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Autore: M e g a m i    10/08/2012    3 recensioni
In quelle settimane passate insieme, ciò che Ichigo Kurosaki aveva appreso di Linalee Lee era anche che, nonostante il suo aspetto così femminile e curato, non era proprio il caso di sottovalutarla. E se ne era reso conto a sue spese, quando, in uno dei suoi naturalissimi slanci cavallereschi, aveva tentato di proteggerla da quello che aveva imparato a definire Akuma, e che era apparso senza preavviso. Era andata a finire che era stata lei a proteggere lui, alzandosi praticamente in volo, annientandolo con un singolo calcio, e... e regalandogli inoltre una visione esclusiva della sua biancheria intima, coperta solo dalla corta gonna della sua divisa da esorcista, ricordò, ringraziando il buio che con tutta probabilità gli nascondeva le guance tintesi di rosso a quel pensiero.
[Crosspairing] [Bleach x D.Gray-man] [Ichigo x Linalee] [Lavi x Rukia]
Genere: Introspettivo, Malinconico, Sentimentale | Stato: completa
Tipo di coppia: Het, Crack Pairing | Personaggi: Jaggerjack Grimmjow, Kuchiki Rukia, Kurosaki Ichigo
Note: Cross-over | Avvertimenti: nessuno
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NDA: Ci credete? Ho il batticuore.
E sento il bisogno di postare adesso, anche se è tardissimo e nessuno leggerà a quest’ora.

Allora. Comincio col dire che questa one-shot è basata sulla raccolta “Dieci volte tanto” di N e m e e sulla sua doujinshi “Different or not?” [se vi interessa, date un’occhiata al suo account che contiene tutti i link utili]. E la ringrazio davvero tanto per avermi permesso di usare l’idea, che brevemente, tratta di una collaborazione tra Esorcisti e Shinigami, che si trovano ospitati nell’Ordine Oscuro e messi a lavorare in coppia con appunto, un Esorcista.
Secondo poi, questa è in assoluto la prima IchiLina nel mondo conosciuto e non [credo], e quindi penso la mia emozione sia giustificata. Certo, chi di voi segue The Black Order of the Soul Society, The BOSS, la mia long AU crossover su Bleach e D.Gray-man saprà bene che già un capitolo è stato dedicato a questa coppia che io amo tanto tanto.
Ma vedete, questa one-shot è tutta loro [balla, perché ci ho infilato pure il Grimmjow e LaviRuki, ma vabbè], insomma, si meritavano un po’ di spazio oltre che nel mio cuoricino.
Perché questi due sono di un fluff incredibile, e io, che non sono di sfegatata di coppie di questo genere, mi sono trovata coinvoltissima prima di rendermene conto. Sono nati per puro caso, così come il LaviRuki, N e m e e Angy_Valentine possono confermarlo.
Poi, col tempo, sono cominciate a venire fuori somiglianze tra di loro che hanno cominciato a farli funzionare nella mia testa più del previsto. Già, io credo nel “chi si assomiglia si piglia”.

Prima di tutto, c’è il forte desiderio di proteggere i loro nakama che li accomuna, e anche un'infanzia che li ha visti costretti a crescere in fretta e a nascondere le loro debolezze. Poi la timidezza, e la passione di entrambi per il cioccolato [non è una cosa che mi sono inventata, informarsi per credere]. Tutte cose che ho cercato di sottolineare in questa one-shot come meglio ho potuto.
Aaah, mi sa che qui ci scapperà anche il disegnino... [sì, disegno pure, ma a voi che vi frega?]
Comunque, prima o dopo aver letto questa fic, vi consiglio di ributtare uno sguardo al volume 16 di D.Gray-man, su cui mi sono basata per costruire molti dei pensieri di Linalee. Linalee che devo ammettere mi è sempre piaciuta come personaggio, anche se non è mai stata tra i miei preferiti, ma sarà l’IchiLina, sarà il contesto di quel volume e di questa storia e della long, sarà che sto preparando il suo cosplay [sì, faccio pure cosplay, ma ancora, a voi che vi frega?], saranno tante cose... però sto sul serio arrivando ad adorarla. ;W;
E vabbè, Ichigo è Ichigo e non si discute, lui l’ho sempre amato.
Ma questi due, questi due insieme...!
Basta, direi che è il caso che vi lasci alla one-shot. –v–

 
 
 
17 GIUGNO: la fine... l’inizio.
 
 
 
Dalle ombre irreali della notte torna a noi la vita reale che conosciamo.
Dobbiamo riprenderla da dove l'avevamo lasciata, e in noi si insinua il senso terribile di un'energia che deve continuare nello stesso monotono circolo di abitudini stereotipate; o magari il desiderio violento che una mattina i nostri occhi possano aprirsi su un mondo che nell'oscurità è stato rimodellato per il nostro piacere, in cui le cose si diano nuove forme e colori, siano diverse o abbiano altri segreti, un mondo in cui il passato abbia poca o nessuna importanza, o comunque sopravviva in forme ignare di obblighi o rimpianti, avendo il ricordo della gioia la sua amarezza, e quello del piacere la sua pena.
[Oscar Wilde ~ Il ritratto di Dorian Gray]
 
 
 
L’ennesimo tuono rimbombò al di là del sottile vetro della finestra sbarrata, che quasi gli sembrò tremare, sferzato da una raffica di vento e dalla pioggia che continuava a cadere da ore, incessante.
La notte, là fuori, sembrava piangere.
   Era una sorta di punizione...?, si chiese, nel buio di quella stanza che ancora, nonostante ci avesse già trascorso diverse settimane, gli era tutto tranne che familiare.
Ichigo Kurosaki non era esattamente quel tipo di persona nostalgica che si lega materialmente agli oggetti, però c’erano cose da cui faceva fatica a separarsi. Banalmente, camera sua. Casa sua. La sensazione di quel pavimento e di quei mobili un po’ consumati e vissuti negli anni dalla sua famiglia. In qualche modo, l’asse scricchiolante del terz’ultimo gradino delle scale e il sapere esattamente come muoversi nel bagno senza dover accendere la luce, erano per lui una sicurezza.
Un posto dove poter tornare, entrando dalla finestra per non svegliare le sue sorelle che in realtà sapeva sveglissime e con le orecchie tese ad aspettare il suo ritorno, un posto familiare, capace di calmare il battito accelerato del suo cuore e il fremito delle sue mani che fino a un secondo prima avevano impugnato una spada e ucciso chissà quanti Hollow.
Qualcos’altro a cui, nonostante fosse diventato quasi un gesto meccanico, non si poteva dire si fosse abituato.
Così come quella stanza, quell’intero edificio dall’aria cupa e antica, che sembrava aver visto chissà quanti secoli e vite passare, e che lo metteva inconsciamente a disagio.
Non che questo disagio gli impedisse di crollare sfinito sul materasso che odorava leggermente di muffa e addormentarsi nel giro di qualche secondo, dopo una... “missione”. È così che le definivano, all’Ordine Oscuro, mentre per lui rimaneva sempre il solito uccidere e purificare quanti più Hollow possibili. Anche Rukia Kuchiki più di una volta, con una punta di orgoglio da Shinigami e da membro di una famiglia nobile, l’aveva chiamata “missione”, ancora prima di stringere quell’alleanza coi cosiddetti Esorcisti. Ichigo, al contrario, non aveva mai voluto etichettare così freddamente quello che faceva.
L’aveva capito quando aveva salvato Orihime Inoue da quello che una volta era stato suo fratello, che non si sarebbe mai trattata di una semplice “missione”. Che quello che alla fine l’aveva spinto ad accettare il suo ruolo da Dio della Morte, non era e non sarebbe mai stato senso del dovere, e l’orgoglio dello stare dalla parte dei “buoni”.
Voleva solo aiutare quante più persone possibili, molte più di quelle che riusciva a stringere tra le braccia.
   Persone, Plus, Hollow.
Per lui, in fondo, non faceva granché differenza. Grimmjow Jaegerjaques che si era ritrovato inaspettatamente come alleato e ora, compagno di stanza, e che russava sommessamente con un braccio che pendeva dal letto a castello sopra il suo – l’aveva letteralmente preteso, da bravo felino amante dell’altezza qual’era – non aveva mai fatto differenza.
Pensieri confusi dalla stanchezza come quelli, continuavano a ronzargli nella testa da ore, impedendogli di prendere sonno. Ma la realtà era che si stava involontariamente sforzando di pensare a qualunque cosa tranne che a quello che in un angolo della sua testa occupava più spazio di tutto il resto.

Dopotutto, era il 17 giugno.
E lui non sarebbe mai stato in grado di addormentarsi tranquillamente, come sempre del resto, da quando aveva nove anni.
Sopra di lui, sentì cigolare la rete metallica che sosteneva il materasso su cui Grimmjow si stava stiracchiando nel sonno, facendo un casino infernale.
Chiedendosi per quale diavolo di motivo quel gatto troppo cresciuto non avesse paura dei temporali e sembrasse ancora più rilassato del solito, Ichigo provò l’impulso di tirare un calcio al materasso, ma si trattenne. Non era il caso di sfogare la sua frustrazione contro qualcuno che si sarebbe vendicato nel giro di un nanosecondo, e pure con gli interessi. La “piccola” zuffa che ne sarebbe derivata, avrebbe portato l’intero Ordine al suo stesso stato di insonnia.
Sta di fatto, che oltre a non essere in grado di prendere sonno, non riusciva nemmeno a starsene fermo a studiare l’intreccio della rete metallica a qualche centimetro dal suo naso. Sentiva il bisogno di camminare. Andare in bagno, magari, o in cucina a bere un bicchiere d’acqua giusto per ingannare il tempo, e senza provare l’impulso di accendere la luce. Ma ancora, quella non era casa sua. E in quella notte piena di pioggia e ricordi, quel senso di estraneità era ancora più insopportabile.
Facendo cigolare a sua volta la rete che sosteneva il suo materasso, si sedette e appoggiò i piedi nudi alle fredde piastrelle del pavimento, provando un leggero brivido, nonostante ormai soltanto qualche giorno separasse quella notte all’inizio effettivo dell’estate.
E rimase ad osservare il buio illuminato dagli sporadici lampi in lontananza per qualche secondo, per poi portarsi le mani al viso e strofinarsi gli occhi con un sospiro malcelato. Si rendeva conto da solo che le ore sarebbero passate e il mattino sarebbe arrivato ugualmente, anche se lui fosse rimasto ad aspettare pazientemente nel letto, ma quel posto gli dava la sgradevole sensazione che il tempo si fosse come fermato, tra le crepe dei muri di pietra e le volte dei soffitti fin troppo alti. Quasi come se Ichigo, insospettabile amante dei classici, si trovasse in un'opera ottocentesca di Wilde, intrappolato nel rimorso e nel rimpianto del passato così come l’anima del famoso signor Gray nel suo quadro.
Scosse la testa, sconcertato. Sì, aveva davvero bisogno di distrarsi e camminare un po’, i pensieri nella sua testa pesante di stanchezza stavano cominciando a prendere una piega fin troppo malinconica e assurda, arrivando a fare similitudini che non stavano né in cielo né in terra.
Quindi, cercando di fare meno rumore possibile per non svegliare il suo coinquilino, si alzò e afferrò una felpa per proteggersi dall’umidità che sembrava entrargli fin dentro le ossa, e si diresse silenziosamente verso la porta di legno, abbassandone la maniglia.
   « Ohi. »
Ichigo si bloccò al suono di quella voce roca che ben conosceva, e si voltò, mentre incontrava gli occhi di un Grimmjow palesemente assonnato e coi capelli completamente spettinati, ancora più del solito. Anche se si trovava dentro un gigai, il suo sguardo sottile sembrava brillare ugualmente nel buio, come se fosse nella sua forma felina di Adjuchas. Sguardo che lo studiò per qualche secondo, intuendo le sue intenzioni, anche se forse non le ragioni. A prima vista, Grimmjow poteva sembrare il classico tipo egocentrico che se ne frega degli altri e non vede al di là del suo naso, ma con Ichigo aveva imparato a comportarsi in modo diverso. E forse, per la sorta di rispetto reciproco che si era creato tra di loro, aveva anche imparato a conoscerlo un po’, pian piano, visto che quello stupido umano dalla zazzera arancione non era esattamente il tipo da aprirsi a chiunque con facilità. Non che l’obiettivo di Grimmjow fosse quello di instaurare un idilliaco e duraturo rapporto di amicizia. Solo, da quando era stato... palesemente sconfitto, come ancora gli costava ammettere, non dalla sua forza fisica ma da quella di volontà, aveva cominciato a riconsiderare il modo di valutare gli umani con qualche aggettivo in più oltre che a “feccia”.
E Ichigo era umano. Incredibilmente umano, con uno sguardo un po’ perso nel vuoto e malinconico, quando non diventava inflessibile come durante un combattimento. Ovviamente, Grimmjow non poteva sapere, e non si era mai azzardato a chiedere troppo, anche se nel suo sguardo spaesato aveva intravvisto più di una volta un passato a cui non aveva mai dato voce. Grimmjow poteva sembrare sì il classico tipo egocentrico e per di più con un tatto da elefante, ma c’è da ricordare che la sua natura era quella del felide, non del pachiderma.
   « Non fartela sotto se incontri qualche fantasma. », buttò lì, non proprio a caso. Ichigo tradusse la sua frase come un “non farti schiacciare troppo dal peso dei ricordi”. O meglio, “non piangere come una femminuccia per il dolore”. Sì, era decisamente più nel suo stile.
Accennò a un sorriso che forse lui non vide, mentre tornava a voltarsi verso la porta, aprendola.
   « Con te non me la sono mai fatta sotto, mi sembra. »
   « Già, chissà perché... », mormorò Grimmjow contrariato, sprofondando nuovamente con la faccia nel cuscino e facendogli un cenno con la mano, come a dirgli di sbrigarsi ad andarsene e a lasciare dormire lui in pace. O meglio, di nuovo, di sbrigarsi ad andarsene e calmare un po’ sé stesso.
Ichigo ancora una volta scosse la testa, mentre si richiudeva la porta alle spalle.
   Persone, Plus, Hollow. Grimmjow non aveva davvero mai fatto differenza.
 
 
 
I soffitti a volta di quella sorta di... castello?, chiesa?, sede dell’Ordine Oscuro, erano davvero infinitamente alti. Ad ogni nuova stanza in cui Ichigo entrava, si ritrovava a camminare con il naso per aria a fissare le intricate decorazioni gotiche scolpite nella pietra e nelle colonne di sostegno. Più di una volta aveva rischiato di incappare in un gradino o una piastrella sollevata a tradimento, riuscendo a ritrovare l’equilibrio solo all’ultimo secondo. Non si poteva dire lo stesso del suo senso dell’orientamento, però, perché ben presto si rese conto di essersi completamente perso.
Non che gli importasse. Non aveva la minima intenzione di tornare nella sua stanza in quel momento, quella passeggiata notturna stava sortendo l’effetto desiderato, o almeno, in parte. E poi, quando il sole fosse sorto, avrebbe sicuramente incontrato qualcuno in grado di dargli indicazioni per tornare nell’area adibita agli alloggi. Quindi, per il momento, gli andava bene così.
Anche se il silenzio si faceva più opprimente ad ogni suo passo, che rimbombava con uno strano eco contro il pavimento di pietra. Ichigo Kurosaki non era un tipo che si lasciava impressionare facilmente, anche perché di fantasmi ne vedeva tutti i giorni, ma doveva ammettere che vagare da solo e in piena notte per i corridoi di quello che sembrava a tutti gli effetti un edificio infestato, non era il massimo per la sua fantasia galoppante che cercava in tutti i modi di rifuggire a pensieri dolorosi. Per questo prese a frugare nelle tasche della sua felpa e ne estrasse un iPod un po’ malandato ma ancora funzionante, infilandosi le cuffiette nelle orecchie dopo qualche secondo passato a cercare di districare il complicato intreccio di nodi e fili. Quindi selezionò la discografia dei Social Distortion, il suo gruppo preferito, e inserì la riproduzione casuale, per poi riprendere a camminare assorto nella sua musica e non più nel silenzio, tamburellando appena con le dita che seguivano il ritmo delle canzoni che conosceva a memoria.

Eppure non riuscì a non bloccarsi per un secondo quando sentì diffondersi nelle orecchie l’introduzione di A Place In My Heart. Soppesando il dispositivo in una mano e aggrottando le sopracciglia, decise che era meglio andare avanti. Avanti, sì. La canzone che seguiva era Another State Of Mind.
    Era forse una congiura...?, pensò, guardando con aria corrucciata il suo iPod che sembrava essersi alleato con la pioggia e messosi contro di lui.
Sicuramente, però, la melodia incalzante di quelle canzoni che faceva a pugni con un testo fin troppo evocativo per lui in quel momento, era una specie di toccasana in grado di alleggerire l’atmosfera pesante che si respirava passeggiando tra quei corridoi bui e piuttosto suggestivi. In un modo del tutto particolare, quelle canzoni sembravano fuori posto, quasi sbagliate, troppo ritmate per un’ambientazione da libro ottocentesco. Certo, anche lui stesso sembrava fuori posto, lì, in tuta e con una t-shirt viola con scritto “nice vibe”. Quindi lasciò correre, riinfilando le mani in tasca, e facendo un mezzo sorriso anch’esso sbagliato, mentre schiudeva appena le labbra per sillabare qualche frase del testo.
E gli venne quasi un colpo quando, proprio mentre stava dicendo “she’s the only one for me” con lo sguardo ancora fisso al soffitto, per poco non finì contro una figura di cui si accorse solo quando fu a pochi centimetri dal prenderla dentro, rischiando di farle cadere il vassoio con diverse tazze che reggeva in mano. Ci mise qualche secondo per metterla a fuoco, nel buio illuminato appena da delle lampade a olio appese al muro. Lei invece fu più veloce.
   « Kurosaki-san! Buona... buona sera. », gli sorrise dopo un attimo di sorpresa.
   « L-… Lee. », la salutò a sua volta con una punta di stupore, mentre si toglieva le cuffiette dalle orecchie e metteva in pausa la musica, seguito in ogni movimento dagli occhi dalla sfumatura violacea di una Linalee Lee che forse per la prima volta si trovava di fronte a un iPod. Ichigo non si sbagliava a dire che l’Ordine Oscuro fosse un posto un po’ fuori dal tempo. « Credevo... di non trovare nessuno in giro, a quest’ora. », aggiunse, catturando nuovamente la sua attenzione.
   « Stessa cosa per me. », Linalee si limitò a sorridere ancora e a spostare sull’altra mano il vassoio pieno di tazze colorate che però raffiguravano sempre la stessa faccia di un coniglio che mostrava la lingua.
Era ormai da tempo che, prima di ritirarsi nella sua stanza e dedicare un po’ di meritato tempo a sé stessa, Linalee Lee aveva preso l’abitudine di fare un giro di pulizie nel disordinatissimo studio di suo fratello maggiore, Komui Lee, almeno per recuperare le svariate tazze di caffè sparse ovunque e ormai vuote, e cercare di raccogliere da terra fogli volanti che immancabilmente si rivelavano documenti ufficiali. Sapeva bene che quello non faceva parte del suo lavoro, aveva perso il suo posto di assistente da un pezzo, venendo rimpiazzata da Brigitte Fey, ma in tutti quegli anni, non era ancora riuscita a ripagare il debito di gratitudine che sentiva verso quell’unico familiare, quasi un padre, che le era rimasto.
Sta di fatto che questa volta aveva finito per appisolarsi sul divano mentre scorreva le carte che aveva raccolto per capire cosa potesse buttare o meno, e si era svegliata solo qualche minuto prima, come testimoniava una ciocca che sfuggiva al resto del liscio caschetto di capelli scuri e tendenti al violaceo. Ichigo osservò quel buffo ciuffo ribelle senza trovare la forza di dirle niente o men che meno allungare una mano per sistemarglielo – e un gesto del genere era in generale al di là delle sue alquanto timide possibilità. Per quel poco che aveva imparato a conoscerla in quelle settimane, andando in “missione” con lei, aveva come l’impressione che se le avesse fatto notare di avere qualcosa fuori posto, si sarebbe imbarazzata da morire, sentendosi mortificata.
In quelle settimane, ciò che aveva appreso di lei era anche che, nonostante il suo aspetto così femminile e curato, non era proprio il caso di sottovalutarla. E se ne era reso conto a sue spese, quando, in uno dei suoi naturalissimi slanci cavallereschi, aveva tentato di proteggerla da quello che aveva imparato a definire Akuma, e che era apparso senza preavviso. Era andata a finire che era stata lei a proteggere lui, alzandosi praticamente in volo e annientandolo con un singolo calcio... e regalandogli inoltre una visione esclusiva della sua biancheria intima, coperta solo dalla corta gonna della sua divisa da esorcista, ricordò, ringraziando il buio che con tutta probabilità gli nascondeva le guance tintesi di rosso a quel pensiero.
A sua volta, Linalee Lee approfittò di quell’attimo di silenzio per studiare la sua espressione, che gli era parsa ancora più pensierosa del solito. Lei, di Ichigo Kurosaki, aveva imparato che era... beh, un vero gentiluomo. Anche se forse non era qualcosa che saltava immediatamente all’occhio. Lei stessa inizialmente era stata fuorviata dalla sua aria perennemente imbronciata, tanto che di primo acchito le aveva ricordato un po’ la misantropia fatta a persona, ovvero Yu Kanda. Ma presto, provando a rivolgergli la parola e sentendosi inaspettatamente rispondere sì brevemente, ma con molta educazione, si era resa conto che non era affatto così. Quel ragazzo riservato dai capelli arancioni che attirava involontariamente forse più attenzione di quella che desiderava, stava spesso da solo o in silenzio, ma non perché non volesse comunicare con gli altri, bensì perché era talmente tanto assorto nei propri pensieri da estraniarsi. E anche perché, anche di questo si era resa conto pian piano, era un po’ timido con le persone che non conosceva. Mentre con quelle che conosceva, se coinvolto, si lasciava andare volentieri. Con un lieve sorriso, l’aveva osservato più di una volta “scherzare” con due suoi compagni che altrettanto si distinguevano per la chioma rispettivamente azzurra e rossa. Che quegli scherzi fossero poi degenerati in una rissa verbale a suon di insulti, era un dettaglio che Linalee aveva trascurato amabilmente, come quando le capitava di assistere ai battibecchi tra Yu Kanda e Allen Walker, che ormai si era rassegnata a cercare di fermare.
Probabilmente non lo faceva apposta, a nascondere quella sua caratteristica gentilezza, ma Linalee si era accorta che molti non la notavano allo stesso suo modo o non la notavano affatto, forse perché erano stati meno a contatto diretto con lui. Con un disappunto che non aveva tardato a mostrare lanciandogli un’occhiata offesa, aveva sentito più di una volta qualche finder sentenziare alle sue spalle un “non abbiamo bisogno di un altro Kanda, qui”. E in tutta risposta, come a volergli provare che Ichigo era una persona con cui si poteva comunicare tranquillamente, si era avvicinata a lui, finendo per stupirsi ognuna di quelle volte di quanto, oltre che a tranquillamente, fosse anche piuttosto piacevole parlare con lui. Finendo ben preso per dimenticarsi dei commenti dei finder.
Per questo non si sentì per niente a disagio, incontrandolo così nel bel mezzo della notte, e anzi, quasi la trovò una fortuna. I momenti in cui avevano potuto scambiare quattro chiacchiere erano sempre stati meno di quelli che lei avrebbe voluto.
   « Come mai sveglio così tardi? », gli chiese quindi, rompendo il silenzio. Ichigo si passò una mano alla base del collo, riscuotendosi a sua volta dall’imbarazzo provocatogli da quell’episodio di cui si era ricordato appena qualche secondo prima.
   « Non riuscivo a dormire. »
   « Spero che non sia perché il letto è scomodo! »
   « Eh? No, no, è comodissimo. Avevo solo... un po’ di pensieri per la testa e non riuscivo a prendere sonno, tutto qui. »
La ragazza soppesò per un attimo la sua affermazione, inclinando la testa di lato e guardandolo con aria critica. Ichigo si sentì studiato, e quasi temette che stesse per chiedergli delucidazioni sulla natura di quei pensieri che l’avevano tenuto sveglio, ma la preoccupazione scemò via nello stesso istante in cui la vide regalargli l’ennesimo sorriso.
   « Allora, visto che ormai il sonno ti è passato... ti andrebbe una tazza di caffè? Mh, credo che sia avanzata anche qualche fetta di torta al cioccolato... »
   « Magari. », Ichigo alzò le spalle cercando di mostrare indifferenza, mentre in realtà Linalee aveva detto proprio la parola magica per lui, insospettabile amante del cioccolato oltre che dei classici della letteratura.
Per di più aveva cenato poco e niente, lo stomaco gli si era chiuso facendogli passare tutta la fame. Ma qualcosa sotto i denti, adesso che era riuscito un po’ a distrarsi, lo avrebbe messo volentieri. Soprattutto se si fosse trattato di una fetta di torta al cioccolato.
   « Dammi, ti aiuto. », si offrì quindi, allungando le mani per prendere il vassoio che Linalee sorreggeva.
   « Tranquillo, non ser-... grazie. », si arrese subito lei con un sospiro, perché ormai Ichigo le aveva già sottratto gentilmente il tutto. Ecco, si era rivelato ancora una volta inaspettatamente cortese, pensò, mentre lo osservava prendere in mano una tazza e scrutare da vicino uno dei conigli. Sarebbe stato meglio tenere quelle tazze alla larga da Rukia, rifletté a sua volta Ichigo, mentre sovrappensiero si incamminava lungo il corridoio, salvo poi fermarsi a metà strada e voltarsi indietro, rendendosi conto che Linalee non lo stava seguendo.
   « Lee...? »
Linalee si morse con forza il labbro inferiore, facendo un cenno con una mano a indicare il lato opposto del corridoio.
   « Veramente... la cucina è da questa parte, Kurosaki-san. », spiegò, mettendocela davvero tutta per non scoppiare a ridere ed essere scortese nei suoi confronti, il che lo fece letteralmente avvampare, ancora fortuitamente nascosto dalla penombra creata dalla fioca luce proiettata dalle lampade. Ichigo chiuse gli occhi, corrugando la fronte e cercando di darsi un contegno, mentre si incamminava verso la direzione mostrata da Linalee.
   « Credo di essermi... perso, in un certo senso. Questo posto è immenso. », ammise, distogliendo lo sguardo, ancora imbarazzato, mentre la ragazza si accostava al suo fianco, intrecciando le mani dietro la schiena e lasciandosi andare alla lieve risata che aveva trattenuto fino a quel momento.
   « Anche a me capitava sempre, agli inizi. Comunque... », pensò fosse meglio cambiare discorso per non fargli pesare troppo la figuraccia. « ... è da un po’ che te lo volevo dire. Chiamami pure Linalee, non mi da fastidio. »
Quell’improvviso cambio di argomento, inizialmente spiazzò Ichigo, che rimase in silenzio, sul punto di rifiutare. Poi si chiese, perché no, in fondo? Lei aveva detto che andava bene, ed Ichigo non era mai stato il tipo che si preoccupava troppo di chiamare per cognome o aggiungere suffissi onorifici per dimostrare rispetto. Era convinto che il rispetto lo si dimostrasse in ben altri modi, non con parole che potevano benissimo rivelarsi false.
Linalee..., ripeté nella sua testa.
   « Allora tu chiamami Ichigo. »
   « Ichigo... », ripeté lei a sua volta, anche se ad alta voce. E a lui quasi sembrò strano, sentirlo pronunciato da lei. Strano in senso buono. « Con che kanji è scritto, se posso chiedertelo? Mi ha sempre incuriosita il tuo nome. »
Senso buono che non sarebbe durato per molto, però, visto che ora erano arrivati al tasto dolente. Per lo meno non si era subito espressa su quanto appetitoso sembrasse il suo nome.
   « “Uno” e… “guardiano”. », sospirò, preparandosi al solito “Davvero? Non con il kanji di fragola?” sorpreso e pieno di scherno. Ne aveva sentite fin troppe, di uscite del genere, per aspettarsi qualcosa di diverso. E in effetti per un attimo Linalee lo fissò con una punta di sorpresa, per poi addolcire lo sguardo accorgendosi della sua espressione sconsolata, e spostarlo nuovamente alla strada di fronte a sé, accennando a un sorriso che però non sapeva affatto di presa in giro.
   « Davvero? », iniziò come tutti. « Beh, ti si addice. », continuò come nessuno prima di lei.
A quel punto, fu il turno di Ichigo di guardarla stupito per una manciata di secondi, rafforzando la presa sul vassoio che teneva in mano.
   « ... Grazie. », si trovò a risponderle con un po’ di esitazione, senza saper bene che altro dire. Per una volta, un commento fatto al suo nome non gli era parsa una presa in giro bella e buona.
 
 
 
   « Sai, quando ho sentito dei passi, ero convinta che fosse Allen-kun. Ogni tanto di notte si infila in cucina e ripulisce la dispensa. », disse Linalee, con la testa praticamente infilata nel mobile dal quale stava estraendo due piatti su cui posare la torta.
Ichigo, che sedeva pazientemente a un tavolo della cucina, fissò risoluto lo sguardo dall’altra parte della stanza e ringraziò un dio a caso che in quel momento Linalee indossasse un semplice completo di fattura cinese, con un paio di pantaloni aderenti tagliati sotto il ginocchio al posto di una gonna, che altrimenti, vista la sua posizione china, gli avrebbe offerto un’altra bella panoramica delle sue grazie più intime. Anche se in ogni caso la visuale su cui cercava in tutti i modi di non concentrarsi, era ugualmente suggestiva. La delicata suscettibilità di Ichigo si rendeva perfettamente conto di quanto, soprattutto quando avevano turni di pattuglia insieme e capitava che dovessero combattere, proprio come era successo la prima volta, non fosse decisamente facile stare a così stretto contatto con lei che esibiva sempre con nonchalance le sue lunghe gambe più scoperte che coperte dai vestiti che indossava. Soprattutto perché non si rendeva minimamente conto dell’effetto che provocava mostrandosi così, non lo faceva affatto apposta, come Yoruichi Shihōin o Rangiku Matsumoto che più di una volta si erano divertite a stuzzicarlo. Improvvisamente si trovò a rimpiangere la compostezza di Rukia almeno in quel frangente e il suo lungo shihakusho, con lei era decisamente più facile combattere, senza avere la preoccupazione di dove gli potesse cadere – involontariamente – lo sguardo. Ma possibile che la divisa da esorcista di Lee-... no, Linalee, non potesse essere un filo più coprente, accidenti?
   « Non faccio fatica a crederlo... », replicò, cercando di distrarsi e concentrare i suoi pensieri sul ben poco sensuale modo di abbuffarsi di Allen Walker di cui era stato sfortunato testimone più di una volta.
   « Però è un bravo ragazzo! », Linalee asserì improvvisamente con estrema convinzione, mentre si girava verso Ichigo coi piatti in mano, avendo sentito il suo tono di voce un po’ distante, e non potendo minimamente immaginare il perché. Facendo un passo verso di lui, che si tirò di poco indietro sulla sedia, inclinò la testa di lato per entrare nel suo campo visivo e incontrare il suo sguardo. E Ichigo si trovò a fissarla sconcertato prima ancora di rendersene conto e di trovare qualcosa da dire per risponderle.
   « Non... faccio fatica a crederlo. », ripeté ancora, lasciandosi poi andare a un mezzo sorriso che stupì lui stesso, divertito a causa del suo atteggiamento così palesemente protettivo nei confronti dei suoi compagni.
Anche Linalee si sorprese non poco a vedere quel lieve sorriso così inaspettato dipingersi sul suo viso, che per un attimo sembrò rilassarsi dalla solita espressone corrucciata. L’aveva visto talmente poche volte sorridere, e ancora meno per “merito” suo, in un certo senso, che non riuscì a trattenersi dall’arrossire un po’ di piacere, mentre si voltava e iniziava a dedicarsi alla preparazione del caffè.
In realtà la cucina di notte veniva chiusa, ma Linalee sapeva bene dove Jerry, il cuoco dell’Ordine, teneva il mazzo di chiavi di riserva. Non che avesse mai sentito il bisogno di approfittarsene, ma quella era un’occasione particolare, per non dire speciale, quindi un piccolo strappo alla regola avrebbe potuto farlo. Dopo avrebbe risistemato tutto, Jerry non si sarebbe accorto di niente, e... ad essere sinceri, era piuttosto curiosa di far assaggiare a Kurosaki-san, no... Ichigo, la torta al cioccolato che proprio Jerry le aveva insegnato a fare. Anche se non gli avrebbe mai detto che l’aveva preparata lei. O almeno, non prima di capire se l’avesse apprezzata o meno. Suo fratello, Komui Lee, era letteralmente andato in un brodo di giuggiole quando gliene aveva offerta una fetta, ma questo succedeva per qualsiasi cosa lei facesse con le sue mani per lui, e il risultato era stato che l’aveva solo messa in imbarazzo. Yu Kanda non le aveva mai dato la soddisfazione di assaggiarla a causa del suo odio per i dolci, Lavi Bookman le aveva risposto con uno scherzoso “Wow, Linalee, ma è buonissima! Diventerai una mogliettina perfetta!” che l’aveva fatta più offendere che altro, Allen Walker... Allen Walker era un caso a parte, lui mangiava di tutto, bastava che fosse commestibile. Certo, si era complimentato con lei, ma del suo palato c’era ben poco da fidarsi. E Miranda Lotto non aveva neanche osato toccarla, scusandosi dal profondo del cuore, ma le era parsa troppo bella anche solo per rovinarla prendendone una fetta. Per non parlare di Aleister Crowley, che solo dopo un boccone era scoppiato in lacrime ricordando quanto quella della sua amata Eliade fosse disgustosa a confronto.
Insomma, quella torta era diventato un tasto dolente per l’orgoglio culinario di Linalee. Lei, altra appassionata amante del cioccolato, la trovava piuttosto buona, ma non si sarebbe mai permessa di giudicarsi da sola. Per questo arricciò le labbra, un po’ preoccupata, mentre posava davanti ad Ichigo una tazza di caffè fumante e un piatto con una fetta piuttosto abbondante, scostando una sedia e sedendosi rigidamente composta, anche troppo, di fronte a lui.
   « Prego. E attento che il caffè è caldo. »
   « Grazie. », Ichigo si avvicinò il piatto senza tanti complimenti, cercando di non far notare quanto gli avesse messo l’acquolina in bocca. Quella torta aveva un aspetto e un profumo fin troppo invitanti, ebbe solo un attimo di esitazione prima di prendere in mano la fetta e azzardare un morso. Ma proprio mentre stava per farlo, il suo sguardo cadde su una Linalee che lo fissava con un’aria fin troppo attenta, seguendo ogni sua mossa, in attesa, stringendo forte tra i pugni la stoffa leggera dei suoi pantaloncini.
   « Tu... non mangi? »
   « E-Eh? », si scosse all’improvviso. « Ah, sì, certo! », aggiunse, mentre a sua volta si tagliava una fetta di torta più sottile, e se la avvicinava alla bocca per addentarla. Ma ancora una volta, si lasciò distrarre dall’espressione di Ichigo, che aveva finalmente dato il tanto agognato morso.
Ichigo che tentò di fare finta di niente, anche se sentiva il suo sguardo su di sé, così come l’imbarazzo arrossargli le guance per l’essere scrutato così intensamente.
   « Com’è...? », Linalee non riuscì a trattenersi dal chiedere dopo qualche secondo. Ichigo si strinse nelle spalle.
   « Buona. »
   « Davvero? »
   « Mi ricorda un po’ quella di Yuzu... », mormorò tra sé e sé, dando un altro morso.
   « Yu-... zu-san? »
Ichigo scosse la testa. « Lascia stare. Comunque, è davvero buona. »
   « Dici sul serio? »
   « Mh-mh. »
   « Non è troppo dolce? »
   « No. »
   « Troppo asciutta? »
   « No, va bene. »
   « E non c’è troppo cioccolato? »
Per Ichigo sinceramente non sussistevano limiti massimi di cioccolato, per cui scosse nuovamente la testa.
E finalmente Linalee si rilassò un po’ sulla sedia, facendo un breve sospiro di sollievo misto a un sorriso soddisfatto. Quindi iniziò a dedicarsi a sua volta alla torta, mangiandola con gusto. E a quel punto fu Ichigo ad osservarla con la coda dell’occhio, arrivando a una conclusione ovvia dopo essere stato sottoposto a quell’esame ravvicinato e tutte quelle domande.
   « ... L’hai fatta tu, vero? »
Linalee si bloccò con la bocca aperta mentre era intenta ad addentare nuovamente la sua fetta, che a quel punto riposò nel piatto, mordendosi il labbro inferiore, sconsolata per essere stata scoperta così presto.
   « Non hai detto che è buona solo per questo, vero...? »
   « Non sono il tipo. Se non fosse stata buona, te l’avrei detto. », replicò Ichigo, appoggiando la testa a una mano e raccogliendo con un dito lo zucchero a velo caduto sul piatto.
   « Beh, allora... grazie. Ne vuoi ancora un po’? »
In tutta risposta, Ichigo la guardò è allungò il piatto verso di lei, facendola sorridere ancora.
   « Lo prendo come un sì. »
   « Lo è. », e il sorriso di Linalee si allargò, spingendo Ichigo a risponderle a sua volta, di nuovo. Era incredibilmente facile lasciarsi andare davanti ai suoi sorrisi gentili e a una torta al cioccolato. Lasciarsi andare... e non pensare a niente. Esattamente quello di cui aveva bisogno. Forse era lui quello che avrebbe dovuto ringraziarla per averlo distratto così dai “fantasmi” – come li aveva definiti Grimmjow – del suo passato.
   « Ah, aspetta. »
Ichigo si riscosse dai suoi pensieri non appena si accorse che Linalee si era tesa sul tavolo verso di lui, allungando una mano a sfiorargli una guancia, appena a lato della bocca, come ad accarezzarlo. Gesto che mise un po’ ad assimilare, accorgendosi solo dopo che era stato causato dal fatto che evidentemente doveva aver avuto qualche briciola sul viso. Ma questo, comunque, non lo aiutò affatto.
E purtroppo Linalee capì troppo tardi, solo a conti fatti, quanto quel gesto innocente avesse fatto avvampare Ichigo, che non se lo era aspettato minimamente.
   « I-Io... scusa. », ritrasse immediatamente la mano, chiedendosi poi perché si fosse presa così tanta confidenza da toccarlo così all’improvviso. Non aveva mai fatto una cosa del genere neanche con Kanda, che conosceva fin da bambina, o con Allen, che considerava come una sorta di fratello minore. Ma cosa le era preso? Quel breve scambio di sorrisi l’aveva scombussolata più di quanto si fosse inizialmente resa conto.
   « Non ti scusare. », buttò lì Ichigo distogliendo lo sguardo e grattandosi imbarazzato il collo. In realtà quello che più lo aveva fatto vergognare era stata proprio la sua reazione. Dovuta non tanto al contatto improvviso, ma a quanto quel gesto gli fosse sembrato quasi... materno. E quindi gli avesse fatto in un certo senso piacere.
   Proprio quel giorno, poi.
Tornando a lei, ancora sbirciandola di sottecchi, si rese conto di non essere l’unico ad essere arrossito inverosimilmente. Anzi, Linalee, se possibile, era ancora più in imbarazzo di lui, e per di più mortificata, mentre era tornata a stringere forte i pugni sulle gambe, col viso chino.
   « Linalee. », si trovò a chiamarla ancor prima di aver deciso cosa fosse meglio dire o fare. Lei alzò immediatamente lo sguardo su di lui, sentendolo pronunciare il proprio nome per quella che era effettivamente la prima volta, per poi pentirsene subito. Le sue guance si accesero ancor più di rosso, così come le sopracciglia di Ichigo si aggrottarono per quel frustrante imbarazzo.
E questa volta fu il suo turno di allungare la mano, facendole cenno di avvicinarsi, e cogliendola totalmente alla sprovvista. Ma Linalee ubbidì, e un po’ titubante, si tese ancora sul tavolo verso di lui, che esitò solo un secondo prima di sfiorarle brevemente i capelli, proprio all’altezza di quel ciuffo ribelle che non era ancora andato a posto.
   « Così... siamo pari. »
La reazione che si susseguì sul viso di Linalee per un momento gli fece credere di aver fatto la cosa sbagliata. Prima, ovviamente, sul suo viso si dipinse lo stupore, poi, come aveva immaginato, la vergogna, mentre si lasciava cadere all’indietro sulla sedia e prendeva a pettinarsi i capelli con le dita, appiattendoseli contro la testa per evitare altre sorprese sgradite e imbarazzanti, per lei che ci teneva parecchio ad essere sempre in ordine, soprattutto se si trattava dei propri capelli, per cui il suo delicato orgoglio femminile raggiungeva il picco massimo. Ma dopo qualche secondo passato a sistemarsi febbrilmente, si rese conto di quanto dovesse sembrare... ridicola ai suoi occhi. E, quasi senza rendersene conto, piuttosto che vergognarsi ancora di più, come solitamente avrebbe fatto, si ritrovò... a ridere, di sé stessa, della gentilezza del gesto di Ichigo – che per lui doveva aver richiesto parecchio coraggio –, gesto atto solamente a calmarla, e dell’imbarazzo assurdo di quella situazione, che lentamente scemò via.
   « Dovevo essere inguardabile! »
   « Non ci ho fatto caso. », anche Ichigo si rilassò, tornando ad appoggiare il viso a una mano, mentre si avvicinava alla bocca la tazza col caffè che ora non era più così caldo, per nascondere il sorriso che gli era venuto spontaneo fare a vederla ridere così. Forse non aveva sbagliato del tutto, anche se per un attimo aveva rischiato di implodere, accarezzandole i capelli. « Meglio...? », le chiese per sicurezza.
Linalee si portò ancora una mano ai capelli, tirandoseli dietro a un orecchio.
   « Sì... grazie. E scusa ancora. Sono stata sfacciata. »
   « Non ci pensare. Te l’ho detto, adesso siamo pari. »
   « E... tu? Va... un po’ meglio? »
Ichigo si fermò con la tazza a mezz’aria, incontrando il suo sguardo che all’improvviso si era fatto come più... comprensivo. Dolce. E fu il suo turno di sentirsi un po’ ridicolo, per non essersi reso conto di quanto il gentile invito di Linalee a fare quello “spuntino notturno” non fosse stato fatto a caso, ma perché lei aveva capito che c’era qualcosa di diverso in lui, che non andava.
Linalee non aveva voluto lasciarlo solo. E il suo sorriso che gli rivolse in quel momento... fu davvero dolce.

   « ... Sì. Camminare è servito. E pure... e pure la torta. »
   « Mi fa piacere. », mormorò Linalee mentre abbassava lo sguardo verso la propria tazza ancora intatta, stringendola tra le mani e sfiorandone il bordo con le dita. « Sai, ogni tanto anche a me, quando ho un po’ di pensieri per la testa e non riesco ad addormentarmi, piace passeggiare per l’Ordine, di notte. Sembra quasi... un altro posto. Ah, non badare alle sciocchezze che sto dicendo. »
Ichigo la scrutò per qualche secondo mentre alzava le mani in segno di diniego.
   « Tu sei cresciuta qui, vero? »
   « Mh-mh. Mi ci hanno portata quando avevo sei anni. », rispose lei, cercando di mantenere un tono fermo. Stessa cosa non si può dire del suo sguardo, che si fissò in un punto indefinito perché altrimenti, se avesse continuato a ricambiare quello di lui che a un tratto si era fatto più penetrante, dubitava che sarebbe riuscita a non mostrare quanto per lei fosse ancora profonda quella ferita. Eppure, la sua apparente fermezza non ingannò minimamente Ichigo, che di lei aveva imparato anche quanto odiasse mostrarsi debole e far preoccupare gli altri.
  Un po’ come lui.
   « “Portata”? »
   « Beh... non ero proprio entusiasta di venire qui, diciamo. »
   « Insomma ti hanno costretta. »
Linalee sorrise per l’ennesima volta come a voler scusare davanti a lui un passato che in realtà lei stessa non era ancora riuscita a perdonare.
   « Ero compatibile. »
   Compatibile.
Vagamente, ad Ichigo era stato spiegato cosa quel termine volesse dire. E anche cosa fosse l’Innocence, cosa rappresentasse per tutta quell’organizzazione simil religiosa che era l’Ordine Oscuro. La rigidità delle sue regole gli era sembrata fin troppo paragonabile a quella della Soul Society.
Il suo sguardo diventò inflessibile.
   « Eri una bambina. »
Per l’ennesima volta, Linalee si trovò a guardarlo prima di rendersene conto, anche se non avrebbe voluto. E colpita dalle sue parole, non riuscì a mantenere quel sorriso falso che si spense lentamente, mentre lei rafforzava la presa sulla tazza che teneva tra le dita.
   « ... Già. »
Il silenzio calò ancora tra di loro, ma ora non per l’imbarazzo. Quasi sarebbe stato meglio, pensò Linalee, che la sua infanzia era l’ultima cosa che voleva ricordare. Molte volte si era chiesta quanto la sua vita sarebbe stata diversa se Dio non l’avesse scelta, donandole a forza l’Innocence. Molte volte si era chiesta perché era dovuto capitare proprio a lei, perché aveva dovuto lasciare la sua casa, la sua terra, essere costretta a diventare niente di più di un soldato, perché era questo ciò che era, nonostante l’aura di sacralità che avvolgeva tutto l’Ordine. Un soldato che doveva dare tutto sé stesso per una guerra che inizialmente non aveva nemmeno capito. Era stata una responsabilità troppo grande per una... bambina, niente di più, che si era trovata a crescere troppo in fretta, costretta dalle circostanze e da quel Dio, che molte, molte volte si era chiesta se fosse davvero così misericordioso come dicevano.
Eppure per una cosa doveva ringraziarlo, quel Dio. E lo faceva sempre, quando non riusciva a dormire e sentiva il bisogno di camminare un po’, finendo immancabilmente nella cappella dell’Ordine. Non si inginocchiava, non pregava. Semplicemente, si fermava a guardare la luce della luna che filtrava dai vetri delle finestre sfaccettate, la cosa che le sembrava più divina tra tutte quelle statue raffiguranti angeli e Madonne, e quei decori che riempivano tutta la chiesa e ben poco avevano di umile. Guardava quella debole luce, debole come lei in quei momenti, e mormorava un grazie. Per i suoi nakama. Per la sua famiglia.
E ora, ringraziava anche per avere un compagno che sembrava capirla più di chiunque altro avesse mai conosciuto.
Non voleva sprecare un minuto di più lasciandosi offuscare la mente da ricordi tristi. Non in sua presenza, non quando lui rimaneva in silenzio, senza uscirsene con frasi di circostanza come un freddo “mi dispiace”, solo aspettando pazientemente che si lei liberasse dalle ombre del proprio passato e tornasse alla luce di quegli occhi castani così caldi e profondi. Quando posò nuovamente il suo sguardo su Ichigo, Linalee sentì il nodo che le si era formato alla gola, scendere lentamente e stringerle il cuore.
   « E tu, invece? Quando sei diventato uno... Shinigami? », abbozzò con un sorriso, tentando di cambiare argomento e allo stesso tempo di scoprire qualcosa di più sul suo conto. Anche Ichigo le sorrise, sollevato che la sua espressione fosse tornata ad illuminarsi dopo quel breve momento di malinconia. E dentro di sé, sentì il desiderio di farla ridere ancora.
   « Lo dici come se fossi una creatura del folklore giapponese. »
Linalee si coprì la bocca col dorso della mano, per nascondere la leggera risata che effettivamente le scappò.
   « Perché, non lo sei? Quando Nii-san, ehm... il direttore Komui ci ha detto che avremmo stretto questa alleanza con gli Shinigami, mi è quasi preso un colpo. In Cina li chiamiamo “
Somujo” oKoshinin”. Non avevo idea... che gli “dei della morte” esistessero davvero. »
   « Neanche io, fino a un paio di anni fa. Poi ho incontrato Rukia, e mi ha sconvolto l’esistenza. », sospirò Ichigo, lasciandosi andare contro lo schienale della sedia, mentre Linalee si rigirò la tazza tra le mani.
   « È una persona... molto importante per te, vero? Rukia-san, dico. Ho notato che la tieni sempre d’occhio. »
   « Le devo... tutto. E non solo a lei, anche agli altri. “Tenerli... d’occhio”, cercare di proteggerli... è il minimo che possa fare. »
   « “Guardiano”, eh...? », mormorò Linalee tra sé e sé facendolo avvampare ancora. Era questo che aveva voluto dire con quel “ti si addice”?
   « A-Anche tu tieni molto ai tuoi compagni, però. Lo vedo... che ti fai sempre in quattro per tutti. », replicò quindi lui, rendendosi conto solo dopo aver parlato che quella frase poteva essere tradotta anche con un altro significato. Ovvero, quello che aveva cominciato a “tenere d’occhio” anche lei, tanto da accorgersi dei suoi comportamenti e modo di fare. Ma Linalee non sembrò darci troppo peso, o almeno, non lo diede a vedere. Perché lei stessa “aveva notato” tante altre cose di lui, oltre alle persone che teneva d’occhio. Le aveva notate, forse osservandolo più e più spesso di quanto fosse necessario, senza sapere bene perché.
   « Sono la mia famiglia. È... “il minimo che possa fare”. », ripeté le sue stesse parole, appoggiando il mento sul palmo delle mani. « Tu hai una famiglia, Ichigo? »
   « Un padre e due sorelle più piccole. Due gemelle, che però non potrebbero essere più diverse l’una dall’altra. E mio padre... mio padre è un idiota. », con uno sbuffo esasperato distolse lo sguardo, infilando le mani nelle tasche della felpa. Mani che Linalee non poté vedere si strinsero in un pugno.
Continuò a fissarlo, in attesa, come ad aspettare che parlasse anche di un quarto membro della sua famiglia, ma Ichigo aveva sigillato le labbra e sembrava non aver più niente da dire. La ragazza ci mise qualche secondo a rendersi conto che probabilmente non avrebbe davvero più aggiunto altro, e ne fu sicura quando lui tornò a cercare il suo sguardo, con un'espressione indecifrabile ma allo stesso tempo da cui si poteva capire tutto.
Linalee sentì un brivido e la stretta all’altezza del cuore farsi più opprimente, mentre il silenzio creato dal vuoto di quella persona di cui Ichigo non aveva parlato, si riempì coi loro sguardi. Non disse né gli chiese niente, come lui prima, semplicemente si limitò a fissare gli occhi nei suoi e ad attendere, finché non li vide abbassarsi e socchiudersi. Per un momento, provò il desiderio di sfiorare ancora con una carezza quel viso su cui non c’era più nessuna briciola. E neanche lacrime, eppure Linalee poté distinguerle bene, anche se non erano tangibili.
Era quella l’espressione che aveva fatto lei stessa, stanca ormai di piangere per un passato che non poteva cambiare ma per cui non riusciva a smettere di soffrire?
Nonostante tutto quello che ora aveva, nonostante la gratitudine appena sussurrata ma sentita dal profondo del cuore. Eppure non ne parlava mai con nessuno, non con i suoi nakama, non con suo fratello a cui aveva già rovinato irrimediabilmente la vita costringendolo a seguirla in modo da starle vicino. Quella era una parte di sé e della sua vita che celava a tutti, persino a sé stessa, cercando di dimenticare.
Così come Ichigo che ancora si ostinava a dipingersi sul viso un sorriso di circostanza ogni volta che si arrivava a parlare dell’argomento... “madre”. Per non far preoccupare gli altri, tenendosi tutto dentro. Per qualche motivo, però, questa volta non riuscì a sorridere. Non quella notte, non a quegli occhi che oltre ad esprimere comprensione e dolcezza, sembravano anche volerlo e poterlo capire in qualche modo. Senza chiedere niente, senza essere invadenti.
Forse avrebbe dovuto davvero ringraziarla, si trovò a pensare, mentre lentamente lasciava che i pugni si sciogliessero nelle tasche. E non solo per qualche fetta di torta al cioccolato.
   « Io non li ho mai... conosciuti, i miei genitori. », Linalee iniziò a dire, per poi concedersi a un sorriso che distese l’espressione corrucciata formatasi sul viso di Ichigo a quelle parole. « Però ho sempre potuto contare su mio fratello. Anche se... a volte sembra anche lui un po’ un... un idiota. », fece un breve sospiro, titubando e sentendosi un po’ in colpa per aver espresso così a parole quello che però pensava da anni. Ichigo non si sentì di assentire, anche se per quel poco che aveva avuto a che fare con Komui Lee, soprattutto vedendo come si comportava proprio con Linalee, non poté che darle mentalmente ragione.
Quindi si limitò ad abbassare ancora lo sguardo per una breve frazione di secondo, quella che gli bastò per prendere impercettibilmente fiato. E andare avanti.
   « Ho sentito parlare di un certo affare chiamato Komurin. »
   « Oh povera me... », gemette Linalee mentre si copriva il viso con le mani su cui ancora appoggiava il mento. « Fortunatamente non ne costruisce più, o almeno, se lo fa li tiene chiusi in laboratorio, altrimenti Kanda glieli farebbe a pezzi in meno di un secondo. »
   « Kanda, eh...? Non credo di averci mai parlato, anche se vagamente so chi è. È in coppia con Inoue per la pattuglia, vero? »
Linalee trattenne ancora un gemito sconsolato.

   « Orihime-san è così gentile... mi fa quasi tenerezza pensarla in squadra con Kanda. Anche se pure lui è un bravo ragazzo, davvero. Però è un po’... difficile prenderlo per il verso giusto, insomma... E Orihime-san sembra una ragazza così gentile... troppo gentile... Devo proprio parlare con lui e convincerlo a comportarsi bene. »
   « Convincerlo...? », tossicchiò Ichigo visto che il caffè gli era andato di traverso ad immaginarsi una Linalee Lee comportarsi alla stregua di Retsu Unohana, con cui gli era bastato avere a che fare una volta per decidere che sarebbe stata la prima e l’ultima. Un altro brivido in quella notte di quasi estate gli percorse la schiena.
   « Sì, vedi, io sono una delle poche persone a cui Kanda da più o meno retta. Sarà che ci conosciamo fin da bambini. E beh... da piccola ero un po’ prepotente con lui, a volte, quando non mi ascoltava. Penso che se lo ricordi ancora, forse è per questo che con me non fa tante storie... Aah, che vergogna... », distolse lo sguardo coprendosi la bocca con aria innocente, mentre Ichigo deglutiva mandando giù un altro sorso di caffè, e cominciava a pensare sul serio che non fosse il caso di sottovalutarla. E dire che non sapeva niente della sua famosa “frusta dell’amore”.
Cercando di non soffermarsi troppo su quei pensieri, nel frattempo si ripromise a sua volta di insistere con Orihime Inoue riguardo a come si trovasse in coppia con questo Yu Kanda, fino a ottenere in risposta qualcosa di più che un “bene” campato per aria e seguito da una serie di discorsi strampalati atti a fuorviarlo.
   « Riguardo all’essere fin troppo gentili, comunque... io potrei dire la stessa cosa di... Miranda-san, giusto? », replicò quindi, ricordando la profusione di scuse da cui si era sentito ricoprire una volta che per sbaglio si erano scontrati. E dire che era stata pure colpa sua.
   « Lei è con il capitano Zaraki, se non sbaglio. Che tipo è? »
Ichigo si prese un po’ di tempo per soppesare la risposta.

   « ... Un po’ come Sokaro, diciamo. »
   Fin troppo simile, constatò mentalmente.
   « Oh no... », mormorò Linalee, sentendosi improvvisamente parecchio in ansia per la delicata fragilità emotiva di Miranda Lotto, mentre Ichigo tentò di distrarla.
   « Miranda-san ha un potere simile a quello di Inoue, ho sentito. »
   « Sì, riesce a modificare il tempo e lo spazio, e in questo modo può anche guarire le ferite. Anche se solo temporaneamente, a differenza di Orihime-san. »
   « Mh... »
   « È... un problema? », chiese Linalee, accorgendosi della sua espressione fattasi dubbiosa.
   « Più che altro penso che le sue abilità siano un po’ sprecate con uno come Zaraki. E’ quasi impossibile ferirlo. »
   « È così forte? »
   « Già. E la sua reiatsu è praticamente impenetrabile. »
   « Re-... Reiatsu. Sai, ad essere sincera, non credo di aver capito bene cosa sia. »
   « È la forza spirituale. La forza della propria anima, se la vogliamo mettere così. Noi la percepiamo come una specie di aura, o una cosa del genere. », Ichigo cercò di spiegare in parole povere.
   « E così potete capire quanto è forte il vostro avversario? »
   « Più o meno. »
   « Deve essere davvero utile, avere questa “reiatsu”... »
   « In realtà anche tu ce l’hai. Tutte le persone ce l’hanno. »
   « Davvero? », si sorprese Linalee, che non aveva mai sentito parlare di una cosa del genere.
   « Sì, solo che in noi Shinigami è più forte e la... “manifestiamo” con la nostra Zanpakutō. Hai presente Zangetsu, no? La mia spada. »
La ragazza annuì, per poi assumere un'aria esitante che si sciolse in un sorriso.
   « Mi sono sempre chiesta perché la tua sia così... beh, enorme in confronto alle altre. »
   « Perché le altre sono nella loro forma normale, la mia è sempre in shikai, il primo stadio del rilascio. », replicò Ichigo, grattandosi una guancia un po’ impacciato.
   « E come mai? », chiese Linalee, confusa da tutti quei nomi nuovi per lei, facendo sospirare Ichigo.
   « È solo perché io non sono così bravo a controllare la mia reiatsu, e quindi contenere le dimensioni di Zangetsu. »
   « Uhm... Forse la tua reiatsu talmente grande che non si può. »
   « È una specie di modo di consolarmi? », le sorrise accondiscendente, facendola ridere di nuovo.
   « Solo una constatazione. Insomma... è palese che tu sia molto forte. », sfiorò ancora il bordo della tazza con un dito, abbassando lo sguardo. « E io... mi ritengo davvero fortunata ad essere capitata in squadra con te. Come dire... mi sento veramente protetta. Sento di poter contare su di te. »
Ichigo sentì come se avesse perso la capacità di parlare e dire qualcosa di sensato, quando gli occhi di lei cercarono nuovamente i suoi, pronunciando quelle parole che ebbero il potere di scuoterlo più di quello che avrebbe immaginato. Pensò molte cose che non riuscì a dire, quella notte del 17 giugno. Che quella era una fiducia immeritata, verso qualcuno che non era neanche riuscito ad aiutare la propria madre, che non avrebbe dovuto contare così su qualcuno che più di una volta aveva dimostrato di non essere davvero in grado di controllare la propria reiatsu, arrivando a un soffio dal fare del male alle persone a cui teneva, oltre che ai suoi nemici. Familiari, compagni che più di una volta non era riuscito affatto a proteggere, lasciando che gli venissero portati via, che fossero feriti, familiari, compagni senza il cui sostegno non era niente. Niente.
E lentamente, si fece strada dentro di lui la fantasia di che tipo di persona sarebbe potuto essere, diventare, se avesse davvero permesso a quegli occhi che cercavano di capirlo, a quel sorriso capace di non fargli pensare a niente, e a quelle mani che sembravano allo stesso tempo così delicate e decise, di sostenerlo di diventare parte della sua forza. Perché il suo sostegno, era una cosa su cui anche lui, inconsciamente, aveva sempre sentito di poter contare.
   « È... lo stesso per me. », riuscì solo a dire, senza poter minimamente distogliere lo sguardo da lei quando vide i suoi occhi diventar più lucidi, quasi come se fosse commossa e forse, sopraffatta anche lei dai ricordi di una vita passata a combattere per qualcosa di più grande di entrambi. Qualcosa che più di una volta aveva reso pure lei impotente e incapace di proteggere chi amava più di sé stessa.
   « Mi fa veramente piacere sentirlo. », e gli regalò l’ennesimo sorriso, il più bello di tutti forse, imbarazzato, appena accennato, mentre abbassava lo sguardo e col palmo della mano si asciugava un occhio, prima che una lacrima potesse rigarle una guancia.
Linalee Lee era davvero stanca di piangere.
Anche se, per una volta, le sue sarebbero state lacrime di gioia. E gratitudine, anche se stavolta non verso un Dio poco misericordioso e irraggiungibile.
A sua volta Ichigo spostò subito lo sguardo verso le proprie mani, che aveva tolto dalle tasche e appoggiato sul legno del tavolo, non appena lei ebbe liberato, in un certo senso, dai suoi occhi viola. La sua gratitudine, invece, fu rivolta a quell’attimo di imbarazzo dovuto alla commozione improvvisa, che a Linalee aveva fatto distogliere lo sguardo. Perché se non l’avesse fatto, Ichigo era sicuro che avrebbe finito per continuare a fissarla per tutta la notte senza riuscire a dire nient’altro.
Per una frazione di secondo, strinse ancora un pugno, osservando i propri tendini tendersi e solcare la superficie della sua pelle.
   « Posso... farti io una domanda? »
   « Certo che puoi. Dopo tutte quelle che ti ho fatto io... »
   « Beh, allora... di cosa sono fatti quegli stivali che usi per combattere? »
   « Mh... », Linalee esitò per un istante, non troppo sicura di quanto la risposta avrebbe turbato Ichigo. « Del mio... sangue? »
Ichigo che infatti tornò a fissarla con tanto d’occhi, dimenticandosi all’istante di quanto poco prima avesse trovato disorientante guardarla.
   « Ah, inizialmente non era così. Erano dei semplici stivali che dovevo indossare praticamente... sempre, per essere pronta ad ogni evenienza. Poi, per una serie di circostanze... ho bevuto la mia Innocence e-... »
  « Aspetta, bevuto? Non è pericoloso? »

  « Ho dovuto, per assorbirla prima. Era un momento un po’... critico, diciamo. Ma è andato tutto bene. »
   « E se non fosse andata così? », Ichigo corrugò la fronte.
   « Sarebbe stato un bel problema. », sorrise lei un po’ tesa, beccandosi in risposta un’occhiataccia che attribuì a un attimo di preoccupazione provata nei suoi confronti. Cosa che invece di farla sentire colpevole, le fece solo piacere, per cui si strinse nelle spalle. « In un certo senso... sapevo che sarebbe andata bene. Per questo l’ho fatto. »
   « E come lo sapevi? », replicò lui ancora poco convinto.
   « Perché per la prima volta in vita mia, ho creduto nella mia Innocence. L’ho... desiderata, le ho chiesto di aiutarmi a proteggere tutti. E lei mi ha ascoltato. »
Ed ecco ancora quella sensazione, che fece ammutolire Ichigo rendendolo incapace di fare altro oltre che fissarla. Perché poteva capire benissimo le sue parole. Quello che doveva aver provato in quel momento. Ovvero la stessa cosa che aveva provato lui, che lo aveva spinto a prendere tra le mani una katana e ad infilzarsi il cuore. A far morire una parte di sé pur di salvare la sua famiglia che in quel momento era stata in pericolo. A rischiare ancora una volta di perdere sé stesso per riottenere le vesti da Shinigami e poter salvare Rukia Kuchiki dal patibolo. A trovare la forza di combattere contro sé stesso per riuscire a controllare quel potere che gli aveva fatto paura tanto da paralizzarlo, per poter portare nuovamente a casa Orihime Inoue.
Per questo, non riuscì a fare nient’altro che fissarla negli occhi, senza rimproverarle niente. Perché per un attimo, gli sembrò di poter guardare sé stesso. E la vista, non fu così patetica come prima di incontrare Linalee Lee era invece convinto sarebbe stata.
Linalee che per quell’attimo in cui sentì gli occhi di Ichigo su di sé, perse il filo del discorso, trovandosi anche lei senza niente da dire. Forse perché, semplicemente, non c’era niente da dire. C’era veramente bisogno di parlare, quando il suo sguardo sembrava ancora una volta capire anche tutto quello che non aveva mai trovato il coraggio di esternare, trasformandolo in parole?
Il suo sguardo, e il suo ogni volta più inaspettato sorriso, come quello che le rivolse in questo momento. Inaspettato, e sincero. Un po’ divertito anche, dai pensieri che evidentemente gli stavano passando per la testa.
   A cosa stava pensando...? Chissà perché, Linalee sentiva come che, se avesse fatto uno sforzo, non sarebbe stato poi tanto difficile indovinare cosa, o chi, fosse la causa di quel sorriso.
   Lui stesso...? O forse proprio lei. O forse, non c’era bisogno di fare distinzioni.
   « Quindi l’hai... bevuta. »
   « ... Già. Dopo che l’ho bevuta, si sono formati questi braccialetti di cristallo rosso che ho sulle caviglie che sono fatti di... sì, sangue. Infatti mio fratello ha chiamato questo nuovo tipo di Innocence Crystal Type. »
   « Queste cose non le sapevo. »
   « In realtà credo che non avrei dovuto dirtelo. È una scoperta piuttosto recente, l’Ordine stesso sta ancora cercando di capire perché la mia Innocence e anche quella di Kanda si siano trasformate così. Però... di te mi posso fidare, vero? »
   Poteva fidarsi di sé stessa?
Ichigo esitò un solo attimo prima di rispondere.
   Poteva fidarsi di sé stesso?
   « ... Sì. »
   « ... Sì. », Linalee gli sorrise. « Lo immaginavo. »
 
 
 
Lavi Bookman sbadigliò sonoramente mentre si stiracchiava, allungando le braccia sopra la propria testa folta di capelli rossi ancora spettinati dal sonno e non ancora domati dalla fascia che era solito indossare e che per il momento aspettava intorno al suo collo.
Il sole non era ancora sorto, anche se il cielo si stava già schiarendo. Non erano che le quattro di mattina, ovvero notte fonda per lui che era solito rimanere a letto almeno finché l’orario non cominciava a contare due cifre. C’è anche da dire che lui, esemplare Bookman, solitamente rimaneva sveglio fino a tardi a lavorare, registrando parole e inchiostro su pagine che prima di essere catturate dal suo occhio verde, erano bianche. Quella però, era stata una notte diversa dalle altre, era andato a letto relativamente presto per i suoi standard, ed era riuscito a dormire almeno otto ore filate. Insomma, una pacchia.
I suoi sbadigli perciò erano dovuti non tanto alla stanchezza, ma alla soddisfazione di aver fatto dopo diversi giorni, una dormita degna di quel nome. Ma c’era poco da fare, quelle ore di sonno gli erano spettate di diritto, neanche il vecchio panda scorbutico con cui divideva la camera aveva potuto dirgli niente. Se non altro, prima di partire per una missione fuori sede, lo lasciava riposarsi in santa pace.
Certo che però le quattro del mattino, rimanevano le quattro del mattino. Ancora non aveva capito perché avessero dovuto fissargli così presto l’orario della partenza, scombussolando così il suo orologio biologico. Fortunatamente, almeno, Jerry era stato informato di questo viaggio e quindi era stato incaricato di preparargli una colazione coi fiocchi da consumare prima di imbarcarsi per quel viaggio. Per questo Lavi si stava dirigendo proprio verso la cucina, pregustando già che cosa avrebbe messo nella pancia. Non che fosse un buongustaio ai livelli di Allen Walker, ma anche lui sapeva apprezzare un buon piatto quando se lo trovava davanti. E le doti culinarie di Jerry, che sfamava l’intero Ordine, non erano minimamente da mettere in discussione.
Ancora stiracchiandosi, si fermò davanti all’arco che segnava l’ingresso della cucina, appoggiando le mani allo stipite sopra la sua testa. E divertito, lanciò un’occhiata alla minuta figura che fino a quel momento aveva camminato silenziosamente al suo fianco, figura di una ragazza, o forse è meglio dire donna, che gli arrivava a malapena al petto, e che quindi avrebbe potuto sognarsi anche solo di sfiorare lo stipite della porta.
Rukia Kuchiki si limito a tirargli una pacca sugli addominali che lui fece appena in tempo a contrarre per attutire il colpo, mentre lei lo superava, nascondendo un sorriso e aprendo la porta che contrariamente a quello che le era stato detto, aveva trovato socchiusa.
Ma non fece che pochi passi, che fu costretta a fermarsi a causa della vista che le si parò davanti.
   « Ruki, non fermarti così all’-... », iniziò Lavi, che per poco non le finì addosso, per poi bloccarsi quando anche lui si rese conto della scena di fronte a sé. « ... improvviso. », concluse, con un filo di voce.
Con quell’unico occhio visibile, scrutò per qualche secondo la sua compagna Linalee Lee che conosceva da anni, e la abbastanza recente new entry Ichigo Kurosaki, entrambi con la testa abbandonata sul tavolo, completamente immersi nel mondo dei sogni. Sul piano della cucina vicino a loro, poté distinguere due piatti ancora sporchi di briciole di quella che doveva essere stata una torta al cioccolato, e due tazze ormai vuote con un residuo di caffè sul fondo. Registrò tutto in meno di un secondo, soffermandosi un po’ di più sul sorriso appena accennato che rimaneva sulle labbra di Linalee e sulla fronte rilassata di Ichigo, lo stesso con cui aveva scambiato qualche parola ogni tanto e che aveva sempre trovato fin troppo accigliato. Ora, entrambi sembravano due bambini addormentatisi nel bel mezzo della consueta favola della buona notte. O due amanti che avevano appena finito di fare l’amore.
La verità era che Ichigo Kurosaki e Linalee Lee avevano passato l’intera notte a parlare. Di tutto, cose poco importanti, cose che lo erano un po’ di più, senza mai svelarsi completamente a parole, ma continuando a comunicare con lo sguardo, mentre i sorrisi tra di loro si erano fatti più frequenti.
Infine, quando Linalee si era alzata per sparecchiare, voltandosi per non più di qualche minuto e continuando a parlare anche dandogli le spalle, Ichigo aveva lasciato scivolare lentamente la testa lungo la mano che la sorreggeva, non riuscendo più a tenere gli occhi aperti. Linalee l’aveva chiamato, non sentendolo rispondere alla domanda che gli aveva posto, e vedendo che era rimasto ancora in silenzio, si era girata nuovamente verso di lui, trovandolo addormentato, col viso appoggiato contro il braccio. Quindi aveva delicatamente appoggiato sul ripiano in marmo i piatti che si stava accingendo a lavare, ripromettendosi che l’avrebbe fatto poi, ed era tornata a sedersi di fronte a lui. Per qualche minuto si era mordicchiata nervosamente il labbro, tenendosi le mani in grembo, ma poi si era decisa a rialzarsi, camminando in punta di piedi per non svegliarlo, e aveva estratto dalla cassapanca a muro dall’altro lato della stanza, una coperta non troppo pesante, che gli aveva posato delicatamente sulle spalle, rimanendo chinata su di lui a fissare il suo viso per più del tempo necessario a compiere questo gesto. Il pensiero dell’espressione che Ichigo avrebbe fatto se si fosse ridestato all’improvviso e l’avesse trovata così vicina a lui, l’aveva scossa e fatta tornare al suo lato del tavolo, seduta sulla sua sedia. Quindi aveva incrociato le braccia sul tavolo e appoggiatovi sopra il mento, senza fare il minimo rumore.
Non sapeva quanto tempo fosse rimasta a guardarlo dormire. Sapeva solo che, controvoglia, dopo un po’ lei stessa aveva finito per cedere al peso delle palpebre che continuavano a chiudersi, e si era addormentata.
Ma in fondo, le era stato bene così. L’importante era che alla fine Ichigo fosse riuscito a scacciare dalla propria testa le preoccupazioni abbastanza a lungo da permettersi di riposare. Per questo aveva chiuso definitivamente gli occhi col sorriso sulle labbra.
Questo però l’occhio di Lavi non lo poté intuire con un semplice sguardo. Non poté vedere niente di quello che era successo quella notte del 17 giugno in quella cucina, il suo udito fine non poté minimamente immaginare cosa era stato detto e soprattutto, non detto ma comunque comunicato.
Il Bookman che nonostante tutto viveva ancora in lui, non si accorse minimamente di queste cose. L’uomo che invece era lentamente nato da quando aveva conosciuto Rukia Kuchiki, riuscì ad intuirle.
   « Che l’angelo dell’amore abbia colpito ancora...? », mormorò abbassando il tono di voce, mentre poggiava il mento sulla testa di Rukia davanti a lui, che inizialmente cercò di sottrarsi con poca convinzione, ma che poi finì per arrendersi subito e lasciarsi stringere tra le sue braccia. In fondo, non c’era in giro nessuno, a parte quei due che sembravano dormire come sassi.
Rukia soppesò le parole di Lavi, fissando il viso addormentato di Ichigo, così come l’aveva visto tante volte, rilassato e in un certo senso... sereno come si rese conto di non averlo visto mai. Ma subito si scosse. Per quanto il suo animo femminile recentemente si fosse scoperto incline a pensieri romantici proprio per colpa – o forse merito – di Lavi, non poté che ritrovarsi scettica a pensare ad Ichigo in una situazione del genere. Insomma, proprio lui.
   « Ichigo? », esternò quindi il proprio dubbio pronunciando semplicemente il nome di quello che in due anni era diventato quanto di più vicino a un amico per lei.
   « Linalee...? », replicò Lavi con lo stesso tono.
Entrambi quindi rimasero a fissare i loro compagni addormentati l’uno di fronte all’altra, in una posa così simile, con i capelli che quasi si sfioravano, e le mani, che se fossero state di qualche centimetro più vicine, avrebbero potuto toccarsi.
   « ... Naah. »
   « ... Non è possibile. »
Lavi Bookman e Rukia Kuchiki si lanciarono una breve occhiata di scettica intesa prima di scogliere l’abbraccio che fino a quel momento li aveva uniti e ritirare silenziosamente la colazione che era stata preparata per loro, e che, viste le circostanze, avrebbero consumato da un'altra parte.
Quindi, facendo il meno rumore possibile, si chiusero la porta alle spalle e si allontanarono, dimenticandosi in fretta di quello che avevano visto e supposto, le menti troppo occupate da loro stessi e dalle loro mani che si cercarono e intrecciarono spontaneamente non appena furono liberi, fuori dai cancelli dell’Ordine Oscuro, baciati dal sole che dopo una notte di tempesta, stava sorgendo proprio in quel preciso momento.
Sole che filtrò lentamente anche attraverso le leggere tende bianche che coprivano le finestre della cucina, senza però disturbare minimamente il sonno di chi, in una notte in cui si erano riportati alla memoria vecchi e tristi ricordi ma in cui se ne erano formati anche di nuovi e di più dolci, non aveva ancora recuperato le ore passate a conoscersi.
Quindi Ichigo Kurosaki e Linalee Lee continuarono a dormire indisturbati, forse davvero persi nel mondo di quelli che erano sicuramente sogni e non incubi.
Come due bambini a cui era stata strappata l’infanzia, come due amanti che avevano appena cominciato ad essere finalmente sinceri con sé stessi, l’uno con l’altra. Come se ci fosse veramente bisogno di fare questa distinzione.
Stessa posa nel sonno, stessa espressione, stesso sogno, con tutta probabilità. L’unica differenza, era la coperta posata su uno solo di loro, che a breve avrebbe cominciato a sentire caldo e si sarebbe svegliato.
Coperta, che durante la notte del 17 giugno, si era spostata silenziosamente sulle spalle di Linalee.
 
 
 
NDA 2: Come al solito, pubblicità occulta per le già sopraccitate N e m e ed Angy_Valentine, che si dedicano come me a questi crosspairing un po’ strani ma che meritano tanto, tanto amore. Quindi, se siete di mente aperta e volete leggere delle fan fiction SCRITTE BENE, no, DIVINAMENTE, fatevi un salto nei loro profili.
  
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