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Autore: ladyme    16/08/2012    9 recensioni
«Sai cosa c’è che non va? C’è che nella vita ci dimentichiamo sempre di qualcosa di veramente importante: l’accendino quando necessiti solo di una sigaretta, l’ombrello quando scoppia un temporale, che tua madre è allergica alle rose e tu gliene hai appena regalato un mazzo per il compleanno, e ci ricordiamo di quelle stupidaggini dette così per dire». Si siede sul mobile della cucina e guarda in basso. «So che ti piace il suono di quando mordi una mela, il jazz e odi i pezzi azzurri del cielo dei puzzle perché sono tutti uguali. So che credi in Dio. So che mi ami».
«Non ti amo Castle, per questo me ne sto andando»
Genere: Malinconico, Romantico, Sentimentale | Stato: completa
Tipo di coppia: non specificato | Personaggi: Kate Beckett, Richard Castle | Coppie: Kate Beckett/Richard Castel
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno | Contesto: Quarta stagione
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Lui era immobile, mi fissava confuso da quel bacio così violento, sì perché era stata una dolce violenza nei suoi confronti. Non trovavo le parole per chiedergli scusa per quegli anni, per quei momenti così magici ma distrutti da attimi futili, per quel bacio dato come copertura di cui ho sempre cercato di evitare di parlarne, e per quel ti amo misto alle urla e al dolore al petto di quella giornata dove il sole brillava nel cielo di New York City e in cui lui avrebbe donato la vita per me.

«Mi dispiace Castle, mi dispiace davvero», mi sentivo così stupida a chiedergli scusa con delle parole così banali, lui era il centro esatto di tutti i miei desideri e probabilmente nessuna parola sarebbe stata mai alla sua altezza.

 

***

 

Quei pensieri non ci sono più.

Lo guardo mentre dorme tutto rannicchiato su se stesso, ogni tanto russa e con l’indice si gratta la punta del naso, il suo sguardo così beato mi obbliga a sorridere, probabilmente starà sognando ninja che saltano da un grattacielo all’altro di New York  seguiti da qualche supereroe con il mantello rosso, proprio come un bambino.

Cerco i miei vestiti sul pavimento, sono mischiati con i suoi e hanno impresso il suo profumo, si muove sentendomi scendere dal letto, ma non si sveglia, forse è meglio così.

Mi vesto tenendo gli occhi fissi su di lui, solo ora mi accorgo del vero significato di quelle scuse.

Passo la mano sulla cicatrice tra i due seni, proprio come aveva fatto lui la sera prima, con la stessa delicatezza, ma lui in qualche modo aveva venerato quella cicatrice che simboleggia la mia vittoria contro la morte.

«Kate...». Non mi chiama mai per nome, se non nei momenti importanti, questo lo è?  «Kate?». Sorrido, ma con lo sguardo rivolto al pavimento, scuoto la testa.

Scusami Castle.

Nonostante tutto, nonostante l’amore non riesco a chiamarlo per nome, mi sembrerebbe di illuderlo.

Certo come se ieri sera non l’avessi fatto comparendo a casa sua all’improvviso, baciandolo senza dargli il tempo di dire nulla e facendo l’amore nel suo letto.

Amore…

Non credo di aver mai amato veramente qualcuno, ho sentito le farfalle nello stomaco, ho preferito la felicità di un ipotetico lui rispetto alla mia, ma non credo di essermi mai innamorata, e con Castle non so se è diverso.

Mi siedo sulla sponda del letto, devo andarmene, ma non ci riesco, mi sembra così ingiusto lasciarlo lì, solo, senza una motivazione. Lui non merita questo, dopo tutto quello che ha fatto per me.

È questo il problema, lui è diverso, lui è Rick Castle ed io sono solo Kate Beckett e non sono fatta per amare, ma per arrestare assassini, lui invece deve amare, è nato per amare chissà quale donna e con gli assassini deve conviverci solo quando scrive i suoi romanzi.

«Sei già sveglia?». Le palpebre lottano contro la luce del sole che penetra dalle grandi vetrate che mostrano la città come un enorme affresco. Sorride, sembra incredulo vedendomi ancora al suo fianco. «Aspettami a letto, vado a preparare i pancakes». Si alza dal letto prima ancora che il suo corpo riceva i comandi di muoversi, inciampa nel lenzuolo scivolato per terra e per non cadere si aggrappa al comò. «Okay, sono vivo», dice con il suo solito tono divertito, come se la vita fosse un’eterna battuta.

«Castle devo andare», dico con gli occhi chini sul parquet mentre a piedi nudi camminiamo per l’appartamento, lui continua a sorridere, è fermo davanti al bancone della cucina, ha indosso solo i boxer verde militare, la vestaglia è chissà dove sparita durante la notte quando il vicino è venuto a bussare per chiedere del sale per la tequila.

«Certo devi andare al distretto, ma come vedi né Esposito né Ryan, ti hanno cercata quindi puoi goderti tranquillamente i miei pancakes». Si avvicina, mi accarezza il viso e mi bacia dolcemente, assaporando il gusto delle mie labbra per poi mordere delicatamente il labbro inferiore, tutto ignaro di cosa sia successo al distretto numero dodici la sera prima.

«Non vado al distretto e non posso rimanere qui, ho un volo per Londra fra tre ore». Londra mi è sembrata il giusto compromesso, è stata una scelta difficile, ma devo andare lontana da queste storie che mi stanno usurando poco a poco, ma anche lontano dai ricordi che Rick ha seminato con i suoi romanzi in giro per il mondo. Londra sembra la scelta migliore per una pausa, per riflettere su mia madre. «Non ci vedremo più».

Si passa la mano destra tra i suoi capelli, mentre gira i pancake velocemente con un colpo di polso, sembra non aver sentito le mie parole, probabilmente fa solo finta di non averle udite.

«Preferisci il cioccolato o la marmellata di ciliegie? », chiede sorridente servendo la colazione su dei piatti bianchi con decorazioni azzurre. Odio quando si comporta così, come se tutto fosse perfetto, come il finale di uno dei suoi romanzi. «Allora?».

«Castle io parto per Londra». Lo scruto, lui devia lo sguardo, il quale si fa improvvisamente cupo. Non aggiungo altro, prendo la giacca dalla sedia, la arrotolo e la spingo a forza nella borsa, fuori ci sono già ventisette gradi nonostante siano le nove e mezza di mattina.

«Sai cosa c’è che non va? C’è che nella vita ci dimentichiamo sempre di qualcosa di veramente importante: l’accendino quando necessiti solo di una sigaretta, l’ombrello quando scoppia un temporale, che tua madre è allergica alle rose e tu gliene hai appena regalato un mazzo per il compleanno, e ci ricordiamo di quelle stupidaggini dette così per dire». Si siede sul mobile della cucina e guarda in basso. «So che ti piace il suono di quando mordi una mela, il jazz e odi i pezzi azzurri del cielo dei puzzle perché sono tutti uguali. So che credi in Dio. So che mi ami».

«Non ti amo Castle, per questo me ne sto andando», dico con un groppo in gola, forse sto commettendo l’errore più grande della mia vita, ma so che ora è la scelta giusta, probabilmente perché non ne ho altre. «Magari quando tornerò, ti farò uno squillo».

«No, Kate, se te ne vai ora, puoi anche non tornare...» . Si morde il labbro inferiore dopo aver pronunciato quelle parole contro il suo consenso. «Ti ho aspettata per quattro anni, non eri mai pronta per me, i ragazzi, gli uomini passavano e io restavo lì fermo a guardare, ieri sera ho pensato che finalmente fossi pronta, invece eccoti qui a scappare nuovamente da me. Kate sappi che se ora varchi quella porta io non ti rincorrerò più, non ti cercherò più, non ne ho più le forze».

Abbasso gli occhi, che altro posso fare? Non mi scuserò. Sistemo la borsa sulla spalla destra, esito appoggiando la mano sulla maniglia in ottone, prendo un respiro profondo e apro la porta. Sì, posso vivere senza di lui, magari domani sentirò la sua mancanza, ma poi passerà.

Salgo sul taxi fermo sul ciglio della strada, da cui è appena sceso un uomo.

«All’aeroporto Kennedy», dico appoggiandomi al sedile con stanchezza e delusione disegnate in viso, mi volto, non mi ha rincorso, lui mantiene sempre le sue promesse. «Aspetti un minuto prima di partire».

«Certo, per me non ci sono problemi, tanto il tassametro gira... ». Ignoro il taxista, tengo sguardo rivolto verso l’entrata del palazzo, spero di vederlo correre verso di me, lo so è un pensiero stupido perché sono io a essermene andata, ma desidero davvero che lui mi fermi, mi baci e che tutto torni a essere perfetto come ieri sera. «Signorina, posso andare? ».

«Sì, vada... ».  Rassegnazione o forse destino, non lo so, sono solo sicura di una cosa: domani mattina mi voglio svegliare ubriaca, così da poter strappare, bruciare ciò che ha dato inizio a tutto questo.

 

SPAZIO AUTRICE:

Salve a tutti!

Qui al mare, fa caldo e non desidererei altro che una bella vaschetta di gelato e qualche vecchio episodio di Castle.

Dovete sapere che avevo scritto questa oneshot il giorno dopo l’uscita di “Always”, poi è rimasta in qualche sottocartella per mesi, ma alla fine eccomi qui con questa piccola creazione che vi propongo umilmente.

Grazie e buona continuazione delle vacanze.

Baci Becky

   
 
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