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Autore: Scarlet_Dream    19/08/2012    1 recensioni
Sono la reincarnazione del male e della vendetta, sono un pittore maledetto che intona un grido disperato fra le stagnanti vie di Venezia...
Non ho un volto, la mia maschera bianca soffoca i miei sentimenti e le mie emozioni...
Ritroverò mai la mia vera essenza o il mio mantello rosso scarlatto vagherà senza meta per l'eternità, ed io, maledetto, con esso?
Genere: Fantasy | Stato: completa
Tipo di coppia: non specificato
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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70 Anni prima:

 

Era il 1734’, un giorno cupo e piovoso. La nebbia si diradava fino ai confini di piazza S. Marco ove feste e canti non si facevano di certo abbattere dal tempo. Dopotutto il carnevale era d’obbligo per la bellissima città di Venezia; i colori sgargianti dei costumi e le vivaci maschere, si mescolavano al grigio della nebbia rendendola un candido velo che scivolava lentamente trascinato dalla tenue brezza del mare.

Il giovane pittore Alvise Carraffa si aggirava per le vie solitarie e sperdute di Canal Grande, ammirando il grigiore del mare. Egli era un tipo assai particolare, spesso girava di via in via portandosi sempre addietro una tela coperta da un velo e un piccolo pennello di legno che fuoriusciva dal suo mantello rosso scarlatto. Non tutti i giorni si incontrava un giovincello vestito di un rosso così accesso, ogni volta che le persone incrociavano il suo cammino subito si facevano il segno della croce; i veneziani erano piuttosto superstiziosi...si diceva infatti che il rosso era il colore della lussuria e della trasgressione ed era per questo che veniva attribuito come un colore peccaminoso. Ma lui non si lasciava scoraggiare da sciocche superstizioni. Il sogno di Alvise era solamente quello di dipingere nelle più maestose corti di Venezia e di essere acclamato e giudicato come miglior ritrattista dai suoi concittadini. Certo, non era mica una piccola ambizione ma Alvise aveva uno smisurato senso di autostima e credeva in tutto ciò che faceva. 

Ogni giorno si recava nella piccola accademia pittorica di fronte alla Basilica di San Marco per recarvi i suoi quadri; molti pittori famosi spesso adornavano le pareti con le loro mostre che venivano giudicate e valutate da giudici molto severi. Purtroppo le opere di Alvise venivano spesso vedute come disegni malefici e inopportuni...infatti egli non sapeva dipingere altro che bestie morenti o paesaggi sanguinolenti; Alvise non riusciva,per quanto si sforzasse, a dipingere persone comuni. O a dirla tutta riusciva, anche con maestria, a dipingere il corpo e a definirlo con ottimi particolari...ma nel momento in cui doveva dare un volto alla figura la sua mano si bloccava impedendo al pennello di completare il lavoro. Insomma una figura senza volto non dava nessun tipo di emozioni anzi, rischiava di creare un dipinto vuoto e privo di significato. Alvise ricercava quindi la bellezza in cose che per noi possono sembrare macabre e inquietanti; ma ad Alvise davano tali e meravigliose emozioni che erano impossibili da non imprimere in un quadro...questo però veniva frainteso dai suoi colleghi pittori che non esitavano mai nell’insultarlo e nel cacciarlo dall’accademia. 

Alvise per la rabbia gettava i suoi quadri nelle nauseabonde fogne di Venezia lasciando che l’acqua stagnante sciogliesse la tempera e logorasse la fragile tela; non sopportava nessuno di quei pomposi artisti che non comprendevano il vero significato delle sue opere...voleva dimostrare di poter diventare un grande pittore, un famoso artista le cui opere avrebbero viaggiato per tutto il mondo!! 

Forse in quei momenti si lasciava troppo andare dalla sua voglia di vendetta...eh sì...Alvise Carraffa era una persona molto vendicativa, pronta ad ogni gesto, anche quello più infido.

Egli aveva elaborato un piano per redimersi, avrebbe realizzato un olio su tela da consegnare personalmente al re; un gesto davvero avventato per qualunque persona ma, come ben capirete, Alvise non era certo un tipo qualunque. 

Si ritirò dunque nella sua dimora, e lì ci rimase per più settimane adempiendo numerosi tentativi ma giungendo in fine ad una sistematica soluzione; era un ritratto, il ritratto del re in persona. Alvise ne rimase così meravigliato che lacrime di emozione scesero per un istante scivolando lungo le sue pallide guance...

Lo coprì sospettoso con un soffice velo e sghignazzando tra se e se pensò all’invidia di tutti i pittori di corte alla sola vista del suo meraviglioso quadro. Certo, non aveva minimamente pensato a come poter entrare a corte, ma per Alvise questo non era che un piccolo insignificante dettaglio.

gl'indomani infatti  si svegliò prima del canto del gallo, si infilò come al suo solito il suo lungo mantello rosso scarlatto e uscii di casa allegro come non mai. Passando davanti alle persone stizzite nel vederlo, lui faceva a tutti un grazioso cenno di saluto, la sua allegria preoccupava maggiormente i veneziani. Passò come al suo solito davanti alla Basilica e svoltata l’ultima curva di piazza San Marco si recò a corte; due guardie lo fermarono senza affanno impedendogli di sfiorare l’enorme cancellava che lo separava dall’enorme reggia; lui sorpreso disse loro:

“Vi prego fatemi passare, devo solo consegnare un dono per il re!” Disse fieramente

Le guardie impassibili rifecero il gesto di prima e uno di essi parlò:

“Da qui non può passare nessuno, solo chi è autorizzato da sua maestà in persona può accedervi.Ma ad estranei è vietato l’accesso, e ora se non le dispiace la pregherei di andarsene.”

Alvise quasi inorridito dalle sue parole insistè:

“Ma come vi ho detto io devo consegnare questo dono...” E mostrò la tela coperta “...al re...

La guardia si avvicinò, osservò per un istante la tela e toccò il soffice velo ma Alvise lo ritirò all’istante dicendo:

“Solo il re può vederlo, poi, forse vi sarà data la grazia di vederlo...” Disse con tono di superiorità

“Un pittore eh? E a giudicare da come risponde anche molto sicuro di se...per il re non c’è gioia più grande che dipinti e ritratti ma fatti solo da pittori famosi e ben conosciuti...lei per caso fa' parte di questa categoria?” Disse la guardia immaginando la risposta

Alvise non si trattenne

“No, ma ben presto lo diventerò” Disse impuntato

Le guardie non poterono più resistere e si lasciarono andare in una fragorosa ma fastidiosa risata; Alvise avrebbe voluto scavalcare la cancellata per poi deridere lui le due guardie, ma fortunatamente riuscì a trattenersi scoprendo che, al dì la del cancello subito dopo l’enorme giardino, una gentile ma possente voce irruppe nella scena:

“Ho sentito tutto giovanotto, e quindi tu pensi che il tuo quadro sia degno della mia veduta?” Finì la figura oramai scoperta 

Era il re Ludovico I , stava passeggiando assieme a una graziosa fanciulla e un anziano signore vestito con una lunga tunica marrone...era sicuramente prete Sebastian.

Alvise rimase alquanto stupito, ma mai quanto le guardie.

Il re fece aprire i cancelli sotto le continue lamentele del prete:

“NO mio signore è sconveniente, egli è Alvise Carraffa il pittore dalla veste rossa scarlatta, non è saggio aprir le porte per farlo entrare...porterà sicuramente un’ondata di sfortuna...cattivi presagi mio signore...cattivi presagi...” Bisbigliò il vecchio prete

Ma il re annuendo e rassicurandolo andò incontro ad Alvise porgendone i saluti; Alvise si chinò immediatamente per poi dire:

“Sua mesta, o mio buon re, possa questo modesto ma rigoglioso dipinto essere di suo gradimento...possa con la sua umile beltà essere paragonato parte di lei...” Detto questo con gran virilità gli offrì la tela velata

Il re con delicatezza la prese e se la portò tra le mani, sorrise e tolse la tela; i lineamenti sorridenti che il re aveva prima di togliere il velo si tramutarono in un orrido ghigno sovrumano, ciò che in realtà c’era sulla tela non era altro che un povero corpo senza viso, esso era semplicemente coperto da un’enorme velo rosso scarlatto. Il rosso era così intenso che metteva in luce gli zigomi scheletrici di un viso inesistente; prete Sebastian non appena adocchiò il dipinto ne rimase inorridito e puntò il dito contro Alvise

“TU! TU ALVISE CARRAFFA SEI UN PITTORE MALEDETTO, COME HAI OSATO DIPINGERE SUA MAESTA’ IN QUESTE CONDIZIONI? UN CORPO PRIVO DI VISO COPERTO DA UN VELO ROSSO!! IL VELO ROSSO DEL PECCATO!! TU SARAI CONDANNATO PER QUESTO AFFRONTO, LA TUA ANIMA NON AVRA’ MAI PIU’ PACE E IL TUO VISO VERRA’ COPERTO DALLA  MASCHERA BIANCA DELLA VERGOGNA!!!” Disse gridando il prete

Alvise fu bloccato dalle guardie, il suo viso vitreo e vuoto era shoccato e privo di ogni reazione.

Rimase così per un lungo tempo, viaggiando in mondi inesplorati e camminando per sentieri interminabili...

Finché all’improvviso si svegliò da quell’enorme incubo; le sue mani e i suoi piedi erano legati la sua vista era ridotta da un qualcosa che gli copriva il viso, sentiva al collo una forte stretta; ed è così che si accorse di trovarsi al patibolo, davanti ad una smisurata quantità di persone urlanti. Gli urlavano contro, lo insultavano, sputavano nel vederlo...sentì tra gli urli e i rulli incessanti dei tamburi le seguenti parole:

“Alvise Carraffa, colpevole per aver insultato e beffeggiato sua maestà il re, avendo presentato una tela raffigurante egli stesso privo di viso coperto da un peccaminoso velo rosso. Essendo già sospetto per le stravaganze da egli commesse: uso alquanto disdicevole di abiti rossi, presentazione insistente all’accademia pittorica di quadri alquanto lugubri e sinistri. Egli infine viene prostrato davanti alla corte di Venezia come uomo peccaminoso e dedico ad arti nere...Il signore abbia pietà della sua anima...” La voce si sfumò con il rullare dei tamburi...

Alvise con posò lo sguardo su tutta Venezia e prima di essere impiccato urlò a voce incessante

“OH VENEZIAAA, io ti maledico!! La mia Vendetta si adempierà su di te e su tutti coloro che hanno osato farmi questo!! Io tornerò dalla tomba e mi vendicherò, osservate questo mantello, esso non vi darà mai più pace!! Guardatevi...dal pittore scarlatto...” E detto questo la botola si aprì e Alvise cadde nell’oblio...

Fù sepolto nella palude di Canal Grande insieme al suo mantello e alla maschera bianca...

Il suo ricordo ben presto svanì e le sue parole smisero poco a poco di preoccupare i Veneziani, ma la vendetta di Alvise perdurò per molti e molti anni finché un evento non lo fece risvegliare...

 




Era una magnifica giornata, il cielo splendeva di un azzurro intenso e vivace, e le nuvole apparivano di rado oltre l’orizzonte. Venezia si stava preparando per festeggiare il nuovo anno; eh sì erano passati ben 66 anni dalla morte del pittore maledetto e dalla tremenda maledizione che aveva scagliato. Oramai i veneziani avevano completamente rimosso l’accaduto e più nessuno ne parlava; tutti erano emozionati ed eccitati per la grande festa che si sarebbe svolta il giorno dopo, grandi festoni e mille decorazioni sbocciavano da ogni poro di piazza San Marco e dintorni. I costumi e le maschere avevano già riempito i negozi e la gente girava di via in via per trovare il costume più bello da poter sfoggiare per l’evento tanto atteso.

Tra le varie attrazioni d’intrattenimento per la festa ce ne era una molto importante, infatti la sera stessa era stata organizzata una mostra dei quadri più belli dipinti dai pittori più famosi di Venezia, tra questi vi erano molti pittori di corte, famosi per le loro opere esposte nella corte della famiglia regale, sede attuale di sua maestà Ludovico III da poco salito al trono. Questa mostra avrebbe dato il via a nuovi artisti che, catturati e affascinati da tale mostra avrebbero intrapreso la grande ambizione di divenire pittori di sua maestà il re; certo in 60 anni le cose erano ben cambiate, infatti Ludovico III era un gran superstizioso, non voleva ricadere sulla misteriosa maledizione di anni or sono; egli non voleva avere tra i piedi altri artisti maledetti o comunque in cerca di vendette, quindi si limitava ad espandere l’arte in modo che ogni artista sarebbe stato soddisfatto.

Ma male aveva fatto i suoi conti, non tenendo conto della vendetta incompiuta di Alvise...Ludovico III non pensava minimamente che Alvise avrebbe fatto ritorno dall’inferno per adempiere alla maledizione da lui scagliata. Le idee del nuovo centennio riguardanti l’espansione dell’arte anche tra gli artisti più poveri non avevano placato la sua ira, anzi l’avevano accentuata; Alvise non avrebbe tollerato un affronto simile, egli infatti allo scoccare della mezzanotte si svegliò, il suo corpo sfondò la bara con facilità, il legno era oramai secco e fragile; ed infine fuoriuscì dalla terra urlando, le zolle di terriccio volarono lontano quasi contente di essere spazzate via da tale avvenimento. I morti non dovrebbero mai tornare nel mondo dei vivi, e questo ogni essere ne era al corrente, perfino la terra. 

Ma Alvise aveva le sue ragioni per tornare

-” Eccomi! Dunque io son ritornato qui; per adempiere la mia vendetta su di te oh Venezia! Non troverò mai pace finché il mio spirito non si placherà , e questo avverrà soltanto se questa mia maschera avrà di nuovo un volto, perché il mio ahimè è stato cancellato...dora in avanti ruberò ogni volto dai quadri di ogni pittore, estrarrò ogni emozione dalle tele...e questo finché non ne troverò uno adatto a me. Oh Venezia, in questa notte di festeggiamenti il mio mantello rosso scarlatto lascerà il segno in ogni dimora, in ogni rifugio, in ogni locanda in cui vi troverò un dipinto.”

Detto questo Alvise Carraffa si avviò verso le vie di Venezia, abbandonando quella lurida laguna ove era stato sepolto e trascinandosi dietro il suo ormai logoro mantello rosso scarlatto.

 

Venezia brillava di gioia, mille luci e svariati colori adornavano le più importanti piazze e le vie principali; le persone giravano felici da tutto il giorno e ora che era finalmente giunta mezzanotte un’esplosione di meravigliosi fuochi d’artificio illuminavano il cielo blu profondo. I mille colori si stavano espandendo ovunque, sembrava che cielo e terra erano uniti in un incredibile arcobaleno notturno; la gente era euforica, girovagava con costumi davvero bizzarri, alcuni bevevano e brindavano al nuovo centennio, alcuni saltavano e ballavano mentre altri stavano semplicemente ad osservare le mille meraviglie che questa città offriva.

Sembrava che nulla avrebbe potuto contrastare tutta questa gioia, ma evidentemente avevano fatto male i loro calcoli. Alvise non appena vide tutti quei colori sgargianti non poté fare a meno di provare ancora più rabbia di quanta non ne avesse già. Gli dava disgusto vedere tutte quelle persone felici, era come se la sua vendetta fosse derisa...come il giorno della sua impiccagione. Così pieno di rabbia si avviò verso la mostra di dipinti indetta da Ludovico III, sulla sua strada incrociò innumerevoli persone ma loro come potevano riconoscerlo? In quella notte ogni veneziano era travestito nei modi più bizzarri che non fecero nessun caso a lui...tutti tranne...lei...

una povera fanciulla al solo vedere di Alvise si paralizzò momentaneamente; la poveretta era vestita di stracci ricoperti di toppe e indossava a malapena un paio di scarpe stracce e malridotte. Non era certo un costume per la festa e questo chiunque lo avrebbe capito, solo i più ricchi o comunque benestanti potevano permettersi tutti quei bei vestiti colorati e lei probabilmente non faceva parte di queste categorie. Si chiamava Coral ed era la schiava di una ricca famiglia nobiliare, essi erano imparentati con la famiglia regale e per questo alloggiavano nella reggia di sua maestà. Lei era costretta a seguire i suoi padroni ovunque gli avessero ordinato di andare; Coral osservò Alvise con interesse, le ricordava un qualcuno che aveva già visto da qualche parte...o ritratto in qualche dipinto. Ma non fece in tempo ad indagare che la sua padrone le diede uno strattone e le urlò

-”E muoviti inutile sacco di patate, non sto facendo tutta questa fatica per riuscire a vedere i fuochi d’artificio per niente sai? Altrimenti avrei preso una carrozza come al solito!” E le diede un altro strattone per impedirle di riguardarsi indietro

Alvise non notò minimamente l’accaduto, era troppo concentrato su ciò che doveva fare. Non appena si trovò davanti al luogo ove erano tenuti i quadri di ogni pittore di Venezia ghignò per qualche istante, poi senza affanno si diresse all’interno. Era davvero immensa quella mostra, oramai non vi era più gente a visitarla e lui, con un astuto stratagemma riuscì ad eludere la poca sorveglianza, quasi tutti anche le guardie erano fuori per i festeggiamenti. Così di sala in sala, di ritratto in ritratto, di tela in tela Alvise strappò con un sol gesto il volto di ogni persona raffigurata, siano essi uomini donne e perfino bambini...ogni volto Alvise si provò, ma con l’amara delusione di non averne trovato nessuno che si adattasse perfettamente alla sua maschera bianca, nessuno che potesse prenderne il suo posto. Frustrato per la delusione Alvise lasciò quel luogo, lasciando al posto di ogni viso dipinto un leggero velo rosso, ma che non faceva trasparire nulla...ne occhi, ne naso o bocca. 

Alvise non aveva trovato ciò che cercava, ma lui avrebbe continuato a cercare in eterno, finché non avrebbe trovato un volto adatto a lui. 

Decise così di rintanarsi sotto i ponti di Canal Grande, aspettato la notte successiva per continuare il suo compito. Ciò che però ora agognava terribilmente era di sapere la reazione che avrebbero avuto i Veneziani al sol vedere di quei magnifici quadri tanto amati.

Per questo non attese molto, l'indomani infatti il passaggio di Alvise fu acclamato alla gente da urli e schiamazzi che si ergevano da ogni poro di piazza San Marco. I primi ad accorgersi del misterioso fatto furono le guardie che solo la mattina con il sorgere del solo si resero conto del comune cambiamento che avevano subito i quadri. A sua volta avvertirono i proprietari dei quadri che, inorriditi, uscirono nelle piazze avvertendo i compaesani. Insomma la notizia fu presto sparpagliata per tutta Venezia e quindi tutti i cittadini si riunirono in piazza attendendo l’arrivo del re, l’unico in grado di dare qualche spiegazione. L’agitazione regnava sovrana, ognuno aveva sospetti su cosa sarebbe accaduto la notte precedente ma tutti si zittirono non appena il re fece la sua apparizione sul maestoso pulpito usato di solito dal vescovo per la recita dell’omelia o comunque usato in ambito religioso. Il re incitò la gente a stare tranquilla e che avrebbe sicuramente trovato il colpevole di tale scempio; i cittadini avevano cominciato a tranquillizzarsi quando un vechio fabbro non urlò terrorizzato: “E’ stato Alvise Carraffa a fare tutto ciò, egli infine è ritornato dal regno dei morti per perseguitarci...io c’ero all’ora, io c’ero quando Alvise prima di essere impiccato scagliò la sua maledizione su Venezia. Il ritorno del pittore maledetto è giunto!!” Detto questo un’ondata di terrore riempì la gente circostante, e da essa partì un turbine di urli che si propagò per tutta la piazza...urli e schiamazzi simili fra loro 

-”E’ tornato per perseguitarci”

-”La sua maledizione si sta' compiendo”

-”Egli è un morto che cammina tra noi”

Mille boati provenivano dalla popolazione spaventata, il re si irrigidì, non osò pronunciare parola davanti a tutta questa pazzia.

Egli non poteva credere alle sue orecchie, il pittore maledetto era tornato, e sicuramente avrebbe scagliato la sua ira su di lui...parente del re che ordinò la sua impiccagione...senza aggiungere parola, scappò con la coda tra le gambe...lasciando il popolo nelle mani della disperazione. 

I cittadini indignati diressero una riunione popolare la sera stessa per trovare una qualche soluzione, alcuni erano così terrorizzati che scapparono e si rifugiarono nelle loro case, ma la maggior parte cercò di dare promessa che sarebbe stata presente.

Alvise compiaciuto di tale risultato si lasciò scappare qualche risata, la sera stessa avrebbe fatto visita alla reggia di sua maestà per rubare i volti dei quadri più famosi di Venezia. 

La notizia del ritorno del pittore maledetto arrivò in fine anche a palazzo ove i nobili non appena sentirono l’accaduto non fecero altro che disperarsi girando l’intera reggia in preda al panico.

Un nobile di nome Fransise del Mark stava tranquillamente revisionando alcuni documenti quando fu avvisato dell’accaduto da un ciambellano di corte arrivato in fretta e furia nei suoi alloggi, mentre prendeva fiato la povera fanciulla Coral stava pulendo lo scrittoio del Lord. Essa essendo sempre rinchiusa nelle cucine a pelar patate non aveva ancora udito ciò che stava succedendo, per cui si fermò un istante e ascoltò con attenzione

-”Mio signore, la storia del pittore maledetto Alvise Carraffa è vera!! Egli è apparso ieri notte e ha compiuto un maleficio sui quadri della mostra!! La città e nel panico mio signore, il re si è rinchiuso nel suo ufficio e non ne è più uscito da stamattina. Che dobbiamo fare mio signore?” Disse senza più  autocontrollo il ciambellano

Il nobile inarcò le sopracciglia e massaggiò con cura i baffi ispidi e grigiastri...

-”Ora smettila di fare tanto baccano, Venezia si scompiglia per davvero poco...insomma tutto questo è davvero ridicolo!! Tzè un morto che torna nel mondo dei vivi per compiere la sua vendetta. Tutto questo è assurdo, questi racconti ci stanno offuscando...miti e leggende hanno preso possesso di ciò che veramente dovrebbe essere preso in considerazione...ovvero la realtà. Io non crederò finché non vedrò comparire sui miei quadri la traccia di questo pittore maledetto dal mantello rosso scarlatto. Fino ad allora ti prego di tenermi lontano da queste leggende popolane!!” Disse ritornando ai suoi documenti.

Il ciambellano confuso arretrò e uscii dalla stanza

Coral riprese a pulire ma con la soluzione, ora ricordava...ciò che aveva visto ieri sera non era altro che quel Alvise, ricordava di averne sentito parlare da suo nonno, suo unico parente e tutore, che aveva assistito alla morte del pittore. Egli era affascinato dal mistero che avvolgeva Alvise e quindi lo dipinse su una tela, che però nascose perché se avrebbero scoperto di tale gesto lo avrebbero potuto definire perfino un eretico. Egli però prima di morire regalò il dipinto a Coral e le raccontò la storia, anch'essa fu affascinata dal racconto di Alvise invece che esserne terrorizzata. Alla morte del nonno però Coral fu affidata alla famiglia nobiliare del Mark ove fu dato il ruolo di servitrice.

L’idea che Alvise Carraffa potesse far visita alla reggia di sua maestà rese Coral assai eccitata, finalmente avrebbe potuto conoscere la persona che più di ogni altra aveva incuriosito lei e suo nonno; così si ripromise che la sera stessa avrebbe fatto una piccola fuga dalle cucine per incontrare Alvise.

La notte giunse prima del previsto, la gente si era oramai riunita in consiglio e insieme cercarono di trovare una qualche soluzione. Avevano mandato alcuni degli uomini più coraggiosi a vedere se effettivamente la tomba di Alvise risultava vuota, e la notizia positiva non fece che aumentare lo scompiglio...sarebbe stata una lunga e dura notte.

Il mantello rosso di Alvise svolazzava per le vie deserte di Canal Grande, eccitato all’idea di creare ulteriore scompiglio e naturalmente di adempiere il suo dovere Alvise si ritrovò davanti all’imponente reggia del re dove anni che furono bisticciò insistentemente con le guardie che ora erano raddoppiate e si ergevano da ogni parte...erano così tante che circondavano non solo il cancello, ma quasi tutta la struttura.

Ma Alvise non si faceva certo intimidire da così poco, egli camminò nell’ombra lungo il perimetro della reggia cercandovi una buona entrata, alla fine la trovò...una piccola finestrella inaccessibile per chiunque, ma non certo per Alvise Carraffa, anche se era chiusa da sbarre di ferro egli essendo un morto richiamò a se la forza dell’aldilà e con un sol pugno si aprì un varco e vi entrò.

Percorse le cantine salì le maestose scale in avorio, arrivando ai piani superiori. Quando vi giunse si guardò attorno circospetto, era da un po’ che stava percependo una strana presenza, come se qualcosa o qualcuno lo seguisse, ma lo stesso proseguì lungo il corridoio giungendo in fine all’inizio del corridoio ovest, adornato di enormi quadri. Egli si mise ad osservarli con compiacere; 

La strana presenza che aveva captato non era altro che la nostra Coral che spiava dall’angolo del corridoio, era impaurita ma nello stesso tempo estasiata da ciò che vedeva...Alvise Carraffa esisteva veramente ed era proprio lì sotto i suoi occhi.

Si girò per un istante quasi incredula a ciò che aveva appena visto, poi quando ritornò ad osservare il corridoio Alvise non era più presente, era sparito. Coral rimase un po’ sorpresa ma poi pensò che forse aveva proseguito verso il corridoio opposto così, ingenuamente, uscii allo scoperto correndo sulle punte lungo il corridoio, ma giunta a metà fu assalita da una figura che spuntò da dietro le tende. Egli la mise spalle al muro 

-”Chi sei? Come hai osato seguirmi fino ad ora?” Disse Alvise con voce minacciosa

Coral ora era paralizzata, la paura cominciò ad impossessarsi del suo volto ma non abbastanza da emettere un urlo.

Alvise stizzito portò la mano in alto come per colpirla, quando i raggi candidi della luna attraversarono le enormi finestre addietro e illuminarono il volto di Coral...i suoi capelli biondi erano arruffati ma scivolavano aggraziatamente lungo la schiena. Ma ciò che rese Coral un meraviglioso spettacolo fu il luccichio dei suoi occhi cristallini che, riflettevano la luna. Alvise non appena la vide abbassò la mano e rimase a contemplarla per qualche istante, lei notando il suo gesto si tranquillizzò.

Alvise non aveva mai visto tanta bellezza, nemmeno quando era vivo; era così ammaliato dalla fanciulla che mise una mano sulla sua guancia e la accarezzò. Lei ne rimase alquanto sbalordita ma non lo fermò, un velo di imbarazzo però si manifestò nel suo volto.

-”Sei davvero bella...io...io voglio il tuo viso...” Disse Alvise incantato

Lei turbata da quelle parole allontanò la mano di Alvise, la paura aveva ricominciato ad invaderla, ma stavolta ebbe il coraggio di parlare:

-”Il mio viso? Non posso certo donarlo così a mio piacimento. Che cosa cerchi veramente Alvise Carraffa? Tu...tu non possiedi un tuo viso dietro la maschera che ti porti? Ma certo che ce lo hai...tutti hanno un viso!!” Disse la fanciulla lasciando Alvise senza parole...

 

Coral sapeva che con quelle parole aveva fatto centro, così si limitò a prestare ascolto ad Alvise che, ancora allibito, aveva cominciato a borbottare fra se e se.

-”Io...io...ho un viso? Questa mia maschera nasconde...il mio vero viso?” Disse continuando a ripetere la stessa frase.

Coral finalmente non aveva più paura perché si era accorta che in fondo Alvise ne aveva più di lei; così gli prese la mano e lo portò lungo la fine del corridoio, arrivati Coral si avvicinò presso un’enorme vaso d’epoca greca e pigiò un piccolo pulsante che stava li accanto. Esso rivelò un passaggio segreto attraverso la parete...

-”Questo passaggio lo ho scoperto grazie a mio nonno che a prestato servizio in questa reggia...lui e un paio di suoi amici lo avevano fatto costruire negli anni che furono per proteggere le tele dei ritratti più belli di sua maestà e anche altri oggetti di gran valore. Seguimi...devo mostrarti una cosa...Alvise Caraffa!” 

Alvise seguiva Coral con attenzione, cercando di studiarla, di capire quale era il suo scopo...perché lo stava aiutando? Dopotutto lui era tornato per compiere una vendetta sui Veneziani, ma a Coral questo sembrava irrilevante.

-”Perché mi stai dicendo tutto questo? Non capisco...io sono un morto, un morto che non avrà mai pace finché la sua vendetta non sarà compiuta...e tu una così bella fanciulla, perché mai non provi disgusto in mia presenza?” Chiese Alvise 

Coral imbarazzata per le belle parole di Alvise rispose sinceramente:

“Beh, a dir la verità non lo so. Sento che è la cosa giusta da fare, sento di potermi fidare di te...insomma dopotutto ti hanno incolpato ingiustamente,  la verità è che avevano tutti paura di te perché pensavano fossi l’incarnazione del male; però io sento che non è così Alvise, sento che in te c’è del buono...tu non troverai mai pace finché il tuo animo non si quieterà. Chissà magari facendoti vedere il tuo vero volto troverai pace.” Disse Coral proseguendo nell’oscurità del tunnel.

Alvise non trovava parole, era allibito e confuso, come poteva lei conoscere il suo vero volto? 

Mentre Alvise si poneva questi interrogativi un’enorme porta ,posta alla fine del tunnel, si prostrò davanti ai loro occhi; Coral prese una piccola chiave d’argento e con un sonoro cigolio la porta si aprì.

La stanza non era molto grande, però conteneva un gran quantità di oggetti...non solo vecchi arazzi, ma anche sculture e gioielli.

Coral rovistò tra gli arazzi che trovò a sinistra, a coprirli c’erano delle vecchie tele impolverate; dovette cercare per qualche minuto ma dopo un po’ emise un uletto eccitato.

-”Sì l’ho trovato Alvise, eccolo qui!!” Disse in fibrillazione

Alvise non capiva perché fosse così emozionata, al contrario lui era ancora confuso e teso.

-”Io non capisco, che cosa vuoi mostrarmi?” Chiese 

Coral divenne seria, poi parlò:

-”Questo Alvise è il tuo ritratto, quello dipinto da mio nonno, mi piacerebbe che osservassi attentamente, osserva il tuo vero volto...osserva ciò che sei realmente Alvise...” E detto questo tolse con delicatezza il logoro velo che ricopriva il dipinto.

Alvise osservò attentamente dalle fessure che aveva sulla maschera, sì il suo unico vincolo eterno; rimase ammaliato, quasi stupito da ciò che vide:

Un normalissimo ragazzo che dipingeva su una tela per le vie di Canal Grande...avvolto come sempre dal suo mantello rosso scarlatto, aveva un volto sereno ma nello stesso tempo concentrato, gli zigomi erano leggermente tirati e le labbra rosee mettevano in risalto il bianco candido della pelle. Gli occhi verdi intensi riflettevano la tiepida luce del tramonto, che pervadeva lo sfondo della via quasi deserta.

Questo era Alvise Caraffa, un povero pittore ma felice di esserlo...

Qualche lacrima fuoriuscì dalla fredda maschera bianca, 

Coral le notò, compassionevole gli rivolse un dolce sorriso:

-”Sai Alvise, i morti non possono piangere o provare sentimenti...eppure tu stai piangendo, secondo te perché?” Chiese 

Alvise non rispose, era troppo disorientato e impaurito; così Coral gli si avvicinò e posò con cortesia le sue mani ai lati della maschera, Alvise si irrigidì per un istante ma poi vittima della dolcezza della ragazza si ammorbidì. Coral dunque tolse lentamente la maschera, rivelando lo stesso volto del dipinto. Un volto giovane ma trasandato, un po’ più pallido ma con occhi di un verde quasi magico.

Coral sorrise e disse:

-”Eccoti qua Alvise!” 

Alvise si tastò e si strofinò gli occhi, per poi rivolsi alla fanciulla:

-”Non posso crederci, tu graziosa fanciulla ai saputo ritrovare il mio volto...” Disse esterrefatto

Lei però sorrise ancora non concordando con l’affermazione di Alvise:

-”No mio caro Alvise Caraffa, tu lo hai sempre avuto, solo che la tua vendetta aveva alimentato sempre di più il tuo odio per ciò che accadde quel fatidico giorno...ha perdurato negli anni...finché non è diventata così forte da farti odiare perfino te stesso. Se ricordi bene nel tempo in cui tu eri vivo non avevi bisogno di un giudizio, eri semplicemente te stesso, e anche se non ti accettavano andavi avanti...accompagnato dal tuo fedele mantello rosso scarlatto.” Disse Coral con affetto.

Alvise la guardò intensamente, prima di allora non aveva avuto interesse per le donne, ma quella graziosa fanciulla lo aveva salvato...con la sua gentilezza e umiltà era riuscita a ridonargli pace...e di questo ne era rimasto ammaliato.

-”Come potrò mai ringraziarti mio caro angelo? Tu hai finalmente quietato la mia anima...ora finalmente vivrò in pace...” Disse con garbo.

Poi prese le sue mani che avvolgevano ancora la maschera, le baciò con tenerezza e poi le disse:

-”Ti dono questa maschera, se mai ne avrai bisogno hai la mia parola che indossandola io esaudirò qualunque desiderio tu decida di esprimere.” Detto questo le sorrise per la prima volta e, poco a poco svanì, lasciando infine una piccola scia luminosa che entrò nel quadro; ora Alvise Caraffa avrebbe riposato in eterno all’interno del suo vero ritratto.

Coral ne rimase in contemplazione, era felice perché aveva aiutato Alvise, ma nel profondo ne era terribilmente dispiaciuta perché ora era rimasta di nuovo sola.

A risvegliare la fanciulla dai suoi pensieri fu lo schianto violento della porta contro la fragile parete della stanza. Coral non ebbe il tempo di nascondere il quadro che una guardia le si avvicinò e le strappò di mano la tela, l’unica cosa che non presero fu la maschera.

-”Che cosa stavi facendo qui? Questa stanza è proibita e non ho la minima idea di come tu abbia fatto ad entrare!!” Disse l’uomo più alto che le aveva strappato la tela di mano

Un altro uomo decisamente più piccolo e paffuto emise uno strano urlo di terrore:

-”Q-uello è...è il r-ritratto di A-Al-lvise C-caraffa!!!” Disse balbettando

L’uomo prese la tela fra le sue mani ed emise pure lui strani ed acuti urletti.

-”Questa ragazza ha dipinto Alvise Caraffa...questa ragazza venera il male...” Disse fuori di se l’uomo paffutello

Coral cercò di spiegarsi:

-”Non è vero, questo dipinto c’era già!!” Disse singhiozzando

Ma l’uomo alto aveva capito tutto

-”L-a ma-schera, questa ragazza ha in mano la stessa maschera di Alvise!! Ella ne è sua cospiratrice!!” Urlò puntandole un dito accusatore

Coral cercò di divincolarsi ma un altro uomo più forte e mascolino la prese per il braccio e urlò ai colleghi:

-”Dobbiamo portarla dal re!!Lui saprà la giusta punizione!!”

Gli altri annuirono all’unisono approvando la soluzione di quest’ultimo...

Coral smise di divincolarsi e si tenne stretta a se la maschera di Alvise, la quale non fu sfiorata da nessuno.

 

Lo scenario cambiò, Coral non si trovava più nella stanza segreta all’interno del castello...al contrario era legata ad un’enorme palo, circondata da fascine di ramoscelli. Davanti a se aveva una moltitudine di persone che schiamazzavano, urlavano e le tiravano cose.

L’unica voce che si udiva al di sopra delle altre, riferiva testuali parole:

“Coral McMorrow, colpevole per cospirazione ed eresia, accusata di aver interagito con lo spirito di Alvise Caraffa e di esserne stata sua cospiratrice; colpevole di aver osato dipingere quest’ultimo in una tela e poi di averlo posto nell’archivio segreto di sua maestà, il re.

Pertanto io proclamo costei vittima di stregoneria e altre pratiche malefiche, la condanno a morte; assieme a lei verrà bruciata la maschera di Alvise Carraffa, nella speranza che egli trovi giusto posto negli inferi!! ” Finì acclamato ed esultato dalle genti, mentre a Ludovico III se ne stava tranquillo ad assistere al processo, aggraziatamente seduto all’interno del pulpito, al suo fianco Fransise del Mark osservava indignato Coral, il solo pensiero che quella sguattera fosse una sottospecie di strega lo traumatizzava quanto la storia rivelatasi vera di Alvise Caraffa.

Dopo una ripetuta serie di rulli di tamburi una guardia prese la torcia, con l’ardente fuoco che scoppiettava all’apice, e poi con enorme indifferenza lo gettò tra le fascine.

Il fuoco cominciò a propagarsi tra di esse, sempre più vicino a Coral, sempre più insaziabile...

Coral guardò per l’ultima volta il paesaggio mistico di Piazza San Marco, con i suoi colori, i suoi splendidi edifici a ridosso dei canali...

si lasciò sfuggire un’unica lacrima, la quale scivolò con grazia sulla maschera di Alvise che ancora teneva in mano.

La guardò per un momento e poi rammentò le parole di Alvise

“Ti dono questa maschera, se mai ne avrai bisogno hai la mia parola che indossandola io esaudirò qualunque desiderio tu decida di esprimere.”

Così senza affanni cercò di liberarsi una mano per potervi portare la maschera sul volto, ma le fiamme erano oramai ai suoi piedi e il caldo rovente cominciava a bruciarle la pelle. Con fiotti di sudore per la fatica, riuscii, con l’aiuto del fuoco che oramai aveva allentato le corde, ad liberarsi e in una frazione di secondo a mettersi la maschera.

Con un lieve sussulto ella sparì tra le fiamme roventi che oramai l’avevano completamente circondata.

Nessuno si accorse della sua scomparsa, tutti supposero che il suo corpo fosse divenuto cenere e assieme a lei pure la maschera.

 

Molti anni più tardi fu rinvenuto uno strano dipinto nella reggia imperiale, probabilmente si pensò ad un vecchio cimelio ottocentesco; in questo strano ritratto erano raffigurati un uomo dal viso felice e sereno, che portava uno strano mantello rosso scarlatto, affiancato da una splendida fanciulla bionda altrettanto radiosa e felice, e cosa che incuriosii molto fu una misteriosa maschera bianca ai loro piedi.

  
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