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Autore: kalina    09/08/2012    6 recensioni
"Smisi di dondolare la gamba nell’acqua e sistemai meglio le braccia conserte dietro la testa, chiudendo gli occhi. Dio, ancora non ci credevo. Avevamo deciso di prendere in mano le nostre vite, di finirla di nasconderci dietro a futili pretesti e cominciare a goderci ciò che indubbiamente, dopo tanti anni e tante sofferenze, meritavamo. "
Genere: Drammatico, Sentimentale | Stato: in corso
Tipo di coppia: Slash
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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Buongiorno! Eccomi con il secondo capitolo!
Non vi nascondo una certa apprensione, ma ci tengo tantissimo a ringraziare tutte le meravigliose lettrici
che hanno lasciato una recensione al precedente.
Siete state gentilissime e non posso che augurarmi con tutto il cuore che apprezzerete anche questo,
nel corso del quale la storia non fa grandi passi avanti, ma introduce una buona parte dei protagonisti.
Buona lettura e, se vi va, fatemi sapere cosa ne pensate!





2.

Il trillo improvviso del cellulare di Catherine mi fece sobbalzare.
Da più di un’ora mi lasciavo cullare dal ritmo regolare dei suoi singhiozzi, così come dal mormorio costante e cadenzato di Rita, che doveva essersi ipnotizzata in un interminabile ciclo di preghiere.
Per il resto, se ci fosse il caos intorno a noi o non volasse una mosca, non saprei dirlo. Trovavo ammaliante l’indicazione dell’uscita antipanico dritta davanti a me, avrei potuto descriverla ad occhi chiusi.
Mio fratello seguì con lo sguardo Catherine che si alzava e rispondeva al telefono, poi sospirò. Shannon. Oh, Shannon… Se solo fossi stato capace di compiere un minimo movimento, avrei voluto abbracciarti, strettissimo, e rimanere nascosto tra le tue braccia. Era venuto con noi, subito, senza nemmeno che glielo chiedessi. Mi voltai lentamente verso di lui e, per la prima volta da quando eravamo saliti in macchina, incrociai i suoi occhi. Era stordito e agitato. Mi chiesi quanto lo fosse per Colin e quanto per me.
Distolsi lo sguardo e  scossi la testa per scacciare immediatamente le odiose lacrime che in un secondo avevo sentito bagnarmi le ciglia. Non dovevano scendere, non ancora. Conservavo quel minimo di lucidità necessario per rendermi conto che l’unico modo di mantenere la calma era rimanere bloccato in uno stato di semi-incoscienza. Stavo affrontando la situazione come un automa, meccanicamente silenzioso ed efficiente.  Avevo persino avuto il sangue freddo di prendere lo spazzolino da denti di Colin, perché nessuno di certo ci avrebbe pensato. E perché avrebbero dovuto, in effetti? Non ti lavi i denti se sei steso su un tavolo operatorio con degli sconosciuti che ti aprono la testa.
Non provavo alcun sentimento, se non un principio di rabbia che andava via via aumentando. Quante volte, quante centinaia di volte, lo avevo pregato di andare piano su per la via di casa sua; di sera, specialmente, era tutto buio, le curve troppo strette per consentire una visibilità decente. E lui non suonava nemmeno il clacson! “Tanto non c’è mai nessuno qui, ci abito praticamente solo io in questa strada”.
Apparentemente, qualcuno ce l’aveva trovato quella sera. Qualcuno che non si era fatto niente e, grazie a Dio, se non altro, si era fermato ed aveva chiamato i soccorsi. Colin, per scansarlo, si era schiantato contro il guard rail, fortunatamente sul lato interno della strada. La Ford, avevano detto le sue sorelle, completamente distrutta sul davanti. Di lui non si sapeva niente, se non che era arrivato in ospedale privo di sensi e con probabile trauma cranico.
E adesso aspettavamo, seduti in quel corridoio, come anime in pena. Appena si fosse risvegliato, pensavo, appena avessi potuto vederlo coi mei occhi e mi fosse passata quella stretta allo stomaco, l’avrei picchiato così forte che avrebbe rimpianto di non essersi ferito più gravemente.
Coglione d’un irlandese.

- Dov’è Cathy? – Eamon tornò a sedersi accanto a sua madre, facendo scivolare il cellulare nei jeans.
- Scott l’ha finalmente chiamata. Due smartphone e un i-phone e un’ora e mezza per richiamare. –
Eamon guardò di traverso Claudine, ma non disse niente. Non era il momento per incrementare o smorzare l’astio di sua sorella per il neo sposo di Catherine. Poi aggiunse:
- Papà sta andando in aeroporto. Ci farà sapere appena trova un volo. –
Rita fece un segno d’assenso e prese la mano di suo figlio. Sentii Shannon alzarsi dalla sedia accanto alla mia.
- Vado a prendere un caffè. Volete qualcosa? –
Non ci fu risposta perché il rimbombo dei passi di Catherine concentrò l’attenzione di tutti verso la sua figura che ci correva velocemente incontro, arruffata. – Sono usciti! – sventolò le braccia verso di noi – Sono usciti. – ripeté.
Un medico, alto, nell’atto di togliersi la mascherina, sbucò subito dietro di lei e io schizzai in piedi come una molla.
Ci guardò: - Tutti per il signor Farrell? –

- Come sta mio figlio? –  quasi gli si sovrappose Rita.
Si passò una mano sul capo e prese aria : - Adesso è stabile. E’ arrivato esteriormente illeso, ma già privo di conoscenza; la tac ha evidenziato un esteso trauma cranico. L’operazione è riuscita perfettamente e non c’è stato nessun danno a livello cerebrale. Dobbiamo aspettare che si svegli e constatare quali conseguenze siano eventualmente derivate dal colpo; in casi come questo sono frequenti lievi stati confusionali, brevi amnesie, crisi di panico e fenomeni simili. Ma si tratta di cose da poco, il peggio è passato. -  abbozzò un sorriso.
- E tra quanto si risveglierà, dottore? – sentii chiedere Claudine, da dietro.
- Questo è soggettivo, varia da persona a persona. Considerando le condizioni generali del signor Farrell e l’esito dell’operazione, azzarderei tre, quattro ore…non oltre la nottata comunque. –
- Ma si sveglierà, quindi…vero? – il tono di Catherine era ancora incerto.
Il dottore sorrise, completamente questa volta. – Si sveglierà, state tranquilli. –
Chiusi gli occhi e assaporai l’aria che mi attraversò i polmoni, improvvisamente fresca. Sentii la mano di mio fratello stringermi la spalla, mi voltai e l’abbracciai. Poi abbracciai Claudine ed uno ad uno tutti gli altri. Sorridevano e piangevano insieme.
Coglione d’un irlandese.


Dopo il tentativo di Claudine, dovetti parlare anch’io con Kim per tranquillizzarla e convincerla che avrebbe potuto aspettare il giorno seguente per raggiungerci. Qualcuno, forse Eamon, avvertì anche Alicja. Il padre di Colin chiamò per dire di essersi imbarcato e, alla fine, riuscii persino a spedire Shannon a casa. La situazione era ormai stabile, dovevamo solo aspettare che si svegliasse, e mi sentivo di potermene stare senza mio fratello, che non dormiva da almeno 24 ore.
Finalmente, le infermiere si rassegnarono al fatto che non avremmo desistito e, intorno alle 3 e mezza, ci permisero di vedere Colin.

- Siete tutti di famiglia? – domandò una, soffermando per un secondo lo sguardo su di me.
Probabilmente mi aveva riconosciuto.
- Sì, tutti parenti. – si affrettò a dire Eamon.
La giovane infermiera mi guardò ancora un istante, poi, con fare risoluto, precisò: – Non potete entrare tutti insieme, al massimo due alla volta. E ovviamente non dovete smuoverlo o strattonarlo, niente abbracci, non si sale sul letto ed è consigliabile contenere il rumore. –
Mi venne quasi da ridere. Se non fossi stato ancora un po’ teso, l’avrei fotografata col mio BB e postata su twitter col titolo “the Nazi Nurse”.
- Mamma, io non me la sento di vederlo finché non si sveglia. Perché non entrate intanto tu e Claudine? Noi vi aspetteremo qui. –
Con una famiglia meravigliosamente unita come quella, non potevo certo pensare che mi avrebbero steso il tappeto rosso per entrare per primo. Era giusto così. Eamon annuì, spingendo sua sorella verso la porta e, mentre mi voltavo per sedermi, Rita mi posò gentilmente una mano sul braccio.
- Lasciami qualche minuto per vedere coi miei occhi che è vivo e vegeto. Poi ti prometto che sarà tutto tuo. –
Sorrisi e la accarezzai una guancia. - La mamma è sempre la mamma. Aspetterò qui fuori. –
Mi guardò con quella dolcezza di cui tante volte Colin mi aveva parlato, dopodiché si avviò con la figlia verso la stanza, per sparire dietro la porta richiusa da due infermiere. Eamon si riavvicinò a me e Catherine. Lo guardai di sbieco:
- Grazie per avermi incluso nella famiglia. Non avevo alcuna voglia di mettermi a discutere. –
- Beh, non ho mentito poi di molto … - Mi fece un occhiolino. – Forza, andiamo, vi offro un caffè, - mise le braccia intorno alle nostre spalle e ci spinse verso le macchinette - altrimenti quando Colin si sveglierà, noi saremo stesi su queste sedie a russare! –


Quando sentii il rumore della porta che si chiudeva alle mie spalle e riuscii ad intravedere i piedi del letto, avevo ormai perso ogni speranza. E invece, finalmente, eccolo lì. Giaceva supino, la testa leggermente inclinata sulla sinistra, le braccia stese lungo il corpo in un insieme composto e ordinato, decisamente inusuale per Colin. Da quando avevamo dormito insieme la prima volta, non l’avevo mai, mai trovato al mattino in una posizione normale, ma sempre incastrato tra le lenzuola o in se stesso. All’inizio, in Marocco, l’avevo imputato al caldo o a qualche agitazione notturna che credevo lo prendesse per la novità della situazione; col tempo però mi ero dovuto ricredere. Perso per un attimo in quei pensieri, mi ritrovai inconsciamente a sorridere, ma, indugiando in quella vista- letto bianco, lenzuola bianche,  muri bianchi, un ago infilato in quel braccio innaturalmente posato, diversi tubicini che lo collegavano a delle macchine- un brivido mi corse lungo la schiena. Mi venne in mente l’estate passata, quando, già troppo affaticato da un tour estenuante, ero finito in ospedale alla fine di un concerto a cui, con un briciolo di buon senso, avrei dovuto rinunciare. Colin se l’era presa tanto, ma io avevo minimizzato l’accaduto e gli avevo pure risposto male. Ora cominciavo a capirlo: non era stata una predica, la sua, era stata paura. Presi mentalmente nota di scusarmi con lui, al momento giusto, dopo che si fosse svegliato. O meglio, dopo che si fosse sorbito il mio sfogo per quelle ore di inutile, assurdo spavento.
- Disgraziato! Guardalo, sembra che si faccia una pennichella! –
Spostai lo sguardo su Eamon, che si era già avvicinato ad un lato del letto. In effetti il dottore aveva detto la verità: non aveva un graffio addosso, era perfetto, se non per un cerotto sotto lo zigomo sinistro e una piccola benda sullo stesso lato del volto, all’attaccatura dei capelli. Eamon gli sfiorò una guancia con una mano, scendendo fino al collo.
- E’ pure bello calduccino e con un invidiabile colorito roseo..! – rise. Poi si accigliò, guardandomi: - Che fai laggiù, Jared? Vieni qui, vieni a vedere come si rilassa mentre noi perdiamo anni di vita... –
Sorrisi e mollai lentamente la sbarra di metallo del letto a cui mi ero aggrappato, raggiungendo Eamon, che si spostò di lato.
- Sai cosa, già che ci sono, visto che fila tutto liscio, ne approfitto per fare uno squillo a Steven. Sai, per tranquillizzarlo ancora... – Mi strinse una spalla, ammiccandomi. – Tanto lo lascio in buona compagnia, no? –
- D’accordo. – Gli sorrisi imbarazzato, ma senza nascondere un certo sollievo. – Fai con calma. –
Uscì. Eamon non condivideva con Colin l’attitudine alla recitazione e il suo palese tentativo di lasciarmi un po’ di spazio da solo con suo fratello ne era l’ennesimo esempio. Mi dispiaceva che se ne fosse andato quasi subito, ma, in tutta onestà, avevo davvero bisogno di prendermi due secondi di intimità con Colin.
Mi accorsi di una sedia che Rita o Claudine dovevano aver utilizzato, la avvicinai ancora di più al letto e mi sedetti.
Lo guardai, inspirando profondamente e gli presi la mano sinistra tra le mie. Scorsi l’indice sulle sue dita, delineandone piano i contorni, poi la sollevai leggermente, strofinandomela contro il volto. Mi ero arrabbiato, era vero, avevo già pronto un bel discorsetto da fargli, ma in quel preciso instante avrei solo voluto abbracciarlo forte e sentirmi dire che sarebbe andato tutto bene. Sentirlo da lui, dalla sua voce.
Poggiai la fronte sul suo braccio, incastrando una mano nella sua e stringendo con l’altra poco sopra il suo gomito. Mi accorsi di essere esausto. Tutta l’agitazione delle ultime settimane coronata da quella fantastica ciliegina sulla torta.
Nove cazzo di anni per fare i conti con la nostra situazione, per avere il coraggio e la certezza di una vita insieme, prepariamo tutto, siamo ad un passo così e lui si schianta con la sua fottutissima macchina per giocare alla formula uno!
Mi avvicinai ancora e gli accarezzai una guancia, per poi soffermarmi sul lobo dell’orecchio, giocandoci lentamente. Respirava piano, regolarmente e non mi trattenni dal tracciargli con dolcezza i tratti del volto con il pollice. Mi fermai su una leggera macchia rossastra poco sopra il labbro superiore e sorrisi fra me. Le tracce del rossetto avevano tradito Claudine. Mi inumidii un dito e cancellai delicatamente le prove del misfatto prima che la Nazi Nurse depennasse la poveretta dalla lista degli autorizzati alle visite.

L’orologio alla parete indicava le 4.12. L’operazione era finita da più di quattro ore e mi sarei sinceramente sentito più tranquillo se Colin avesse cominciato a dare qualche segno di ripresa, invece continuava a dormire beato.
Appoggiato con il gomito sul letto, cercai di dirgli qualcosa, sperando di facilitare il processo.

- Sai, Col, dovremmo rivedere alcuni particolari del nostro piano, adesso. Voglio dire, se alla tua età hai ancora la testa così dura da non seguire nemmeno i precetti più elementari per salvaguardare la tua persona, forse – distesi il braccio parallelamente al suo, sistemando con attenzione la testa sull’esterno del suo torace – beh, forse dovrei portarli un po’ più io i pantaloni in questa relazione. No, dico sul serio, d’ora in poi prenderò io le decisioni e tu, caro mio, tu ti adeguerai, almeno finché non mi dimostrerai di essere una persona responsabile. – Chiusi gli occhi e sorrisi, riflettendo che in effetti le cose stavano già così, ma avrei stretto ancor di più le briglie. – Tanto per cominciare, potremmo trasferirci a casa mia e non tua, così il problema delle curve sarebbe risolto, poi…
Non so per quanto continuai a parlare da solo, ma in breve tempo la vicinanza e il calore del corpo di Colin sciolsero la tensione accumulata e il sonno ebbe la meglio su di me. Fu Claudine a svegliarmi, scuotendomi leggermente sulla spalla e sedendosi accanto a me. Impiegai qualche secondo per tornare lucido e ricapitolare la situazione.
- Scusa, credo di essermi appisolato per un po’. –
Mi rivolse un’espressione divertita.
- Appisolato?! Dormivi come un sasso! Guarda che sono quasi le sei di mattina. –
Cercai conferma nell’orologio, sbalordito.
- Eh, già… - rise – pensa che nel frattempo un’infermiera ha fatto un veloce controllo, Cathy si è convinta ad affacciarsi un attimo e tu non ti sei spostato di un millimetro. –
Mi sentii imbarazzato e mortificato. –Dio mio, mi dispiace…Perché non mi avete svegliato? –
- E perché, scusa? Eravate così carini! –
Arrossii. Colin ed io eravamo sempre stati molto riservati, anche con chi ci conosceva bene.
- E poi anche noi ci siamo un po’ riposati…Al momento sono l’unica sveglia, il clan dei Farrell è accampato in sala d’attesa. –
Sorridemmo. In effetti mi aveva fatto bene staccare per un po' la spina. Mi voltai verso Colin, immobile come quando l’avevo lasciato.
- Nessun cambiamento? Non dovrebbe essersi ripreso ormai? –
- No, niente di nuovo. Dicono che è tutto a posto.  L’infermiera di cui ti ho accennato prima ha detto che tra una mezzora verrà personalmente il dottore che l’ha operato a controllare. –
Annuii, ma mi sentii attanagliare lo stomaco da una spiacevole sensazione e Claudine, che invece pareva serena, se ne accorse.  Mi strinse la mano che tenevo sul bracciolo della sedia, sorridendo dolcemente.
- Me l’ha detto, sai? – disse, inclinando la testa ad indicare il fratello. La guardai confuso – Di voi due, di cosa avete deciso di fare.–
- Oh…-
- Mentre andavamo in aeroporto, l’altra sera. Gli brillavano gli occhi. –
Non sapevo cosa dire. – E - mi schiarii la voce – e cosa ne pensi? –
Si raddrizzò sullo schienale, rivolgendomi uno sguardo ovvio. – Che era l’ora. Io, noi, vogliamo solo che sia felice. E lo sarete, felici, Jared. Quindi, come vedi, questo piccolo incidente di percorso non è altro che l’ultima trovata di mio fratello per creare un po’ di suspence, prima di sganciare la bomba, sai. Perciò stai tranquillo. –
- D’accordo. – annuii, sorridendo.
- Anzi, alzati, esci da qui, fai due passi. –
- No, davvero, non è necessario, vorrei –
M’interruppe: - Jared, non te lo sto suggerendo, te lo sto imponendo. Sgranchisciti le gambe, lavati la faccia, beviti una cioccolata e, magari, dico, magari, potresti addirittura mangiare qualcosa. Giusto per cambiare aria dieci minuti. Rimango io qui, vai. – Mi tirò su in piedi, spingendomi verso la porta. – Anzi, già che ci sei- si frugò in tasca e mi mise in mano un biglietto da cinque dollari – prendi un caffè anche per me e con il resto facci colazione. –
Come aprì la porta e io feci il primo passo per uscire, si sentì alle nostre spalle un mugugno indistinto. Ci bloccammo, gli occhi fissi gli uni negli altri, e un secondo lamento, più forte, ci fece voltare.
- Colin! - Claudine corse ad un lato del letto.
Mi affrettai dall’altro, mentre Claudine continuava a chiamare il nome del fratello, tenendogli la mano. Colin aprì gli occhi, lentamente, cercando di metterci a fuoco. Guardò sua sorella, poi me, per tornare di nuovo su di lei. Strizzò le palpebre, in un’espressione di disagio.
- Che è successo? – masticò.
- Hai avuto un incidente d’auto, mentre tornavi a casa. – sussurrò Claudine. – Sei in ospedale adesso, hai battuto la tua testa dura, ma stai bene. –
La fissò, incerto, e spostò lo sguardo su di me. – Col? – strinsi appena la presa sul suo braccio. Tornò lentamente su sua sorella.
- Claudine..? – aveva un tono strano.
- Sì –
- Ma da quanto sono qui? –
- Da ieri sera, Colin. E’ giusto giusto l’alba, adesso. –
- Uhm… - chiuse gli occhi e abbozzò un sorriso – beh, temevo qualche anno. Per poco non ti riconoscevo da come sembri invecchiata. – li riaprì, sempre sorridendo. – Devo averti fatto prendere un bello spavento, eh?! –
- Idiota! – rise lei. Mi guardò, sollevata e contenta. – Vado a chiamare un medico e gli altri. –
- Certo. – le annuii e mi sporsi verso Colin, che non mi aveva ancora assolutamente considerato, fatta eccezione per un paio di sguardi incodificabili. In quel momento, però, era rivolto verso di me e mi accorsi di avere la sua attenzione.
- Ehi? – gli dissi con dolcezza, posandogli delicatamente una mano sulla guancia destra.
Continuò a guardarmi, concentrato, poi senza sciogliere la sua espressione corrucciata:  - Ma tu chi sei? –
Rimasi pietrificato dalla sua serietà. Claudine, che stava uscendo, lo sentì e tornò indietro sbuffando.
- Sei troppo presuntuoso se credi di poter fare invecchiare in una notte un uomo che è rimasto uguale negli ultimi vent’anni! Lui non è me, Colin. –
Claudine scherzava, non aveva visto la sua espressione. Ma noi non ci spostammo di un millimetro, lui ancora concentrato su di me, io con un bisogno improvviso di vomitare.  I suoi occhi.
- Ma guarda, c’è Jared –
Colin la interruppe, sempre fissandomi, ora con sguardo estremamente confuso: - Io veramente non riesco…ti ho visto da qualche parte, ma non so chi sei. –
Non riuscivo a reagire in nessun modo, a parlare, a muovere un muscolo. Sentii Claudine avvicinarsi dietro di me.
- Che giorno è oggi, Colin? – gli chiese con tono grave, adesso.
Colin spostò lo sguardo in avanti, verso di lei. – Uhm…Il 14 luglio? – tornò su di me.
- Beh, in realtà ormai è il 16, ma –
- Abbiamo lavorato insieme! – la interruppe di nuovo, sorprendendomi. – Abbiamo girato una scena per Joel a New York, con quel freddo disumano. Phone Booth giusto? – mi guardò soddisfatto - Però mi pare che poi l’abbiano tagliata…Non dirmi che l’ho fatto con te l’incidente! –
Colin mi guardava con aspettativa, ora più rilassato. Ero di sasso. Riprese, apostrofando Claudine:
- Sorellina, credevi che mi fossi rimbambito, di’ la verità. Dammi tregua, non è come se non avessi riconosciuto la mamma! Ho ancora del –
- Di che anno? – non so come mi uscì – il 16 luglio di quale anno? –
 Mi guardò stupito. – 2002. Il 16 luglio del 2002. –
In un secondo Claudine fu fuori dalla stanza.







  





  
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