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Autore: formerly_known_as_A    17/08/2012    2 recensioni
Lui stesso sarà uno dei prossimi. Spazzato via da un'onda, senza vie di scampo, vista la propria conformazione territoriale.
La loro fine è diventato un argomento ricorrente, ma è più tutto ciò che sta intorno ad esso, gli affetti che dovranno abbandonare, la preoccupazione per le persone che amano e per il proprio popolo, che importa.

Fa parte della raccolta Memorie dalla fine del Mondo: Olanda.
Genere: Angst, Introspettivo, Malinconico | Stato: completa
Tipo di coppia: Slash | Personaggi: Islanda, Paesi Bassi
Note: AU, OOC, What if? | Avvertimenti: nessuno
- Questa storia fa parte della serie 'Memorie dalla fine del Mondo'
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“Ti invidio.”
Non è un'affermazione semplice, quella. Al contrario, l'olandese smette di scrivere l'ennesimo inutile resoconto, posa la penna sulla scrivania e resta in silenzio ad aspettare il resto.
Lo conosce abbastanza da sapere che c'è, senza nessun dubbio, il resto. Forse subito, forse tra un'ora o una settimana, Islanda aprirà la bocca per dire qualcosa di collegato a quella breve frase. Qualcosa di importante, essenziale, qualcosa che ha voglia di dirgli.
Ma adesso il tempo manca, le parole non dette sono ancora troppe e non può aspettare. Per questo abbandona tutto quello che stava facendo, restando a guardarlo.
Deve sentire quell'urgenza anche l'islandese, perché alza la testa verso di lui, rannicchiato sulla poltrona come a voler occupare meno spazio possibile.
“Perché?” si affretta a chiedere, riafferrando la penna per scribacchiare qualcosa di incomprensibile, gli occhi ancora fissi su Islanda, che si tira le dita, la pulcinella di mare attaccata al fianco, addormentata ed indebolita, come se potesse sentire il tormento del compagno Nazione.
“Tu hai un collegamento. In ogni momento puoi sentire che c'è qualcuno accanto a te. Sei dipendente, forse, ma non ti senti mai solo.” cerca di spiegare Eirik, con un piccolo sospiro triste.
Sa di cosa stanno parlando, della fine del mondo come lo conoscono, con i suoi continenti, le Nazioni stesse... sa che tutto questo è destinato a scomparire.
Lui stesso sarà uno dei prossimi. Spazzato via da un'onda, senza vie di scampo, vista la propria conformazione territoriale.
La loro fine è diventato un argomento ricorrente, ma è più tutto ciò che sta intorno ad esso, gli affetti che dovranno abbandonare, la preoccupazione per le persone che amano e per il proprio popolo, che importa.
Conoscendosi, sa che la propria calma è giustificata dal proprio carattere. Non è mai nervoso prima, è dopo una battaglia che sente la tensione scivolare via, è dopo qualcosa di terribile a cui avrebbe dovuto prepararsi che si lascia prendere dalla disperazione.
Alla fine di se stesso assisterà con tranquillità, la tristezza dettata solo dalla consapevolezza di lasciare indietro le persone a cui tiene. I propri collegamenti.
Collegamento tra cui figura, tra gli altri, anche quel ragazzo dai capelli incredibilmente bianchi, gli occhi viola che di nuovo trapassano i propri con un'espressione che non riesce a comprendere mai del tutto. È come se ci fosse un universo dietro a quello schermo ametista.
Una creatura ultraterrena. Questo ha pensato quando se l'è ritrovato di fronte la prima volta, questo pensa ancora ora, davanti all'islandese posato, irraggiungibile, ma fragile.
Si alza lentamente, posando la penna sulla scrivania, facendo passi sicuri verso di lui nonostante non abbia la forza che aveva un tempo, nemmeno lui, perché i propri abitanti si preparano a fuggire, a diventare tedeschi, francesi, svedesi, perdendo le proprie origini, giorno dopo giorno.
Nonostante questo, è con decisione che si inginocchia di fronte all'isola dal viso emaciato, sicuramente non bello come un tempo, agli occhi di molti, ma sempre riconoscibile, etereo. Bellissimo, dolorosamente ferito, ma per l'olandese è sempre bellissimo.
Alza una mano, il palmo rivolto verso di lui, guardandolo negli occhi senza cedere un momento, sembrando quasi arrabbiato da quanto è concentrato.
Forse Eirik esita per questo. Forse, invece, sta pensando a cosa voglia davvero dire quella mano. Ci mette quella che sembra un'eternità ad allungare la sua e poggiarla sopra.
Fa scivolare le dita negli spazi tra le sue, con tutta la serietà che gli è possibile -non è difficile, sorride davvero poco, più che mai- prima di parlare.
“Questo è un collegamento. Un collegamento più importante di quello che sento in ogni istante.” riesce a sussurrare, con sincerità. È più facile, parlare, con la fine del mondo alle porte.
È più facile, esprimersi, sapendo che le parole avranno un peso solo per un tempo limitato.
Nonostante questo, però, Jan non può ancora confessare qualcosa di importante che gli posa sul petto, un sentimento che ne genererebbe mille altri, se enunciato.
L'islandese lascia la sua mano per scivolargli tra le braccia, stringendolo con più forza possibile, rannicchiandosi e restando in silenzio.
Ad Olanda non importa di altro.
 
“Credi che sarò io ad ucciderti?”
Un'altra serata calda, un ventilatore diretto addosso, il sole che sembra non voler più tramontare, fuori dalla finestra. Non c'è un filo d'aria e quella che un tempo era la verde Islanda sta lentamente ed inesorabilmente ingiallendo.
Le occhiaie di Eirik sono più pronunciate che mai.
Jan non scrive più nulla da mesi, il governo ormai lontano dalle proprie terre, abitate soltanto da chi non vuole o non può andarsene. Rare persone che gli danno la forza necessaria a muoversi ancora, a controllare le dighe, ad ammassare sacchi di sabbia.
Persone che hanno ancora una speranza, che non si sono arrese del tutto.
Trascorre il tempo che gli resta con l'islandese. Entrambi vivono il momento con rassegnazione, senza un vero motivo per combattere, entrambi spacciati, secondo la comunità scientifica, ma, soprattutto, secondo l'inevitabile sentimento di morte che si è fatto largo in loro.
L'Islanda è una zona altamente sismica, ora, i vulcani sono più che mai attivi,
Il livello del mare si è alzato di un metro ed ottantasette centimetri.
Scuote la testa e guarda fuori dalla finestra, verso un calore che non riesce a sentire, il gelo e l'acqua nelle ossa, due maglioni a cercare di scaldarlo, le mani che tremano troppo per permettergli di fare qualsiasi altra cosa che non sia aspettare.
“Annegherò prima che tu possa sprofondare.” risponde, pratico come sempre, nonostante il pensiero contribuisca ad acuire il tremore.
Eirik gli si avvicina e lo avvolge, la pelle bruciante delle mani che sfiora la sua pancia e la schiena, riuscendo a fermarlo e dandogli, allo stesso tempo, un po' di refrigerio.
Jan spera che Eirik possa davvero sprofondare. Lo spera di cuore, anche se ogni indizio sembra suggerire che la sua morte sarà ben più atroce del suo stesso annegamento.
Islanda sta bruciando e continuerà a bruciare fino alla morte.
Ricambia l'abbraccio, sollevandosi le maniche ed avvolgendolo al fresco.
“Forse il livello del mare smetterà di salire...” mormora l'Islandese, sapendo di mentire.
Appoggia la fronte nel suo collo e scuote la testa, nonostante sappia che il ragazzo ne ha bisogno.
 
Si dice che, quando il sole tramonterà davvero, quando avranno un momento di pace, gli dirà che lo ama. Gli dirà che è una persona che non si dimentica, una persona con tanti collegamenti, anche se non ha confini con nessuno.
Il collegamento più importante.
 
Il resto è agonia. Una lenta ed inesorabile fine, non improvvisa, non immediata, ma un degrado straziante, a cui si alternano crisi e momenti di pace, momenti in cui, a volte, si ritrova a pensare che potrebbero farcela davvero, potrebbero realmente sopravvivere, per dopo darsi dello stupido perché non è possibile, è solo una breve illusione.
 
Sente l'acqua nei polmoni e nella gola, l'acqua salata e gelida che gli impedisce ogni respiro. Per quanto tossisca, non riesce a buttare fuori nulla. Annaspa, finendo l'ossigeno a disposizione, tutto diventa scuro, le braccia e le gambe non lo sostengono più e, come ogni volta, si dice che è finita, è la volta buona, l'oscurità lo prenderà e non ci sarà più luce.
Riaprendo gli occhi, però, si sente circondato da braccia tremanti, deboli come le proprie ma terribilmente calde, ben intenzionate a tirarlo fuori ancora una volta dal buio.
È allo stesso tempo un tormento ed una benedizione, che l'islandese lo riporti sempre in vita. Allunga la sua agonia, ma, allo stesso tempo, riesce ad aiutarlo a mantenere la promessa silenziosa di restargli accanto.
“Non andartene.” sussurra Islanda, ferito ed egoista, ma anche fragile, triste, sensazioni che gli trasmette con uno sfiorarsi leggero e costante, come quello di due vecchi amanti che stanno per lasciarsi ma non lo desiderano davvero e si conoscono così bene da non avere bisogno di parole.
Amanti, loro, non lo sono mai stati. Il sole non è tramontato, ancora e Jan non vuole più dirgli che lo ama. Non avrebbe più senso, sarebbe troppo doloroso sopravvivere all'altro, ma altrettanto lasciarlo solo, ad affrontare quel sentimento mai completo, mai del tutto, per quanto si possa parlare di un amore anche quando Eirik lo trascina fino al letto, gli toglie il maglione e cerca di scaldarlo, le guance che sfregano sulle sue come se si trattasse di un animaletto, le lacrime che riescono a bagnarle brevemente, prima di asciugarsi per il calore eccessivo del suo corpo.
“Non me ne vado.” risponde, con voce chiara nonostante il tremore e la gola che brucia.
Niente gli impedisce di venir meno a quella promessa. Non le pochissime persone che ancora vivono sui loro territori, non il senso di responsabilità verso qualcosa di ormai morto.
Cerca di guardarlo negli occhi, ma il ragazzo li nasconde nel suo collo, come se temesse di non sembrare lo stesso, ora che dall'ametista stanno volgendo al vinaccia. Un segno della fine, anche questo. Manca poco, si dicono. Forse, in qualche modo, avranno modo di morire insieme.
“Jan...” la voce dell'islandese è tremante, ma la sua presa abbastanza salda da commuoverlo. “Grazie.”
Vorrebbe dirglielo, che ha trovato finalmente quel sentimento che ha a lungo cercato, lì, a chilometri da casa, quel sentimento che gli fa fare i pensieri più strani, che gli fa sperare di essere ritrovato, un giorno, come una statua di pietra abbracciata ad un'altra, una fratercula appollaiata in testa, un'immagine di una pace, di un'umanità che credeva non gli fosse destinata.
“Grazie.” gli dice invece, il letto scosso dal terremoto, le dita dell'islandese che sembrano volergli scavare nella carne, i singhiozzi che lo scuotono come le parole che, forse, anche lui non osa dire.
Gli solleva il mento e lo bacia lentamente, andando oltre il dolore ed il fumo che entra dalle finestre rotte, soltanto per un momento, prima di ripeterla, quella parola, con un sorriso e lasciarsi invadere dall'acqua.
Un sorriso sulle labbra, specchio di quello di Islanda.
   
 
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