Palpiti
Se
Gregory House fosse stato del tutto in sé sarebbe stato molto seccato nel notare
che le dita gli tremavano, mentre le stendeva a scostare la seta della camicia
di lei. Comunque, non poté far altro che sedersi meglio e distendere il palmo,
saggiando la grana fine della pelle sotto la sua mano, perché il fiato gli morì
in gola. Quasi involontariamente chiuse gli occhi e si sentì assalire da un
ricordo sin troppo vivido per appartenere a tanti anni
prima.
Nemmeno lui, in realtà, sapeva bene perché si trovasse
lì, in quel corridoio sovraffollato con decine di persone che camminavano
nervosamente in attesa del loro turno, borbottando sottovoce, o in un silenzio
di tomba, mentre il sole di giugno entrava trionfante dalla finestra spalancata in fondo. Appoggiato
alla parete chiara fissava lo stipite di legno della porta, cercando di chiudere
fuori il brusio di tutti quei ragazzi che ripassavano gli ultimi argomenti, o,
magari, pregavano. Quando era stato il suo turno, quattro anni prima, lui si era
presentato proprio appena prima che lo chiamassero, con la barba di tre giorni e
una maglietta spiegazzata.
Perfettamente calmo, come se laurearsi in medicina fosse
stata una cosa da niente. Era stato il pensiero che si era ripetuto
ossessivamente, quasi per soffocare quel fastidioso accenno
d’ansia.
Dunque, ora gli pareva inconcepibile essere più agitato
mentre attendeva qualcuno, piuttosto che mentre si trovava davanti ad un
collegio di professori universitari in attesa di decidere del suo
futuro.
D’un tratto i cardini cigolarono e il battente non fece
in tempo a dischiudersi che una piccola folla si radunò attorno alla persona che
tentava di uscire, assediandola di domande.
Quando finalmente riuscì a liberarsi, lui si staccò dal
muro, ma non fece un passo in più.
Non appena lo vide i suoi occhi sembrarono per un attimo più
azzurri e il suo sorriso più ampio, così che la luce si fece più intensa. Non ci
furono parole, né domande, solo una breve corsa, e due braccia attorno al collo,
e poi, un bacio, finalmente.
Si separarono e lui le sorrise senza un’ombra di
scherno o di derisione, per una volta.
“Complimenti, dottoressa Cuddy.”
Si
prese il tempo di farle una carezza, prima di voltarsi ed uscire dal corridoio,
sapendo che lei non l’avrebbe trattenuto mentre lo osservava andarsene dalla sua
vita ancora per un po’, nella stessa altalena che aveva occupato gli ultimi
quattro anni della sua vita.
Quando tornò alla realtà poté notare solo la stessa,
identica, sfumatura luminosa nei suoi occhi.
Trattenne di nuovo il fiato, pregando di non esserselo
immaginato, mentre cercava qualcosa in quei lineamenti noti ed ancora così
misteriosi. E finalmente lo sentì di nuovo, il movimento leggero sotto la pelle
del ventre di lei.
Special
Thanks To: Stefaniachan aka The
Riddler (controllate il suo
account, si sa mai che decida di postare qualcosa...)
Una
flash fiction (445 parole) non nata per essere tale, è che non sono stata
proprio in grado di prolungarla. Mi sembrava che stesse bene così com’è,
decisamente poco logica e priva di spiegazioni. Scritta perché li amo dal primo
episodio, e mi sono convinta che debbano stare insieme, così mi ostino ad
ignorare la rotta Cotton Candy imboccata dalla trama.
Fatemi sapere cosa ne
pensate!