? Quando inizi a saltare i pasti, Thor,
allora sì che devo preoccuparmi». La donna si
avvicinò al trono a
grandi passi, volendo guardare in viso il figlio.
«Suppongo
sia normale, madre», fece Thor scostante. Suo padre era morto
e suo
fratello avrebbe fatto la stessa fine tra due giorni, come poteva
pensare allo stomaco!
«Thor,
è stata presa una decisione. Il compito di giustiziare Loki
spetta a
te».
A
quella notizia, il ragazzo sentì il cuore saltargli in gola
e la
testa girargli, come se improvvisamente venisse pervaso dalle
vertigini e rischiasse di cadere a terra. Sif, indignata, non
riuscì
a non esprimere il proprio disappunto. «Ma è
crudele, crudele e
insensato! Regina, perché avete approvato
una decisione del genere?»
«Perché
è stata una mia decisione», rispose Frigga con
severità. Sif si
zittì all'istante e guardò preoccupata Thor,
ch'era diventato
pallido e tremante.
«Come
puoi chiedermi questo, madre?»
La
donna lo guardò dispiaciuta, cercando di fargli capire il
suo
profondo rammarico. Gli prese le mani con forza, stringendole nel
tentativo di rassicurarlo.
«Ti
sei già sporcato le mani del sangue di suo figlio, credo che
così
sia meglio per tutti. Anche per Loki».
«Ma...»
Sif tentò nuovamente di controbattere, ma venne zittita
all'istante
dalle sommesse parole di Thor.
«E
sia, lo farò io. Ma ora voglio che mi lasciate solo, tutti
quanti».
Le
due donne non osarono proferir parola, preoccupate e nervose
guardarono Thor alzarsi dal seggio e dirigersi verso i propri
appartamenti, in cerca di solitudine.
Il
peso che portava e che avrebbe dovuto portare sulle spalle era
immane, e non era nemmeno la minima parte di quello che loro
immaginavano.
Una
volta immerso nella semioscurità della sua stanza, chiuse la
porta a
chiave e si lasciò andare alle lacrime. Un pianto amaro, una
gola
nera senza uscita, un tunnel, un enigma senza soluzioni. Non era da
lui, stava sperimentando una debolezza che non gli era concessa, che
non aveva mai provato in modo tanto devastante. Si trovava a un
bivio, ora più che mai era costretto a scegliere una strada.
Strinse
il lenzuolo nei pugni fino a lacerarlo, e soffocò i gemiti
premendo
il viso contro il materasso. In quel momento più di ogni
altro
avrebbe avuto bisogno di una guida, di un consiglio valido.
Tra
gli occhi lucidi e lo sconforto, scorse la vecchia libreria di Loki,
dov'erano riposte con cura favole da bambini, leggende, ma anche
formulari e vecchi libri di magia, zeppi di appunti e scritte a
matita, nonché intere monografie dedicate alla geografia
dell'universo, alla fauna e flora di Asgard, ai sapienti di Midgard,
al popolo Jotun...
D'un
tratto gli tornarono alla mente le parole di Loki: avresti
dovuto
studiare anche sui libri oltre che sul campo di battaglia.
Spinto
dalla curiosità, si asciugò le lacrime indegne
con il dorso della
mano e afferrò la monografia dedicata ai Giganti di
ghiaccio. Era un
volume grosso e consumato, costellato di appunti, con le orecchie
sulle pagine e la copertina spellata. Era stato sfogliato tante
volte.
Con
il cuore in gola iniziò a leggere, conoscendo per la prima
volta le
usanze, la struttura fisica, le caratteristiche di quel popolo che
aveva sempre disprezzato.
L'idea
che nel grembo di Loki stesse davvero crescendo un bambino, il
suo
primo bambino, cominciava a prendere forma nella sua mente, e lo
sconvolgeva. Dunque era possibile; pagina dopo pagina, in quel libro
ne trovava la conferma.
Avrebbe
dovuto essere più prudente, ma perché mai Loki
non gli aveva detto
una cosa così importante? Forse per vincolarlo in futuro,
per
ricattarlo, per avere una controffensiva. Eppure, qualcosa gli diceva
che le cose non erano andate così. Il fratellastro sembrava
avere un
debole per i bambini, per la loro innocenza e ingenuità.
L'aveva
dimostrato con Liar, e anche ora sembrava disposto a qualunque cosa
pur di salvare la vita di quella nuova creatura, persino a costo di
compromettere se stesso. Forse era a causa del (lesse dal libro
pilotando la riga con il dito) famoso istinto di
sopravvivenza
Jotun e del loro innato spirito materno.
Era scritto nel
loro corredo genetico, anche involontariamente Loki aveva il
primordiale scopo di prolungare la propria specie, per cui
inconsciamente, durante un atto sessuale di qualsivoglia natura,
ricercava con ingordigia ogni più piccola goccia di vita,
impiantandola subdolo nel proprio ventre per dare così
inizio a una
gravidanza. Era un istinto che sarebbe stato opportuno saper
controllare, e Thor poteva giurare (a giudicare dagli imbarazzanti
appunti presi a bordo pagina) che Loki aveva cercato il modo di
tenerlo a bada.
Come
fosse stato colpito da una folgore, l'asgardiano richiuse velocemente
il volume alzando uno sbuffo di polvere dalle sue pagine ingiallite.
La realtà lo investì come un fiume in piena.
Due
giorni ancora, e Loki sarebbe morto.
Due
giorni, e avrebbe commesso la più grande vigliaccheria, il
più
grande errore della sua vita.
*
Dunque
tra due giorni avrebbe conosciuto la morte. Cosa misteriosa era
l'oltrevita, anche per gli stregoni più potenti. Alcuni
avevano
sperimentato misticamente il viaggio nell'aldilà,
ritornandone poi
con ricordi confusi, non veritieri ed estremamente scivolosi.
Erano
ore che Loki cercava di trovare una via d'uscita, senza tuttavia
farsi prendere dal panico quando le strade gli si presentavano tutte
impercorribili.
Forse,
utilizzando in un sol colpo tutte le energie di cui disponeva, che su
punto di morte aumentavano esponenzialmente, sarebbe riuscito ad
aprire un varco spaziale e a fuggire attraverso di esso. Ma
innanzitutto non aveva modo di eliminare la costrizione che gli
impediva di mettere piede nello spazio aperto, inoltre non avrebbe
mai disposto di sufficiente potenziale magico.
Loki
strinse i pugni e digrignò i denti, cercando con tutte le
sue forze
di ignorare quella povera creatura che reclamava disperatamente altro
nutrimento. Erano cessate le torture, ma anche le razioni di cibo
giornaliere. Il pasto della sera non era ancora arrivato e ormai il
cielo, nelle parti lasciate scoperte dalle nuvole, si macchiava di
stelle e polveri. Loki sbirciò la volta scura dell'universo
che
s'intravedeva attraverso uno squarcio nel soffitto, danneggiato dalle
infiltrazioni d'acqua e prontamente riparato da uno scudo trasparente
d'energia.
Non
c'era niente di meglio che osservare il cielo prima di morire,
tenendo una mano ben premuta sull'addome in ascolto del più
piccolo
singhiozzo. Come fosse uno scherzo della sorte, gli capitò
sotto gli
occhi il baluginio di un pianeta che ben conosceva:
Jötunheimr, la
sua amata e odiata patria.
Fu
inevitabile per Loki paragonarsi a Fenan Fin, l'infelice bestia di
Niflheimr esiliata ad Asgard. Eppure la sua di permanenza ad
Ásaheimr
non sarebbe stata infelice, se gli Asi e tutti gli abitanti della
Città Eterna l'avessero accolto come uno di loro. Da adulto
tali
discriminazioni grezze e ignoranti lo facevano solamente sorridere,
ma la sua infanzia così come la sua adolescenza erano state
difficili e sofferte.
«Anche
le creature della notte hanno un nome, ma il tuo rievocherà
la luce
di Asgard, giacché morirai sotto le sue leggi. Si
ricorderanno di
aver ucciso non solo uno Jotun, ma un Asi. Uno di loro».
Era
prorompente a tal punto la rabbia che sentiva in corpo che avrebbe
potuto sfondare le pareti della cella con la sola forza di
volontà.
Era un mago, uno dei più potenti dei Nove Mondi, e non
poteva fare
niente. Non aveva la forza di salvare un bambino in fasce né
il feto
che nuotava nel suo ventre.
D'improvviso, sentì la serratura della porta blindata scattare, e il
suo filo
di pensieri s'interruppe bruscamente. Immaginava che sulla soglia
comparisse una guardia con del cibo o con degli strumenti di tortura,
immaginava di vedere sua madre con le solite lacrime finte, avrebbe
potuto immaginare di veder comparire persino Odino redivivo, ma mai
avrebbe detto che a fargli visita fosse il suo fratellastro, Thor.
Era
sicuro che egli temesse di parlare direttamente con lui, data la sua
indecorosa vigliaccheria e irresponsabilità.
«Cosa
ci fai qui?» Sibilò velenoso il dio degli inganni,
alzandosi con
uno sforzo immane a mezzo busto. Nell'atto improvviso fu pervaso da
un forte dolore all'addome, e dovette sfruttare nuovamente il
sostegno della parete retrostante.
Thor
ignorò il tono ostile del fratello ed avanzò
imperterrito verso di
lui con aria severa e minacciosa.
«Non
parlare Loki».
S'inginocchiò
al suo fianco ed estrasse un coltello affilato dalla cintola. Loki si
ritrasse d'istinto, spaventato e convinto che il fratellastro volesse
ucciderlo quella notte, lontano da occhi indiscreti e testimoni.
«C-cosa
vuoi fare?»
Thor
cercò con tutto il cuore di ignorare quell'acuta nota di
terrore che
aveva colto nelle parole dell'altro, e diresse la lama verso la sua
spalla, cercando di non spaventarlo ulteriormente.
«Cerca
di stare fermo», disse soltanto, mentre apriva un taglio
sulla cute
pallida del fratellastro fendendo con precisione i tessuti, spingendo
il coltello in profondità finché, a un certo
punto, non toccò una
placca in metallo. Dunque si fermò.
Loki
non emise un gemito, si limitò a guardare sospettoso la
ferita che
gli si apriva sulla spalla sinistra e il sangue che gli colava lungo
il braccio, raccogliendosi sul gomito per poi gocciolare a terra. La
macchia scura che andava formandosi sul pavimento si amalgamava
indistintamente alle altre.
Thor
prese dall'armamentario lasciato a terra uno strumento che
rassomigliava a una piccola tenaglia, che Loki aveva sperimentato a
lungo sulla sua stessa pelle. Si avvicinò con gli occhi alla
lesione
e allargò con le dita i due lembi di pelle lacerata, per
vedere
meglio in profondità. Una volta scorto, afferrò
con le tenaglie
quel dischetto di metallo incassato tra le due masse muscolari e
tirò.
Loki
strinse i denti, tuttavia continuando ad osservare con attenzione i
movimenti del fratello.
«Che
cos'è?» chiese, una volta che Thor
riuscì ad estrarre quella
piccola placca metallica, sporca del suo sangue.
«Ricordi
la costrizione che ti venne applicata? Non fu una modifica al tuo
dna, tutto consisteva in questo dischetto che ti venne impiantato nel
corpo mentre non eri cosciente. Non ti abbiamo detto la
verità
perché non volevamo che tu cercassi di estrarlo, conoscendo
la tua
testardaggine ti saresti dissanguato pur di ottenere la
libertà».
Loki
lo guardò storto, cercando nel frattempo di tamponare
l'emorragia
con una mano. Se era vero che la placca era la costrizione spaziale
che l'aveva impedito fino a quel momento, perché quello
stolto
gliene aveva privato? Forse non tutto era perduto.
«Perché
hai fatto questo?»
Thor
tenne basso lo sguardo e s'impegnò con tutte le sue forze di
non
guardarlo negli occhi. La bugia che stava per dire era grossa, ed era
sicuro che Loki non sarebbe stato così stupido da cascarci.
«Il
compito di ucciderti è stato destinato a me. Lo
farò colpendoti con
un fulmine richiamato da Mjöllnir,
e temo che il campo magnetico emanato da quest'affare possa
interferire con la mia scarica elettrica».
Loki
cercò le iridi del fratello, chiare come stelle
nell'oscurità. Gli
alzò il viso con una mano e fece una cosa che mai e poi mai
si
sarebbe aspettato di fare. Lo baciò, toccandogli
delicatamente le
labbra con le proprie, a tentoni, cercando di risvegliare in lui
l'attrazione che li univa. Lo scopo era uno solo: inganno e
compassione.
Lo
faccio per te, Vald. Per la tua salvezza, per la tua vita.
Si
toccò il ventre caldo e si fece coraggio, ma proprio in
quell'attimo
Thor lo respinse, non cedette alla morbosità di quel gesto.
«Tu
non riusciresti ad uccidermi fratello! Hai intenzione di liberarmi,
non è forse così?»
Thor
si alzò in piedi e gli diede le spalle, tremava. Era un
debole, ed
era corroso dall'indecisione, lo si capiva solo guardandolo negli
occhi.
«Continua
a sperarlo Loki».
Sulle
labbra sentiva ancora il sapore salato e ferroso di quel bacio, un
sapore elegante e focoso allo stesso tempo, una fusione di
raffinatezza ed eros di cui solo il dio degli inganni in persona
poteva essere capace. Il suo cuore era spaccato a metà,
fremeva e
sanguinava, e presto una delle due parti avrebbe prevalso sull'altra,
se non con la riflessione, con il tempo. L'amore per Loki, o l'amore
per la propria vita?
«Si
chiama Vald».
Le
parole ferme e impassibili del giovane Jotun sferzarono l'aria come
un giavellotto scagliato, e congelarono Thor sulla soglia della
prigione. Il bambino.
Quasi
se n'era dimenticato, tanto la cosa gli sembrava assurda e costruita
per doppi fini.
Il
dio del tuono chiuse le dita in una morsa, stringendo i pugni
all'inverosimile. Maledetto.
Come
avrebbe potuto prendere una decisione usando la ragione, ora?
«Volevo
che tu lo sapessi, Thor, prima di dirci addio. Sarebbe diventato un
asgardiano migliore di quello che sei tu...»
Non
voleva suscitare compassione stavolta, non aveva dimenticato il suo
obiettivo: finire la sua storia a testa alta.
Gemette,
cercando di tamponare con un lembo di stoffa il sangue che continuava
a sgorgare dalla ferita aperta sulla spalla. Nei suoi occhi verdi e
stanchi guizzò un'ultima ombra canzonatoria.
«...perché
avrebbe avuto il mio cervello».
Ma
Thor se n'era già andato.
*
L'ultima
notte.
Quella
notte nessun componente della famiglia reale avrebbe chiuso occhio.
Frigga
si aggirava inquieta tra le sue stanze, cercando di affogare le
innumerevoli lacrime in un fazzoletto di seta premuto contro la
bocca, ormai inzuppato all'inverosimile.
Il
dio del tuono continuava a rigirarsi tra le dita quella placca
metallica nera di sangue, come se in essa vi fosse la soluzione di
quell'orrendo enigma. Era sdraiato sull'ampio letto della loro camera
e guardava le stelle, attraverso l'enorme squarcio nel soffitto.
Sif
non aveva nemmeno provato a cercarlo, probabilmente intimorita dalla
severità del suo ultimo ordine. Inoltre doveva aver preso
coscienza
del fatto che non gli sarebbe potuta essere d'aiuto.
Ancora
non capiva perché la madre gli avesse affidato un compito
così
gravoso. Che sospettasse di lui?
Cercando
di ignorare quei pressanti timori, si affrettò a scacciare
dalla
mente questi pensieri inopportuni, soprattutto a quell'ora di notte.
Scosse forte la testa come per risvegliarsi da un incubo.
L'indomani
avrebbe compiuto il suo dovere. Avrebbe fatto ciò che gli
asgardiani
si aspettavano dal loro re, null'altro.
Loki
invece, chiuso nel poco spazio che gli era concesso, dormiva. Forse
per la prima volta dopo settimane era caduto in un sonno profondo e
sereno, libero da lontane rimembranze o da inquietudini e tormenti,
limpido come l'acqua di torrente. Era insolito, la notte prima della
sua condanna a morte.
Ma
l'alba sorse puntuale la mattina seguente, sorse gialla e radiosa.
Non vi erano nuvole in cielo e le bestie uscivano dalle tane,
affamate di luce. Era, per così dire, una bella giornata.
Loki
era stato svegliato da un paio di guardie corpulente che non aveva
mai visto prima d'ora ad Asgard, forse erano appartenute al corpo di
guardia speciale di Odino.
L'avevano
messo in piedi senza troppi complimenti, scuotendogli di dosso le
ultime briciole di sonno. Lui non le aveva neppure degnate di
un'occhiata sprezzante, tale era ormai il suo disgusto per qualsiasi
asgardiano - eccetto Sygin ovviamente, ma ella era appartenuta ad
un'altra epoca.
Un
ultimo, folle pensiero gli attraversò la mente come un lampo
mentre
veniva trascinato fuori da quei corridoi ammuffiti: la fuga. Se non
per sé, almeno per riuscire a donare la vita a quella povera
creatura che portava in grembo.
Ma
benché le sue ginocchia fossero già pronte a
scattare e le braccia
a dimenarsi, l'ipotesi sfumò immediatamente, rimanendo ad
aleggiare
nella sua testa come un velo di nebbia. Impossibile.
Non
vi era possibilità di fuga, non vi era
possibilità di salvezza
all'infuori della clemenza di Thor.
Con
lo sconforto nel cuore, Loki si lasciò condurre fin sul
patibolo,
sulle distese verdeggianti della riva del fiume Fridsam, lì
dov'era
stato sepolto quel povero bambino al posto di Liar.
All'interno
di una conca gommosa di muschio ed erbe era stata posta una scarna
piattaforma di ferro, ottimale per condurre al meglio
l'elettricità.
Thor stava ritto in piedi di fronte ad essa, vestito di nuovo e
congelato come una statua di sale.
Alle
sue spalle, una folla astante di asgardiani si accalcava per
assistere all'esecuzione.
Frigga
si ergeva livida al fianco di lady Sif e delle sue ancelle, timorosa
di incontrare anche solo per un momento lo sguardo del figlio
adottivo. Loki, che odiava questo genere di vigliaccherie,
cercò in
tutti i modi di catturare gli occhi della madre, ma ella continuava
imperterrita a guardare terra, piangendo fiumi di lacrime finte.
Non
gli aveva nemmeno detto addio, non era venuta a porgergli un saluto.
L'amarezza
e la tristezza pesarono come macigni insostenibili nel suo cuore,
pesarono più che mai di fronte all'indifferenza della regina.
Fandral,
Volstagg e Hogun stavano ritti in piedi uno a fianco dell'altro, con
un'espressione neutra in volto. Loki avrebbe potuto giurare che, nel
silenzio e nel profondo dei loro cuori, gioivano, così come
gran
parte degli spettatori. Era sempre stato malvisto nel gruppo, la sua
era sempre stata una figura nefasta e inaffidabile agli occhi degli
Asi. Le sue scarse abilità militari e il suo modo di
combattere
ingannando e sfuggendo l'avversario, invece di affrontarlo a viso
aperto, suscitavano diffidenza e antipatia nei suoi compagni. I
rapporti si erano poi definitivamente deteriorati quando essi vennero
a conoscenza delle sue vere origini. Il leggendario odio degli
Asgardiani verso gli Jotun riemergeva sempre, soprattutto nelle menti
più grossolane, quelle più facili da soggiogare.
Ma
ormai questi pensieri perdevano di importanza, sfumavano ad ogni
passo, si assottigliavano sempre di più.
Le
guardie che lo scortavano strinsero con forza la sua veste di pelle
nera, posizionandolo con sgarbo sul suo punto d'arrivo.
In
un baleno Loki si trovò con i piedi che poggiavano sulla
piattaforma, il forte sole del mattino gli pungeva gli occhi chiari.
Dalla bolgia si alzavano male parole, insulti, sporadiche
acclamazioni, e il bisbiglio cresceva come una brezza si tramuta in
uragano.
Thor
era solo di fronte a Loki, nella mano destra stringeva Mjöllnir,
ma la sua presa non era salda, tremava ancora.
Così
non va,
sorrise il dio degli inganni, inclinando la testa. Hai
ucciso tanti Jotun senza nemmeno pensarci un attimo, Thor.
Perché
questa volta dovrebbe essere diverso?
Chiuse
gli occhi, cancellò la folla, Frigga, Thor dalla sua
visuale, e
cercò di immaginare per un momento Liar e Vald assieme,
grandi,
cresciuti. L'ultimo suo desiderio era che almeno Liar, figlio di
Sygin, venisse salvato.
Era
consapevole che da quell'attimo in poi ogni suo respiro poteva essere
l'ultimo.
Il
chiacchiericcio e l'aspettativa si fecero più incalzanti;
Loki
riaprì gli occhi e li rivolse al cielo, colto all'improvviso
da una
punta di panico.
Thor
gli aveva rivolto Mjöllnir
contro, il pubblico scalpitava.
«Loki,
tu sarai sempre mio fratello», disse semplicemente il neo re
di
Asgard, con voce rotta da un pianto silenzioso.
Loki
gli restituì uno sguardo irritato e terrorizzato allo stesso
tempo.
Aveva pochi secondi di vita, e lui si dava ai sentimentalismi? Ormai
le parole erano vane, erano polvere nel vento, erano foschia nel
cielo. Ora il poco spazio rimasto era destinato ad altre cose, a cose
più importanti.
«Thor,
salva l'altro». Le parole gli uscirono involontarie,
sfuggirono dal
suo controllo.
Salva
Liar, ti prego, risparmialo.
Se
solo avesse avuto abbastanza forza per attuare un contatto
psichico...
Thor
esitò un momento, poi capì, e fece un breve cenno.
Non
scorsero più lacrime sul suo viso, quando arrivò
il momento. Le
trombe di morte squillarono, fenderono l'aria limpida come un fulmine
nero, il vento cessò, l'aria si fece stagnante.
Loki
era pronto a chiudere gli occhi sul mondo, ora che si era assicurato
che Liar sarebbe rimasto in vita.
Gli
parve di sentire Vald singhiozzare. Che storia triste sarebbe stata
la sua, ucciso dal suo stesso padre, senza il piacere di assaggiare
la vita.
Liar
invece sarebbe sopravvissuto, avrebbe conservato la tenacia di Sygin,
la freddezza e la bellezza di Loki, il loro amore per le storie, i
racconti, i libri. Chissà in quale terra cresceva ora,
ignaro di
essere di sangue reale, di sangue Jotun.
Questi
ultimi pensieri invasero la sua testa come un'ultima bellissima ed
impetuosa esplosione, il poco tempo che gli rimaneva non gli bastava
neppure per rimembrare a dovere la dolcezza del viso di Sygin.
Passarono
uno, due, tre secondi interminabili.
Il
tempo era impossibile da giudicare, fuggiva via o restava immobile?
Loki
aprì gli occhi con immane sforzo, abbassò la
testa e guardò
nuovamente davanti a sé.
Non
appena il riverbero accecante gli lasciò tregua,
riuscì a
focalizzare la figura imponente di Thor.
Si
era fermato.
Sussultava,
corroso dai brividi, ed era più pallido che mai, come se si
trovasse
di fronte ad una spaventosa fiera che non riusciva a fronteggiare.
Mjöllnir giaceva ai suoi piedi, abbandonato tra l'erba.