Vi prego di lasciarmi una recensione. E' la prima Finnick x Annie che scrivo, e non so se vada bene o meno. Nel secondo caso, mi impegnerò per migliorarmi. Grazie anche per la sola lettura.
Il libro
illustrato, aperto, arrugginisce,
si trasforma in sabbia, e scivola via.
Due
ragazzini si inseguono sulla spiaggia. Il mare è grosso,
il cielo è grigio, le onde sono scure e bianche, sbavanti,
rabbiose. Non ci
sono barche in acqua. I ragazzini, vestiti con abiti semplici e un
po’ sporchi,
corrono vicino alle onde, e scattano via quando la spuma minaccia di
inzaccherarli per bene. Sfidano il nemico di oggi, composto da
quell’insieme di
acqua salata, alghe, bolle e pesci intontiti dall’ira
irragionevole del mare.
Sono un ragazzino e una ragazzina, se li si guarda bene. Una testolina
bionda e
spettinata, con un sorriso che va da un lato all’altro del
faccino perfetto. Da
pubblicità di giocattoli: comprateli, e i vostri figli
saranno belli e felici
come questo qui! L’altra, invece, ha un faccino dolce e
lentigginoso. Una base
chiara e levigata, decorata da spruzzi di tempera, di quelli ottenuti
raggruppando tutte le setole del pennello e lasciandole andare
all’improvviso
una dopo l’altra. Casualmente, formano una strampalata ma
bella decorazione
sotto ai grandi occhi verde scuro, profondi e curiosi.
Il bambino agita le braccia abbronzate, mentre corre. Non sono ancora
braccia ben
sviluppate, non sono ancora attaccate per mezzo di belle spalle forti,
non c’è
traccia di muscoli che diano loro una forma definita, né
c’è ancora un soffice
strato di peli biondi a ricoprirle. Sono ancora due fili stilizzati,
che
terminano con cinque rametti disegnati con una manina convinta ma un
po’
tremolante. Quelle braccine fatte per giocare, perché al
posto loro si immagini
ci sia qualcos’altro. In questo momento, fanno finta di essere le ali di un aeroplanino.
La bambina gli corre dietro, senza scarpe. I ditini sono liberi di
afferrare la
sabbia umida per ancorarsi
meglio, per
andare più veloce. Le gambe, sottili e diritte, sono nude.
Piene di lividi e
graffi fatti con un sorriso, botte prese da qualcuno che non era lei,
ma una
principessa o una guerriera o un super-robot invincibile. Sono ancora
due
stecchini approssimati, terminanti con una sottospecie di trattino, e
decorati
con crosticine staccate troppo presto, cerotti appiccicati solo per
metà e
macchie viola in cui si cerca di vedere un significato ancestrale per
il
destino del mondo.
All’improvviso, come se fossero coordinati da una forza
invisibile, si fermano.
Non sembra che importi loro del fatto che ora il nemico li ha in pugno,
e
riesce a raggiungere i loro piedi con la sua lava salata e
incandescente. In un
altro momento, si starebbero rotolando sulla sabbia, urlando doloranti,
con
strilli più forti di quelli dei gabbiani, riempiendosi di
quei granelli che si
infilano dappertutto, anche nelle mutande, e meritandosi una
sculacciata una
volta tornati a casa.
Il bambino biondo tende il piccolo pugno, da cui sbuca un mignolino
decorato
con un unghietta decisamente da tagliare. La ragazzina sfodera un
sorriso che
contagia anche i suoi occhi scuri, e tende il proprio dito a sua volta.
È sporco
di pennarelli. I due ditini si intrecciano. Gli occhi azzurri e quelli
verdi si
chiudono.
« Insieme per sempre! »
Due voci infantili si uniscono.
Nel cielo risuona il
rumore dell'aria scricchiolante,
che scorre diagonalmente dalla finestra.
Annie
Cresta ha sedici anni e si diverte a scherzare con il suo gruppo composto da zero amici. A dire
la verità non ce l'ha nemmeno, un gruppo di amici,
però ha un sacco di dipinti. Li
ha fatti lei. Non ha una migliore amica a cui mostrarli, certo, ma
tanti colori
ad olio per farne altri. Non sa bene di cosa parlare con le persone
appena
conosciute, però sa bene che per avere quel tipo di grigio
che le serve adesso,
ha bisogno anche di un po’ di blu, insieme al bianco e al
nero. Sa bene che le
cose migliori sono quelle un po’ sporche. Quelle di cui non
si riesce a capire
bene l’origine, contaminate da tanti agenti esterni come il
colore del vento e
il profumo del mare misto a quello della lavanda e dei pini e delle
soffitte
chiuse piene di tesori. Quelle che sporcano un po’ anche te,
e che rimangono lì
anche dopo tanti anni che se ne sono andate, perché la loro
ombra ormai era diventata
solida, e il tuo naso era talmente tanto avvezzo a
quell’odore che ormai
continua a sentirlo, per abitudine.
Intinge il pennello in un bel giallo grano, e, in tutto quel grigiore
azzurrastro,
colora una macchia in alto, lontana. Dipinge il ricordo di un bel sole
biondo.
«
Ehi, ‘Nick! », urla un ragazzone dai capelli biondi.
Finnick si gira. Stava guardando il mare grigio. Non lo sapeva, ma
stava
cercando qualche sirena tra la spuma delle onde. Qualche missione
speciale per
cui chiamare il resto della squadra e andare a nuoto fino ad Atlantide.
Finnick si alza, senza usare le braccia. Si dà qualche pacca
sul sedere, per
scrollare via la sabbia che gli è rimasta appiccicata ai bermuda.
Dà le spalle al mare
borbottante, e cammina nella direzione del gruppo di persone che lo
aspetta al
di là della spiaggia. Se ne va, ma procede con lentezza.
« Odair, ma si può sapere per quale cazzo di
ragione devi sempre farti
desiderare, eh? », dice un altro ragazzo, sbattendogli il
peso di un braccio
muscoloso sulla spalla.
« Lo sai come è fatta sua signoria! –
gli dice un’altra persona ancora. Un altro
maschio, però questo è più smilzo ed
ha il naso più affilato. – Deve sempre
fare in modo che gli altri lo cerchino, mai che si scomodi lui!
»
La risatina tintinnante delle due o tre ragazze del gruppetto si fa
sentire. Qualche
altro scambio di battute tra il ragazzo appuntito e quello grosso,
condito con
i commenti inutili delle voci scampanellanti del piccolo sotto-branco
delle
ragazze, e qualche aggiunta in automatico di Finnick.
Ma sembra che, oggi, nonostante quel gruppo di persone non se ne sia
accorto,
sia successo qualcosa. Finnick è un po’ scosso, ma
nessuno di loro lo nota.
Suo nonno è morto. E lui non se ne è ancora
pienamente reso conto.
La luce che proviene da
lì proietta la tua ombra.
Una
porta di legno, l’esterno un po’ intaccato dal
vento
marino, si apre. Mostra il signore e la signora Cresta, vestiti di
scuro, con
le mani congiunte in grembo. Salutano educatamente, poi aprono la bocca
e
sparano un proiettile che colpisce diritto al cuore della padrona di
casa.
« Siamo venuti a fare le nostre condoglianze. »
La signora Odair, che già quando aveva aperto la porta
sembrava un po’
instabile, cade tra le braccia della sua ospite, scoppiando in lacrime.
Finnick,
su di sopra, è seduto sul suo letto. È in
posizione
fetale. Dalla finestra aperta, una brezza di mare gelido gli carezza la
pelle
abbronzata. Quando sente la porta aprirsi, scricchiolando –
quante volte la
mamma ha detto a papà di ungerne i cardini di grasso?
– e la voce della signora
Cresta, stringe forte le ginocchia contro il petto. I muscoli delle
braccia si
contraggono. I denti superiori ingaggiano una battaglia con quelli
inferiori,
gareggiando a chi si spezza prima.
I singhiozzi della mamma spingono la sua fronte liscia contro le gambe
piegate,
gli stringono gli occhi chiari e gocciolano tra le ciglia bionde.
"Non
sembra quasi un film?"
Dico, con parole che mi escono dal cuore.
Le persone parlano del vecchio Odair,
durante il banchetto dopo la
cerimonia.
Sembra che nessuno abbia qualche pettegolezzo cattivo da proferire su
di lui. Annie,
infatti, non sente nemmeno un singolo però.
Neanche le vecchiette del villaggio, che aspettano solamente il suono
delle
campane da morto, per avere qualcosa di cui spettegolare, non sembrano
particolarmente contente di avere un argomento fresco di cui parlare.
Il vecchio
Odair era un uomo gentile, che, nonostante quella brutta tosse, aveva
deciso
di continuare a fumare quei sigari puzzolenti che gli riempivano i
baffi di
quello strano odore caratteristico. Diceva che il suo odore, ormai, era
fatto
da quello strano olezzo mischiato con quello del mare, e che sarebbe
morto comunque,
prima o poi. Era vecchio, e soddisfatto. Tanto valeva andarsene
mantenendo la
sua anima degli stessi colori con cui era sempre fatta, piuttosto che
aggrapparsi ad una vita che non sarebbe stata la sua, no?
Annie prende una tartina. Un pezzo del classico pane alle alghe,
tostato, su
cui era stata spalmata una salsina rosa che sa di sale e delle lacrime
versate,
e, appoggiatovi sopra, c’è un gamberetto senza guscio. Una creature senza difese, morta, inerme. In
realtà, Annie non ha tanta
fame, ma le sembra maleducato ignorare gli sforzi che la signora Odair
ha
compiuto nonostante il dolore.
Tra le persone vestite di nero, ne spicca una, che, tra
l’altro, nemmeno c’è. Non
è stata presente durante la cerimonia, e non ha toccato una
briciola del convivio
che attira tanti sguardi tristi, commenti un po’ sforzati e
assaggi masticati
controvoglia. Annie la vede, quella persona, oltre la finestra, al di
là delle
tende bianche, svolazzanti a causa della brezza marina. È
seduta sulla spiaggetta
di fronte alla casa, è rivolta verso il mare triste, e,
probabilmente, si
lascia asciugare le gocce salate che le rigano il volto dallo stesso
vento che
ne ha abbracciato un mare intero.
Annie si toglie le scarpe, appoggia la tartina sul davanzale della
finestra da
cui spiava Finnick, ed esce dalla casa dei signori Odair, senza dire
una
parola. Dietro di lei, un mormorio. Dicono di lasciarla fare, che tanto
è un po’
matta, è un po’ una cosa di famiglia, ma non fa
male a nessuno.
Cammina nella sabbia fredda, ma continua a mettere un piede dopo
l’altro, senza
rallentare. Sembra fatta di polvere di ghiaccio. Impiega molto tempo ad
arrivare da lui. Ci impiega sei trilioni di anni ed una notte, ma
sembrano solo
due minuti. O forse è il contrario. O forse quello
è il tempo per cui non si
solo più visti, il tempo che ci hanno impiegato a cambiare.
Forse è il tempo in
cui hanno iniziato a dire che Annie Cresta è una tipa un
po’ strana, e che Finnick
Odair è un gran figo, e, ti dispiace, Annie, se domani non
vengo a casa tua a
giocare ma vado al cinema con i miei amici?, e, no, Finn, ci vedremo la
prossima volta. Forse è il tempo che Annie se ne rimane
lì in piedi di fianco a
Finn, e ci sono solo loro due e l’universo vuoto.
Il
tetto si tinge di rosso,
ed aleggia nel vento gentile.
« Volevo dirti che mi dispiace
molto », dice Annie, fissando il
mare. Tiene in mano le scarpe, e sembra che parli al vento o al cielo
coperto
di nuvole grigie.
« Non è colpa tua. -
Finnick, seduto sul
bagnasciuga, coi piedi accarezzati delicatamente dal mare
giù di corda, alza le
spalle. - Continuava a fumare quegli stupidi cosi, anche se sapeva che
sarebbe
finita in questa maniera ». La voce si incrinerebbe, se
quello non fosse
Finnick Odair, o se lui si ricordasse che sta parlando solo con la
piccola
Annie, che anche se è una femmina nuota più
veloce di lui.
« Non è per quello -, specifica Annie. –
Se ne sarebbe andato comunque, tanto
valeva che lo facesse a modo suo. »
Finnick continua a guardare il mare. Uno stormo di gabbiani vola in
lontananza,
poi si dirige verso il porto.
« Mi dispiace perché sono un po’ matta e
non mi vuole nessuno », si spiega
meglio Annie.
« E cosa c’entra? », chiede Finnick.
Muove le dita dei piedi, sulle quali si
era incastrata un’alga. Riesce a liberarsene.
Annie si siede vicino a lui, mettendosi a gambe incrociate. «
Se non fossi
stata così, sarei piaciuta ai tuoi amici –. Inizia
a fare dei ghirigori sulla
sabbia bagnata. Disegna distrattamente un po’ di malinconia,
usando il dito. –
E così ci saremmo tenuti in contatto in maniera
più decente. » Osserva il
risultato. No, non va bene, manca qualcosa. Usa anche l’altra
mano, ed aggiunge
un po’ di rimpianto.
« Non sei tu, il problema, Annie », dice Finnick,
un po’ esitante. Non sembra
molto convinto. Non sembra nemmeno molto a suo agio. Verrebbe da
chiedersi
perché: quando erano piccoli, passavano serate intere in
quel punto esatto
della stessa spiaggetta in cui erano in quel momento, esattamente nella
stessa
posizione in cui sono adesso, a parlare di persone e vicende che non
esistevano, a creare interi universi e popoli da salvare da minacce in
via di
sviluppo.
Annie sta meditando di aggiungere anche un po’ di ricordi, ma
un sorriso le
compare sul viso concentrato, distraendola. « Me lo dicevi
anche alle medie. »
Sì, decisamente, qualche linea delicata di ricordi
servirebbe a rendere quel
pasticcio un po’ più realistico.
Finnick ed Annie si zittiscono, ed inizia a parlare il mare. Racconta
loro di
qualcosa che avevano seppellito nelle loro soffitte, dentro ai disegni
di
quando erano piccoli. Qualcosa di nascosto tra la linea azzurra in
alto, del
cielo, e quella blu a metà foglio, del mare. Qualcosa di
nascosto tra i raggi a
zig zag del sole giallo e arancione, qualcosa che fa capolino da dietro
alle
nuvole bianche e trasportate sulle ali dei gabbiani disegnati come
stormi di
tante V sbilenche.
Il
colore del tempo che si ferma,
è
lo stesso di quello di una nuvola che inizia a muoversi.
Il mare continua a parlare, ma Finnick
smette di prestargli
attenzione. Volta il viso verso Annie, e gli occhi verdi di lei
schizzano in un’altra
direzione.
Appoggia la mano su quella di Annie, e sente il cuore che gli batte
all’impazzata.
Perché? Ha toccato le mani di tante ragazze. Ha guardato il
viso di tante
ragazze. Ha incrociato lo sguardo di tante ragazze. Poi,
però, gli viene in
mente che Annie non è tante ragazze, che la mano di Annie
è colorata di tempera distratta,
che il viso di Annie non è sporco sugli occhi e sulle
labbra, che lo sguardo di
Annie è sfuggevole e sognante come il fumo dei sigari del
nonno.
Il nonno non c’è più, la sua infanzia
non c’è più, la merenda alle quattro
del
pomeriggio deve prepararsela da solo, il suo tigrotto è
diventato un gattone
pigro con poca voglia di muovere la coda, ma Annie è seduta
alla sua destra, e
sta facendo quegli arabeschi sulla sabbia che disegnava quando era in
imbarazzo
o c’era qualcosa che voleva dire.
“C’era un’altra cosa che ti volevo dire,
alle medie, Annie”, direbbe, se lei
non si fosse girata a guardarlo negli occhi. Lui scappa via, le corre
sul viso,
alla ricerca di qualcosa che non sia la verità a cui
aggrapparsi. Le labbra di
Annie non sono truccate. Sono un po’ screpolate, a dire la
verità, e i dentini
bianchi che sono nascosti là dietro non sono disegnati con
precisione
millimetrica. Non profuma di odori artificiali, ma di focaccine appena
sfornate, bambini, colori ad olio, ricordi e mare.
Annie sa di dolce, di cioccolato fondente, che si intreccia con il
sapore
salato di lacrime e pane di Finnick, che la guida, che la prende per
mano e le
insegna dolcemente come muoversi. Non la sforza, non la obbliga ad
accettarlo. Bussa, chiede permesso, sbircia dietro di lei, la stringe e
la porta
via con sé. Le fa scoprire tante cose, le fa vedere mille
mondi, le sussurra di
tante possibilità e forse e ma e perché e magari,
e ci mette solo sei trilioni
di anni ed una notte. O forse, ben due minuti interi.
Solo
le due persone,
in un mondo che inizia a sgretolarsi.