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Autore: Phoenix3    21/08/2012    7 recensioni
Una bambina bellissima.
Una bambina viziata.
Una bambina che ama i vestiti e le bambole.
Una bambina che, dietro tutto questo, non può evitare di scoprire le proprie origini.
Genere: Generale, Introspettivo | Stato: completa
Tipo di coppia: non specificato | Personaggi: Bra, Bulma, Trunks, Vegeta
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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Salve a tutti! ^_^ Immagino che nessuno si ricorderà di me, dato che sono quattro anni che non posto. Ho deciso però di usare lo stesso il mio vecchio account, perché in fondo non si sa mai. Certo, così facendo le mie storie vecchie sono ancora lì, con tutte le ingenuità di cui le riempivo allora... ma va beh, diciamo che non bisogna vergognarsi del proprio passato. XD Vi avviso già comunque che non escludo di rimetterle a posto in futuro, specialmente quella di Vegeta-bambina, alla quale sono particolarmente affezionata. XD

Per quanto riguarda questa one-shot, l'ho scritta per un torneo di fan-fiction in cui veniva chiesto di descrivere un tentativo di rivalsa da parte di un personaggio minore. Contando che io in Dragon Ball mi rifaccio principalmente al manga originale, un personaggio come Bra, lì ridotto a semplice comparsa, mi è sembrato perfetto. ^_^

Nota: per mantenere un certo alone di mistero nel torneo suddetto, in questo testo non vengono mai riportati i nomi dei personaggi, né tantomeno i termini specifici di Dragon Ball. È stata una scelta divertente, perché volevo vedere se i giudici sarebbero stati in grado di riconoscere il contesto senza che io lo dicessi esplicitamente. Per cui non stupitevi se non leggerete mai parole come "Bra" o "saiyan", è una cosa voluta, ma che spero non tolga niente alla sostanza. :)

Non dico altro, se non che spero che vi piaccia. :) BUONA LETTURA!


 


CAMERA BLINDATA

 
 

Anche quel giorno, come ogni mattina, le avevano detto che era una bambina bellissima.
Anche quel giorno, come ogni mattina, si era fatta spazzolare i capelli ammirando allo specchio il proprio viso e i grandi occhi azzurri.         
Stava ancora pensando a quanto sarebbe diventata graziosa con il vestito rosso che la nonna le aveva promesso in regalo, quando una larga porta grigia attirò la sua attenzione. Sebbene conoscesse gran parte delle stanze più vicine alla sua camera, cinque anni di vita non le erano stati sufficienti a esplorare tutta la casa.
La bambina si avvicinò all’uscio e tirò la maniglia; a giudicare dallo spessore della porta, al suo interno doveva trovarsi qualcosa di grande valore.
Sarà un’invenzione del nonno, si ritrovò a pensare.
L’odore di chiuso le raggiunse le narici facendole arricciare il naso. Accese l’interruttore e osservò lo spazio a bocca aperta: la stanza, priva di finestre, conteneva solo due scatoloni, mentre a una parete era appeso un vecchio progetto che portava la firma di sua madre.
La bambina si avvicinò al disegno: rappresentava un robot a due ruote le cui braccia sostenevano una sega circolare. Dalle nozioni di meccanica che aveva appreso senza difficoltà, intuì che il macchinario non potesse fare nient’altro che tagliare materiale e girare la testa cubica su cui era impiantato un laser.
Qualunque cosa fosse, di certo è stata spostata da qui, pensò, e si avviò verso uno degli scatoloni. Ne aprì uno, e un’ondata di polvere la fece tossire più di quanto faceva quando il nonno le fumava addosso. Vinta dalla curiosità, guardò all’interno: c’era solo un album di fotografie. Sbuffando, si decise che ormai tanto valeva sfogliarlo, anche se di certo una vecchia bambola o qualche abito sarebbero stati più interessanti.
Le prime foto rappresentavano la mamma più giovane di quasi vent’anni, prima con una grossa pancia, poi con un neonato dai capelli lilla. La bambina sorrise.
È vero quello che dicono, io e lei siamo due gocce d’acqua, pensò. Mio fratello, invece, ha lo stesso sguardo corrucciato di papà.
Girò pagina, e ciò che vide la lasciò a occhi sbarrati.
Non poteva essere.
«La coda!» gridò, e fece cadere l’album scattando all’indietro. «Mio fratello è nato con la coda!»
Di colpo, la sua mente rievocò un ricordo passato.
 
Era nella vasca da bagno, e la mamma le stava insaponando i capelli.
«Mamma,» aveva chiesto, «perché ho una cicatrice qui?» Il suo indice aveva toccato l’osso sacro.
La mamma le aveva sorriso. «È una cosa che hai preso da papà, ma non farci troppo caso: resti comunque bellissima!»
Lei aveva incrociato le braccia. «Non è per questo che l’ho chiesto, voglio sapere cosa vuol dire!»
La mamma aveva continuato a insaponarla. «Vuol dire che sei una principessa, tesoro. Una piccola principessa di un regno lontano.»
A quel punto lei aveva smesso di farsi domande. «Che bello, allora domani voglio un vestito da principessa!»
«Ma certo, piccola mia.»
 
La bambina fissò il pavimento.
Perché non gliel’avevano spiegato chiaramente?
Altro che cicatrice della nobiltà, lei era nata con la coda! Era una parte del corpo che di certo avrebbe minato la sua bellezza, ma si trattava pur sempre di un frammento di sé. Pensavano davvero che una bambina prodigio come lei, figlia e nipote di scienziati di fama mondiale, non se ne sarebbe mai accorta?
La bambina strinse i pugni, cercando di cacciare indietro le lacrime, e si costrinse a voltare pagina. Se c’era qualcos’altro che doveva sapere, quell’album avrebbe potuto darle le risposte.
C’era di nuovo suo fratello, ma questa volta la foto doveva essere di qualche mese fa: era un ragazzo adulto, alto e dal bel portamento. Tuttavia, c’era qualcosa che non andava nel suo sguardo. La bambina lo scrutò con più attenzione. Assomigliava terribilmente a quello del padre, una persona che, stando a ciò che le avevano raccontato, era cresciuta in un mondo dove per sopravvivere era necessario combattere. Non aveva nulla dell’espressione serena che era abituata a vedere nel fratello maggiore.
Inarcando un sopracciglio, osservò la foto successiva. Stavolta insieme a lui c’era anche la mamma. Questa volta doveva trattarsi chiaramente di un fotomontaggio: per quanto la donna si fosse sempre tenuta in forma, lì aveva lo stesso aspetto di quando il suo primogenito era neonato. Ma la foto seguente la fece di nuovo assalire dai dubbi.
C’erano due fratelli maggiori.
Uno, neonato, tenuto in braccio da un secondo adulto. Un secondo fratellone che era come quello che lei conosceva, ma che allo stesso tempo non lo era. Un fratellone il cui aspetto era identico al suo, ma la cui anima celava indicibili sofferenze.
 
«Fratellone», gli aveva chiesto qualche mese prima, «è vero che parteciperai anche tu al torneo di arti marziali con tutti gli altri?»
Lui aveva sbuffato. «Sì, è vero.»
«E perché non ti stai allenando con papà?»
Il ragazzo l’aveva fissata. «Senti, dopo lo faccio, ma ora non farmi la predica pure tu. Ora viviamo in pace, non c’è bisogno di combattere. L’ho fatto dieci anni fa, quando è stato necessario, e ringrazio di essere stato troppo piccolo per rendermi conto di molte cose.»
La bambina aveva sbattuto le palpebre. «Si combatte solo quando ci sono i mostri? Ma papà lo fa perché si diverte!»
Suo fratello allora l’aveva squadrata con disprezzo e aveva sbattuto un pugno sul tavolo. «Non c’è niente di divertente, chiaro? Tu sei nata in pace, non puoi capire! Forse qualche volta di notte avrai sognato un mostro, ma cosa ne vuoi sapere di quelli che sogno io? Come credi che saresti diventata, tu, se fossi nata in un mondo in guerra? Tornatene pure a giocare con le bambole, e ringrazia nostro padre e gli altri che hanno fatto sì che tutti possano crescere in un mondo dove è possibile farlo.»
 
Era stata l’unica volta in cui l’aveva visto in quello stato. Per il resto, era il ragazzo tranquillo e gentile di sempre, che forse avrebbe preso le redini della società di famiglia.
La bambina si avvicinò allo scatolone chiuso.
Era impolverato quanto l’altro, e aprirlo le avrebbe di certo sporcato il vestito. Inoltre era tenuto saldo da un potente nastro adesivo, che di certo le sue mani graziose non sarebbero state in grado di rimuovere senza spezzarsi le unghie.
“Sei una principessa, una piccola principessa di un regno lontano.”
Le cose stavano così. Lei era bambina stupenda, doveva trascorrere le sue giornate a coltivare la sua bellezza per poter diventare un giorno affascinante come la sua mamma.
“Come credi che saresti diventata, tu, se fossi nata in un mondo in guerra?”
La bambina strizzò gli occhi.
No.
Lei non era una bambina graziosa, era una bambina a cui avevano imposto di esserlo. Perché nel mondo in cui era nata c’era la pace, e questo era il modo in cui era giusto che la figlia di una donna ricca crescesse.
D’altronde, pensò, una bambina carina come me non ha alcun talento nella lotta, giusto?
Tirò un calcio allo scatolone chiuso. Il cartone si piegò in una leggera ammaccatura.
«Ma dai!» esclamò, e scoppiò a ridere. «Cosa mi sono messa a pensare? La mia forza combattiva è inferiore a quella del gatto del nonno! D’altronde una creatura meravigliosa come me non può certo dedicarsi a un’attività barbara come i combattimenti!»
La scatola si mosse.
La bambina lanciò un grido e si appiattì alla parete.
Il cartone superiore si squarciò in due e rivelò la presenza di un robot con una sega circolare.
«Ma cosa diavolo…?» Si voltò verso il muro dove era appeso il foglio. «Il progetto! Pensavo che si trattasse di qualcosa di troppo grande per quella scatola!» esclamò, e scattò verso la porta.
Non c’era nessuna maniglia.
Dannazione, come ho potuto essere così stupida da chiuderla? Questa è una porta di sicurezza speciale!
Il robot si bloccò al centro della stanza e il laser cominciò a proiettarsi in punti casuali. «RICERCA BERSAGLIO» disse con voce metallica.
La bambina rabbrividì.
Mi troverà.
La luce si mosse verso l’uscio.
Mi troverà di sicuro.
«BERSAGLIO INDIVIDUATO.»
La sega aumentò la velocità di rotazione e il robot avanzò verso l’obiettivo.
Mi taglierà a fette!
«ANALISI BERSAGLIO.»
«Aiuto!» La bambina sbatté i pugni sulla porta. «Papà, fratellone! Qualcuno mi aiuti!»
Nessuna risposta.
«Aiutatemi!»
«ANALISI COMPLETATA.»
“Tu sei nata in pace, non puoi capire! Forse qualche volta di notte avrai sognato un mostro, ma cosa ne vuoi sapere di quelli che sogno io?
Cosa ne vuoi sapere?
Cosa ne vuoi sapere?
Cosa ne vuoi sapere?
Sapere? Sapere? Sapere sapere sapere sapere sap–”
«Basta! Io sono come te!»
Luce. Potere. Distruzione.
La bambina sentì l’energia defluire dal proprio corpo. Era una sensazione meravigliosa.
Poi, il nulla.
 

***

 
Si risvegliò nel proprio letto, la fronte grondante di sudore.
La madre, accanto a lei, lanciò un grido di gioia. «Meno male! Ho temuto il peggio!»
La bambina si sfregò gli occhi. «Cos’è successo?»
«Oh, tesoro, sei stata coinvolta in un terribile incidente. Sei rimasta chiusa in una delle camere blindate e una mia invenzione dimenticata è esplosa! È davvero un miracolo che tu ne sia uscita incolume!» Abbassò lo sguardo, tentando invano di mascherare il senso di colpa.
La figlia sbatté le palpebre. «Ora ricordo! Quel robot stava per farmi a pezzi!»
La donna deglutì. «Beh, adesso non pensiamoci più. Guarda un po’ qui, ho una sorpresa per te!» Detto ciò, le porse un vestito rosso con ancora l’etichetta. «La nonna è sempre di parola, eh? Mi ha detto di dartelo subito dopo il tuo risveglio.»
«Ringraziala da parte mia» disse la bambina, e si tirò in piedi.
«Ehi, dove stai andando?»
«Torno subito.»
«Tesoro? Non sei ancora in forma, stai a letto un altro po’!»
Ma la bambina la ignorò.
 

***

 
La porta era stata sfondata dall’interno. Sul pavimento giacevano i resti bruciati dell’album di fotografie e i pezzi del robot ormai non riparabile. La bambina avanzò verso il centro della stanza, finché una voce profonda alle sue spalle non attirò la sua attenzione.
«Vedo che ti sei ripresa presto.»
Lei si voltò e sorrise. «Sì, papà. Mi sono spaventata molto, ma ora è acqua passata. Certo, nessuno sentiva le mie grida, per cui ero sicura che sarei morta.»
L’uomo si appoggiò a una parete e incrociò le braccia. «Morta? Tsk, non dire assurdità.»
La bambina strinse i pugni. «Ma è vero! Tu non hai visto quel robot! Con quella sega avrebbe potuto tagliarmi a fettine!»
«E perché non l’ha fatto, secondo te?»
Lei si bloccò.
«Rispondimi. Perché io qui ho trovato il tuo corpo intero e non a fette?»
La bambina deglutì. «Perché, ecco…» si interruppe, e abbassò lo sguardo per celare il rossore. «Ho sentito della forza. E l’ho scatenata, o almeno credo. Ho provocato io questo disastro.»
Il padre si staccò dal muro, le braccia ancora conserte, e si avviò verso la soglia. «Apri bene le orecchie» le disse dandole spalle. «Non devi minimamente pensare di poter morire per sciocchezze di questo tipo. Tu sei mia figlia, e questo ti rende in grado di sopravvivere a qualunque incidente in tempo di pace. La prossima volta cerca di non dimenticarlo.»
La bambina sorrise, e l’uomo fece per andarsene.
«Papà?»
Lui si fermò senza rispondere.
«Potresti, ecco, insegnarmi a controllarla? Questa forza, dico. Credo che mi sentirei più sicura se sapessi come usarla.»
L’uomo si voltò inarcando un sopracciglio. «Tua madre è d’accordo?»
«È importante che lo sia?» chiese lei, e sorrise di nuovo.
«No, ma preferirei evitare di sentirmelo rinfacciare per i prossimi dieci anni.»
«Beh, se lo fa tu dille che hai allenato anche con mio fratello, e che nella società attuale non è concepibile che proprio una scienziata presidentessa di una grossa società globale faccia discriminazioni sessiste.»
«Lasciamo perdere. Vieni qua e fatti sotto.»
La bambina lo raggiunse. «Agli ordini, sensei!»

  
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