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Autore: Honest    17/08/2012    8 recensioni
L'amore vince ogni ostacolo e, a volte, ci fa vivere delle avventure che mai ci saremmo aspettati.
Fra matrimoni, viaggi in auto, litigi, musicisti e addii al celibato, Love Me Always ritorna ad essere aggiornata.
Estratto Dal Capitolo 35 - "Heart Attacks and Related Diseases":
- Sei davvero sicuro, Trent? Vuoi davvero sposarmi? Perché tutto quello che hai fatto finora dice il contrario. - commentò caustica, liberandosi dalla sua presa e uscendo dall’ospedale.
[Duncan/Courtney - Trent/Gwen]
Genere: Commedia, Introspettivo, Romantico | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het | Personaggi: B, Bridgette, Courtney, Duncan, Geoff, Gwen, Justin, Nuovo Personaggio | Coppie: Bridgette/Geoff, Duncan/Courtney, Trent/Gwen
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno | Contesto: Contesto generale
Capitoli:
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Salve !
Finalmente riesco ad aggiornare con il mio nuovo MacBook, scusate il ritardo.
Stavolta il capitolo tratta dell'addio al celibato di Trent a Las Vegas e si svolge durante il giorno dell'addio al nubilato di Gwen e durante il giorno successivo, quindi un week-end completo. Questi segni "***" introducono una sorta di flashback dei momenti precedenti e la storia si ispira ad una canzone di Katy Perry.
Spero di cuore che vi piaccia.
Buona Lettura
HONEST








Waking Up in Vegas


Remember what you told me
Shut up and put your money where your mouth is
That's what you get for waking up in Vegas
Get up and shake the glitter off your clothes, now
That's what you get for waking up in Vegas

Why are these lights so bright
did we get hitched last night, dressed up like Elvis,
And why am I wearing your class ring?
Don't call your mother
'Cause now we're partners in crime


[ Waking Up in Vegas - Katy Perry ]



Trent annusò il prorompente odore di muschio che, nel suo apparente stato di semi incoscienza, gli inondava le narici. Sorrise con gli occhi ancora chiusi, stendendo le braccia oltre la testa e stringendo il corpo caldo che aveva al suo fianco. Inspirò di nuovo quell'odore così poco familiare e affondò il viso nel soffice cumulo di capelli che aveva a pochi centimetri dal naso. Il contatto con quella massa morbida lo portò a dischiudere gli occhi, che abituandosi alla luce tenue riconobbero una capigliatura ribelle e sbarazzina, di un verde decisamente abbagliante. Gli ci vollero poche mosse per riuscire a liberarsi della coltre di coperte e lenzuola, così da identificare la figura dormiente accanto a sé. Duncan stringeva un cuscino spiegazzato, nello stesso modo in cui un moccioso stringe il suo peluche preferito. Una sottilissima goccia di saliva gli si affacciava scomposta sulle labbra, il collo sfoggiava un vistoso succhiotto roseo, sicuramente non ad opera della sua Courtney, e sul lato superiore del sopracciglio destro si poteva intravedere un livido molto scuro. Respirava quasi ad intermittenza, in preda ad un sonno agitato e per nulla confortevole. I suoi ricordi della notte appena trascorsa dovevano essere nello stesso posto nel quale erano quelli di Trent, ed era un vero peccato non avere idea di quale posto si trattasse.
Trent restò ad osservarlo ammutolito ancora per qualche istante, domandandosi se anche lui aveva evidenti segni sul proprio corpo. Quando raccolse il coraggio necessario per alzarsi, il mal di testa fino ad allora soffocato dallo stupore, iniziò a procurargli delle fitte intense, tanto che fu costretto ad appoggiarsi alla parete per evitare di cadere a terra. Si massaggiò le tempie, mentre arrancava verso il bagno della suite dove sembrava essere al momento. Giunto allo specchio sopra il lavabo, preferì sciacquarsi maniacalmente il viso prima di sbirciare le sue condizioni. Si passò i palmi delle mani lungo le guance e qualcosa di metallico e rigido gli sfiorò la pelle. Si asciugò in fretta e osservandosi le dita vide l'inaspettato. Si stropicciò gli occhi un paio di volte per assicurarsi che quella non fosse un'allucinazione, corrugò il volto in un'espressione di puro terrore e sfilò dall'anulare sinistro un vistoso anello di fidanzamento, impreziosito da carte da gioco fluorescenti e un piccolo rubino. Provò a reprimere l'urlo viscerale che stava per uscirgli dalla gola, allontanando il più possibile quell'oggetto dalla sua vista. In fondo doveva esserci una spiegazione plausibile per quello che gli stava succedendo, continuava a ripetersi mentre si lavava il dito incriminato. Se solo i suoi ricordi fossero stati meno sfocati, forse avrebbe potuto addirittura ricostruire la serata precedente. Infine si vide allo specchio ed oltre ad un paio di grandi occhiaie quasi violacee ed una consistente massa di brillantini dorati fra i capelli, non era ridotto poi così male. I suoi vestiti però erano diversi da come se li ricordava, probabilmente perché non aveva mai avuto dei pantaloni di pelle bianca e una giacca a frange annessa. Fece un paio di lunghi respiri alla ricerca dei suoi ricordi, ma tutto quello che la sua mente gli riproponeva era una stupida canzoncina di Elvis Presley.
- Viva Las Vegas -, canticchiava il suo cervello, nel momento in cui svegliò Duncan con una poderosa scossa. Il ragazzo mugolò qualcosa d'indistinto e grugnì tutta la sua disapprovazione contro il cuscino, che teneva ancora fra le braccia. Qualche minuto dopo, era un po' più lucido e in grado di affrontare un risveglio, ma anche lui in preda ai postumi di una alquanto probabile sbornia, si passò una mano fra i capelli scompigliati, facendo luccicare qualcosa sotto le luci soffuse della stanza. Trent ridusse gli occhi a due fessure e gli prese la mano con gesto rapido. Nonostante il malo modo con cui il punk si era sottratto a quella presa, era riuscito a vedere con chiarezza il suo stesso anello, portato dal ragazzo sull'anulare della mano sinistra. Fu scosso da un brivido di orrore.

Erano forse entrati a far parte della stessa setta ?
Avevano rubato quei gioielli ?
O erano piuttosto il simbolo di una nuova gang di motociclisti gay ?

Ormai perfino Duncan, a dispetto della sua sonnolenza, era in grado di riconoscere il panico che pian piano si faceva largo sul viso spaventato dell'amico. Nessuno dei due osò proferire parola, forse perché risultavano troppo malconci e disorientati, incapaci di trovare una qualunque spiegazione per lo scenario apocalittico nel quale si erano ritrovati. Già, se i loro corpi erano ridotti in uno stato pietoso, la suite del costoso albergo, che il punk aveva prenotato, era completamente distrutta. Oltre al letto simile ad una matassa informe di cuscini e lenzuola, il mini bar era stato saccheggiato, le finestre semi oscurate, la vasca straboccante di schiuma alla violetta inondava la stanza di un profumo acido e dolciastro ed il televisore giaceva a terra con il volume azzerato, ma ancora sintonizzato su una rete di musica non esattamente americana, visto il profilo della ragazza giapponese che continuava ad ondulare a ritmo di chissà quale canzone, come se il caos attorno a lei non esistesse.
Duncan, dopo la reazione sconvolta di Trent, si mise la mano davanti al viso istintivamente, notando anche lui l'anello ricoperto d'oro e vernice flou. Tentò di fare mente locale, provando ad ignorare l'indolenzimento che percepiva sopra il sopracciglio destro, ma più si sforzava di ricordare più il dolore si faceva lancinante. I pensieri legati alla serata appena trascorsa si aggrovigliavano e sovrapponevano ad immagini distorte e approssimative. Il ricordo più lontano a cui riusciva a risalire, era quello di Courtney, che lo salutava all'aeroporto con un bacio e un'occhiataccia poco incoraggiante. Il più recente invece era quello di una strana miscela di liquori, accompagnati da una musica assordante e forse da una marcia nuziale. Gli pareva impossibile non ricordare un intero week-end. Scrutò di nuovo il volto dell'amico e vi lesse la sua stessa espressione di rammarico, capendo al volo che neanche lui aveva molto chiara quella nottata. Si sedettero sul letto, essendo troppo distrutti per andare da qualsiasi altra parte che non fosse quella suite demoniaca. Trent fu il primo a biascicare qualcosa di incredibilmente confuso.
- Cosa ricordi ? -
- Courtney. - rispose l'altro senza pensare.
- Mi riferivo a questi due giorni. - riprovò il chitarrista con un sussurro poco convinto.
- Il viaggio in aereo. -

***


Duncan sospirò e si slacciò la cintura, depositandola nell'apposito contenitore di plastica grigia. Erano in coda per il check-in da un'ora circa, e stava iniziando a perdere la pazienza. Dopo aver consegnato le chiavi, le scarpe, il cellulare e la cintura, quel dannato metal-detector continuava a fare "bip" imperterrito, come se avesse già deciso di rovinargli la giornata. Aveva appena affrontato una litigata piuttosto originale con la sua ragazza, che aveva il dono di comunicare la sua disapprovazione solo con la forza del pensiero. Salutarla era stato piacevole, se si consideravano i baci approfonditi e le carezze, ma era stato traumatico, se si dava importanza agli sguardi truci e ai sospiri di disappunto. In ogni caso si sarebbe fatto perdonare una volta tornato da Las Vegas, sempre se fosse riuscito a salire su quello stramaledetto aereo. D'altro canto il suo spogliarello era meno imbarazzante della perquisizione fatta a Trent, che aveva dato spettacolo con il suo plettro d'argento nascosto in tasca e con i suoi gridolini rivolti alla guardia, che sembrava provare gusto nell'infilare le mani nei posti più impensabili. Quando finalmente li fecero salire a bordo, sistemarono con calma i bagagli e si sedettero con un sospiro di evidente sollievo.
Allacciate le cinture, ascoltate le comunicazioni dell'hostess e del pilota, Trent cominciava a farsi gradualmente più nervoso, dettaglio che non sfuggì a Duncan, che si preparava ad affrontare una crisi isterica imminente.
- Credevo non ti spaventasse volare … - disse con calma il punk, cercando di avvicinare l'argomento senza innervosirlo oltremodo.
- Non mi spaventa volare. - ribatté con una malcelata incertezza nella voce il ragazzo, accartocciando il suo bicchiere di plastica rossa con un solo gesto. Duncan sospirò, certo che quel volo non sarebbe stato per nulla piacevole, l'ultima volta che era salito su un aereo era stato durante il reality e quello che aveva combinato era stato alquanto discutibile, inoltre si sentiva ancora in colpa per aver assecondato Gwen il giorno della prova dell'abito, averlo detto a Courtney gli aveva tolto un bel peso dalla coscienza, ma aveva reso la ragazza più sospettosa. Probabilmente l'idea di un addio al celibato a Las Vegas non era stata un'idea poi così geniale in una situazione come quella. Bevve un altro po' d'acqua e provò a fingere di non aver visto l'evidente sguardo vacuo del suo compagno. Nel tentativo di renderlo più mansueto, alzò una mano in direzione dell'avvenente hostess bionda di fronte a lui e chiese educatamente un altro bicchiere di plastica da distruggere o da riempire, a seconda delle necessità del codardo accanto a sé. La ragazza gli consegnò il contenitore rosso con fare cerimonioso e gli offrì un'aspirina nel caso la situazione si fosse fatta ancor più insostenibile. Duncan versò dell'acqua nel bicchiere del chitarrista, che non gli prestò molto attenzione, intento com'era a contare le nove nuvole che vedeva ad ogni spostamento d'aria o turbolenza. Il punk ne approfittò per sciogliere la pasticca nel suo bicchiere, augurandosi che agisse da sedativo, ma dopo aver bevuto il ragazzo risultava veramente su di giri.
- Mi hai dato il tuo. - constatò d'un tratto, interrompendo il suo conteggio alla rovescia da nove a meno nove e osservando la plastica rossa che stringeva fra le mani. L'altro scosse la testa, mostrandogli il proprio contenitore, contenente ancora qualche goccia d'acqua cristallina.
- Qui c'è un numero di telefono. - replicò Trent, leggendo poi ad alta voce la scritta, impressa con una calligrafia femminile e frettolosa sul retro del suo bicchiere.
- Mi piace la tua cresta. Scendo a Las Vegas alla fine di questo volo. Se cerchi compagnia per il fine settimana chiamami … B. -
Duncan guardò la giovane donna che poco prima gli aveva dato il bicchiere, lo stava fissando con uno sguardo folle e un sorriso ammiccante.
- Vado un momento in bagno. - concluse, impedendo al chitarrista di fermarlo o di dire qualcosa di oltraggiosamente moralista. Percorse il corridoio che lo separava dalla minuscola toilette, schivando di poco lo sguardo civettuolo che la hostess bionda e procace gli aveva appena rivolto. Si chiuse nello stanzino e si sciacquò il viso stanco, scrutando il proprio riflesso nello specchio opaco. Subito dopo estrasse il telefono dalla tasca della giacca di pelle e lo accese, ignorando le raccomandazioni che aveva ricevuto poco prima. Aveva bisogno di parlare con qualcuno che non fosse nel panico, stranamente non da matrimonio. Voleva ascoltare la voce vellutata dell'ispanica che gli sussurrava che tutto sarebbe andato come doveva. In poche parole, anche se era era partito da poco più di tre ore, sentiva la mancanza della sua ragazza e il pungente morso del senso di colpa stringergli il petto. Digitò rapidamente il numero di Courtney e aspettò una sua risposta per diversi squilli, fino a che la segreteria non scattò.

"Sono Courtney, in questo momento non posso rispondere. Lasciate pure un messaggio. Ah, e se sei Duncan potevi anche non disturbarti a chiamare per farmi sapere quanto ti stai divertendo in uno stupido strip-club di Las Vegas, sono sicura che mi racconterai tutto quando sarai tornato a casa con un mazzo di fiori e un biglietto di scuse."

- Courtney, sono io. - titubò lui, alla ricerca di qualcosa di vano da dire.
- Volevo solo dirti che mi manchi e … - fece una pausa, ponderando le varie alternative. In fondo doveva chiedere scusa per molte cose.
- Mi dispiace. Non solo per essere partito senza al tua fiducia, ma anche per Gwen. Lei ha .. flirtato con me il giorno in cui le ho portato il suo abito. Non avrei dovuto lasciarla fare. Scusami, ma credevo fosse giusto dirtelo. Solo questo. Bè, richiamami quando senti il messaggio. Ti amo. - e di seguito riattaccò, tornando a guardare il suo riflesso.
Cosa aveva fatto ?
Quella era la sera dell'addio al nubilato di Gwen e ora non ce ne sarebbe stato nessuno, perché lui aveva dovuto vuotare il sacco in maniera così vile. La gotica non l'avrebbe mai perdonato e del resto neanche Courtney. Ora non mancava che dirlo a Trent, tanto per completare quell'allegro quadrato amoroso. Fu persino tentato di gettare il suo cellulare nel gabinetto, pronto a sperare che qualche texano ignorante lo trovasse e lo scambiasse per un complesso congegno alieno, inviatogli direttamente dallo spazio. Ma non avrebbe avuto senso. Poteva avvisare Gwen di ciò che aveva fatto, ma così facendo anticipava solo il momento in cui si sarebbero urlati contro le peggiori cattiverie, allora con la coda fra le gambe se ne tornò al suo posto, non prima di aver lanciato una gelida occhiata alla hostess e avergli mimato con le labbra qualcosa come "ho una ragazza che mi odia.".
Cadde pesantemente a sedere e si riallacciò la cintura, poi si voltò verso Trent che sonnecchiava con un placido e basso russare. E rifletté, pensando che forse quella che gli aveva dato non era propriamente una compressa per il mal d'aereo.

***


- Solo il viaggio in aereo ? - riprese il chitarrista, dopo qualche attimo di riflessione.
- É molto più di quanto tu creda. Sai io non ho dormito per tutto il volo, svegliandomi all'aeroporto come uno zombie. - si difese il punk.
Trent si massaggiò per l'ennesima volta le tempie. - Cosa abbiamo fatto dopo ? -
- Il taxi, l'arrivo in hotel … - lo aiutò l'amico, ancora un po' assopito.
- Siamo rimasti qui fino alle dieci. - sussurrò l'altro come in preda ad un flashback incontrollato.
- Poi ti ho portato a giocare e a cena. - disse alla fine Duncan, iniziando a ricordare qualcosa di più nitido.
- Poi c'è stata Roxy. - azzardò Trent, preoccupato dalle immagini che iniziavano ad invadergli la mente.
- Sì, ma sono certo che non ricorderai molto .. - aggiunse l'altro.
- Troppo ubriaco ? -
Un impercettibile cenno di assenso, lasciò il posto ad un'amara consapevolezza e ad una sequela di frammenti della notte precedente.
Ancora una volta cominciarono a ricapitolare passo per passo, unendo le loro versioni e cercando un punto d'incontro fra le due storie.

***


Trent non l'avrebbe mai ammesso, ma l'unico motivo per il quale aveva scelto il tavolo da poker era che le Fish colorate lo avevano incuriosito. Inoltre se si teneva impegnato giocando, c'erano meno possibilità che Duncan lo trascinasse in qualche squallido locale a luci rosse. Si era seduto istintivamente, accarezzando il velluto verde che rivestiva il piano da gioco. L'intero casinò in realtà volgeva su quei toni, le tende estremamente pesanti erano di un verde petrolio molto intenso e il pavimento in parquet sosteneva i vari tavoli di un verde smeraldo accecante. Infine il bar era di una tonalità di verde più acre e l'uomo che suonava il pianoforte sembrava discretamente ubriaco. Ma nonostante il posto sembrasse addobbato per festeggiare il giorno di San Patrizio, il cantante si stava divertendo a contare i suoi bei gettoni colorati, sotto lo sguardo vigile dell'amico che lo osservava nello stesso modo in cui una madre apprensiva osserva la sua prole indifesa. Se ci fosse stato del cibo Duncan lo avrebbe masticato per lui, prima di servirglielo. Un quarto d'ora dopo lo sfavillante entusiasmo dei due era svanito, quando Trent aveva avuto la malsana idea di puntare un gettone "rosa", venendo subito corretto dal croupier, che lo aveva chiamato "una puntata da mille dollari per il signore". Sorprendentemente il ragazzo vinse e vinse ancora, dopo due formidabili vittorie iniziò a perdere come succede a chiunque non abbia idea di come si giochi a poker e la cosa andò avanti per diverse partite, fino a che la sua mammina, pardon, Duncan non lo trascinò via dal tavolo con un violento strattone. Com'era prevedibile il ragazzo aveva in poco tempo perso più della metà dei suoi soldi, finendo con l'essere allontanato dalla sicurezza a causa delle sue proteste, motivate in parte dall'alcool, che il punk lo aveva convinto ad ingurgitare per essere certo che si sarebbe rivelato un perdente alticcio. Una volta fuori dal casinò, abbandonati i tavoli da gioco e i mazzi di carte, cercarono un posto dove riempirsi lo stomaco, l'uno per non bere a stomaco vuoto, l'altro per cominciare a farlo. Dopo un paio di incroci e tragitti sbagliati si ritrovarono di fronte ad un ristorante accettabile con tavoli all'aperto e cameriere carine. Mangiarono di gusto, o meglio bevvero immensamente e risero per cose stupide, come ad esempio il tremolio della fiammella della candela sul tavolo. Una volta finito di ingozzarsi e pagato il conto una ragazza li fermò all'uscita. Era molto carina, con un corpo affusolato e longilineo messo in risalto dalla sua divisa blu, delle labbra carnose e degli occhi verdi, impreziositi da dei capelli rosso fuoco. Unico difetto un naso esageratamente grande e sporgente rispetto al resto del viso minuto e delicato.
Picchiettò sulla spalla di Duncan un paio di volte prima di riuscire ad avere la sua attenzione.
- Ciao. - disse con un sorriso luminoso. - Mi chiamo Roxy, questa sera io e la mia amica diamo una festa … - continuò indicando una ragazza bassa, lentigginosa e bionda alle sue spalle. - Se vi va di venire qui c'è il nostro indirizzo. - gli porse un biglietto e fece l'occhiolino a Trent prima di andarsene ridacchiante, lasciando i due perplessi. Il punk ci mise un po' per convincere Trent ad andare, promettendogli che avrebbe evitato le spogliarelliste se avesse accettato di rivedere la cameriera sexy e la sua amichetta. Il ragazzo si lasciò persuadere e dopo essere tornati in albergo uno per vestirsi, l'altro per provare a chiamare Courtney, andarono a quella che speravano fosse la festa del secolo. Poveri illusi ..

La musica assordante giungeva fino alla fine della strada di periferia dove la villetta era situata, circondata da alberelli con poche fronde e da giardini ben curati. Era come se qualcuno avesse sradicato un quartiere perbene del New Haven, per portarlo oltre la periferia di una malfamata Las Vegas. Nè Duncan né Trent potevano immaginare che dietro il gioco d'azzardo, i locali osé e gli alcolici si nascondesse un paradiso di casette bianche e viali asfaltati, l'ambiente perfetto perché una nuova famiglia Brady potesse prosperare e allietare l'America con i suoi nuovi sketch.
La pace di quel luogo era intaccata solo dal rumore di un amplificatore con il volume al massimo e dalle grida di una massa di giovani teppisti, intenti a correre nudi per il cortile e a bere birra scadente. Il punk superò le tre limousine nere parcheggiate davanti al cancello e con spavalderia evitò lo spruzzo di vomito di un ragazzo in mutande, poi si apprestò a suonare il campanello su consiglio di Trent, nonostante la porta fosse spalancata. Pochi minuti di attesa, passati a litigare su quanto l'idea di venire fosse stata ridicola, e Roxy la cameriera comparve sulla soglia dell'uscio, indossando un enorme abito da sera di seta verde, vaporoso e impreziosito da qualche brillante. Dietro di lei un nugolo di ragazze conciate alla sua stessa maniera con abiti ampi e lunghi, che variavano dal pesca all'avorio e con acconciature esagerate. Quando il chitarrista notò i frac e gli smoking indossati dai ragazzi accanto a lui, li sommò alle limousine e ai bouquet da polso delle ragazze e per poco non ebbe un conato. Afferrò l'amico per un braccio, cancellandogli quell'espressione sfrontata dal viso.
- Sono liceali. - gli sibilò all'orecchio, dando le spalle alla rossa che li aveva invitati.
Duncan non parve cogliere il messaggio e lanciò un'altra occhiata alla bella cameriera.
- Quanti anni hai detto di avere ? - le domandò dopo qualche incertezza.
- Diciassette. - replicò lei con uno squittio, sbattendo le ciglia rivestite di mascara color porpora.
Nel frattempo un adolescente dal forte odore etilico aveva circondato con un braccio il chitarrista e gli aveva gridato con forza nelle orecchie l'intera compilation dei Simple Plan, per poi esclamare qualcosa come "Ballo di fine anno !" e ululare ripetutamente l'inno americano. Quando finalmente si decise ad allontanarsi dall'orecchio, ormai quasi sordo, del povero cantante Duncan si era addentrato nel pieno della festa lasciando il suo compagno in balia di quei poveri ubriachi, perdendo per un pelo il titolo di - Madre dell'Anno -. Rimasto solo e attorniato da minorenni, Trent si sedette sul portico il più lontano possibile dagli urli e dai festeggiamenti, esplorando gli svantaggi di ritrovarsi ad una festa in onore della fine della scuola. Stava ancora contemplando la solitudine, perché non si accorse del gruppetto di ragazze alle sue spalle munite di un imbuto e di un enorme bidone di birra. In pochi istanti il malcapitato si ritrovò la gola colma di malto ed alcool, e non riuscendo a liberarsi da una goliardia così inadeguata al suo stato d'animo, fu costretto a ribellarsi e a tentare la fuga, scavalcando una delle sue rapitrici e finendo per entrare in casa. Una volta all'interno della villetta si mise alla perenne ricerca di Duncan anche sotto i nefasti sintomi dell'ubriachezza, ma al dunque si abbandonò stremato su un divanetto del soggiorno e chiuse gli occhi per dei momenti che ben presto si trasformarono in ore. Trascorse il tempo a riposare con gli occhi serrati, mentre le persone che lo circondavano continuavano a vociare e, senza rendersene conto passò più di metà festa addormentato come un cucciolo.

Intanto mentre Trent testava le molle di un divano in pelle scamosciata, Duncan testava le molle di un letto rosa a baldacchino. Purtroppo non si trovava lì per schiacciare un pisolino, ma per deturpare il corpo di un'adorabile ragazzina. L'adolescente in questione aveva rimorchiato il ragazzo in fondo alle scale e con una serie di elaborate scuse lo aveva attirato al piano di sopra. Poi con un movimento fluido aveva fatto scivolare il vestito color lavanda a terra, rimanendo con una delicata sottoveste nera tutta pizzo e ricami. Dopo qualche protesta realmente sentita, il punk aveva ceduto al potente effetto della vodka miscelata al rum e si era ritrovato con una biondina a cavalcioni su di lui, impegnata a sbottonargli la camicia e a mordicchiargli il collo scoperto, disegnandovi un vistoso succhiotto, lo stesso che il ragazzo avrebbe visto solo il giorno successivo. Non fu un vero e proprio tradimento, almeno non per gli standard abituali di Duncan, le bocche dei due neanche si sfiorarono e, quando lei stava per sbottonargli i pantaloni sotto la luce soffusa di una pacchiana lampada di Hello Kitty, lui sotto i vapori dell'alcool si lasciò sfuggire un sospiro ben distinto.
- Oh, Courtney .. -
- Come mi hai chiamata ? - sbottò con voce stridula la ragazzina con un repentino sbalzo d'umore.
Quello mugolò di nuovo il nome dell'ispanica, costringendo la bionda a lasciare la stanza stizzita. Poi fu colto da un conato di vomito che lo spinse a correre in bagno, di seguito cercò la camicia che da poco gli era stata tolta e tastandosi i pantaloni capì con stupore che la sgualdrinella di turno gli aveva sottratto il portafogli. Imprecando, si trascinò fino al piano di sotto e destò con un energico scossone Trent, che con qualche giro di parole riuscì a farsi prestare una delle limousine di Roxy, illustrandogli a pieno la situazione e gridando a pieni polmoni quanto fosse importante per loro raggiungere l'hotel. Il sonno lo aveva aiutato a smaltire quella sbornia involontaria e fu in grado di raccontarle del matrimonio e le spiegò che quello era il suo addio al celibato. La ragazza annuì un paio di volte, recependo solo la metà delle parole che le venivano dette, ma nonostante questo li accompagnò alla limousine più bianca e più vistosa della festa, impartì istruzioni all'autista e li congedò con una stretta di mano e un rigetto di vomito che colpì in pieno le loro scarpe.
La domanda giunse ad entrambi spontanea : c'era qualcuno a quella festa ancora sobrio ?
- La festa più figa dell'anno ! - urlò un tizio in lontananza, togliendosi i pantaloni e improvvisando un ridicolo balletto nel bel mezzo della strada.
Si risposero con un'occhiata : No, probabilmente no.

***


- Non ci sei andato a letto vero ? - chiese scandalizzato il chitarrista, dopo aver ascoltato la versione di Duncan.
- No. Non l'ho neanche baciata, mi ha solo derubato. - sintetizzò lui, aggiungendo il fatto alla sua lista "Cose per cui chiedere scusa a Courtney". Poi fissando la finestra davanti a sé, senza una ragione particolare si alzò e l'aprì, contemplando l'eccitante vista parcheggio e individuando un puntino bianco in lontananza.
- Quella non è la nostra limousine ? - domandò più a se stesso che al ragazzo dietro di lui.
Trent lo raggiunse e fissò gli occhi sulla stessa macchiolina candida.
- Penso di sì. - convenne, tornando ad esaminarsi l'anulare sinistro dove prima sfoggiava il suo anello.
- Dopo la festa non siamo tornati in hotel .. - constatò il punk, mentre camminava su e giù per la suite.
L'altro non rispose, un luccichio proveniente dall'armadio aveva catturato la sua attenzione. Si diresse verso una delle due ante semi aperte e ne sfilò una tutina di pelle bianca, con strisce decorate con piccoli diamanti luminosi e altri dettagli molto appariscenti. Forse era quello che aveva indossato la sera precedente, visto che in quel momento portava soltanto una canottiera sbrindellata e un paio di pantaloncini bianchi. Mostrò il completò all'amico e quello fu pervaso da un brivido di disgusto, sfilandosi l'anello con le carte da gioco dal dito e gettandolo a terra.
- Io so dove siamo andati .. - sussurrò con voce rauca, pregando che anche il chitarrista iniziasse a ricordare.
- La cappella nuziale. - concluse Trent, dilatando le pupille e sedendosi sul letto.
In un solo istante i ricordi cominciarono a fluire senza sosta, accompagnati da sensazioni ambigue e confuse. I conti cominciavano a tornare e forse con il senno di poi, sarebbe stato meglio non sapere.

***


Erano saliti a bordo della limousine da circa quarantacinque minuti, quando iniziarono a domandarsi dove erano diretti. Aver gridato senza troppe specificazioni l'indirizzo del loro hotel forse non era stata un'azione incredibilmente saggia. Ormai si stavano abituando allo scorrere rapido del paesaggio attorno a loro, alle luci soffuse e al rumore delle ruote contro l'asfalto grigio. Il punk aveva tentato anche di parlare con il guidatore ma quello, forse di nazionalità pakistana o giù di lì, continuava a sillabare che sarebbero arrivati presto, così i due si erano costretti a rinunciare. Duncan aveva poi scovato delle bottiglie di liquori pochi minuti dopo essere entrato nell'auto e aveva convinto anche Trent a perdersi di nuovo nel circolo vizioso dell'alcool. Fra le cianfrusaglie nascoste fra i sedili, avevano trovato oltre ad un paio di mutandine di pizzo e un sigaro cubano, una busta contenente cinquecento dollari. Ovviamente il chitarrista si era appellato al suo lato buono e al suo animo puro e aveva insistito per rimetterli al loro posto, ma complice l'ubriachezza, Duncan era riuscito a far prevalere i suoi precedenti criminali sul buonsenso dell'amico. Tre bottiglie più tardi l'auto prese una curva inaspettata e inchiodò improvvisamente. Finalmente ebbero la libertà di toccare il suolo, ma quello che videro non era ciò che si aspettavano di scoprire. Infatti quell'edificio bianco ed anonimo non sembrava proprio una delle dimore degli Hilton.
Il loro autista spiegò loro con dei gesti convulsi che sarebbe tornato fra un'ora e li abbandonò li davanti, intenti a boccheggiare frasi sconnesse. Rimasti soli, barcollarono fino all'entrata e graffiando sulla porta come gattini in trappola, riuscirono a farsi aprire da un uomo di mezza età con un saio da frate tutt'altro che semplice, la corda era un lungo spago di neon luminoso e la stoffa dell'abito era di un colore misto fra l'arancione e il lilla. In contro luce era di un particolare e iridescente viola, e per un po' fu difficile distogliere lo sguardo da quell'abbigliamento. Comunque la prima cosa che fece quando li ebbe adocchiati, fu un ampio sorriso. Di seguito senza lasciarli spiccicare parola li condusse all'interno e gli mostrò una stanzetta poco illuminata con alcune teche, contenenti dei gioielli orrendi. Da collane di brillanti a forma di catene ad anelli fluorescenti ornati da carte da gioco del Poker. I due resi docili come agnellini dall'alcool, dalla stanchezza e dalla confusione, si lasciarono guidare nella scelta, senza davvero sapere dove si trovassero o cosa stessero facendo. Completato quel passaggio decisivo il frate, più simile ad un campo di lavanda che ad un
uomo di chiesa, li prese per mano e portandoli in un'ennesima stanza stavolta più tetra e poco illuminata, li convinse a pagarlo per i suoi successivi servigi. Trent armeggiò con la busta dei soldi rinvenuta nell'auto e dietro una delle tende di velluto rosso individuò lo smoking che non avrebbe potuto indossare il giorno del suo vero matrimonio. Il completo Elvis originale, una tutina bianca e brillante costellata di piccoli diamanti, lo stava implorando di essere comprato e il ragazzo pagò un'ulteriore somma di denaro per poterla indossare. Si cambiò in un luogo più appartato, mentre Duncan sonnecchiava accanto al muro, canticchiando vecchie canzoni rock. La violetta gigante mascherata da prete annunciò la fine dei primi preparativi e porgendo loro i due anelli scelti, li portò in un'ampia sala ricevimenti che sembrava realizzata per accogliere una grande moltitudine di persone.

I tre uomini attraversarono l'intera stanza per arrivare ad un piccolo altare, allestito alla rinfusa. Il prete aiutò i due ragazzi a sistemarsi in posizioni decorose e, ignorando il punk che cadeva ancora una volta in un sonno profondo, pronunciò la funzione abituale per i matrimoni. Il chitarrista troppo distratto dalle frange bianche del suo nuovo abito, prestò poca attenzione al rito e alla fatidica domanda si limitò ad annuire, dando una spinta a Duncan per convincerlo a fare lo stesso. Ed ecco fatto, trentacinque minuti dopo essere arrivati in quel posto desolato erano diventati marito e marito, senza nemmeno accorgersene. Bevvero dello champagne a loro spese, assieme alla peonia che aveva celebrato il matrimonio e Trent si esibì in uno dei suoi migliori brani tratti dal repertorio di Cindy Lauper, nessuno seppe mai come ne aveva uno. Infine concluse con la celebre "Viva Las Vegas", suonando al posto dei tamburi i tavoli accanto a lui. Una pioggia di brillantini dorati scese dal soffitto inondando il ragazzo proprio mentre eseguiva la tanto famosa mossa pelvica e nel pieno spirito di quella serata lanciò baci al suo migliore amico, che ondeggiava sulla pista assieme al grappolo d'uva gigante che li aveva da poco uniti. Quindi si vantò del suo anello con i successivi sposini che entrarono dopo di loro e infine fu prelevato dall'autista pakistano e riportato con Duncan al loro hotel. In tutto quel trambusto una sola cosa fu chiara ad entrambi durante il viaggio di ritorno, Roxy aveva compreso bene la parola "matrimonio" dal discorso impastato che le aveva gridato con foga il chitarrista.
Che serata magica …

***


- Non può essere successo .. - biascicò Trent, cercando di non farsi prendere da una crisi isterica.
Duncan che osservava nel più completo silenzio un punto imprecisato della moquette ai suoi piedi, fece mente locale. Gli anelli non significavano nulla, per essere sposati era necessario avere un certificato di matrimonio. Scattò in piedi e afferrò lo smoking/tutina di pelle bianca dell'amico, frugando a fondo in ogni tasca, fino a che un foglio ripiegato non gli si posò fra le dita. Con foga lo tirò fuori e con orrore vide in bella vista le loro firme che dimostravano consenso e inequivocabilmente la prova che erano effettivamente stati sposati da un'ortensia mutante. A quel punto anche l'amico aveva elaborato la situazione, e vedendo il certificato si sentì quasi mancare.
- Possiamo sempre annullarlo. - commentò di seguito, lasciando che il punk capisse a cosa si stesse riferendo.
- Non posso dirlo a Courtney. Troveremo qualcun altro che sappia qualcosa di legge. - protestò l'altro con convinzione.
- Non abbiamo soldi e per tornare a casa … il volo ! - esclamò il ragazzo, interrompendosi di colpo e correndo a prendere i biglietti che il giorno prima aveva depositato nella cassaforte.
- Non dirmelo .. - sussurrò Duncan con un'espressione avvilita in volto.
- Lo abbiamo perso. Ora ci serve Court. - constatò l'amico.
- Sì, ma devi chiamarla tu. - disse il punk, sedendosi ancora una volta su quello scomodo materasso.
- Perché io ? -
- Perché sei tu la donna nel nostro rapporto. - rispose semplicemente, iniziando a giocherellare con la sua fede flou.
- Su che base .. -
- E va bene. Faremo testa o croce. - lo interruppe alla fine, estraendo una moneta dai jeans che ancora indossava.
- Per decidere chi è la donna ? - chiese Trent con tono innocente.
- Per decidere chi chiama Courtney ! Sei tu la donna. - ruggì Duncan stizzito.

Cinque minuti dopo con il vecchio trucco del - Testa perdi. Croce vinco. - il punk era riuscito a far sì che fosse Trent a chiamare la sua ragazza. Il chitarrista si chiuse in bagno per una buona mezz'ora, probabilmente intento a tergiversare, spiegare ed appianare la situazione. Del resto era lui quello diplomatico. Quando riemerse da lì gli passò con una caustica quiete il cellulare e gli rivolse uno sguardo di pietosa resa. Il sospiro agitato dell'ispanica si insinuò nel padiglione auricolare di Duncan e dopo istanti di interminabile silenzio finalmente ascoltò la sua voce più calma del previsto, incredibilmente piatta ed assente.
- Posso provare a fissarvi un'udienza con un giudice che annulli il certificato, ma non sarà qui a Toronto. Dovremmo tornare a Las Vegas fra un paio di settimane, forse il matrimonio dovrà essere annullato. Vi mando i soldi stasera, ma prima devo parlarne con Gwen … -
- No, lascia che ci pensi Trent. - riuscì a dire, prima di ascoltare un lungo e strano silenzio.
- Mi sei mancata. - gli uscì poi, voltandosi per evitare lo sguardo accigliato del chitarrista.
- Salutami Trent. - disse lei in un sospiro poco convinto e chiuse la comunicazione senza troppe storie con un freddo e rigido addio, forse carico anche di un po' di rabbia.
Duncan ascoltò il rumore sordo della linea telefonica interrotta. Iniziava percepire l'immenso vuoto fra sé e Courtney, la distanza fra Toronto e Las Vegas.

   
 
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