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Autore: NiallsUnicorn    15/08/2012    18 recensioni
Nel venticinquesimo anniversario, affinché i ribelli ricordassero che i loro figli morivano perché loro avevano dato inizio alle violenze, a ogni distretto fu imposto di svolgere un'elezione e voltare per i tributi che l'avrebbero rappresentato.
-Presidente Snow.
[La ragazza di fuoco, Suzanne Collins.]
Genere: Drammatico, Introspettivo, Slice of life | Stato: completa
Tipo di coppia: non specificato | Personaggi: Nuovo personaggio
Note: Missing Moments | Avvertimenti: nessuno
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Nel venticinquesimo anniversario, affinché i ribelli ricordassero che i loro figli morivano perché loro avevano dato inizio alle violenze, a ogni distretto fu imposto di svolgere un'elezione e voltare per i tributi che l'avrebbero rappresentato.
 
-Presidente Snow.

[La ragazza di fuoco, Suzanne  Collins.]
 
 
 

Sinceramente? Credevo che sarei morto di fame o di freddo nel giacimento. In strada, in quella catapecchia che chiamavamo casa, oppure ancora nei boschi. Mio padre quanche tanno fa praticò un piccolo foro nella recinzione, abbastanza grande per farmi strisciare nel bosco e permettermi di raccogliere delle bacche o delle radici, visto che il suo salario da minatore non bastava mai a sfamarci. Eravamo solo io e lui, dopo che mia madre era morta di parto per darmi alla luce. È una cosa abbastanza frequente morire nel giacimento, sapete? Basti pensare che mio padre è morto poche settimane fa, mentre svolgeva il suo lavoro nelle miniere. Si, proprio lui.
Lo stesso uomo che, quando tornava a casa, si lavava la faccia e si toglieva la polvere di carbone da sotto le unghie, prima di abbracciarmi.

Lo stesso uomo che mi aveva consolato quando avevamo trovato morta in giardino la "mia" ghiandaia imitatrice, quella che si posava sul nostro davanzale ogni giorno, e che mi aveva aiutato a seppellirla.
Così da allora aspetto la morte con impazienza. Cos'altro dovrei fare? Cosa può fare un dodicenne orfano del distretto dodici nel periodo della mietitura?
Aspettare. E sperare.

Sperare di non essere scelto per i venticinquesimi Hunger Games.
Sperare di morire velocemente. Un solo strappo, un po' come togliersi un cerotto: rapido e indolore.
Insomma, non sarebbe stata una morte molto più semplice? Di sicuro molto più pulita.
Qualche pacificatore avrebbe trovato il mio cadavere e avrebbe scritto sul mio certificato di morte una causa fasulla, del tipo "raffreddore", o "febbre". Non risulta mai che qualcuno muoia di fame, perché sta male. Insomma, non si può dire che la gente muore perché non ha cibo, non nel nostro distretto. Che razza di figura ci faremmo?
Comunque, non mi importava affatto cosa avrebbero scritto su uno stupido pezzo di carta. A un morto non importa, giusto? Mi bastava stare sottoterra, sotto una calda coperta di terra.
E invece no! Troppo facile.
Ci voleva quel pizzico di pepe in più, per rendere la mia morte una cosa pubblica. Bello, vero? Chi non vorrebbe morire in diretta nazionale? Beh, io non avrei voluto.
Quando l'otto marzo l'accompagnatrice ha annunciato in piazza che Robert Danielson era stato scelto dagli abitanti del suo distretto per partecipare alla prima edizione della memoria, il mio cuore si è fermato. É stato come essere schiacciati da un masso gigantesco, di decine di tonnellate.
Io, mandato a morire dalla gente del mio distretto. Perché era ovvio che un dodicenne che si reggeva a malapena in piedi non poteva sopravvivere agli Hunger Games.
Io stavo già combattendo i giochi della fame, giù al giacimento. Ma, evidentemente, non era abbastanza.
Così sono salito sul palco senza fiatare, senza gridare e buttarmi a terra, come avrei voluto. Perché? Avrei voluto gridare, e chiedere una spiegazione.
Ma non l'ho fatto. Non l'ho fatto perché mio padre ne avrebbe sofferto, avrebbe dato la vita per non vedermi mai così debole e indifeso.
E allora decido che devo lasciare il segno.
Voglio farlo, per farli sentire in colpa. Quella che credevo fosse la mia gente mi ha tradito, pugnalato alle spalle.
Così adesso, mentre raggiungo il centro del palco, li guardo tutti, uno a uno.
Tutti gli adulti ai lati della piazza, che abbassano lo sguardo per non incontrare il mio. Nessun applauso mi accompagna mentre prendo posto accanto ad una povera ragazzina impaurita che sarà la mia compagna di distretto, c'è solo imbarazzo. E tanto dolore.
Ma poi noto che non tutti guardando a terra: alcuni sostengono il mio sguardo accusatorio, altri lanciano occhiate fugaci ai figli, che almeno per quest'anno sono sfuggiti alla morte, e allora capisco.
Capisco che un genitore ha il dovere di salvare i propri figli da una morte violenta e brutale, e per farlo gli serve un capro espiatorio. E chi meglio di me?
Nessuno perde me, io non perdo nessuno.È fin troppo ovvio, avrei dovuto capirlo.
Così chiudo gli occhi sospirando e, quando li riapro, sto sorridendo alla folla.
Perché è giusto così, perché io sarei morto comunque.
E all'improvviso sono orgoglioso di rappresentare il distretto dodici perché, con il mio sacrificio, salverò la vita ad un altro ragazzino innocente e non morirò invano.
Chissà com'è essere trapassati da una spada o da una freccia.
Farà tanto male? Non mi importa.
Ormai ho deciso, accoglierò la morte a braccia aperte, come un'amica d'infanzia.
Ascolto distrattamente il discorso del sindaco e gli interventi dell'accompagnatrice.
Noi tributi della prima edizione della memoria veniamo definiti gli "scelti dalla gente", e devo dire che il termine è più che azzeccato. Insomma, rende l'idea.
Guardo per un po' la ragazzina che piange silenziosamente accanto a me, ma poi sono costretto a distogliere lo sguardo da lei, per evitare di far scorrere le mie lacrime. Così sposto lo sguardo sulla folla, sperando che la loro freddezza e la loro compostezza riescano a contagiarmi.Ma quello che vedo non è ciò che mi aspetto.
Molti adulti e alcuni dei ragazzi più grandi sono in lacrime, piangono per me, perché si sentono in colpa.Oh, no.
Deve essere dura decidere chi andrà a morire, soprattutto se alla fine vengono scelti dei bambini.
Mi impongo di continuare a sorridere e, alla fine, una sola perla calda e salata mi scivola sulla guancia.
Piango perché sto facendo la cosa giusta, sicuramente. Si piange anche di felicità, e io mi sento felice, o se non altro più leggero.
È bello lasciare andare la rabbia, farla volare via come un palloncino. Serbare rancore ci appesantisce, e questo non è bello. Lo diceva sempre anche papà.
Prima scendere dal palco e lasciare per sempre il mio distretto, alzo il braccio destro con decisione e lo agito, in segno di saluto. Sto dicendo addio a tutto: al mio distretto, alla mia gente, al dolore e a tutto ciò che mi tiene ancora ancorato alla vita.
Addio per sempre.
Ma questo gesto non è semplicemente un addio, è anche un saluto. Un saluto all'uomo più buono e gentile del mondo e alla mia mamma, che tra poco conscerò.
Addio per sempre distretto dodici, spero che un giorno la mia ghiandaia imitatrice torni a volare.
.
 
 
 
 

 
My space:
Salve a tutti :D
Bene, questa è la mia prima one-shot in questo fandom, quindi spero che vi piaccia!
Lo stile che ho utilizzato è diverso dal solito, perchè è molto più semplice... però era un cambio necessario, dato che stavo raccontando gli avvenimenti con gli occhi di un dodicenne :’)
Anche il cambiamento di tempi verbali circa a metà della storia è studiato, e spero che non vi sia sembrato... non so, inadeguato D:
Mi sto facendo un sacco di problemi, forse dovrei smetterla lol.
Fatemi sapere se vi è piaciuta oppure no, se sono riuscita a trasmettervi qualcosa... insomma, ditemi come vi è sembrata! cwc
Grazie per aver letto questa piccola os *u*
A presto!
Bascii, medusa c:
 
 
Ps. Quello che vedete è il primo banner che io abbia mai fatto, quindi... scuste se fa schifo HAHAHAHAHA ma sto migliorando, giuro. (?)

   
 
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