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Autore: Umiko_chan    17/08/2012    3 recensioni
Quel sentimento ti aveva travolta, corrodenti piano, da dentro. Ma tu non reagivi, da un po’ non lo facevi più. Perché, piccola Ran? Be’, forse perché quella, ormai, era l’unica emozione che riuscivi a provare.
Genere: Drammatico, Malinconico, Triste | Stato: completa
Tipo di coppia: non specificato | Personaggi: Ran Mori, Shinichi Kudo/Conan Edogawa | Coppie: Ran Mori/Shinichi Kudo
Note: What if? | Avvertimenti: nessuno
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Ma il Paradiso è chiuso e sbarrato…
Dobbiamo viaggiare intorno al mondo
Per vedere se un uscio è rimasto aperto.
- Heinrich Von Kleist, “Sul teatro di marionette”

 

 

Shattered.

 

Era una sensazione strana, nuova. Nemmeno tu avresti potuto darle un nome, definirla a parole, nemmeno tu che la provavi in prima persona. Perché un sentimento tanto forte e tanto violento non si può costringere in un ammasso di lettere. Stupidi segni grafici che, messi insieme, formano un discorso più o meno compiuto. Tutto avrebbero potuto esprimere, ma non quell’emozione che ti aveva travolta come un fiume in piena. Non conoscevi parole adatte a questo scopo, perché, forse, non ce n’erano. Eri assolutamente passiva, incurante di come il mondo cambiasse intorno a te. Non t’importava più di niente ormai, perché l’unica cosa di cui ti fosse mai veramente importato ti era stata strappata via, senza alcuna pietà.
Quel sentimento ti aveva travolta, corrodenti piano, da dentro. Ma tu non reagivi, da un po’ non lo facevi più. Perché, piccola Ran? Be’, forse perché quella, ormai, era l’unica emozione che riuscivi a provare.

 

•••

 

La tua vita era ormai monotona e grigia. Il grigio non era un bel colore, non ti era mai piaciuto, così freddo e monotono. Ti eri sempre impegnata perché la tua vita fosse a colori, ricca di tante sfumature sconosciute. Avevi sempre lottato contro quel grigio, per impedire che colonizzasse le tue giornate. Adesso non era poi così importante che la tua vita fosse grigia o meno, anche perché la tua non era vita. E anche la Natura sembrava essersi adattata al tuo umore: in tutto l’anno non si era visto il minimo raggio di sole. Giornate nuvolose e grigie.
Ogni mattina evitavi di guardarti allo specchio, perché sapevi benissimo cosa avresti visto. I tuoi capelli avevano perso la loro consueta lucentezza, diventando ispidi e spenti. I tuoi occhi, contornati da profonde occhiaie, avevano assunto il colore di una nube temporalesca; la tua pelle era spaventosamente pallida. Sembravi proprio un fantasma!
E come tale ti muovevi: sgattaiolavi fra la folla, totalmente ignorata. Era proprio in quei momenti, quando eri circondata di gente che ti sentivi davvero sola. Tutta quella gente, che non aveva altri pensieri se non quello della spesa che avrebbero dovuto fare entro la serata, o i compiti di algebra, o l’appuntamento dall’estetista. Per te ormai era tutto così insignificante, che a volte ridevi per quanto la gente desse importanza a cose così futili. Non sapevano cosa significare perdere la cosa più importante della propria vita. Non sapevano niente.

 

•••

 

Una piccola folla si stava velocemente radunando intorno alla gioielleria, visi curiosi e sguardi preoccupati.
Glielo leggevi negli occhi: stava impazzendo dalla voglia di andare a vedere che stava succedendo.
“Shinichi...”
Ti intrappolò nella morsa dei suoi occhi azzurri. Avrebbe potuto chiederti qualunque cosa in quel momento.
“Ran, è il mio lavoro.”
“Lo so, lo so bene. Ma preferirei che tu non andassi. Non voglio perderti di nuovo.”
Sorrise tristemente mentre ti accarezzava una guancia. Avvicinò il suo viso al tuo e le fece scontrare le sue labbra con le tue nel bacio più dolce che ti avesse mai dato.
“Andrà tutto bene, vedrai!” ti rassicurò, con quel suo sorriso mozzafiato.
“Non so, Shinichi. Ho un brutto presentimento...”
“Sta’ tranquilla.”
Ti baciò ancora una volta, prima di sparire fra la folla.
E tu lo seguisti, nonostante ti avesse detto un’infinità di volte che non dovevi farlo. Be’, se tu gli avessi dato retta, forse ti saresti risparmiata lo spettacolo.
Si era voltato per guardarti negli occhi, c’era panico sul suo viso. Poi il proiettile che, inevitabile e letale, affondava nel suo petto, all’altezza del cuore. E Shinichi che cadeva, avvolto da una pozza scarlatta che aveva corrotto il marmo bianco del pavimento.
Tutto quello che era successo dopo era una nube confusa: le sirene della polizia e dell’ambulanza, la corsa in ospedale e le domande dell’ispettore. Poi, solo lacrime.

 

•••

 

Nella fotografia, lui sorrideva. L’avevi scelta tu, era la tua preferita.
Eri andata a trovarlo, lo facevi tutti i giorni. Ormai il custode ti salutava come fosse stato un tuo vecchio amico. Era una persona davvero amabile, ed era difficile capire come facesse a lavorare in un cimitero. Glielo avevi chiesto, una volta: ti aveva risposto che aveva voluto stare vicino a sua moglie, dopo che se n’era andata.
“E poi”, aveva aggiunto, “mi piace la calma che c’è qui.” E aveva sorriso.
Ormai conoscevi la strada a memoria. Attraversato il corridoio centrale, si doveva svoltare a destra. La sua lapide si trovava sul lato sinistro, la terza dal basso. Era bianca, chiara, mentre le altre erano tutte di pietra grigia. Eri stata tu a volerla così: volevi che almeno qualcosa nella tua vita non fosse grigio. Il suo nome era scritto in lettere dorate. Shinichi Kudo. Era doloroso leggerlo. Non lo avevi mai fatto. Svuotasti il vaso e cambiasti i fiori. Peonie bianche, come quelle che ti regalava sempre. Andava a comprarle ogni volta, sempre dal solito fioraio, prima di passare a prenderti.
Una lacrima ti solcò il viso. Una sola, non ti concedevi mai di più.
Accarezzasti la pietra con la punta delle dita. Era fredda, gelida. Come il suo viso.
“Sai, Shinichi? Non smetterò mai di ripeterti che sei uno stupido. Tu e le tue manie da detective!”
Un’altra lacrima. Non ce ne doveva essere una terza, per nessuna ragione.
“Ma Ran!”, sarebbe stata la sua risposta. “Non capisci cosa si prova quando metti alle strette un assassino, o riesci a trovare quel piccolo dettaglio che smonta un alibi di ferro. E’... meraviglioso!”
Lo sapevi così bene che quasi sentivi la sua voce che ti rimbombava in testa.
“No, non lo so cosa si prova. E non sapevo nemmeno quanto dolore possa sentire chi perde la persona che ama. Adesso lo so, lo so bene. Qui la vita va avanti, anche se tu non ci sei più. E ci ho provato anch’io ad andare avanti ma, a quanto pare, non ci riesco.”

 

•••

 

Era una giornata estremamente ventosa, e grigia, come altre cento giornate prima di quella. Il vento ti scuoteva i capelli, che avevi spazzolato con cura la sera prima, dopo una doccia calda. Sembrava che avessero ripreso un po’ del loro antico vigore.
Per la prima volta dopo mesi, sorridevi. E non era la solita smorfia malinconica e triste, ma un vero e proprio sorriso di sollievo. Finalmente, dopo chissà quanto, ti sentivi bene.
Ti sfilasti la maglia in fretta, per non prendere troppo freddo, per indossare quella della squadra di calcio della Teitan High School, bianca e azzurra, quella del capitano, con il numero quattro. Quella che un tempo era appartenuta a Shinichi Kudo.
Ti stava un po’ grande, ma non aveva importanza. Lì, sulla terrazza panoramica dell’hotel Beika, eri sola. Ed era meraviglioso, essere davvero soli. Nessuna pressione, nessun rimpianto.
Ti avvicinasti cautamente al bordo, con una calma quasi aliena. Il tuo respiro regolare accompagnava ogni tuo passo.
“Non saranno le cascate di Reichenbach”, mormorasti, mentre il tuo sorriso si allargava e le lacrime iniziavano a scendere sulle tue guance. “Ma non posso fare di meglio. Perdonami.”
Allargasti le braccia e ti sbilanciasti in avanti, lasciando che il tuo corpo fluttuasse nel vuoto. Ora non c’era più alcuna sofferenza, nessun dolore. Solo il vento che scuoteva quella maglietta troppo larga per il tuo corpicino esile e, sotto di te, il nulla.
Chiudesti gli occhi. Poi, ci fu solo il buio.

   
 
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