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Autore: Chaike    15/08/2012    7 recensioni
Sul volto di Mike si materializzò un’espressione di disgusto e di rabbia, non sapendo il perché della prima. Gli afferrò le gambe e gliele divaricò con forza, facendoli male per la scarsa capacità snodabile dei legamenti.
L’altro cercava ancora di liberarsi e piangeva e urlava, scalciava. Ma niente.
Non sarebbe riuscito a fermarlo, in nessun modo.
Era l’ora della vendetta.
Genere: Generale, Suspence, Triste | Stato: completa
Tipo di coppia: non specificato | Personaggi: Chester Bennington, Mike Shinoda
Note: Missing Moments | Avvertimenti: Incompiuta
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Note: Allora, questa è una storia senza filo logico, senza un determinato fine o altro, è solo una base per lasciare spazio alle vostre fantasie -sì lo so, sono matta...-
A dire la verità doveva essere il continuo della mia vecchia fic 'Il provino', però dopo essere arrivata alla fine di questo spezzone non sapevo come continuare .-. Di eliminarla definitivamente non ne avevo voglia, mi sono sentita in colpa in quanto l'ho scritta abbastanza bene (credo).
L'ho creata precisamente il 15 Febbraio di quest'anno °-° Poi l'ho lasciata a marcire come altre storie, che forse riprenderò, si vedrà O:
Non vi obbligo a recensire, ma sappiate che mi farebbe piacere leggere come vi immaginereste il continuo e l'antefatto :3
Peace ♥

Vendetta


Gli sfilò via gli occhiali neri appoggiandoli sulla mensola affianco al letto su cui era legato Chester senza indumenti, mentre lui stava a cavalcioni sopra di esso.

Lo contemplò un’altra ed ultimavolta: agonizzato dai suoi singhiozzi e lacrime che scendevano a fiume dai suoi occhi, quegli occhi così rossi e bagnati che supplicavano pietà; la pelle arrossata dei suoi polsi legati ad una corda che gli teneva le braccia verso la testata del letto; le sue labbra che quasi sanguinavano da quanto forte se le mordeva dalla disperazione; perdeva sangue da alcuni taglietti sul viso, sul petto e sulle braccia; soffriva, ecco cosa saltava subito all'occhio, ovviamente.
C’era silenzio attorno a loro e nel posto in cui erano, però quella quiete era rotta dai singhiozzi di quel povero ragazzo, che erano simili a quelli di un bambino, di un bambino com’era stato lui, violentato.
Gli venne una morsa al cuore nel vederlo così indifeso e terrorizzato. Davvero, aveva di fronte ai suoi occhi il vero significato di spaventato a morte e della sofferenza, anche se non era il massimo dolore che poteva mai patire in quanto fosse solo fisico. Ormai pensava che da un momento all’altro sarebbe morto d’infarto dall’agitazione e molto probabilmente sarebbe successo.
Gli venne la voglia di liberarlo. Ma poi … Di nuovo gli pareva di vivere in quel momento quello che gli aveva fatto passare lui, come l’aveva fatto soffrire, sputare sangue, piangere dalla disperazione. Tutto ciò che lo aveva portato a compiere quella cattiveria, o meglio dire vendetta. Adesso era riuscito ad incastrarlo e di lì a poco avrebbe avuto il momento di fare quello che aveva voluto da quando quel giorno di Luglio di un anno prima, il ragazzo, che di lì a poco avrebbe patito le pene dell’inferno, varcò la soglia della porta della sede degli Xero, mostrandosi il miglior vocalist e facendosi accettare nel gruppo.
L’umiliazione, il dolore, tutto.
Gli sfiorò un taglietto sullo zigomo e gli venne voglia di disinfettarglielo e curarglielo, com’era giusto fare, perché lui non sarebbe un tipo violento, anzi. Ma in quel momento doveva dimenticarsi tutta la bontà e abbracciare la cattiveria, che in un modo o nell’altro gli sarebbe lo stesso un po’ mancata.
Lo guardò un'altra volta nella sua disperazione, soffermandosi principalmente nei suoi occhi: colore marrone scuro, che brillavano così tanto che sembravano azzurri, che supplicavano pietà e perdono.
Cielo se chiedevano perdono.
Lo stava scongiurando con lo sguardo, senza dire una parola perché ormai gli mancavano le forze, anche di parlare, dopo tutto quello che aveva appena subito.
Sospirò sconfitto. Doveva fare quello che normalmente non avrebbe mai fatto e che mai gli sarebbe venuto in mente se non fosse accecato dalla rabbia, soppressa per tutto quel tempo.
Così si slacciò, amaramente, i pantaloni e si abbassò leggermente i boxer.
« T-Ti prego Mike … » cercò di dire il ragazzo, tra un singhiozzo e un altro « Ti supplico, perdonami … Non puoi farmi questo … »
Mike alzò gli occhi verso di lui, con sguardo vuoto, quasi rimproverante. Anche se era realmente rimproverante, dato che gli avrebbe voluto dire “Senti da che pulpito!”.
Non gli rispose, non credeva che fosse il momento per perdersi in chiacchere. Si alzò da lui e gli si mise davanti in ginocchio. Gli divaricò le gambe e si avvicinò.
« No Mike! TI PREGO NO! » urlò e si dimenò come un matto, frignando come un bambino, urlando e scalciando.
Avrebbe potuto pure urlare a squarcia gola o spacca timpani come era sempre stato bravo, ma anche se l’avesse fatto nessuno l’avrebbe sentito, perché erano in un magazzino abbandonato nell’aperta campagna californiana, per niente distante da Los Angeles ma ugualmente isolata come il deserto.
Il letto era quello che Mike portò lì nell’età dell’adolescenza quando conobbe Anna, era lì dove andavano quando nelle case di entrambi c’erano i rispettivi genitori.
Sul volto di Mike si materializzò un’espressione di disgusto e di rabbia, non sapendo il perché della prima. Gli afferrò le gambe e gliele divaricò con forza, facendoli male per la scarsa capacità snodabile dei legamenti.
L’altro cercava ancora di liberarsi e piangeva e urlava, scalciava. Ma niente.
Non sarebbe riuscito a fermarlo, in nessun modo.
Era l’ora della vendetta.
   
 
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