Disclaimer: i personaggi, come
sempre, non mi appartengono. Il che è verosimilmente un bene per loro.
Note: ci sono quei giorni in cui ti
svegli con la voglia di fluff, e non importa che tu di solito tenda a sguazzare
nell’angst. Non puoi opporti. *muore*
In termini di “linea temporale” è da collocare proprio dopo il liceo, quindi
direi che un ‘post-serie’ non glielo leva nessuno ;D
Ecco, sì, con questa cosa faccio ammenda dei molti danni psicologici che ho
causato – e lo so per certo – a chi di solito ha la forza di star dietro alle
cose deprimenti che scrivo XD
L’aspetto più difficile di una convivenza, solitamente,
era scoprire pessime ed insospettate abitudini dell’altra persona, e non
riuscire a dividere fra i due conviventi le varie mansioni. Kagami doveva
ammettere di aver avuto una discreta fortuna in quello: lui e Kuroko si era
conosciuti quasi quattro anni prima, avevano condiviso moltissimo sul campo da
basket e poi anche fuori, e sebbene non potesse magari vantarsi di conoscere
proprio tutto di lui, poteva però
essere abbastanza certo che fossero davvero poche e pressoché irrilevanti le
cose di cui non era a conoscenza.
Era stato relativamente semplice, perciò, scegliere di cosa si sarebbe occupato
l’uno o l’altro, e la loro convivenza non era particolarmente difficile; la
cosa sicura fin dall’inizio, fin da prima che si trasferissero in quell’appartamento
che ora condividevano, era stata che così come era ovvio che sarebbe stato
Kagami ad occuparsi della cucina, a Kuroko sarebbe toccato occuparsi del cane.
Contrariamente al fatto che Tetsuya non fosse un caso limite in cucina, di
certo Kagami lo era con la povera bestiola, anche a distanza di anni. Questo
era il motivo principale per il quale, naturalmente, Taiga non viziava Nigou in
nessun caso, tenendosi a distanza di sicurezza – diminuita rispetto all’inizio,
ma comunque non abbassava la guardia – e rivolgendogli qualche rara carezza
quando proprio era certo che non ci fossero pericoli. Il suo affetto per l’animale
era dimostrato preparandogli la pappa (che Kuroko gli portava), comprandogli il
guinzaglio (con cui Kuroko lo portava in giro), prendendogli la cuccetta (che
Kuroko puliva) o i giochini che poi ti pentivi di
comprare perché facevano casino.
E poi aveva un segreto con il cane, un tacito accordo di cui Kuroko non sarebbe
mai stato messo al corrente nemmeno se avesse deciso di torturare Kagami – che era
verosimilmente l’unico a poter vuotare il sacco.
C’erano volte, rare e specifiche, in cui Kagami concedeva a Nigou una piccola
vittoria: nelle sere in cui Kuroko non rientrava – dannati i suoi stage
universitari – Taiga aveva preso l’abitudine di mettersi sul divano a guardare
la tv e allora, solo allora dava un paio di colpetti sul cuscino al proprio
fianco e lasciava che Nigou vi si accoccolasse sopra, risultando spesso più
addossato allo stesso Kagami che non al morbido oggetto.
Taiga lo guardava, lì mezzo raggomitolato su stesso e spesso sonnecchiante, e
alla fine lo lasciava perdere senza cacciarlo, e in giorni particolarmente
fortunati per la bestiola, gli concedeva persino qualche lieve carezza o un
grattino dietro le orecchie.
Non era questione di amare i cani, ma entrambi aspettavano il ritorno di
Kuroko, entrambi ne sentivano quel tipo di mancanza che non è data dalle lunghe
distanze o dalle assenze prolungate nel tempo; era la mancanza di quando sai
che siete nella stessa città, magari a poche strade di distanza, e in cui il
tempo impiega sempre troppo tempo a passare.
Poi Kuroko rientrava, e Nigou per quel tacito accordo si alzava e andava a
mettersi ai piedi del divano o vicino alla sua cuccetta personale, come se
fosse sempre stato lì; Kagami lo occhieggiava per un attimo, e poi dava
attenzioni al suo compagno appena rientrato, e dentro si sentiva un po’ in
imbarazzo per quella dipendenza e il modo stupido che aveva trovato di
combatterla.
Una volta Kuroko, rientrando in casa più tardi del previsto – aveva perso per
un soffio l’ultimo treno ed era stato costretto a fare un giro molto più ampio
con il taxi, fortunatamente pagato dal senpai che gli aveva causato quello
sfortunato contrattempo – aveva socchiuso piano la porta, temendo di svegliare
un Kagami appostato in salotto.
Ed effettivamente lo aveva trovato lì, e vedendolo addormentato aveva compreso
perché nonostante l’ora tarda non avesse provato a chiamarlo, specialmente
sapendo quanto fosse apprensivo; poi aveva notato Nigou, così vicino a Kagami,
ma non come se lo avesse raggiunto di soppiatto approfittando del suo sonno,
visto che la mano dell’altro ragazzo era abbandonata morbidamente vicino al
cane. Come se fino a poco prima, lo avesse persino degnato di qualche
attenzione più affettuosa del solito.
Allora Kuroko aveva sorriso, forse aveva capito, e aveva sfiorato la testolina
di Nigou; quando il cane aveva aperto gli occhi lo aveva preso in braccio,
evitando che un qualche scodinzolio svegliasse Kagami.
Lo aveva portato vicino alla cuccetta, e gli aveva concesso qualche coccola,
lasciandogli leccare la mano come in un personale “bentornato” della bestiola.
Lo aveva guardato come a dire che aveva capito, ma che avrebbe mantenuto il
segreto con Kagami, complice.
Poi si era avvicinato al divano, si era chinato appena e aveva posato le labbra
su quelle dell’altro, in un bacio leggero; e quando Taiga aveva aperto gli
occhi aveva detto semplicemente: «Sono
tornato, scusa il ritardo.»
Kagami aveva borbottato qualcosa, intontito ma conscio della sua presenza, e
Tetsuya aveva sorriso appena e non visto quando aveva notato l’occhiata dell’altro
al cane, quasi a controllarne la posizione per accertarsi che il suo segreto
fosse al sicuro.
Non gli aveva detto nulla, lasciando che Taiga lo stringesse in un abbraccio
morbido ma con quel qualcosa di infantilmente possessivo che lo aveva sempre
contraddistinto: «Andiamo a dormire.» aveva sussurrato baciandogli una guancia,
ancora leggermente goffo come probabilmente sarebbe sempre stato.
«Mh.» aveva annuito, ripromettendosi di assicurarsi di tornare sempre il più
presto possibile, e non lasciare quei due nelle condizioni di doversi fare
compagnia per sopperire alla sua assenza – anche se era così strano, pensare
che qualcuno non la trovasse naturale com’era sempre stato in passato, e anche
se pensava che fossero carini a quel modo, uno accanto all’altro sul divano.