“Vado a cambiarmi, aspettami nella hall,
così
andiamo a pranzo insieme!” disse Jeremy con un
sorriso prima di correre
nell’ascensore, giusto un attimo prima che si chiudesse.
Jennifer si morse un labbro sorridendo. Le faceva uno strano effetto
passare
tanto tempo insieme alla sua classe, considerando che aveva trascorso
tutti e
tre gli anni precedenti ad evitarli ed odiarli.
E Jeremy era tanto carino che per un attimo aveva pensato potesse
esserci
qualcosa sotto, magari uno scherzo di cattivo gusto o la voglia di
prenderla un
po’ in giro.
Però non l’aveva lasciata sola un secondo, e
sembrava che gli importasse
parecchio che si sentisse a suo agio con gli altri e con lui.
Si sedette su un divanetto della hall ad aspettare, osservando il via
vai di
gente che saliva e scendeva le scale e che correva nella sala pranzo.
L’ascensore si riaprì dopo qualche minuto, ma non
fu Jeremy ad uscirne, bensì
il professor Turner, da solo.
Jennifer si guardò intorno imbarazzata e vagamente
intimorita. La hall le
sembrò immediatamente troppo deserta.
Camminò
verso di lei sistemandosi la cravatta e le sorrise freddamente
sedendosi al suo
fianco.
“Come mai
non sei a pranzo, Winston?” domandò
ostentando una disinvoltura che sapeva di
presa in giro.
Jennifer si accigliò. “Aspetto Jeremy”
rispose, facendo il suo gioco.
“Jeremy?”
chiese Turner, non riuscendo a nascondere un velo di stupore.
“Non mi pareva
che foste amici” aggiunse cercando di
riprendersi.
“Non lo
siamo, infatti” fu la risposta spiccia e
noncurante di Jennifer.
Turner si
sforzò di sorridere, e posò una mano sul divano,
a pochi centimetri dalla sua
coscia, stavolta saggiamente coperta da un paio di jeans lunghi
attillati.
“E lei?
Come mai non è a pranzo?” chiese
Jennifer con la gola secca, evitando di
guardare la sua mano, che giocherellava con una scucitura del cuscino.
Immediatamente
ricordò le mani del suo professore che giocherellavano allo
stesso modo con
l’orlo dei suoi pantaloncini, giusto la sera prima.
“Veramente
cercavo proprio te” disse velocemente,
guardandola negli occhi. “Volevo
accertarmi che tu stessi bene…”
Jennifer
rise. “Perché
non dovrei?”
“Mi
riferisco a…”
“So
perfettamente a cosa si riferisce, sebbene io non lo capisca affatto”
lo
interruppe irritata.
Turner si
accigliò, ed entrambi si fissarono per un minuto che
sembrò infinito.
“Io…”
provò a dire Jennifer, furiosa. Aveva voglia di prenderlo a
pugni. Come osava
trattarla così? Aveva passato ore a piangere per una sua
frase stupida, per una
sua presa in giro gratuita. E ora? Dovevo voleva arrivare?
Intanto
le labbra del professore si facevano sempre più vicine, il
che consisteva un
grosso, grossissimo problema.
“Io…”
mormorò Turner, soffiando un po’ del suo fiato che
sapeva di fresco e menta
sulle sue labbra.
“Perché?”
sussurrò la ragazza, a pochi centimetri dal suo viso, gli
occhi socchiusi in
una smorfia concentrata e vagamente sofferente.
“Che cosa
vuole da me, si può sapere?”
Non ci fu bisogno di attendere una risposta, perché il
campanello
dell’ascensore in arrivo li fece sobbalzare, e in mezzo
secondo si ritrovarono
ai due lati del divano, a guardare in due direzioni opposte.
“Eccomi!”
esclamò allegro Jeremy correndo a prenderla per mano.
“Salve prof!”
aggiunse,
mentre la trascinava via, e gli sorrise facendogli
l’occhiolino.
Turner l’avrebbe volentieri scaraventato a terra, in quel
momento, ma si limitò
a forzare un sorriso.
Jennifer si voltò a guardarlo solo un secondo, mentre Jeremy
le parlava, ma lui
non ricambiò il suo sguardo. Li superò a passo
svelto e sparì oltre le porte
della sala da pranzo.
*
E con questo il mio turno è finito.
Spero che vi piaccia, anche se è solo di passaggio! Ora lascio la parola a Kei.
A presto (e come al solito grazie mille per le recensioni!) <3