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Autore: Belfagor    18/08/2012    0 recensioni
Dieci ragazzi si riuniscono a Dreadpeak Lodge, una lussuosa baita di montagna, ma non tutto andrà come previsto.
A cena, una voce rievocherà l'oscuro passato che li accomuna, per poi recitare un'inquietante filastrocca:
"Dieci piccoli indiani andarono a mangiar,
uno fece indigestione, solo nove ne restar
[...]
Solo, il povero indiano, in un bosco se ne andò,
ad un pino s’ impiccò e nessuno ne restò"

Ispirata a "Dieci Piccoli Indiani" di Agatha Christie, questa storia è scritta a quattro mani da U N Owen e Belfagor, il cui profilo è qui consultabile: http://www.efpfanfic.net/viewuser.php?uid=51754
Genere: Mistero, Suspence | Stato: completa
Tipo di coppia: Nessuna
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
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Dreadpeak Lodge - Cap. 2 Capitolo 2

Alle parole di Erin seguì il silenzio. Gli ospiti si scambiarono occhiate di sgomento. Desmond... morto?
Dover fu il primo a parlare. «Ma... ma com'è possibile? È caduto e...»
«Non credo» lo interruppe subito Erin «Questa ferita alla tempia sembra provocata da un oggetto contundente.» Facendo del proprio meglio per mantenere il controllo, la ragazza si avvicinò per controllare meglio la ferita. Improvvisamente, lanciò un grido e si allontanò dal corpo. «Si è mosso!» esclamò.
Gli altri ospiti guardarono il corpo di Desmond e, con loro grande sorpresa, videro che il corpo era scosso da un lieve tremito.
E poi Desmond si alzò.
Era vivo. E stava ridendo assieme ad Erin.
«Dovreste vedere le vostre facce!» esclamò divertito, mentre con un fazzoletto si puliva la tempia.
«Sei un idiota!» esclamò Isabel, dandogli una spinta.
«Mai quanto te, mia cara. Non sei nemmeno riuscita a riconoscere il sangue finto» rispose lui «Un bel trucco, eh?»
«Di pessimo gusto, come tuo solito» commentò Eveline, cercando di nascondere il fatto che Desmond fosse riuscito a spaventare anche lei.
«Se proprio volete incolpare qualcuno, prendetevela con il nostro ospite» replicò il ragazzo «Sono la prima vittima.»
«Il rappresentante americano è la prima vittima?» fu la replica divertita di Robert
«Questo Onym non sa attenersi ai cliché. E tu, Erin?»
«Io sono la complice della vittima» rispose lei, chiaramente divertita.
Nonostante lo spavento, nel gruppo stava tornando la tranquillità.
Gli ospiti decisero di cenare prima di proseguire ulteriormente con il gioco. La sala da pranzo era elegante come il resto del rifugio, il cibo si rivelò ottimo e James si era assicurato che non mancasse del vino per accompagnare degnamente la cena.
«E adesso che sei morto, cosa farai?» domandò Isabel a Desmond, distraendolo dal piatto che stava vuotando con una certa rapidità «Non dovrai anche fingere di decomporti, vero?»
Quella battuta macabra era tipica dello stile della ragazza. Desmond rispose:
«No, credo che qui i morti non staranno tanto fermi. James potrebbe pensare che non apprezziamo la sua ospitalità.»
«E allora sì che qualcuno potrebbe davvero morire» aggiunse James in tono ironico.
«Sarebbe comprensibile» replicò Eveline «Certe infrazioni al galateo dovrebbero essere punibili con la morte.»
«Anche vantare discendenze nobili che non si hanno» disse Robert in tono sardonico.
«Molto divertente, Robert» fu la risposta di Eveline, chiaramente infastidita «Ti ricordo che la mia discendenza è provata. E, in ogni caso, ho davvero troppa classe per prestare il fianco a questi commenti.»
«Sono anni che ti conosco, e non hai mai rinunciato ad una litigata
«Solo perché provo pietà nei tuoi confronti e lascio che tu ti conceda qualche meschino divertimento.»
«Per l'amor del cielo» li rimproverò Erin, che tuttavia era chiaramente divertita da quella discussione, non diversa da molte altre che aveva sentito nel corso degli anni fra quei due «Non vorrete uccidervi a vicenda e togliere questo piacere all'assassino, vero?»
«Non sia mai» commentò Eveline «Anche se forse ho già un'idea di chi potrebbe essere.»
Nonostante la tensione fra loro fosse chiara, Eveline e Robert non proseguirono nella loro guerra di frecciate e ripresero a mangiare.
«Speriamo solo che Onym non sia sorpreso dalla neve
» commentò Kurt, osservando il tempo che peggiorava fuori dalla finestra «Si perderebbe questa bella cena.» Era la prima battuta che faceva da quando erano arrivati. Nonostante tutto, in quell'atmosfera era riuscito a mettere da parte, anche se non completamente, ciò che lo aveva turbato.
«Io spero che la neve non blocchi noi qui dentro» disse Carl.
«C'è una rice-trasmittente per le emergenze» lo rassicurò James «E di sicuro non saremmo a corto di cibo, se venisse una tempesta. Manca solo il gatto delle nevi.»
Continuarono a mangiare, incuranti delle nubi grigie e minacciose che si stavano addensando nel cielo ormai scuro. In fondo, era una serata così piacevole. Nulla poteva andare storto.

Finita la cena, gli ospiti decisero di attendere l'arrivo di Onym in salotto. Fu di nuovo il momento delle chiacchiere e delle conversazioni frivole. James aprì una bottiglia di brandy, sicuramente molto costosa, e si versò da bere. Mentre Dover prendeva la bottiglia e riempiva il proprio bicchiere, vide qualcosa nella vetrinetta della credenza che attirò la sua attenzione.
«Avete visto quel centrotavola?» domandò agli altri invitati.
«Che bello» disse Alexis, aprendo la vetrinetta per osservarlo meglio «Ha l'aria antica, dev'essere un cimelio di famiglia
Su una base in legno nero erano disposte a cerchio dieci statuette di porcellana, ciascuna raffigurante un indiano munito di arco e frecce, pronto per una battuta di caccia.
«Devono essere i dieci piccoli indiani di cui parla la filastrocca che ho trovato in camera mia» osservò Erin.
«Ah, già» disse Kurt «Quella appesa al muro. C'è anche nella mia stanza.»
«E nella mia» disse Carl. Il resto degli ospiti gli fece eco.
«Dev'essere una filastrocca vittoriana» disse Dover «È così macabra.»
«Mia madre adora quel genere di filastrocche» spiegò James «Ha disseminato quella filastrocca un po' ovunque.»
«L'ho letta di sfuggita» disse Alexis «Com'è che fa? Dieci piccoli indiani...»
«... se ne andarono a mangiar, uno fece indigestione e solo nove ne restar» continuò Erin «E non lo biasimo, probabilmente anche lui è stato invitato a cena qui.»
«Probabile» commentò Alexis «E poi continua finché non sono morti tutti gli indiani, giusto?»
«Esatto» confermò Erin «Un piccolo indiano in un bosco se ne andò, ad un albero s'impiccò e nessuno più restò.»
«Sì, tipicamente vittoriana» disse Dover.
«Forse la recitava anche la madre di Jack lo Squartatore» commentò Isabel.
Robert diede un'occhiata all'orologio.
«Sono le dieci e Onym non è ancora arrivato. Che ne dite di proseguire con il gioco?»
«Sì, mi sembra una buona idea» disse Carl.
Accanto al lettore CD
posizionato sotto la televisione si trovava una busta con la dicitura "Istruzioni". Carl la aprì ed estrasse un CD, che inserì nel lettore. Quando premette il tasto "Play", nella sala cadde il silenzio.
Per loro grande sorpresa, la prima cosa che sentirono gli ospiti fu un coro di voci, probabilmente di bambini, che cantava proprio la filastrocca dei dieci piccoli indiani. Sebbene ci avessero appena scherzato sopra, quella canzoncina aveva qualcosa di inquietante, e tutti si sentirono più tranquilli quando terminò l'ultimo verso. Rimasero in silenzio, in attesa delle istruzioni. E fu in quel momento che udirono la voce. Una voce distorta, metallica, inumana.
«Signore e signori! Il vostro anfitrione, il signor Onym, vi dà il benvenuto a Dreadpeak Lodge.
»
«Che strano» commentò James in modo sarcastico «Credevo di essere io il padrone di casa.»
«Tutti voi siete stati invitati per un motivo ben preciso, e non si tratta del gioco che pensate.»
Gli ospiti si guardarono l'un l'altro, senza capire il significato di quell'ultima frase.
«Siete stati riuniti qui, isolati dal resto del mondo, per rispondere delle accuse riguardo al vostro coinvolgimento nello scherzo che ha portato alla morte di Wesley Harrow.»
A quel nome, nella sala calò un silenzio di tomba. Nessuno degli ospiti si mosse, erano tutti paralizzati dalla paura.
«Siete accusati delle seguenti colpe:
Alexis Katherine Griffin, di aver organizzato lo scherzo per mettere in ridicolo Wesley, senza curarsi delle conseguenze.
Robert Wilson Scrapers, di essersi assicurato che ogni cosa andasse secondo i piani, e di non aver interrotto lo scherzo pur sapendo che era ormai degenerato.
Isabel Celia Rodriguez, di aver condotto la vittima nel luogo designato, fungendo da esca.
Kurt Raymond Aldrich, di aver sfruttato la propria amicizia con Wesley per assicurarsi che fosse nel posto giusto al momento giusto
per lo scherzo senza sospettare nulla.
Dover William O'Scolaidhe, di aver tenuto nascosti i dettagli dello scherzo a orecchie indiscrete e di non aver avvertito Wesley, pur avendone la possibilità.
Erin Alma van de Logt, di aver partecipato allo scherzo al fine di avere una scusa per lasciare Wesley, in quanto lo tradiva già da tempo.
Desmond Ryan Flake, di aver sedotto Erin e di aver fatto sparire le prove dopo la morte di Wesley.
Carl Henry Kundren, di aver agito da palo, evitando che qualcuno potesse interrompere lo scherzo.
Eveline Sophie de Dispaire, di aver ingannato Wesley, convincendolo a presentarsi nel luogo stabilito.
James Lucas Conquest, di aver costretto tutti al silenzio e di aver sfruttato l'influenza della propria famiglia per assicurarsi che questo crimine restasse impunito.
Imputati alla sbarra, avete qualcosa da dire in vostra difesa?»

Il silenzio fu rotto da un rumore sordo. Erin aveva perso i sensi ed era caduta sulla poltrona. Questo fu sufficiente a scatenare il panico nella stanza. Finalmente, James alzò la voce ed esclamò:
«Silenzio! Silenzio, ho detto!»
Tutti tacquero, mentre Isabel si assicurava che Erin stesse bene e la faceva sedere sulla poltrona. Carl porse alla ragazza un bicchiere di brandy. Erin bevve con un'espressione disgustata e cercò di ricomporsi.
«Vorrei sapere chi è stato!» esclamò Eveline, che era impallidita e stava tremando di rabbia mista a paura. Si rivolse a James con voce accusatoria: «Sei stato tu!»
«Certo che no!» esclamò James, altrettanto arrabbiato «Credi che sia pazzo?»
«E allora chi è stato?»
«Onym, è chiaro» commentò Dover «Forse pensa che questo faccia parte di un gioco.»
«Onym... al diavolo!» disse Alexis «Scommetto che non è nemmeno il suo vero nome. Ci ha ingannati!»
«Io sono sicuro che non sia il suo vero nome» disse Robert, che, nonostante il caos, non si era scomposto più di tanto.
«Come dici?» gli domandò Alexis.
«Pensateci» spiegò il ragazzo «Quanti di noi hanno mai visto di persona il mittente di quelle lettere.?»
Nessuno rispose,
neppure James, così Robert continuò: «Sapevo che c'era qualcosa di strano in quel nome, ma non ci ho fatto caso. Ma ora ho capito. Arthur Norman Onym... ovvero A.N. Onym. Anonimo
«Un pazzo, ecco chi è!» disse Carl «Un pazzo figlio di puttana!»
«Chiunque fosse» disse Dover, pallido e con voce incerta «È chiaro che non possiamo stare qui.»
«Dovremmo chiamare la polizia» disse Kurt.
«Sì, Kurt, proprio un'ottima idea» replicò James, visibilmente alterato «Chiamiamo la polizia e facciamo aprire un'indagine su quello che è successo a Wesley! Ottima pensata! Così Onym potrà farci visita in prigione.»
«E allora cosa vorresti fare?» domandò Kurt, alzando la voce «Aspettare che Onym ci faccia fare la stessa fine che ha fatto Wes?»
Robert decise che era arrivato il momento di prendere il controllo della situazione. «Calmatevi» disse «James ha ragione: non possiamo andare dalla polizia con quel CD. D'altro canto, se ci presentassimo a mani vuote, non avremmo nulla con cui accusare Onym. Io suggerisco di restare qui, aspettare che arrivi Onym e convincerlo a tacere, in un modo o nell'altro. Siamo dieci contro uno, dopotutto.»
Il resto del gruppo rimase a ponderare in silenzio su quella proposta. Si trovavano in una situazione di pericolo, questo era ovvio. Ma era altrettanto ovvio che rivolgersi alla polizia avrebbe significato più problemi per loro che non per il loro fantomatico ospite. Finalmente, Eveline disse:
«Io ci sto.»
Erin le rivolse uno sguardo sconcertato.
«Vuoi davvero restare qui in balìa di quel pazzo?»
«Sì, se l'alternativa è finire in prigione» rispose Eveline «Ce la siamo già cavata una volta, e allora c'erano molte più prove contro di noi.»
«Penso che abbia ragione» disse Carl.
«Non abbiamo una grande possibilità di scelta» convenne Desmond «Se qualcuno deve andare a fondo, meglio che sia questo Onym.»
Vincendo l'indecisione, Isabel disse: «Anch'io voto per restare qui.»
«Anch'io» si aggiunse Dover, seppur con un'espressione di disgusto che affiorava sul suo volto.
Alexis annuì per dare il proprio assenso. «Kurt?» chiese.
«E va bene» sbuffò il ragazzo «Potreste uccidere anche me se non fossi d'accordo.»
«Non crederti tanto superiore» replicò James «Siamo tutti sulla stessa barca.»
Erin scosse la testa. «È un incubo» disse «Ma in questo caso è meglio essere uniti. Ci sto.»
«Bene» disse Robert, soddisfatto «Propongo di andare a dormire. Domattina decideremo cosa fare. In ogni caso, Onym non può raggiungerci.»
«Ho bisogno di bere qualcosa» disse Eveline, prendendo la bottiglia di brandy.
«Sì, anch'io» disse Carl, vuotando il proprio bicchiere, che era rimasto pieno per metà. Subito dopo aver deglutito, iniziò a tossire. Inizialmente pensò che il liquore gli fosse andato di traverso, ma poi gli altri ospiti videro che Carl stava diventando paonazzo.
«Se questo è uno scherzo, non è divertente» commentò Erin, memore del tiro mancino di Desmond.
«Andiamo, Carl» lo rimproverò Dover «Non è il momento per scherzi come questo.»
Ma Carl non stava fingendo. Il colpi di tosse divennero sempre più rapidi e spasmodici. La faccia era rossa e bagnata di sudore, gli occhi iniettati di sangue.
«Una reazione allergica!» esclamò Isabel. Senza esitare, iniziò a frugare nelle tasche di Carl, cercando anche di tenerlo fermo, per trovare la fiala di adrenalina da iniettare. Ma non trovò nulla. «Cercate in camera sua!» disse agli altri «Dev'esserci una fiala, una siringa, qualcosa!»
Ma gli sforzi furono vani. Dalla gola di Carl fuoriuscì un suono strozzato e il ragazzo collassò sul tavolo. Il suo corpo fu percorso dagli ultimi spasmi, e poi rimase immobile.
Isabel si chinò sul ragazzo, tastando il polso per cercare il battito. Poi si rialzò e, in tono grave, disse:
«È morto.»
  
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