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Autore: Mannu    21/08/2012    0 recensioni
La libertà di ciascuno termina dove inizia quella altrui. Ma quando due persone decidono di stare insieme le cose si complicano. Aggiungiamo che una delle due persone è Miki, inquieta, incerta, perennemente insoddisfatta di se stessa e che ancora non sa esattamente cosa vuole dalla vita...
Tutto inizia con un capriccio, ma stavolta uno davvero pericoloso. Sfidare il mortale abbraccio di Giove!
Genere: Avventura, Azione, Science-fiction | Stato: completa
Tipo di coppia: non specificato
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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- Questa storia fa parte della serie 'Ferraglia spaziale'
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GIOVE CONTRO
10.


Puntò la rotospazzola e passò più volte sopra la macchia scura. Insistendo con vigore riuscì a cancellarla. Era la quarta: uguale alle prime tre, formava una traccia che conduceva dritta dritta al portello che separava gli alloggi dall'hangar delle cimici. La stavano facendo sudare. Evidentemente qualcheduno un po' distratto aveva calpestato qualche schifezza presso una piazzola di manutenzione e l'aveva portata sotto le suole fin lì, lasciando ovunque impronte di ciabatte. Si voltò e trovò conferma: ancora poche macchie e avrebbe scoperto chi tra Clara e Samra aveva commesso il misfatto. Gliene avrebbe cantate quattro a tutt'e due se non avessero implorato in fretta il suo perdono.
- Scusa, posso... passare?
A quella voce timida si voltò di scatto, accigliata. Peter, quasi nudo come suo solito. Ci prova sempre, pensò. Che coglione.
- Che vuoi? - lo apostrofò con durezza.
- Dovrei andare in bagno... - sorrideva, e l'atteggiamento deferente non era una recita. Da quando gli aveva fatto assaggiare il manico della rotospazzola, la stessa che impugnava in quel momento, Peter non solo aveva smesso di toccarla e infastidirla a ogni occasione, ma aveva anche cambiato atteggiamento. Ora la temeva e la rispettava. Aveva creduto che quel rispetto fosse dovuto ai lividi sulla faccia e che sarebbe scomparso con essi, invece si stava rivelando duraturo. Forse addirittura permanente, come i tatuaggi che esibiva sulla sua pelle leggermente olivastra.
- L'ho appena pulito tutto – secca e dura, non gli cedette il passo.
- Ma Miki... prima o poi qualcuno dovrà pur usarlo, no?
- Dai, passa – si tolse di mezzo per farlo passare, sfruttando l'ingresso della propria cabina. Lo osservò di spalle mentre entrava nel bagno appena ripulito da cima a fondo con rotospazzola e olio di gomito. Peter era davvero un elemento destabilizzatore: uno spaccone presuntuoso e volgare, con sufficiente faccia di bronzo da pretendere ciò che veniva spontaneamente offerto e abbastanza stupido da non capire quand'è il momento di smettere. Non gli era andata giù che lei non si fosse mai messa nella branda con lui. Osservò la sua schiena tatuata, un muscoloso triangolo che convergeva verso il basso, verso due natiche sode e tonde. Però ha un bel culo, si disse. Puntò di nuovo la rotospazzola e riprese a pulire il pavimento da dove aveva interrotto, cercando di ignorare i fastidiosi rumori liquidi provenienti dal bagno.
Era giunta ormai all'ultimo tratto di corridoio quando una voce rauca e vecchia echeggiò sopra di lei.
- Miki, potresti andare alla centrale operativa per favore?
Mahmet, la IA che comandava la stazione.
- Non c'è niente da pulire lì – commentò asciutta. Non avrebbe immaginato che sarebbe arrivata a odiare la rotospazzola. Il turno di pulizia sembrava non finire mai.
- Ti aspetto, O.K.?
Era il tono di chi non ammetteva ulteriori repliche. Non sapendo dove appoggiare la rotospazzola, Miki la staccò dal pavimento e la portò con sé. Non le capitava spesso di entrare nel locale adibito a centrale operativa. Nelle tre settimane di permanenza su Niharra quella era la seconda o terza volta, mai per motivi di servizio. Era una stanza affollatissima di apparecchiature di ogni tipo: dalle console di interfaccia con i sistemi di bordo, che comprendevano tutto dal sostentamento vitale agli automatismi per la gestione delle cimici, fino al riservatissimo nucleo della IA, un armadio tecnico protetto e inaccessibile. Si era sempre chiesta chi facesse manutenzione a Mahmet e cosa avrebbero dovuto fare nel caso un guasto serio colpisse l'intelligenza artificiale che governava la stazione. Le console erano organizzate in banchi, ma erano stati aggiunti terminali a casaccio posando le unità di calcolo dove c'era spazio col risultato che la sala, non poi così grande, giaceva in un caos di cavi e componenti. Al punto che sarebbe stato problematico pulire per terra con la rotospazzola. Infatti il pavimento era sporco in modo impressionante.
- Avvicinati, per favore.
A quelle parole la console di comunicazione si accese. Miki fece come le era stato detto e cominciò a scrutare lo schermo: quello però offriva solo interminabili colonne di numeri, tra cui riconobbe solo data e ora. Era un registro.
- Da circa tre giorni riceviamo dei messaggi subspaziali da una nave che sta venendo qui. È a meno di due ore.
- E quindi? Sono i rifornimenti? Non abbiamo ancora completato la quota: se sono i clienti hanno fatto un viaggio per niente. Mancano ancora molti salti.
- Né i rifornimenti, né i clienti. Cercano te.
- Cercano me? Chi mi cerca? - esclamò puntandosi un dito contro il petto reso leggermente scivoloso dal sudore. Nonostante tutte le apparecchiature elettroniche stivate lì dentro avrebbero tratto beneficio da qualche grado in meno, il caldo era pari al resto della stazione.
- La nave si chiama Raja ed è intestata a un certo Pavel Zebrinsky...
Lo schermo della console di comunicazione mostrò uno schema generico della nave con le informazioni solitamente fornite dai transponder: numero di registro, intestatario, frequenze di chiamata e via dicendo. Non c'erano errori né dubbi.
- Occazzo – Miki sentì un peso improvviso sulle spalle e il suo cuore esultare leggero per la gioia. E adesso che faccio, si chiese.
- È un problema? - le parve di sentire una nota paterna nella voce di Mahmet. Ma l'atteggiamento umano emulato da una IA non era sufficiente a distrarla dai suoi pensieri cupi. Pensieri che credeva di essersi lasciata dietro, lontani. Precisamente a una distanza non inferiore a quattro virgola due unità astronomiche, pensò amaramente. Destino subdolo e carogna, ci prende gusto a dare ogni volta il mio indirizzo ai guai. Sentì montare dentro di sé la nota rabbia mescolata ad acido rancore, stemperata dai profondi sentimenti che si erano ridestati al solo udire quel nome: Pavel Zebrinsky. Spyro.
- Di che mi meraviglio? Gliel'avevo pure detto... - mormorò mesta, dandosi della stupida. Non aveva davvero voluto abbandonarlo, altrimenti sarebbe stata attenta a cancellare ogni traccia.
- Come, scusa? - di nuovo quel tono paterno, comprensivo. Si chiese se Mahmet fosse stato preparato anche per emulare un genitore, oltre che un avido datore di lavoro.
- Nulla, Mahmet. Parlavo a me stessa.
- Capisco – fu l'immediata risposta – Desideri che neghi il permesso di attraccare qualora dovesse farne richiesta?
E adesso che faccio? Lo accolgo a braccia aperte? È venuto a portarmi indietro, posso scommetterci l'ultimo paio di mutande pulite. E anche il reggiseno. Miki strinse i pugni e i denti, poi serrò le labbra piegandole in una smorfia. Stava lottando con se stessa, con i suoi sentimenti. No, non poteva respingerlo senza nemmeno sentire cos'aveva da dire. E se avesse tentato di portarla via, avrebbe dovuto vedersela con lei e con l'equipaggio della Niharra, se necessario. Sarebbe stato straziante, orribile e non l'avrebbe mai voluta vivere una situazione del genere ma se fosse accaduto ciò, era certa che non sarebbe stata colpa sua.
- No... no. Se dovesse richiederlo non ho obiezioni.
- Sento aria di famiglia... c'entra qualcosa quella nave col fatto che ogni tanto piangi quando pensi di essere sola? - gracchiò l'intelligenza artificiale con fare comprensivo.
- Non rompermi i coglioni, Mahmet. Fatti i cazzi tuoi.
Impugnando la rotospazzola con due mani come se fosse un'arma Miki abbandonò il locale della centrale operativa e continuò il suo turno di pulizia.
   
 
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