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Autore: ladymisteria    19/08/2012    2 recensioni
"Per diversi istanti sembrò che il tempo si fosse fermato.
Nonostante i capelli più corti e una leggerissima barba a circondargli le labbra perfette, Irene non poteva non riconoscere quel viso, quegli occhi.
L'avevano tormentata per mesi, nei sogni.
Era lui.
Ed era vivo."

La mia personalissima interpretazione di quanto accaduto durante il periodo in cui Sherlock si è finto morto.
Versione riveduta e corretta.
Genere: Generale | Stato: completa
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Irene Adler, John Watson, Mycroft Holmes, Quasi tutti, Sherlock Holmes
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
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- Questa storia fa parte della serie 'After Sherlock's Fall'
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"- Non so quali legami vi uniscono e quali baratri vi separano da Holmes! Grazie a Dio, non ho mai conosciuto un'esperienza comparabile alla vostra! Ma vi posso dire che c'è qualcosa di perverso nella vostra unione. Per vostra stessa ammissione, passate più tempo a ferirvi che ad amarvi. [...]

 

Einstein e Sherlock Holmes"

 

 

 

Irene Adler represse nuovamente un singhiozzo.

Sherlock era morto da una settimana, eppure lei ancora non riusciva a capacitarsene, ad accettarlo.

Avrebbe ceduto volentieri la sua libertà, pur di saperlo sano e salvo a Londra. 

Non aveva creduto neppure per un istante alle cose scritte sui giornali.

Sherlock Holmes non era un bugiardo, e tanto meno un finto genio.

Come poteva il mondo averci creduto?

Il detective non aveva lungamente provato il contrario?

Era davvero possibile che James "Jim" Moriarty avesse vinto?

Si asciugò gli occhi.

Grazie ai giornali aveva scoperto molte cose di Sherlock, arrivando a comprendere il motivo di molti suoi gesti, di molti suoi comportamenti.

Si impose di smettere di piangere.

Farlo non l'avrebbe riportato indietro.

Il suo pensiero volò a John Watson.

Se lei reagiva così...

Un bussare lieve alla porta.

Irene lo ignorò.

Non era dell'umore giusto per le visite.

Non voleva vedere nessuno.

Il bussare si fece più insistente.

La Donna sbuffò stizzita, asciugandosi nuovamente gli occhi chiari.

Si alzò.

Anche quando non era lei a volerlo, il comportamento di quegli inetti la faceva diventare cattiva.

Aprì la porta, già pronta a schiaffeggiare l'impudente che aveva osato disturbarla.

Per diversi istanti sembrò che il tempo si fosse fermato.

Nonostante i capelli più corti e una leggerissima barba a circondargli le labbra perfette, Irene non poteva non riconoscere quel viso, quegli occhi.

L'avevano tormentata per mesi, nei sogni.

Era lui.

Ed era vivo.

«Non dirmelo. Ti aspettavi di vedere qualcun altro qui, vivo e vegeto davanti a te» disse Sherlock Holmes, rompendo il silenzio caduto fra loro.

In un attimo Irene l'aveva abbracciato, ignorando completamente il suo irrigidimento a quel contatto.

Doveva essere certa che fosse vero, che non fosse solo uno scherzo della sua mente sconvolta.

«Sei vivo... Io avevo creduto... I giornali, i testimoni, loro... Sei vivo!».

«Beh, almeno abbiamo appurato l'ovvio» replicò lui, allontanandosi brevemente dal suo abbraccio. 

Irene sorrise.

Era sicuramente lui.

Si fece da parte, permettendogli di entrare.

«Ti sei sistemata bene» disse il detective, guardandosi intorno.

«Sì, infatti».

La Donna lo guardò nuovamente, notando solo allora una fasciatura spuntare da sotto i riccioli scuri dell'uomo, ancora facilmente riconoscibili nonostante i capelli corti.

«Tu sei ferito!» 

«Saltare da un tetto lascia sempre qualche ammaccatura. Anche se non si atterra su un marciapiede di cemento».

«Ma come hai fatto? Insomma…»

«Ti spiegherò tutto con calma. Solo, non ora. Ho un mal di testa incredibile».

Irene annuì, ancora incredula.

Si sistemarono in salotto, sul divano.

«Hai un aspetto tremendo, lo sai?» le disse con un ghigno.

«La colpa è tua»

«Ma davvero?» 

«Il tuo suicidio mi ha portato ad avere questo aspetto».

Sherlock la fissò.

«Chissà i tuoi amichetti che avranno pensato…»

«Non ho visto “amichetti”, questa settimana. Non ero dell’umore adatto».

«Fammi indovinare. E’ di nuovo colpa mia, vero?»

«E così abbiamo confermato il tuo non essere “un finto genio”».

Sherlock non sorrise.

«Hai letto i giornali»

«Sì». 

«Ebbene? Li hai trovati esaustivi?»

«Avrei dovuto?».

Irene ammiccò.

«Io so a chi credere, Sherlock».

Smise di sorridere anch’ella.

«Come ha scoperto quelle cose di te?» gli chiese.

Tasto dolente.

L’espressione dell’uomo mutò.

Sherlock guardò fisso davanti a sé.

«Come credi abbia fatto?».

La Donna non ci mise molto a comprendere.

«Chi?» sospirò.

Sherlock scosse il capo, rifiutandosi di rispondere.

«Non credo che John Watson avrebbe mai fatto una cosa del genere. Non resta che capire chi altri…».

Sgranò gli occhi.

Un dubbio.

«Non dirmi che…».

Il detective annuì lentamente, l’espressione livida.

Irene serrò gli occhi.

«Come ha potuto? E soprattutto, perché?».

Sherlock giocherellò con un filo della camicia che portava.

«Gliel’ho chiesto, sai?»

«Quindi sa che sei vivo».

L’ombra di un ghigno attraversò il volto diafano di Sherlock.

«Oh, sì».

***

 

Cinque giorni prima, Londra.

Mycroft Holmes non era tipo da spaventarsi o turbarsi facilmente.

Eppure quando entrò nella sua abitazione di Pall Mall, la sera del funerale del fratello, non poté non sussultare nello scoprire proprio Sherlock, seduto sul tappeto davanti al camino del suo salotto.

«Beh, ciao Mycroft».

«Sherlock, ma come…»

«Oh, immagino che scoprirmi ancora vivo ti secchi terribilmente. Ma sai una cosa?».

Si alzò, sfidando il fratello con lo sguardo.

«Non mi andava giù l’idea di lasciare questo mondo senza aver prima avuto delle risposte»

«Risposte?» ripeté Mycroft.

«Sì. Sono le normali conseguenze delle domande».

Gli andò incontro, le mani affondate nelle tasche.

«Prima risposta che mi devi. Come faceva Moriarty a sapere tutto di me?».

Lo interruppe ancora prima che potesse parlare.

«A proposito. Il tuo amichetto si è sparato. Non potrete più scambiarvi pettegolezzi mentre siete comodamente seduti a sistemarvi i capelli dalla parrucchiera».

Mycroft Holmes deglutì.

«Era una persona geniale ma pericolosa. Molto pericolosa, Sherlock. E minacciava di vendere una stringa informatica in grado di aprire ogni porta, ogni lucchetto»

«Era pericoloso? Sul serio? Wow… Grazie, Mycroft. Non me ne ero mai accorto. Ma per quanto riguarda la stringa informatica…».

Si finse pensieroso.

«Non dovrei darti un indizio così importante, ma credo lo farò comunque. Non esiste alcuna stringa informatica».

Si sedette in poltrona, gustandosi l’espressione del fratello maggiore.

«Ma…   L’intrusione… Quel triplice attacco…»

«Tutto programmato, con l’aiuto di complici all’interno di ciascuna struttura».

Si strinse le ginocchia al petto.

«Quindi, torniamo alla risposta che mi devi. Come mai Moriarty sapeva tutto di me?».

Mycroft Holmes prese posto di fronte al fratello.

«Aveva accettato di parlare solo se gli avessi raccontato…».

Sherlock annuì.

«Capisco… Beh, certo… In fondo hai ragione, no?» rise.

«C’era in gioco la sicurezza nazionale. Che importanza può mai avere un solo uomo, davanti al benessere della nazione? Perché mai rifiutarsi di assecondare le richieste di un folle? In fondo, si trattava solo di tuo fratello minore».

Sherlock annuì, gli occhi che saettavano per la stanza.

Tremava.

«Quindi, la mia reputazione, la mia vita… Barattate… Per niente».

Annuì di nuovo.

Sembrava sull’orlo di una crisi nervosa.

«Sherlock…»

«Venduto dal mio stesso fratello…».

Fissò finalmente Mycroft, e l’uomo poté leggere in quegli occhi chiari tanto dolore, tanta amarezza, oltre che un’immensa delusione.

Quello sguardo era una stilettata al cuore, precisa e affilata.

«Beh…» disse Sherlock, cercando di mantenere il solito tono distaccato.

«Ora mi farebbe davvero comodo una di quelle tue sigarette».

Mycroft lo vide calmarsi non appena la nicotina cominciò a fare effetto.

 «Seconda risposta che mi devi» disse il detective, ripreso il controllo di sé.

«Perché non mi hai avvisato immediatamente di quanto Moriarty aveva scoperto, grazie a te? I mezzi di certo non ti mancano».

«Ecco…»

«Aspetta! Forse a questo riesco ad arrivarci anche da solo! La tua nomea di persona sempre affidabile, che non sbaglia mai. Non volevi perderla, vero? Ma è ovvio!».

Finse di gioire della conclusione tratta.

«Non male per un emerito idiota, no?».

Mycroft si coprì gli occhi.

«Che cosa vuoi da me, Sherlock?» sospirò.

Sherlock ghignò.

«Prendi carta e penna, fratello. La lista è lunga».

 

***

 

Irene fissò l’uomo accanto a sé.

«Nemmeno tu hai una bella cera. Hai l’aria, piuttosto, di chi non è stato bene, ultimamente».

Sherlock si stropicciò gli occhi.

«Sei la seconda persona a dirmelo in questi ultimi giorni».

«La prima chi è stata?»

«Molly».

«Molly Hooper?»

«Sì. Mi ha aiutato a rimanere vivo».

La guardò, posando il capo contro la spalliera del divano.

«E poi avresti anche tu questo aspetto, se non dormissi da più di quattro giorni».

Sospirò.

«Ho la testa che mi scoppia».

«Credi sia una conseguenza della caduta?»

«No. Credo piuttosto che la causa sia quanto accaduto ultimamente. Moriarty, il suo piano per “bruciarmi il cuore”, lo scontro sul tetto, quello che ne è seguito…»

«Scommetto che non hai dormito proprio per pensare a tutto questo».

Il detective annuì.

«Dovresti riposare. Hai dove stare?»

«Mycroft mi ha spontaneamente trovato un appartamento a meno di un isolato da qui, oltre il ponte. Gli ho detto che Parigi è una bella città dove fingersi morti. Ma sono arrivato solo stamane, e non ho ancora avuto tempo di renderlo “abitabile”. Pensavo di passare qualche giorno in un hotel, sotto falso nome. Almeno finché non vi avrò dato una sistemata sommaria».

«Potresti fermarti qui».

Sherlock la guardò diffidente, suscitandole un sorriso.

«Ti prometto che non farò nulla che possa turbarti. Il letto è abbastanza spazioso per entrambi» disse, gli occhi che le brillavano.

«Ti ringrazio per l’offerta. Ma sono sicuro che dormirei scomodo. Preferirei usare il divano».

Irene rise.

«D’accordo, allora ti lascio riposare».

Fece per alzarsi, ma lui la trattenne.

«Puoi anche restare. D’altronde questa è casa tua. Che cavaliere sarei se ti “cacciassi” dal tuo stesso divano?».

Irene lo guardò.

«Non hai paura che io possa disturbarti?».

Il detective scrollò le spalle.

«No. Non fai di tutto per far star bene i tuoi amici?» la punzecchiò lui, posando il capo sulle sue ginocchia.

«Pensi di rientrare tra i miei amici?»

«Oh, no. Io non vedo alcuna dominatrice, in te».

La Donna prese ad accarezzargli la fasciatura, stando bene attenta a non infastidirlo.

«Tu pensi che io possa rientrare fra di loro?».

Irene non rispose subito.

«No. Nessuno di loro mi ha mai tenuto testa. Oserei dire che sei “passato al livello superiore”».

Sherlock ghignò.

«E quale sarebbe il “livello superiore”?».

La donna sorrise.

«E’ meglio che tu dorma, Sherlock, o rischierai un crollo nervoso. Non saresti poi così attraente in quello stato, temo».

«La verità è che mai nessuno era arrivato a questo fantomatico “livello superiore”, quindi non hai idea di che cosa significhi» borbottò lui, gli occhi chiusi e la voce assonnata.

Pochi istanti dopo dormiva.

 

 

 

 

Ed eccomi di nuovo qui, a tentare un’impresa che definirei epica. Narrare del periodo in cui Sherlock si finse morto, dal mio punto di vista. Spero che a storia possa piacervi.

Come sempre, sono ben gradite le recensioni, sia positive, che negative ;)

   
 
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