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Autore: HikaRygaoKA    12/08/2012    4 recensioni
“Kairi! Kairi! Ricordi si quella canzone che cantavi spesso da bambina? Quella che parlava di un tizio allucinato che abbracciava gli insetti che gli insegnavano a ballare e non credeva che la terra girasse lentamente?”
Genere: Introspettivo, Song-fic | Stato: completa
Tipo di coppia: non specificato | Personaggi: Kairi, Riku, Sora
Note: Missing Moments | Avvertimenti: nessuno | Contesto: Nessun gioco
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Sperava che il suo non fosse amore, perché l’amore ti instupidisce nella stessa misura in cui ti rende felice. Lui, invece, provava un senso di frustrazione profonda, la testa perennemente annebbiata da idee contraddittorie. Forse stava drammatizzando tutto, forse Riku voleva solo qualcosa a cui aggrapparsi a questo mondo e forse aveva scelto Sora perché ero stato il margine più vicino da afferrare. In uno slancio superomico, Riku aveva deciso di avere il potere di ridurre una persona vera a un semplice appiglio di suo uso personale e di avanzare pretese sulla sua esistenza come se gli fosse dovuto. Questo era uno dei motivi per cui aveva iniziato a odiare Kairi. Non era stato così all’inizio: l’esistenza di quella bambina dai capelli corti e scompigliati, i modi un po’ rudi e il sorriso ingombrante gli era indifferente. Poi, un giorno, aveva iniziato a notare che Kairi non si arrampicava più sugli alberi, preferendo arricciare i capelli ormai lunghi fino alla base della schiena, e usare lucidalabbra alle ciliegie. Per lui il cambiamento era stato irrilevante, ma per Sora non era stato così. Quando Riku aveva visto a rischio il suo monopolio sull’unica cosa che a conti fatti gli rendeva piacevole la permanenza sulla terra, fosse anche in nome di un delirio di potere, aveva iniziato a covare un rancore ombroso e stagnante, e se non aveva fatto qualcosa per boicottare la loro relazione era solo perché si era convinto di essere al di sopra della vendetta. La verità era che Riku non osava perché era certo che avrebbe perso, e non perché non usava gloss dal profumo fruttato. La verità era che dietro la superbia nascondeva l’assenza cronica di coraggio.

Destiny Island era un’isola tropicale, con spiagge gialle come in un cartone, palme floride, un cielo così blu da sembrare dipinto. Chiaramente un’isola tropicale. Quindi, Sora e Kairi avevano deciso all’unanimità che dovevano trovare un bosco in cui fare una gita. Uno di quelli con le piante secolari, le cascate e, soprattutto, cerbiatti. Quando Riku aveva riso di loro facendo presente che la cosa più simile a un bosco che avrebbero mai trovato su quell’isola era il muschio accanto al ruscelletto nei pressi del loro rifugio segreto, Sora aveva colto al volo l’intuizione per metterla in pratica. Per questo, una notte era stato trascinato a forza nella loro grotta sull’isola dei bambini, l’avevano riempita di piante da giardino, e costretto a ricoprire le pareti di stelle e farfalle e tutte le cose magiche che popolavano le deliranti foreste immaginarie di Sora. Frustrato, più che accondiscendente, aveva obbedito quando gli avevano chiesto di sdraiarsi fra loro due e guardare insieme il cielo stellato di gessetti colorati simili a tante lucciole. Immerso nel buio quasi totale, con solo la luce di una lanterna a fargli intuire l’entità dello spazio da cui erano avvolti,  si ricordò di una nenia che spesso aveva sentito da bambino, le cui parole ora gli sfuggivano, nascoste fra memorie troppo lontane. La voce di Sora, impiastricciata dalla meraviglia della contemplazione della volta celeste, interruppe le sue riflessioni.

“Kairi! Kairi! Ricordi si quella canzone che cantavi spesso da bambina? Quella che parlava di un tizio allucinato che abbracciava gli insetti che gli insegnavano a ballare e non credeva che la terra girasse lentamente?”

Nella penombra gli sembrò che Kairi sorridesse in modo materno, poi lei si alzò sulle ginocchia, sistemò accuratamente i capelli dietro le orecchie e iniziò a cantare con voce melodiosa:

You would not believe your eyes
If ten million fireflies
Lit up the world as I fell asleep

'Cause they'd fill the open air
And leave teardrops everywhere
You'd think me rude
But I would just stand and stare

Riku sentì una stretta allo stomaco ed ebbe l’improvviso bisogno di voltarsi a guardare Sora, disteso a un respiro di distanza: aveva gli enormi occhi blu spalancati e il sorriso instupidito che tagliava il viso da uno zigomo all’altro. I capelli si erano appiattiti sulla fronte e i vestiti erano impregnati di sudore a causa del caldo. Sentì una strana morsa attanagliargli la testa. Da una parte si sentì profondamente grato della presenza di Kairi, che gli impediva di commettere idiozie come fare all’amico il favore di liberarlo dall’ingombro degli abiti; dall’altra parte provò una sensazione opprimente, ormai conosciuta, che con il tempo era diventata sempre più invasiva. Desiderava abbracciare Sora nella stessa misura in cui voleva stritolarlo finché le ossa non gli si fossero spezzate. Aveva compreso da tempo che questo desiderio bruciante si manifestava quando e perché loro tre erano insieme. Nascose la testa fra due farnie (due vasi di liriope) e si lasciò cullare dalla voce della principessa.

I'd like to make myself believe
That planet Earth turns slowly
It's hard to say that I'd rather stay
Awake when I'm asleep
'Cause everything is never as it seems

Stringendo gli occhi nella penombra, le sagome delle piante sopra la sua testa diventarono sfocate, le foglie d’acero sparse sul pavimento trovate chissà dove da Sora, scricchiolavano sotto la sua schiena, simulando il letto di una foresta fantastica, irreale, dagli odori esotici e da uccelli che cantavano di lucciole. Poteva quasi sentire i cerbiatti saltare fra gli alberi. Poteva quasi sentire il suo cervello dargli dello stupido. Interruppe il suo turpe viaggio mentale fra Biancaneve e i sette nani quando sentì qualcosa di caldo e morbido sfiorargli la mano: Sora stava intrecciando le dita alle sue ed ebbe l’impressione di avere improvvisamente un sole dentro al suo petto. Più impacciato di quanto volesse ammettere, fece cozzare i polpastrelli con i sui fino ad incastrare le dita. Quando sentì la pressione della coscia di Kairi accanto al suo braccio, aumentò la presa al punto che fu così dolorosa che Sora gli diede un calcio ad una caviglia per ammonirlo. Kairi rise e si sporse su Riku fino a che i suoi occhi gli furono così vicini da diventare un monocolo blu. Cantò sulle sue labbra e lui sentì il profumo della ciliegia e il frusciare leggero dei capelli. La sua presenza, la sua stessa esistenza, era caustica, dolorosa. La leggera pressione che il corpo della principessa esercitava lo opprimeva come se fosse costretto sul fondo del mare e i polmoni gli si fossero riempiti all’apogeo del dolore. Kairi sapeva; non nutriva, però, timore nei suoi confronti. Non lo stava né minacciando, né sfidando, gli stava solo ricordando a chi apparteneva Sora.

La principessa, con molta dolcezza, sciolse l’intreccio delle mani dei due ragazzi e invitò Sora ad alzarsi. Riku avrebbe voluto fermarla, avrebbe voluto imporsi, invece, si lasciò vincere dal senso di spossatezza che quella cosa stagnante dentro il suo petto gli procurava. Kairi guidò gentilmente le mani di Sora ai suoi fianchi, mentre lui si faceva paonazzo e guardava da un’altra parte, come stesse facendo qualcosa di osceno. Riku vide le loro sagome nere stringersi l’una all’altra e iniziare a danzare in modo impacciato al centro della foresta.

'Cause I'd get a thousand hugs
From ten thousand lightning bugs
As they tried to teach me how to dance

A foxtrot above my head
A sock hop beneath my bed
A disco ball is just hanging by a thread

Voleva spaccare la testa a entrambi, voleva schiantarsi contro le pareti della grotta fino a riempirsi di tumefazioni. Voleva abbracciare Sora, voleva commuoversi per la sua stessa esistenza. Voleva andarsene da lì e voleva rimanerci fino alla fine di tutto. Loro tre insieme cullati dalla penombra e con la compagnia di lucciole di gesso e un finto bosco di piante da vaso. I loro cadaveri per sempre insieme.

Sora inciampò nei suoi stessi piedi e cadde fra due querce (due lantane) e Kairi rise fortissimo fino a far vibrare le pareti del rifugio. Uccelli immaginari volarono via dai rami più alti. Riku sentì la pressione sui polmoni farsi più forte ed ebbe quasi un conato di vomito. Forse perché donna, Kairi sembrò percepire la litania dei suoi pensieri e lo invitò a ballare con loro. Il suo sorriso dolce aveva un principio di sadismo: non era perché lui fosse un pericolo, ma perché le sembrava ridicolo lì ad angustiarsi per qualcosa che non poteva avere e trovava forse divertente punzecchiargli le ferite. Riku riusciva a capire come una donna del genere potesse essere così amabile agli occhi di Sora, remissivo e obbediente. Si alzò e si trascinò al fianco della principessa.

“Riku, aiuta Sora a rimettersi in piedi cosicché si possa giocare ancora”. 

Un ordine così gentile che sarebbe stato impossibile disubbidire. Fu doloroso prendere Sora per mano, fu faticoso rialzarlo perché cingesse ancora i fianchi di Kairi, fu stancante trascinarsi di fronte a lei che, cantando a un ritmo più basso ma più veloce, lo invitava ad avvinarsi agitando le mani vezzose. Quando furono entrambi vicini, lei gli porse una boccetta di vetro iridescente e Riku aggrottò le sopracciglia prima di capire che il contenuto erano lucciole vere. La principessa non le liberò, ma ne prese una per una per una e ne schiacciò la cuticola: con i polpastrelli lucenti prese ad accarezzargli il volto, disegnando cerchi concentrici e strani simboli dal significato sconosciuto, semmai ne avessero avuto uno. Fece lo stesso con Sora. La canzone diventava sempre più veloce, quasi ossessiva.

To ten million fireflies
I'm weird 'cause I hate goodbyes
I got misty eyes as they said farewell

But I'll know where several are
If my dreams get real bizarre
'Cause I saved a few and I keep them in a jar


Sentiva le parole rimbombargli nelle orecchie, sentiva quella pressione farsi strada nelle sua gola. Quando Kairi lo invitò a intrecciare le mani con loro due e a ballare avvertì l’impulso di scappare, ma non riuscì a ribellarsi, prigioniero dei loro abbracci.

Leave my door open just a crack
(Please take me away from here)
'Cause I feel like such an insomniac
(Please take me away from here)

Quand’era poco più che un bambino, Riku aveva creduto che sarebbe stato il suo corpo a impedirgli di amare Sora: si sentiva intrappolato nella sua stessa fisicità. Aveva iniziato, quindi, a incidere la sua pelle, in modo sistematico, lucido; non perché mosso dalla romantica quanto ingenua convinzione che il dolore fosse ciò che gli spettava per il suo stato di autocommiserazione, ma perché sperava che, aprendo dei varchi nella sua epidermide, il vero se stesso sarebbe potuto uscire fuori e senza più dover avere una forma definita, senza più l’etichetta di una identità da rispettare, avrebbe potuto amarlo. Forse non era stato un ingenuo, ma era stato un idiota. Uno stupido che ora aveva un sacco di cicatrici da nascondere sotto i suoi guanti di pelle nera.

Why do I tire of counting sheep
(Please take me away from here)
When I'm far too tired to fall asleep

La nenia era finita e Riku si scoprì esausto, come se il peso al torace lo avesse costretto a un ulteriore sforzo che non fosse quello di danzare spasmodicamente al ritmo ossessivo di Kairi. Si sedette a terra, fra un albero di noce (un elleboro) e un frassino (un achimenes). Sora si appoggiò alla sua schiena ridendogli contro, impiastricciandogli il collo di quella sostanza luminescente dai crudeli natali. Kairi gattonò dalla penombra e incastrò il corpo fra le sue gambe. Riku fece un risolino spento: quella era la manifestazione fisica della sua prigionia. Costretto fra Sora e Kairi, senza via di fuga. Se fosse andato via, avrebbe perduto la semplice possibilità di rimanere al fianco di Sora, respirare la sua stessa aria ed essere sfiorato dagli stessi raggi del Sole. La sola idea lo feriva come schegge di ossa fratturate che ledevano la pelle dall’interno. Se fosse rimasto, avrebbe dovuto convivere per sempre con una principessa amabile quanto superba e che sarebbe stata sempre, sempre al di sopra di lui. Perché, non si faceva problemi ad ammetterlo, Sora la amava, quasi quanto Riku amava lui. E nella sua totale incapacità di scegliere, nella sua sconfortante paura di perdere, quella era la sua unica certezza.

“Riku…” Sora mormorò sul suo collo “ … balli malissimo”.

Fece un piccolo sorriso “ Tu, invece, sei una ballerina perfetta”.

Sora gli diede un pugno leggero sulla schiena, mentre Kairi gli diede un pizzicotto sul braccio che fu decisamente più doloroso. Sospirò e strinse le mani di entrambi avvicinandoseli più che poteva, facendo aderire il loro corpi nel modo più scomodo possibile.

“ Ahi! E’ doloroso!” Sora strattonò il braccio che Riku teneva saldamente attorno alla sua vita, fra lui e Kairi. Abbandonò il capo su quello della principessa, affatto tesa, mentre lei allungava l’altra mano oltre il suo collo abbastanza da raggiungere il capo di Sora. Riku era stretto fra loro due, nella sua prigione di amore e odio, perdita e sconfitta. Alzò il capo quel tanto che bastava perché i suoi occhi riuscissero a guardare attraverso la cortina della sua frangia: la notte era trascorsa e da un crepa sul soffitto roccioso piovigginavano deboli raggi del sole. La pelle aveva perso il suo lucore artificiale. I cervi, gli uccelli canterini e  le bellissime farfalle erano andati via con le tenebre, lasciando dietro di sé piccole piante anonime e vasi da giardino rovesciati. Scoprì di essersi sporcato di terra i guanti.

“E’ davvero doloroso”.

 

Per il terzo posto all'Inprisonment contest devo ringraziare  vibbs e Tallu_chan che hanno avuto cuore, fegato e pazienza per digerire la mia storia e trovarci qualcosa di buono XD. Grazie mille a chiunque la leggerà e la commenterà, a chi vorrà farsi una risata e darmi un pacca sulla schiena, a chi vorrà sapere se nella posizione in cui stava Riku sentiva il pacco di Sora o meno. Ora devo andare: ci sono altre fanfiction deprimenti che aspettano di essere scritte e l'html che aspetta di essere compreso: un giorno lontano, forse, saprò anche scriverci in Times New Roman.
  
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