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Autore: Bellatrix29    18/08/2012    4 recensioni
Basta poco per rendere una serata memorabile. Per cambiare le sorti di un’amicizia. Per stravolgere gli equilibri di un rapporto. Ci vuole coraggio, molto coraggio, ma basta poco.
[Partecipa al contest 'Alla luce delle stelle' indetto da Fanfic Originali Yaoi]
Genere: Introspettivo, Romantico | Stato: completa
Tipo di coppia: Slash
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno | Contesto: Contesto generale/vago
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Chiedo fin d’ora perdono per il linguaggio, ma i protagonisti sono due ragazzi normali, quindi mi sembrava altamente improbabile che non usassero parolacce e un po’ di gergo :3
Ehm, non so se lo sapete o se anche dalle vostre parti si dice così, ma in quel di Brescia ‘fare su’ significa rollare uno spinello.
 
Buona Lettura ^^

 
 
 

BASTA POCO




 

Scese gli ultimi gradini e si diresse verso l’ingresso.
Infilò le chiavi di casa nel borsone che portava a tracolla e ne estrasse il fedele I-Pod.

“Mamma esco!” Gridò rivolto verso la cucina.

“Dove vai?” Ecco. Ogni sera la stessa storia. Dove vai, con chi vai e non fare tardi. A volte si chiedeva se la madre ascoltasse veramente le sue risposte, oppure se le bastasse porgergli quelle domande per tacitare la propria coscienza e concedersi il lusso di considerarsi un genitore modello.

“Vado da Alex” urlò in risposta “E non faccio tardi” concluse.

Si mise gli auricolari e uscì in strada. Lo accolse una calda serata di fine luglio. Un venticello dispettoso gli spettinò i capelli biondo cenere.
Si avviò a passo spedito verso la casa dell’amico.

Amico. Bastava ancora quella parola così generica per descrivere Alex? Il ragazzo ne dubitava. Erano compagni di classe dalle elementari, e il fato li aveva fatti sedere vicini il primo giorno di scuola, due bambini spaventati dall’ inizio di una nuova grande avventura, come l’aveva definita la loro insegnante di allora. Si riferiva al percorso scolastico e, perché no, anche alla vita. E loro due si erano scelti, e, da quel giorno, non si erano più separati.

Prese il telefonino e mandò un messaggio all’amico, come sempre. Non gli serviva prestare attenzione a dove stesse andando, conosceva il tragitto talmente bene che avrebbe potuto percorrerlo ad occhi chiusi.
Venne raggiunto poco dopo. Era sempre così tra loro. Nessuno dei due compiva tutto il percorso, si andavano sempre incontro. Il ragazzo sospirò. I suoi sentimenti per Alex erano così confusi ed intrecciati che sperava fortemente che l’amico gli andasse incontro anche quella volta.

“Ehi Dylan!” lo salutò il ragazzo

“Ciao” rispose, togliendosi gli auricolari “che si fa?”

“Beh, io ho ancora un po’ d’erba” ammiccò “potremmo andare  dietro casa mia...”

Dylan scosse la testa divertito. Alex non sarebbe mai cambiato. Sorrise ed annuì.
I due si incamminarono verso una delle loro mete preferite, una piccola ed inutile rotondina nel quartiere residenziale dove viveva Alex.

“Tua madre ha svolto il rituale?” Chiese il ragazzo con fare cospiratorio.

“Come sempre” sorrise Dylan.

Dovevaiconchivainonfaretardi” recitò Alex tutto d’un fiato e i due scoppiarono a ridere, complici.

“No cazzo, c’è il lampione acceso!” esclamò il biondo quando arrivarono alla rotonda e scoprirono che era stranamente illuminata.

“Che palle, proprio ‘stasera dovevano aggiustarlo?” Aggiunse Alex.

“Dove andiamo? Io ho voglia di fumare!” Si lamentò Dylan.

“Mmm... potremmo andare nei campi vicino alla ferrovia. Che dici?” Chiese il ragazzo.

Dylan ci pensò su un momento prima di rispondere “Si può fare, tanto il salviettone ce l’ho dietro!”

Alex scoppiò a ridere “Cazzo se sei delicato, potresti anche fare uno sforzo e sdraiarti sull’asfalto!”

“Ridi, ridi deficiente... vorrà dire che tu starai per terra!” Alex non era troppo felice di quella prospettiva: un conto era stare sul marciapiede, un altro era sdraiarsi in
un campo. Rabbrividì all’idea e decise di farsi perdonare. Abbracciò l’amico mingherlino.

“Oh dai, per favore, non puoi lasciarmi per terra, ci sono gli insetti e l’erba secca punge!” Si lamentò come un bambino.

“Sì che posso, così impari a prendermi per il culo!” Arrossì lievemente per il doppio senso delle proprie parole. Fortunatamente, Alex sembrò non farci caso, impegnato com’era a strattonargli il borsone.

“Alex, piantala!” Cercò di difendersi dagli attacchi dell’amico.

“Non rompere e molla il borsone!” Alex non demordeva.

“Ma è mio!” Rispose Dylan, un po’ infantile. L’altro scoppiò a ridere.

“Dylan fa i capricci, Dylan fa i capricci!” Cantilenò. Lasciò la presa sul borsone, che tornò in pieno possesso del proprietario. Dylan gli lanciò un’occhiataccia.

“Mamma mia, che spavento(1)!” I due scoppiarono nuovamente a ridere. Si incamminarono verso la nuova destinazione, dove giunsero qualche minuto dopo.
Dylan stese il contesissimo salviettone e si affrettò a sdraiarcisi sopra. Alex sbuffò, un po’ imbronciato, per poi accucciarsi nell’angolino lasciato libero dall’amico.

“Fai su tu o ci penso io?” Chiese. Dylan era impegnato a guardare il cielo stellato e non distolse gli occhi quando rispose:

“Fai tu, lo sai che a me escono sempre troppo larghe”

“Bella scusa. Dammi una mano almeno, fai su il filtro!” ribatté, passando all’amico un biglietto dell’autobus usato.

Dylan si sedette e si apprestò a fare quanto gli era stato chiesto. Di tanto in tanto, lanciava un’occhiata per controllare l’operato di Alex. Le sue mani erano abili e svelte. Si ritrovò a pensare a cos’altro potessero fare e se sarebbero state altrettanto abili. Arrossì per la direzione presa dai propri pensieri e si affrettò a cercare un argomento di conversazione per rompere il silenzio che si era venuto a creare.

“La luna è favolosa ‘stasera.” Oddio. Aveva davvero detto ‘favolosa’? La parola da checca per eccellenza? Si prese mentalmente a calci da solo. Alex sogghignò.

“Tu e le tue stronzate astronomiche. Cosa vuoi che mi freghi della luna?” chiese. Dylan gli rispose facendogli la linguaccia.

“Tieni” disse, imbronciato, allungandogli il filtro appena preparato.

“Perfetto.” Alex finì di preparare lo spinello

“Chi lo accende?” Chiese, ma ricevette solo un’alzata di spalle come risposta.

“Va bene, ci penso io.” Aspirò il primo tiro, godendosi la sensazione di bruciore che gli si diffuse nella gola. Espirò una piccola nube di fumo bianco e denso. Dylan inclinò la testa di lato, aspettando il suo verdetto. Alex sorrise, chiudendo gli occhi.

“Strepitoso, cazzo.” Lo porse all’amico, che confermò la sua entusiastica opinione poco dopo.

Dopo alcuni tiri, Dylan dovette sdraiarsi. Gli girava la testa e non riusciva a sopprimere il sorriso idiota che aveva stampato in faccia.
Alex ridacchiava tra sé, perso in pensieri divertenti unicamente per lui. Si arrese e si sdraiò accanto all’altro. I due non riuscivano a guardarsi senza scoppiare a ridere, quindi optarono per puntare gli occhi verso il cielo sopra di loro.
Non c’erano nubi, le costellazioni erano esposte, nude spettatrici silenziose della vita sulla Terra.

“Dylan!” Lo chiamò.

“Che vuoi?” Rispose l’altro.

“Facciamo un gioco?” Dylan si voltò a guardare l’amico con un’espressione che avrebbe dovuto essere interrogativa.

“Facciamo che uniamo le stelle e ci inventiamo le costellazioni. Chi inventa quella più originale vince!” Alex espose la propria idea geniale con il volto acceso per l’entusiasmo.

“Ci sto!” Dylan decise di lasciarsi trascinare dalla nuova follia dell’amico.

“Ecco, guarda quelle, per esempio” esordì Alex, indicando alcune stelle “Se le unisci così” continuò facendo strani segni con il dito puntato verso il cielo

“Sembrano un dildo!” concluse, ridacchiando.
Dylan gli lanciò un’occhiata perplessa.

“Scusa, ma perché proprio un dildo?” Chiese.

“Beh, perché non ci sono le stelle per formare le palle!” Spiegò, come se si trattasse di una cosa ovvia. A volte Dylan non ci arrivava proprio.

“Ma perché proprio un dildo? E non un vibratore, ad esempio?” Obbiettò ancora il biondo.

“Ma sei scemo? Ti pare che vibrino? No, quindi è un dildo!” Dylan si arrese alla logica inconfutabile di quel ragionamento.

“Va bene, hai ragione. Tocca a me, allora.” Concentrò il proprio sguardo verso la volta celeste, alla ricerca di forme strane formate da quei puntini luminosi. Impiegò diversi minuti, ma niente riusciva a catturare del tutto la sua attenzione.

“Sai una cosa, Alex?” Chiese, lievemente preoccupato. L’amico rispose con un mugugno.

“Le stelle si muovono. Davvero, guardale, si spostano!” Continuò, indicando il cielo.

“Dylan, sarà un aereo!” Rispose Alex, ridacchiando.

“Ma no, le luci degli aerei lampeggiano!” Ribatté Dylan abbastanza convinto.

“Forse hai ragione” disse Alex pensieroso.

La sua mente, confusa, si era già distratta dal gioco che lui stesso aveva ideato. La meravigliosa vista del cielo stellato sopra di lui non era abbastanza intrigante da assorbire completamente la sua attenzione ed impedirgli di lanciare brevi occhiate al ragazzo disteso accanto a lui.
Era bellissimo, semplicemente bellissimo. Conosceva il suo profilo a memoria, eppure non riusciva a saziarsi di quella vista. Il naso pronunciato e dritto, le labbra piccole e perennemente arrossate, per via del suo vizio di mordicchiarsele. Gli occhi scuri, circondati da lunghe ciglia bionde, di pochi toni più scure dei capelli. Quante volte si era preso gioco delle sue ciglia così femminili? Più di metà delle loro compagne di classe gliele invidiavano.

Non era solo il suo viso ad essere bellissimo. Tutto in Dylan lo era. Piccolino, pallido e magrolino. Emaciato quasi. Anche la sua eccessiva magrezza era motivo di invidia per quelle befane delle loro compagne. E di sfottò da parte dei ragazzi. Dylan ci era talmente abituato che non faceva più caso a nessuno di loro. Alex aveva smesso da tempo di fare commenti sul suo peso, sapendo benissimo quanto mangiasse quel folletto ossuto. Dannazione, mangiava più di lui, eppure sembrava che tutto gli scivolasse addosso, gli insulti, i complimenti e il cibo.

Da qualche mese, ormai, si sentiva confuso riguardo i sentimenti che provava nei suoi confronti. Si erano evoluti, in un certo senso, e non riusciva a spiegarsi come e quando questo fosse successo. A lui sembrava che non fosse cambiato nulla, ma si rendeva conto che in alcuni momenti era difficile stare accanto all’amico con la stessa innocenza con cui ci stava prima. Immagini poco caste gli riempivano la mente e affollavano i suoi sogni. Viveva con l’ansia che Dylan potesse scoprirlo e allontanarlo. Non poteva pensare ad una vita senza il proprio migliore amico, quindi era abbastanza deciso ad evitare qualsiasi gesto o parola che potesse essere fraintendibile. Questo, tuttavia, comportava la perdita della naturalezza e della spontaneità che avevano sempre caratterizzato il loro rapporto.

“Alex?” La voce dell’altro lo raggiunse nei meandri in cui si era perso inseguendo il flusso propri dei pensieri. Si voltò verso di lui, intimamente felice di avere una ragione per guardarlo senza doversi nascondere.

“Penso di aver trovato la mia costellazione” continuò Dylan, sorridente “Guarda” disse, indicando il cielo “Se le unisci tutte, ma proprio tutte, sembra di guardare una bandiera americana, e siccome si muovono, sembra addirittura che sventoli” concluse felice.

“Ma Dylan, non vale! Non puoi unire le stelle a caso!” Si lamentò Alex.

“Pensavo fosse questo lo scopo del gioco!” Ribatté l’altro, piccato. L’amico scoppiò a ridere.

“’Fanculo” esclamò e gli fece una linguaccia “Tanto era molto più originale il mio!”

“Ma smettila! Cosa c’è di originale in un pisello senza palle?” Chiese Dylan

“Hai mai visto un pisello senza palle?” Rispose l’altro. Dylan arrossì.

“N-no” balbettò.

“Ecco. Quindi ho vinto!” Concluse Alex soddisfatto.

Tra i due scese il silenzio. Si persero, ognuno inseguendo i propri pensieri, ad osservare il cielo stellato, silenzioso spettatore di un momento tutto loro, uno come ce n’erano stati tanti altri nel corso degli anni. Loro due, soli, la cui compagnia reciproca era sufficiente.

Loro due, piccoli codardi, incapaci di muovere quell’ultimo passo, incapaci di esprimere a parole ciò che provavano l’uno per l’altro. Bloccati dietro una sottile patina di amicizia, cristallizzati in quello strano gioco di ruolo di cui non riuscivano a liberarsi.
Incapaci, o forse troppo spaventati all’idea che tutto potesse cambiare, che la loro amicizia non sarebbe più stata la stessa.
In piedi, di fronte ad un baratro, in cui non trovavano il coraggio di buttarsi. Inconsapevoli del fatto che l’altro fosse nello stesso punto, anch’egli in preda agli stessi dubbi e alla stessa angoscia.

Perché è difficile lasciarsi andare, abbandonare il comodo e caldo rifugio dell’amicizia e provare ad avere qualcosa in più, qualcosa di così disperatamente desiderato da lasciarti senza fiato, da non dormirci la notte, da non farti vedere niente’altro e nessun altro. Perché c’è solo lui, ma come fai a dirlo ad alta voce? Come fai a rischiare tutto?

Basta poco. Allunga la mano e prendi la sua. E saltate insieme, verso l’ignoto, incuranti dei dubbi e delle paure, dei pregiudizi e dei commenti. Gli altri ci saranno sempre, vi giudicheranno e ci sarà chi vi condannerà. Ma non ne vale forse la pena? Rischiare ed osare, prendervi ciò che volete e lasciar perdere il resto.
Abbassare le maschere, dichiarare la resa e vincere tutto.

“Dylan?” La voce di Alex lo riscosse dalla leggera sonnolenza in cui stava cadendo.

“Dimmi” mugugnò.

“Noi saremo amici per sempre, vero?” Chiese Alex, un po’ insicuro.
Dylan si voltò verso di lui, sorpreso da quella domanda. Per un attimo temette che l’amico avesse intuito qualcosa dei suoi sentimenti.

“Certo” rispose sorridendo, cercando di rassicurarlo e di rassicurare se stesso.

“Qualunque cosa accada?” Chiese ancora.

Dylan guardò verso il cielo, prendendosi una manciata di secondi prima tornare a guardare il viso dell’amico e di rispondere:

“Qualunque cosa accada.”

Alex si sporse verso l’amico, terrorizzato e stupito da se stesso, e gli pose un bacio delicato sull’angolo della bocca. Si allontanò, in modo da dare all’altro la possibilità di metabolizzare il suo gesto.
Dylan sgranò gli occhi, incredulo. Fissò lo sguardo sul volto di Alex, che arrossì mordendosi il labbro inferiore.

Per un attimo, Dylan lo invidiò.

Invidiò quel poco di coraggio che l’amico era riuscito a racimolare.

Invidiò il passo in avanti che Alex era riuscito a compiere.

Per un attimo.

Poi gli si avvicinò fino a posare la sua bocca su quella dell’altro, tenendo gli occhi aperti, per studiare la benché minima reazione di Alex.
Non ve ne furono. Non negative, almeno. Alex sospirò sulle sue labbra chiudendo gli occhi. Lo abbracciò lasciandosi cadere all’indietro e trascinandolo sopra di sé.

Le stelle furono le uniche spettatrici di quei primi timidi baci, così sospirati e stupidamente rimandati.

Quella sera vide la fine di un’amicizia e l’inizio di un amore, perché, davvero, bastava poco.
 






Note finali:

1 Citazione di Ciuchino, dal film d’animazione Shrek

   
 
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