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Autore: claudia94_EGB    09/08/2012    2 recensioni
Gregory House ritorna al Princeton qualche settimana dopo la sua partenza in moto con Wilson. Perchè? Che cosa troverà?
Genere: Drammatico, Introspettivo, Romantico | Stato: in corso
Tipo di coppia: non specificato | Personaggi: Un po' tutti
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno | Contesto: Contesto generale/vago
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Ritorni inattesi


La scritta Gregory House M.D. campeggiava bianca sulla porta di vetro che separa lo studio del diagnosta dal resto dell'ospedale. Tutto nel suo ufficio era rimasto come lo aveva lasciato, come era sempre stato nel suo piccolo mondo così restio ai cambiamenti.
Era ormai sera e House se ne stava sdraiato sulla poltrona beige accanto alla porta con le cuffie alle orecchie, mentre il lume acceso nel suo studio emanava una luce soffusa. In quelle settimane di vacanza all'aria aperta trascorse insieme al suo migliore amico, la pelle gli si era fatta più scura. Sembrava che dormisse se non fosse stato per i piccoli movimenti del capo e le lievi smorfie sul volto, tipiche di quando la musica lo faceva riflettere sui suoi adorati casi/enigmi o su se stesso. Anche in quel momento House pensava e ricordava.

Foreman, l'ambizioso direttore amministrativo del Princeton, non aveva fatto neppure in tempo a riorganizzare il reparto di diagnostica con Chase che prendeva il posto di House. Il geniale ed insostituibile dottore da 100 milioni di dollari era tornato e il suo team, per dire la verità, non ne fu per niente sorpreso. House non era mai riuscito a far credere ai suoi colleghi di essere morto: nonostante molte volte in passato avesse cercato il suicidio, non sapeva morire ed era il primo che cercava di strappare i suoi pazienti dalla falce fatale. Quel giorno, quando infilò il coltellino nella presa, aveva chiamato Amber; quando si buttò dal balcone dell'hotel sapeva di fare un gran tuffo nella piscina. Si era guadagnato sei mesi di prigione a causa della disperazione per la situazione di Wilson. Lui era un codardo o forse amava la vita perchè in fondo credeva che la sua sofferenza, fisica e morale, lo avesse reso speciale. House ricordò i giorni piacevoli e nello stesso tempo drammatici per lui come per Wilson e non c'era di meglio che perdersi tra le note di Beethoven o della suite n.1 di Bach, la melodia della rinascita.
Il dolore alla gamba improvvisamente cominciò ad aumentare di molto e neanche il potere benefico della musica che dopo un po' offuscava i suoi pensieri riuscì a distoglierlo dalle fitte che gli attraversavano la carne e dalle contrazioni involontarie di quel muscolo sfregiato.
Nonostante il dolore intollerabile, House stava adagiato sulla poltrona con gli occhi chiusi e massaggiava energicamente la sua gamba.
Fu proprio allora che sentì avvicinarsi dal corridoio dei passi decisi, maschili.
"Scarpe eleganti ma non costose, con tacco, sicuramente è Foreman" pensò immediatamente House.
Altrettanto velocemente gridò, cercando di imitare la persuasione di un pastore:
"Foreman, fratello nero, torna sulla retta via che ti riconduce al tuo ufficio!"
L'ex dipendente di House, non curante del noto sarcasmo, entrò nello studio del diagnosta e con un' aria di sfida, ma divertita sentenziò:
"House, alzati e..."
"Cammina, anzi no, zoppica"
rispose il dottore con la stessa voce simulata di prima.
"Esatto, zoppica nel mio ufficio. Devo parlarti." ed uscì in fretta andando nella direzione opposta di quella da cui era venuto.

Quando House raggiunse l'ufficio di Foreman, lui stava firmando delle carte e all'entrata del diagnosta non alzò neppure la testa. In compenso appena fece un passo oltre la porta vide qualcosa che non si sarebbe mai aspettato. Ci vollero alcuni secondi affinchè House si capacitasse della situazione. Ignorò l'oggetto della sorpresa e andò vicino alla scrivania del suo capo.
"Foreman, ammetto che una bambola gonfiabile a forma di Cuddy è un ottimo argomento per quello che volevi dirmi"
"House, non mi sembra il momento di fare il bambino" rispose una voce femminile dall'angolo della stanza. Aveva un timbro che oscillava fra la tristezza e il senso di colpa. Lisa Cuddy in persona raggiunse House a ridosso del tavolo di Foreman. Per qualche istante ci fu silenzio e nell'ufficio ben arredato ed illuminato regnarono l'imbarazzo ed un mucchio di sguardi evitati. Fu proprio House a riprendere a suo modo la conversazione.
"Ciaooooo Cuddy, qual buon vento?" disse il diagnosta rivolgendosi alla donna con una faccia buffa, come se niente fosse.
"House la vuoi piantare?" lo fulminò Foreman.
Il diagnosta si fece serio, abbassò la testa e guardandosi le scarpe sospirò: "Cosa ci fai qui, Lisa?"
La Cuddy non fece in tempo a parlare che Foreman si intromise:
"Io ho ricevuto l'incarico di primario al reparto di neurologia al Johns Hopkins Hospital e capirai che... bhe insomma, ho accettato subito. Andrò via domani e Lisa Cuddy si è ripresa il Princeton Plainsboro come direttrice amministrativa."
House si era accomodato: nonostante fosse appoggiato al bastone aveva le lacrime agli occhi per il fortissimo dolore.
"Devo fare pipì" disse con aria infantile il diagnosta e con evidente fatica ma il più velocemente possibile si alzò e zoppicò verso la porta.
"House non ho finito" riprese Foreman "nella seduta della settimana scorsa la commissione del tribunale ti ha concesso la licenza medica a tutti gli effetti e tra cinque giorni ci sarà l'ultima seduta del processo: molto probabilmente farai sei mesi di prigione House."
Il diagnosta guardò Foreman in viso, evitando la Cuddy che nel frattempo teneva gli occhi fissi su di lui e tentava di rimanere impassibile.
Foreman si accorse solo in quel momento che House aveva gli occhi gonfi e rossi e un'espressione sofferente che non si vedeva da parecchio.
"Hai finito, capo? Ora posso fare pipì? Grazie" disse il diagnosta accentuando la scontrosità nella sua voce. Uscì dall'ufficio nell'ormai poco affollato ambulatorio e mentre stava girando l'angolo Foreman e Cuddy lo videro estrarre dalla tasca il flacone arancione di Vicodin.

"Forse è stato troppo repentino per lui, insomma lo conosci...." disse Lisa Cuddy appena House sparì dalla loro vista.
"Cuddy, io ho fatto quello che dovevo. Vai a parlargli. Sta passando un periodo terribile, te l'ho spiegato"
La Cuddy guardò Foreman con gli occhi di chi non sa come affrontare una situazione e il dottore ricambiò con un espressione di incoraggiamento.
"Lisa, è davvero una benedizione che tu sia capitata qui in questo momento. Non sprecare questa occasione. Lo sai bene quanto lui ti voglia bene, nonostante tutto, e quanto abbia bisogno di te. Avanti, va da lui."
"Va bene, Eric, io ci provo. Ma non so quale senso abbia."


Lisa Cuddy cercò House in tutto l'ospedale, o meglio in tutti i posti dove lui andava quando stava male e aveva bisogno di stare solo, più di quanto non fosse già nella sua vita. Provò sulla terrazza dell'ospedale dove lui spesso si recava a guardare il cielo, stando seduto sul muretto. Entrò nel bagno degli uomini, lo chiamò ma non era neppure lì. Provò nella sala di lettura delle radiografie, nella sala della risonanza e alle scale ma di lui non c'era traccia.
Alla fine andò nel suo studio ma House non era alla scrivania, né alla poltrona. Quando stava per andarsene Lisa Cuddy notò che la porta del balcone era appena socchiusa. Per un momento Lisa temette il peggio: lo conosceva bene, quando era disperato lui era pericolosamente distruttivo per gli altri e soprattutto per se stesso.
Si precipitò sul balcone e lo trovò disteso a terra, con le braccia in avanti, come protese verso lo studio di Wilson e la faccia volta verso il muretto del balcone.
La boccetta del Vicodin era aperta a terra e alcune pillole erano sparse sul pavimento, vicino al bastone.
"House! Oh mio Dio!" gridò Cuddy e girò il corpo di House, alzandogli la testa fra le sue braccia.
Fortunatamente il battito cardiaco e il respiro erano regolari: era svenuto. Cuddy lo trascinò fino a dentro il suo ufficio, lo stese sulla poltrona e cominciò ad attendere che si risvegliasse. Si sentiva tremendamente triste, arrabbiata e anche un po' in colpa, quell'angoscia che aveva dentro l'aveva tormentata per mesi ma invece di avvilirla le dava più forza. Con le mani tra i capelli, seduta accanto alle buffe Converse di House, Lisa Cuddy pensava che quel prestigioso incarico che Foreman aveva accettato era stata una buona scusa per riavvicinarsi all'uomo dell sua vita, nel bene e nel male.

"Che è successo? .... Cuddy?!" Gregory House aprì gli occhi, sembrava intontito. Istintivamente si mise una mano sulla gamba che gli faceva un male da impazzire.
"Non lo so, dimmelo tu House. Qualcosa a che fare con, non so, il Vicodin?" disse Lisa Cuddy in tono paternalistico.
House aveva la voce impastata, affaticata. Il diagnosta fece una leggera smorfia accompagnata da un gemito, come se si stesse sforzando a ricordare.
"Non... non... ho preso pillole. Non riuscivo a stappare il flacone..." rispose House visibilmente confuso. Si massaggiava la coscia e di tanto in tanto tremava. Cuddy prese l'oftalmoscopio dalla scrivania di House e gli illuminò le pupille, concludendo che effettivamente non aveva preso dosi eccessive di Vicodin.
"Potevi anche fidarti! Ho una reputazione io!" disse il medico. Ma sul viso di Cuddy si stampò un'espressione preoccupata, anche un po' pietosa.
"House, ma che cavolo stai combinando? S..sei svenuto per il dolore... mi dispiace"
"Stammi lontano Lisa... vattene via"
sospirò House con un filo di voce e tenendosi la gamba con la mano si girò dall'altra parte.
"Dopo quello che mi hai fatto e dopo che sono anche tornata, mi devi far restare... me lo devi House! E poi sono il tuo capo!"
"Guarda che lo dico a Foreman..... FOREMAN??!!"
disse House alzando la voce.
Restarono per un po' senza dirsi una parola, ma Lisa Cuddy non si mosse da lì, rimase ferma e paziente, contenta che House fosse girato dalla parte opposta. Così almeno non  avrebbe dovuto sostenere quello sguardo così profondo da costringerti, con le buone o con la forza, alla verità più nascosta.
"Cuddy, perchè sei tornata?" Lisa quasi sussultò alla voce di House che le dava ancora le spalle e soprattutto rimase colpita dalla serietà delle sue parole.
"Quello che hai fatto è stato terribile House e anche molte altre cose che hai fatto sono state terribili per me, per gli altri e per te stesso. Ma in questi mesi ho riflettuto su quello che è successo: ho ricordato quando ti ho guardato esterrefatta sfondare il mio salotto e quando lo stavo ricostruendo. Ho avvertito il tuo dolore e la tua rabbia come mai prima. Bhe, ho capito il mio errore. Avrei dovuto prevederle le tue conseguenze. Forse per il tuo cinismo non credi nel perdono, House, ma io ti ho perdonato perchè l'amore fa questo. Adesso stiamo solo soffrendo entrambi, non ha senso."

Gregory House rimase in silenzio, non si voltò e Cuddy sapeva che lui la stava ascoltando, senza sarcasmo e senza egoismo, non in quel momento.
Ad un certo punto House si girò ed esclamò: "Dov'è il bastone?"
"Eccolo... ma ora dove vai? Dovresti riposarti House, con quella gamba non vai molto lontano"
e intanto gli porse il bastone.
"Sto lavorando ad un caso... devo... riflettere" mentì spudoratamente il diagnosta. La Cuddy non contestò perchè sapeva che lui aveva bisogno di tempo quando si trattava di esplorare i suoi sentimenti, doveva farlo in privato. Rimase là seduta mentre lui con fatica e dolore si mise in piedi.
"Ci vediamo Cuddy" esclamò House accennando un sorriso. Appena fece un passo però la gamba non lo resse e si accasciò sulla poltrona, contraendo il viso a causa delle fitte. Lisa Cuddy lo soccorse ma lui ripetè che stava bene. Prese il suo inseparabile zaino, poggiato ai piedi della poltrona, pian piano uscì dal suo ufficio e si incamminò verso il corridoio.

Gregory House aprì la porta di quella stanza, la terzultima del reparto di terapia intensiva, dove un uomo calvo giaceva pieno di tubi attaccati a macchinari vari. Era in uno stato di incoscienza, sembrava in coma. House sostò per qualche istante sulla porta a fissarlo. Poi prese una sedia e la avvicinò al letto, estrasse dal suo zaino il suo joystick e accese la TV. Stava per iniziare a giocare alla playstation ma si voltò verso l'uomo sul letto ed esclamò:
"Ciao Wilson!"



 
  
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