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Autore: La_Morg    08/08/2012    1 recensioni
Non volevo rendermi conto di come stavano le cose. Non volevo rendermi conto che tutto ciò che ho sempre pensato essere falso in realtà era la verità. La pura Verità.
E non volevo rendermi conto che quell'incubo era reale. Non volevo. Ma dovevo.
Genere: Dark, Horror, Mistero | Stato: in corso
Tipo di coppia: non specificato
Note: What if? | Avvertimenti: Incompiuta
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The nightmare that became reality.


Non volevo rendermi conto di come stavano le cose. Non volevo rendermi conto che tutto ciò che ho sempre pensato essere falso, in realtà era la verità. La pura Verità.
E non volevo rendermi conto che quell'incubo era reale. Non volevo. Ma dovevo.


CAP 9: Inquieto Vivere.

Ciò che vediamo con gli occhi esterni è l'ultima materia. - Paracelso

Mi sentivo priva di forze. Anche se avevo a malapena assaggiato quella minestra dal sapore alquanto strano, il mio stomaco era in subbuglio. Non osavo immaginare quali potessero essere gli ingredienti di quella pietanza e camminai a passo lento, in cerca di un bagno, anche se non ero del tutto sicura di trovare una toilette in questo castello. Fortunatamente una toilette c'era.
Entrai subito nella stanza con Hewie sempre al mio fianco e richiusi la porta. Tenetti in considerazione la doccia come possibile nascondiglio per non farmi scoprire dalla cameriera, ma per il momento avevo bisogno di riprendere le forze. Mi avvicinai al lavandino e tirai fuori il medicinale che avevo trovato. Quella scatola conteneva alcune pillole: ne presi una e dopodichè bevetti un sorso d'acqua dal lavandino per farla mandare giù. Mi sentii immediatamente meglio. Ero di nuovo pronta per proseguire nella ricerca di mio nonno.

Ero giunta al Castello Belli. Quel posto era rimasto squallido proprio come lo visitai per la prima volta. Tutte quelle erbe rampicanti sembravano voler nascondere tutti gli orrori avvenuti negli anni precedenti...oppure  volevano semplicemente impedire l'accesso agli indesiderati, me compresa.
Notai subito la macchina di Fiona parcheggiata vicino al cancello e non esitai ad entrare. Trovarla era ormai la mia priorità. Non volevo avere un altro peso sulla coscienza.

*FLASHBACK*
Frustata per la cattura di mia cugina, cercai in tutti i modi di sfondare quella porta, invano.
Tornai indietro e trovai un'altra porta, ringraziando la buona sorte per il fatto che era aperta. Entrai e mi ritrovai in un corridoio scuro: mentre andavo avanti trovai quello che sembrava proprio un Homunculus. Era del tutto simile ad un essere umano ma era immobile e continuava a mormorare tra sè e sè frasi senza senso. Forme di vita create artificialmente, ma che non posseggono un'anima. Così mi disse in passato mio padre, e aveva ragione. Quell'essere non provava niente, forse nemmeno si era accorto di me. Procedetti per la mia strada passando oltre quell'essere. Dopo qualche passo però una mano mi afferrò le caviglie. L'Homunculus continuava a stringere la presa e continuava a ripetere a voce alta una sola parola. Azoth.
Cercai di non agitarmi troppo, altrimenti avrei peggiorato la situazione. Ringraziai nuovamente la buona sorte: notai un pezzo di legno appoggiato su un divano e lo conficcai con tutta la forza che avevo nel braccio dell'Homunculus, che lasciò la presa e riprese a mormorare come prima. Nonostante la ferita, continuava a parlottare da solo come se nulla fosse successo. Riuscii dunque a proseguire senza ulteriori interruzioni, con la speranza di trovare al più presto Mathilde.
*FINE FLASHBACK*

Dopo essere uscita dal bagno, mi misi nuovamente alla ricerca di una mappa, nella speranza di poterla trovare anche strappata, dato che mi importava solo uscire da quel castello al più presto. Tornai indietro nella sala da pranzo, per poi andare in un corridoio; al fondo di esso c'era una porta, questa volta aperta, entrai e mi trovai in un laboratorio. Lo capii facilmente per il fatto che c'erano diversi attrezzi, come alcune beute. Inoltre c'era un caminetto che continuava a bruciare: mi chiesi immediatamente a cosa potesse servire una stanza del genere in questo posto così desolato, ma ciò che mi incuriosii di più era una statua gigante fatta di terra che bloccava l'uscita. Mi accorsi immediatamente dell'apertura posta sull'addome di essa e compresi che per spostarla ci voleva una specie di chiave. Decisi di tornare ancora indietro per andare avanti nel corridoio (non lo avevo ancora percorso del tutto) e trovai un'altra porta, sempre aperta. Quando entrai nella stanza, vidi che era vuota, piena di ragnatele, ma soprattutto...distrutta. Il pavimento era incrinato, il lampadario era caduto a terra e c'era una gabbia per uccelli arrugginita: dentro di essa c'erano alcuni resti.
Infine notai una strana macchina da scrivere, anch'essa arrugginita. Appena mi avvicinai verso lo strumento, sentii uno scricchiolio e non feci in tempo a voltarmi che la porta improvvisamente si chiuse. Mi spaventai non poco: cercai comunque di tranquillizzarmi e di concentrarmi su quell'attrezzo. La mia attenzione fu dunque attirata da un foglietto che sporgeva dalla macchina: lo presi e lessi le parole scritte su esso:

"Benvenuta nel castello Belli, mia cara Fiona.
Sono più sicuro che tu ora sia qui, a cercarmi in questo castello apparentemente abbandonato.
Ho bisogno che tu venga al più presto nel posto in cui mi trovo, dato che quel maledetto di Riccardo, che si ritiene di essere il vero erede di questo castello, mi dà la caccia e sono costretto a restare nascosto qua, con l'unica speranza di poterti incontrare.
Ti lascio questo documento riguardante lo Seferru Yetira, sicuramente ti sarà utile per andare avanti e dare vita anche a ciò che è stato plasmato dalla terra.
Con affetto,
Lorenzo Belli"


Dopo aver letto attentamente quelle frasi, rimasi piuttosto stupita: chi era Riccardo? E soprattutto, cosa c'entrava con la famiglia Belli? Le mie domande rimasero senza risposta, mi concentrai invece sul "Seferru Yetira" menzionato nella lettera. Girai il foglietto e vidi stampate parole apparentemente prive di significato. Ma una di esse era evidenziata di rosso: EMETH.
Cosa poteva significare? Cercai di associare questa parola con l'ultima frase della lettera di mio nonno..."dare vita anche a ciò che è stato plasmato dalla terra"...Mi venne subito in mente la statua gigante di terra, e compresi immediatamente che "EMETH" era la parola chiave: la digitai dunque sulla macchina da scrivere. Dopo aver fatto ciò, ne uscì fuori una piastra: la tolsi e ritornai nel laboratorio. Inserii la piastra nel gigante che...prese improvvisamente vita e si spostò verso uno degli angoli della stanza.
Varcata la porta, iniziai a sentirmi sollevata: mi trovavo nuovamente all'esterno e speravo di poter trovare al più presto il luogo in cui si trovava mio nonno, ma mi sbagliavo. Il mio incubo stava per diventare realtà.
  
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