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Autore: CowgirlSara    18/08/2012    3 recensioni
Un cavaliere e la sua investitura. Un sogno. Un ricordo. O soltanto un ragazzo senza passato che cerca il suo futuro.
"Ti ricordi il giorno in cui sei arrivato lì? Era novembre, ma sembrava primavera. Il mare era blu e verde, come nelle cartoline. Tutto sembrava così… vivo."
Genere: Generale, Introspettivo | Stato: completa
Tipo di coppia: non specificato | Personaggi: Scorpion Milo
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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Burn
E' davvero tanto tempo che manco da questo fandom, anni penso. Mi è mancato *_* Ed è anche tanto tempo che questa storia candisce nel mio pc. Dopo varie revisioni, tagli e rimaneggiamenti, mi sono decisa a pubblicarla. Non so nemmeno dove volevo andare a parare, ma tutto sommato sembra che abbia un po' di senso... Sta a voi farmi sapere quanto.

Un grazie enorme a Margherita, perchè ha riacceso in me le dodici fiammelle dello zodiaco (e ci siamo anche un po' bruciacchiate... XD).

I personaggi usati appartengono ai loro legittimi autori e sono usati senza scopo di lucro.

Leggete e lasciante un commentino!
Un bacio
Sara

- Burn -


Senti il tuo corpo bruciare.

Pensa all’acqua, è fredda.

Le punture ti arrivano al cuore come mille spilli incandescenti.

Pensa che mancano solo pochi passi e la raggiungerai.

Gli scorpioni sono ovunque e non hanno pietà.

Pensa che ti basta allungare la mano e lei sarà tua.

Senti che potresti non farcela.

Pensa che lei aspetta solo te.

Le gambe ormai non le senti più.

Ma senti lei, ti sta chiamando, vuole solo te.

Hai ancora le braccia?
Basta un dito per toccarla.


E poi hai visto la luce invadere ogni cosa
e hai sentito il potere attraversarti
e hai raggiunto le quindici stelle
e poi sei caduto.
Nel buio, nel silenzio.
Finalmente.



Ti ricordi il giorno in cui sei arrivato lì? Era novembre, ma sembrava primavera. Il mare era blu e verde, come nelle cartoline. Tutto sembrava così… vivo.
E lui, te lo ricordi? Sembrava un innocuo pescatore di mezza età con un’ispida barba brizzolata e la pelle bruciata dal sole. Ma bastava guardarlo negli occhi per capire che innocuo non era per niente. Il suo nome da saint era Lyca, cavaliere d’argento della Spada di Orione, ma sull’isola lo conoscevano tutti come Petros delle reti.
Cosa provasti allora? Fastidio. Perché avevi lasciato un luogo che odiavi, per arrivare in un altro dove ti avrebbero chiesto nuovi sacrifici, nuovo dolore, imposto nuove regole. E tu, delle regole, ne avevi abbastanza.

E poi c’era stata la faccenda del medaglione.
Petros ti aveva guardato negli occhi, all’inizio. E tu avevi risposto con la solita arroganza. Lui aveva fatto un sorrisetto che sembrava voler dire che ti avrebbe cancellato la boria a suon di calci, poi aveva abbassato gli occhi. Ti era sembrato sorpreso, in quel momento.
La sua mano si era alzata e tu non avevi fatto in tempo a fermarla, mentre ti strappava dal collo il medaglione. Quel ciondolo che avevi portato tutta la vita. Adesso eri tu ad essere sorpreso.
“Non hai il diritto di portare questo.” Aveva dichiarato burbero l’uomo.
“Perché?!” Avevi chiesto tu, indignato e offeso.
“Conquista l’armatura e potrai riaverlo.” Era stata la risposta, mentre Petros si allontanava. “Solo allora, non prima.”
E tu eri rimasto lì, con gli altri ragazzi mandati a cercare di prendersi le sacre vestigia. Ma con una certezza in più: l’armatura sarebbe stata tua, perché il medaglione era tuo e lo rivolevi.
Agathe, la figlia di Petros, poi ti aveva spiegato perché eri stato privato di un oggetto tanto caro: sembrava proprio che quello fosse il sacro gioiello che accompagna le vestigia dello Scorpione. E i dubbi si erano affollati nella tua giovane mente.

Perché, se il medaglione era così importante, lo avevi tu?

Lo avevi sempre posseduto, fin da quando avevi memoria.

Come ne eri entrato in possesso?

Ma non avevi tempo di rispondere a quelle domande. Il tempo incalzava. Le prove si susseguivano. Avevi pochissimi momenti di pace in cui poter pensare, rilassarti.

Quando non eri impegnato in allenamenti devastanti o in prove ai limiti delle possibilità umane, scappavi a casa di Agathe.
Lei era una giovane donna spigolosa e dura come uno scoglio, dallo spirito sottile e sarcastico, simile al tuo, forse per quello l’hai sempre amata tanto. Mai stata una gran cuoca, devi ammetterlo, ma la sua lingua affilata ed il suo carattere indomabile te l’avevano fatta apprezzare fin da subito. Amavi parlare con lei.
Certo, ti mancavano i piatti prelibati di Danae(*). Nessuno cucinava come quella donna!
Non di certo Agathe, che stentava anche a fare un uovo al tegamino… Chissà come aveva tirato su sua figlia Penelope, a forza di omogeneizzati, di sicuro.
Ma era sempre stato così bello passare il tempo con lei. Parlare e ridere. Andare a pescare. Confrontarsi su quello che ti succedeva.
Agathe ha sempre capito. Perché anche lei era stata addestrata per diventare un cavaliere. Poi si era innamorata, era rimasta incinta e l’armatura era diventata l’ultimo dei suoi pensieri. Il ricordo degli allenamenti, della sofferenza fisica e morale, delle umiliazioni, però era rimasto.
Era stata un’amica preziosa, fondamentale per riuscire a superare quell’anno terribile e meraviglioso insieme, che ti aveva reso un uomo, dal ragazzo che eri al tuo arrivo.

E il tempo era passato così. Un tiepido inverno era stato sostituito da una splendente primavera e un’estate sfolgorante le era succeduta.
E tu sputavi sangue negli allenamenti, soffrivi nelle prove, arrancavi nello studio… e facevi il rubacuori con le ragazzine del paese.

Ti ricordi quelle ventiquattro ore sullo scoglio? Era una giornata torrida, il sole era impietoso e tu avevi dovuto imparare a conoscerlo, perché non potevi sfuggirgli. L’acqua salata bruciava su ogni graffio, ma era l’unica cosa che avevi intorno. Ne eri uscito distrutto, ma non avevi mollato. Avevi un obiettivo, tu. E non ti era sfuggito lo sguardo sorpreso ma orgoglioso del maestro, quando aveva scoperto che solo tu avevi superato la prova.

E ti ricordi la piccola Myra? Quanto le piaceva fare la sciocchina, quando ti vedeva. E a te piaceva approfittarti dell’effetto che le facevano i tuoi begli occhioni ed il tuo sorriso ironico. Sì, te li ricordi i baci rubati dietro la darsena e i suoi seni bianchi…

Ricordi anche Aristotele e Omero, Socrate e Platone, Euripide… I grossi tomi che avevano odore di biblioteca e ti ricordavano Nikolais(*). Rammenti le parole, i versi, le gesta degli eroi, i capricci degli dei, i travagli degli uomini…

Senti un brivido percorrerti. All’improvviso risveglia il dolore.

Da quanto tempo stai dormendo?
E poi… Stai davvero dormendo?
O, forse, sei morto…
Il veleno era troppo. Troppa tutta quella luce.

Non ti sembra di essere morto, però.
Ti sembra di sognare, invece. È dolce questo tepore che ti avvolge.
Ti piacciono il buio ed il silenzio, dopo tanta luce, dopo il rumore assordante del potere delle stelle.
E poi ti senti leggero e pulito, come se prima, nella grotta, tu avessi avuto addosso un gran peso e non solo sulle spalle.



Lasci andare i pensieri, li lasci scomparire nell’ombra.
Vuoi riposare, ancora…




Quando una fitta di dolore ritorna ti sembra che sia passato del tempo, ma non puoi esserne sicuro. Cerchi nuovamente di deviare l’attenzione.

Pensi al cielo azzurro che c’era il giorno in cui Petros vi ha detto che eravate pronti.
Tutto ciò che riuscivi a pensare era: “Finalmente!”
Non pensavi a quanto dura sarebbe stata la prova, al numero degli scorpioni nel tempio di Orione, a cosa ci sarebbe stato tra te e le sacre vestigia. Volevi solo combattere, vincere e riavere il medaglione.

Oh, non avevi idea di quale responsabilità fosse diventare un Cavaliere!
Eppure te lo avevano insegnato.
Non t’importava.
Solo riavere quello che era tuo contava.

Hai combattuto come mai prima, senza guardare in faccia nessuno. Tanto non ti era mai importato molto degli altri pretendenti all’armatura. Non ti stavano neanche tanto simpatici. Era come se tu sapessi, in qualche modo, di essergli superiore.

“Noi siamo la cerchia dei guerrieri eletti, per entrarci devi essere migliore degli altri.” Ti ricordava sempre Camus.

E tu volevi esserlo. Sentivi di esserlo.

Non hai tutt’ora idea di come e quanto, in cosa, dovresti essere migliore. Hai solo quindici anni.

Ma la prima battaglia senti di averla vinta.
Perché gli scontri diretti con i tuoi avversari li hai vinti. E la prova finale l’hai superata. E nel tempio di Orione ci sei entrato.

E hai affrontato gli scorpioni.

Gli stessi che avevano segnato la fine del gigante cacciatore Orione, il cui tempio era ora custode delle sacre vestigia.

Ti era stato insegnato a sopportare il veleno, ma hai capito subito che quello che sapevi non era abbastanza. Non quando gli insetti sono così tanti. Sono loro i veri guardiani dell’armatura.

La prima puntura ti era arrivata al cuore come un’acuta e gelida nota di violino penetra nelle orecchie. Le altre si sono aggiunte troppo velocemente per aver tempo di reagire.

Ma poi hai visto lei.

E quando hai sentito la sua voce niente è importato più.
E quando hai capito che voleva te, solo te, ti sei sentito potente.
Niente era mai stato così bello, nella tua vita.
Niente più veleno. Niente più dolore. Umiliazioni. Privazioni. Solitudine.
Solo Lei.
E poi l’hai toccata per la prima volta…

La Sacra Armatura di Scorpio.


Una contrazione del torace e ti sembra di ricominciare a respirare davvero. Fa anche abbastanza male, ma hai di nuovo la percezione del tuo corpo.
Senti le tue membra, posano su un letto. Hai un cuscino sotto la testa. Avverti le tue mani, le dita che si muovono. C’è profumo di mare e di vento.
Provi ad aprire gli occhi, li senti appiccicati. Alzi una mano e te la passi sul viso. Non hai il pieno controllo dei tuoi movimenti.
Riesci ad aprire gli occhi, all’inizio vedi appannato, poi metti a fuoco e vedi Agathe vicino alla finestra aperta. Legge un libro con aria assorta, le gambe appoggiate su una sedia.
Cerchi di chiamarla, ma hai la bocca impastata. Mastichi a vuoto e deglutisci, cercando di schiarirti la gola.

“Agathe...” Mormori piano, quasi non riconosci la tua voce.

Lei alza gli occhi, sorpresa, ti guarda curiosa, poi sorride felice, posando il libro.

“Bentornato nel mondo dei vivi, piccolo mio!” Esclama poi, alzandosi. Si avvicina al letto e ti accarezza i capelli. “Come ti senti?” Chiede materna.
“Come se fossi morto e risorto.” Rispondi tu, con tono stanco.
Agathe torna verso il tavolo e si stringe nelle spalle. “In un certo senso è così.” Afferma pratica. “Come direbbe qualcuno più pomposo di me: sei rinato in Atena.”
“Io… l’Armatura…” Balbetti spaesato. “Non l’ho sognato, vero?”
Lei si volta e ti sorride orgogliosa. “No, non lo hai sognato, eccola lì.” Dice e ti indica un punto nell’angolo della stanza.

Volti il capo a fatica, torcendo il busto, e la vedi.
Lo scrigno dorato riluce colpito dal sole proveniente dalla finestra. Ha un’aria solida. Si vede che è antico, gli intarsi sono smussati. Anche se è chiuso ti sembra di sentire l’energia dell’Armatura, come se ormai quel potere fosse in te. Ha un’anima, ora lo sai. E ha scelto te.

“Adesso ti preparo qualcosa da mangiare, hai bisogno di energie…” Sta proclamando la donna, sempre voltata di spalle, mentre riordina il tavolo.
“Agathe…” La chiami.
“Ora non cominciare a lamentarti della mia cucina, ragazzino!” Esclama lei voltandosi verso di te con le mani sui fianchi.
Tu le sorridi in quel tuo modo imperdonabile, come è solita dire, e lei cede, sorridendo a sua volta.
“Cosa c’è, occhi belli?” Ti chiede allora, dolcemente.
“Il medaglione.” Rispondi tu, serio, fissandola e Agathe capisce. Abbassa gli occhi e riflette un attimo, poi torna a guardarti.
“Petros ti aspetta, appena starai meglio.” Dichiara quindi. “Non è compito mio, spiegarti certe cose.”
Tu ti senti subito meglio, ti sembra che l’energia rifluisca dentro di te e i tuoi arti non sono più così pensanti. E scopri di avere una fame da lupi. Credi che, per questa volta, potresti anche accontentarti della cucina di Agathe.

*****

Arrivi sulla spiaggia in un pomeriggio limpido; il vento di mare è umido e abbastanza freddo, ma tu indossi solo una maglietta sbiadita a maniche lunghe e i jeans.
Petros è seduto sulla vecchia barca bianca scolorita arenata sulla battigia sassosa, lavora alle sue reti. Sembra assorto, ma hai imparato che niente gli sfugge. Sa già che sei arrivato.
Lentamente si ferma, posa i suoi strumenti, alza gli occhi verso l’orizzonte, aggrottando la fronte.

“Sei pronto?” Ti chiede senza guardarti.
“Sì.” Rispondi sicuro.

Non è mai stato un uomo di molte parole, il tuo maestro. Pensi che anche Camus potrebbe diventare così, da vecchio. Tu, invece, tendi a parlare un po’ troppo, a volte. Pensi che Petros non ti abbia ancora perdonato di usare senza controllo la tua linguaccia impertinente.

L’uomo scende dalla barca e si raddrizza. È più alto di quello che sembra quando è piegato sulle reti ed ha le spalle larghe. Punta su di te uno sguardo solenne e tu rispondi allo stesso modo. Siete pari, ora: entrambi cavalieri.

“Ora sei un Cavaliere d’Oro, giovane Milo di Atene.” Ti dice il maestro.

Improvvisamente realizzi la realtà.
Non sei un suo pari. Lui ha creato qualcuno oltre se stesso.
Perché tu sei un Cavaliere della Cerchia Superiore, sei un Sacro Guerriero di Atena…
Gonfi il petto.

“Aspetta ad alzare la cresta, pivello, sono ancora il tuo maestro.” Ti ammonisce, però, Petros, riportandoti alla realtà.

Ti sgonfi con un’espressione delusa.

“Concludiamo questa cosa.” Sbotta impaziente l’uomo e tu torni a guardarlo.

Quando incrociate lo sguardo, in un attimo, torna l’atmosfera solenne. Sembra che tutto si fermi, anche il vento e le onde.
Senti il suo cosmo. Espandi il tuo e lo sovrasti.
Lui sorride compiaciuto.

“Dichiara il nome che hai scelto, Cavaliere.” Incita Petros.
Tu prendi un lungo respiro. Sei pronto.

“Milo, Cavaliere di Scorpio, è il mio nome celeste.” Proclami.

Petros sorride serafico, forse aveva già capito che avresti mantenuto il nome che ti accompagna fin dalla nascita. Se ce n’è un altro, nel tuo passato, non ne hai memoria.
Questo è il tuo nome e così vuoi essere chiamato.

“Bene, Milo di Scorpio, ora sei un Sacro Guerriero di Atena ed io non ho più niente da insegnarti.” Annuncia l’uomo davanti a te, tu sorridi beffardo. “Ma ricorda.” Fai una smorfia contrariata. “La tua responsabilità, ora, è grande ed hai ancora molto da imparare.”

Odi le paternali e lui lo sa, per questo non te le ha mai risparmiate, è un sadico in fondo. Lo sono tutti i maestri. Ma, dentro alla tua coscienza, in un posto in cui ancora temi di andare, sai che Petros ha ragione. Ascolti il resto in un attento silenzio.

“Rammenta che essere un Cavaliere non significa soltanto indossare delle vestigia sacre, ma è anche, e soprattutto, portarne e sopportarne il peso.”

E tu sai che non parla dei chili d’oro che dovrai metterti addosso, ma di un peso ben più profondo.

“Adesso sei il Cavaliere che sei nato per essere, ma non ancora un uomo.” Afferma infine Petros, fissandoti severamente. “Dovrai conquistarti la tua dignità, il rispetto dei tuoi pari e il posto che meriti tra di loro.”

Annuisci consapevole. Non hai mai pensato che sarebbe stato facile.

Ma c’è un’ultima cosa che devi sapere dal tuo maestro.
E qualcosa che deve ridarti.
Hai combattuto e sofferto troppo per arrivare fin qui.

“Maestro.”
“Dimmi, Cavaliere.”
“Ora posso riavere il medaglione?”

Non ti sfugge il mezzo sorriso consapevole che appare brevemente sul volto dell’uomo che hai davanti.

“Sapevo che lo avresti chiesto.” Dichiara. “Ed io non posso negartelo. Ora è tuo di diritto.”

Si mette una mano in tasca e la estrae chiusa a pugno. Quando la apre, il gioiello brilla colpito dal sole.

“È tuo, adesso.” Afferma Petros. “Ma so che hai qualcos’altro da chiedermi.”

Qualcosa da chiedere.
I dubbi di una vita, pur giovane che sia.
Il passato che manca. La storia che si è persa. Le radici strappate.
Decidi di tentare, anche se…

“Tu sai perché io fossi in possesso di questo gioiello?” Chiedi infine, indicando con un cenno il medaglione nella sua mano.

Petros guarda la collana, lo sguardo è pensieroso, poi chiude il pugno e alza gli occhi, ma non su di te. Fissa l’orizzonte, il mare.

“Anni fa sono venuti altri, a reclamare le Sacre Vestigia.” Esordisce serio. “Tra di essi c’era un giovane, che fu scelto dalla Dea, come te oggi.” Continuò, riabbassando lo sguardo sul ciondolo. “A lui fu consegnata l’Armatura… e il medaglione.”

Tu lo osservi in silenzio, attento. Sai che il discorso non è finito.

“Non so cosa ne sia stato di lui, ma quando le Vestigia di Scorpio tornano al Tempio di Orione, significa che non c’è più un Cavaliere.” Riprende Petros. “Ora il Custode dell’Ottava Casa sei tu.”

Non è la risposta che volevi.
Non spiega niente questo!
Non riempie il vuoto della tua infanzia perduta…

“Ma come l’ho avuto, come è arrivato a me, il medaglione?!” Chiedi concitato.

Petros sospira.

“Milo.” Mormora, poi socchiude gli occhi e scuote la testa, ti sembra umano per una volta. “Io, questo, non posso saperlo.”

Sa di deluderti, ma non può fare altrimenti.

“Non posso conoscere quello che è successo dopo l’investitura del tuo predecessore.” Ammette il tuo maestro. “Se il legame esiste, le risposte può averle solo il Santuario di Atena, ma dovresti sapere che si tratta di un luogo dove i segreti sono ben mantenuti.”

Lo sai, ci sei cresciuto là dentro, in mezzo a bambini come te.
Ma non ti basta.
Non può bastare alla sete di conoscenza dei tuoi quindici anni.

“So che non può consolare il tuo animo.” Aggiunge Petros, richiamando il tuo sguardo nel suo. “Ma quello che provi, lo abbiamo provato tutti.”

No, non ti consola.
Stringi i pugni.
Tanti sacrifici e non sono serviti a nulla.
Il vuoto c’è sempre.
I dubbi sono ancora di più.

“Lui, ti somigliava.”

Alzi il capo di scatto.
Hai capito bene? Il tuo maestro ha detto proprio quello che credi di aver sentito?

“Forse non significa nulla, ma avete gli stessi occhi.” Aggiunge però Petros.

Forse niente. E forse tutto.

Stai per partire con tutta una raffica di domande, ma Petros si avvicina e ti mette in mano il medaglione.

Lo guardi negli occhi, deluso.

“Impara a vivere il presente.” Ti dice lui. “Il passato non è più e, se non impari ad essere concentrato sul momento che vivi, sulla battaglia che combatti, non ci sarà futuro.”

Lo sai. Lo SAI! Te lo ha ripetuto un milione di volte durante l’addestramento.
Ma sei frustrato lo stesso!

Tu, sei il Cavaliere di Scorpio.” Dichiara solenne l’uomo. “E lo sarai finché dura la tua vita. Non importa chi c’era prima o chi verrà dopo. Se non ti concentri su di te, non arriverai ad addestrare il tuo successore. La vita di un guerriero di Atena può essere molto breve.”

“Alla mia età si crede di essere eterni…” Mormori, come citando parole altrui.

“Vedo che qualcosa delle mie lezioni ti è rimasto in testa.” Ironizza Petros.

“Non sono così ottuso.” Biascichi scontroso, deviando lo sguardo e calciando la ghiaia.

“Oh, lo so.” Dice il maestro, sorprendendoti.

Lo guardi incredulo.

“Sei stato uno degli allievi più brillanti che io abbia mai avuto.” Spiega lui con un sorriso compiaciuto. Dal tuo stupore, diresti.

“Un pazzo incosciente, arrogante e pigro.” Continua, dopo una pausa. “Refrattario all’autorità, disubbidiente e lascivo… ma, nonostante tutto, decisamente brillante.”

Ti sfugge un sorriso storto e soddisfatto.

“Perché non me le hai mai dette prima, queste cose?” Chiedi.

“Perché il tuo ego va umiliato e tenuto a bada.” Risponde, succinto e veloce.

Sbuffi un sorriso, metti le mani sui fianchi e abbassi il capo.

Cosa resta, adesso?
Le domande le hai fatte.
Le rispose sono quel che sono, ma non puoi pretendere di più.

Resta la tua nuova vita.
Il ritorno ad Atene e ad i suoi misteri.
Le battaglie che ti chiederanno di combattere.
E l’addio a questa isola e alle persone che hai amato.

È il momento di partire, ma sai che Milos e la sua gente ti rimarranno per sempre nel cuore.

Petros, i suoi silenzi e le sue ramanzine.

Agathe, la sua pessima cucina e la sua preziosa amicizia.

La piccola Penelope e le sue collane di conchiglie.

E le reti, il mare, il pesce, il cielo, le case bianche, le barche e le vele, il vento e le onde, le campane, il sole di mezzogiorno sulla baia, la luna nelle notti d’estate, i profumi…

E le lacrime, il sudore, il dolore, la fatica… La soddisfazione e la vittoria.

E ora parti, con la certezza che adesso hai un posto dove tornare. Un porto. Per chi come te non ha mai avuto ormeggi. Ma qui… Qui la tempesta non ti raggiunge.

Ma partirai comunque. Perché devi.

È tuo dovere riportare le Sacre Vestigia al Santuario. E lo farai anche se ti pesa.

*****

È di nuovo un autunno che sembra primavera. Stai per lasciare la baracca che è stata casa tua per un anno. Hai sulla spalla una vecchia sacca con dentro tutto quello che hai: qualche vestito, alcune foto, le collanine di Penelope. L’armatura, stivata in una cassa, sta già per essere imbarcata sul traghetto.

Guardi il mare. È così blu che fa male agli occhi. Al cuore.

Perché già sai che ne avrai nostalgia.

E non sai cosa aspettarti da Atene. Sembra una vita che non sei più lì. Eri un bambino quando sei partito e ora… Ora non più.

Sospiri e fai per incamminarti lungo il sentiero che ti porterà in paese e poi al porto, ma quando ti giri, hai davanti Agathe.

“Non pensavi mica di andartene senza salutare, vero?” Ti dice accusatoria.

Abbassi il capo intimidito dal tuo tono, poi ti passi una mano sulla nuca coperta di capelli.

“Pensavo fosse meglio, sì.” Ammetti sconsolato.

 “Non ti mancheremo di meno, solo perché eviti di dirci addio.” Ribatte implacabile, ma con un sorriso dolce.

Alzi gli occhi su di lei e li senti farsi liquidi. Non puoi piangere, sei un Cavaliere ora!

“Che farò adesso?” Le chiedi, con voce tremolante.

“Quello che devi.” Ti risponde Agathe rassicurante. “E non pensare di non meritare quello che hai, capito? Ti sei fatto un culo indecente, per quell’armatura.”

Respiri forte. Vorresti abbracciarla, ma ti sembra un gesto troppo da ragazzino. Che poi è quello che sei, nonostante il pomposo titolo di Venerabile Cavaliere.

Ma ci pensa Agathe a toglierti dall’imbarazzo. Si avvicina e ti prende il viso tra le mani. Quando sei diventato tanto più alto di lei?

“Noi ci saremo sempre per te, lo sai vero?” Ti dice con tenerezza, tu annuisci. “So che ci renderai orgogliosi.” Aggiunge con un sorriso.

Non sai cosa dirle, ma adesso che è così vicina puoi abbracciarla senza sembrare patetico. Lei risponde con calore. Ti mancherà terribilmente.

Quando vi lasciate, lei ti sorride di nuovo e poi ti da un bacio a stampo sulle labbra.

“Vai, ora.” Ti incita poi. “O perderai il traghetto.”

E mentre scendi il sentiero tra le rocce e il profumo del mare è così forte da pensare che lo sentirai per sempre, non puoi fare a meno di voltarti un’ultima volta, per vederla salutarti con la mano.

Capisci così che ci sarà sempre qualcuno cui dire addio, sempre un nuovo traghetto da prendere.
Ma questo non significa dimenticarsi di ciò che si è lasciato.

Addio, dunque.

FINE


NOTE

-    so che l’investitura di un Cavaliere dovrebbe avvenire prima (intorno ai 13 anni), ma mi sono permessa di posticiparla a 15 per due motivi. Primo, ritengo che l’addestramento di un Gold Saint sia un po’ più complesso (passatemela via). Secondo, avere l’investitura di Milo a 13 anni avrebbe alterato la mia personale story line (la quale, visto che non ho mai letto i manga e quindi mi erano del tutto sconosciuti riferimenti temporali reali, è fatta a seconda del mio solo, personale e insindacabile giudizio, oh!) Siete liberissimi di criticare.
-    Nikolais – personaggio ricorrente nelle mie storie – era il rettore della biblioteca del Santuario. Si è preso cura di Camus bambino e poi, su richiesta di quest’ultimo, anche di Milo, che ha vissuto in casa sua per qualche tempo, prima di partire per Milos. (siamo sempre dentro alla mia story line, per chiarimenti vedere la ff “Il ritorno” cap.4).
-    Danae – altro pg creato da me – la governante di Nikolais, che ama Milo come un figlio.
   
 
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