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Autore: LizzieCarter    22/08/2012    4 recensioni
"Si china a terra e raccoglie un libro che ha urtato col piede avvicinandosi al bagagliaio aperto.
 -Un ponte per Terabithia?- chiede, con una sfumatura indecifrabile nel tono divertito [...]; sorride, sembra stia per dire qualcosa, ma poi si limita ad avvicinarsi e a riporre con delicatezza il libro nello scatolone che tengo in mano..."

Un'appassionata di libri in fuga dal passato,
un ragazzo che non è solo un attore famoso,
un giardino sempre misteriosamente fradicio,
una coinquilina stalker,
dei chiassosi polletti,
la storia di un'intrepida panettiera,
una nuova Terabithia...
"- E' meglio...- si schiarisce la voce, lasciandomi le mani per infilarsi un paio di guanti di pelle chiara; - E' meglio se ti tieni bene-.
Annuisco contro la sua spalla, sobbalzo lievemente quando lui toglie il cavalletto e fa partire la moto con un rombo, e poi... poi c'è solo il vento sul mio viso.
Cosa estremamente poetica, non fosse che mi sono mangiata metà dei miei capelli!"

[con illustrazioni all'interno :)]
Genere: Commedia, Romantico, Slice of life | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
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- Questa storia fa parte della serie 'Un nuovo ponte per Terabithia'
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Solo un compleanno era importante, al Grace of God: quello del bambin Gesù.
Solo a Natale ricevevamo dei regali. Ognuno di noi scriveva una letterina al Bambin Gesù ( mai le suore avrebbero alimentato la profana credenza di Babbo Natale!) chiedendo qualcosa  di economico, oppure un regalo più costoso che avrebbe dovuto bastargli anche per il Natale seguente. Io, per conto mio, preferivo un regalo piccolo, in modo da aver qualcosa di speciale per cui attendere ogni anno per 12 mesi, dato che di certo quell'attesa non era dedicata alla comparsa di una coppia di magici genitori adottivi.
Quell'anno, avevo chiesto al Bambin Gesù (alle suore, insomma; ero già abbastanza cresciuta per sapere che c'erano loro dietro ai regali) un quaderno e qualche penna per poter appuntare le frasi che più mi piacevano dei libri che Mary Margaret mi consigliava, o le cose bizzarre ma sagge che ogni tanto mi diceva lei, oppure i pensieri che a volte mi affollavano la testa.
Quando, sotto il grosso albero di Natale spelacchiato che avevamo decorato tutti assieme appendendo disegni di candele, trovai il pacco col mio nome, rimasi sorpresa dalla sua rigidezza; che fosse uno di quei meravigliosi quaderni rilegati con una copertina rigida? Eccitata, strappai la carta, e quello che vidi mi lasciò perplessa: a meno che non mi sbagliassi di grosso, quello era... un libro?
"Un ponte per Terabithia".
Che avessero sbagliato il nome sul regalo? Che il mio quaderno giacesse ancora in mezzo al mucchio di regali?
Iniziai a sfogliare curiosamente il libro, e sulla prima pagina bianca, quella su cui Mary Margaret mi aveva spiegato che si scrivevano le dediche, ne trovai una.


A Grace,
E' giunto il momento che tu possieda un libro, 
ed il primo che voglio tu legga 
sapendo di poterlo sempre avere al tuo fianco 
è questo, perchè ti ricordi di chiudere gli occhi, 
quando vuoi sognare, ma di tenere la tua mente 
sempre ben aperta.
So che volevi un quaderno, ma puoi utilizzare
 le pagine bianche alla fine del libro, finchè non ti scovo 
qualche vecchio quadernone.
Con amore, Mary Margaret.
Buon Natale.


Ricordo che lo strinsi forte al petto, e poi corsi subito in dormitorio a leggerlo.
Ricordo anche di esser corsa da  Mary Margaret in lacrime, non appena lo finii, e di averle chiesto perchè mai avesse voluto regalarmi un libro che facesse così male al cuore.
"E' perchè sono i libri migliori,  quelli che fanno piangere; sono i libri che ti rimangono dentro per sempre" mi rispose, paziente, e adesso so che aveva ragione.
Quella fu la prima frase che scrissi sulle pagine bianche alla fine del libro.

Mary Margaret mi diede molti altri consigli sui libri, sulla scrittura e sulle persone; ne discutevamo durante i lunghi pomeriggi passati insieme a commentare libri e a mangiare biscotti per diabetici. Fu una sorta di mentore, per me.
Avevo diciassetti anni, quando il diabete se la portò via e, quando divenni maggiorenne, non avevo più niente che mi legasse al Grace of God: i bambini con i quali ero cresciuta erano stati adottati o stavano cercando il proprio posto nel mondo del lavoro, e ormai sentivo un po' distanti le suore, dopo aver preferito la compagnia di Mary Margaret alla loro per anni.
Decisi così di non gravare ulteriormente sulle spalle dell'istituto (forse incentivata dall'avvertimento di una suora in merito al "casuale" ritorno di Shana e Patrick all'orfanotrofio per offrirmi una casa ora che ero maggiorenne e l'orfanorofio non poteva più farlo) e mi trasferii in un minuscolo monolocale grazie ai soldi che avevo pazientemente messo da parte dopo anni di lavoretti occasionali. In quel periodo, lavoravo in una libreria in paese in cui mi aveva trovato posto Mary Margaret quando ancora non era costretta a letto, mettendosi in contatto con una sua vecchia amica estremamente bisognosa di un aiuto di giovane età nel suo negozio.
Mary Margare, comunque, non mi donò solo una pesenza materna per metà della mia vita ed un'indipendenza economica che non  molti orfani hanno la fortuna di avere alla mia età, ma sorpattutto la sua incrollabile fiducia nelle mie capacità e il suo sostegno nell'imparare a credere che ogni sogno può avverarsi.
Il mio sogno era scrivere, e lei ascoltò fiduciosa ogni mia idea, consigliandomi, ma, soprattutto, leggendo.
Quando ormai stava così male che anche il tener un libro in mano per lei era troppo difficoltoso, mi chiese se potevo leggerle qualcosa ad alta voce. Non volle, però, ascoltare "Harry Potter e il Prigioniero di Azkaban", il libro preferito di entrambe; disse che voleva sentire qualcosa di nuovo, per il poco tempo che le rimaneva: voleva sentire qualcosa di mio. Mi impegnai allora a portare ogni giorno qualche foglio da leggerle, anche a costo di scrivere fino a notte fonda il giorno prima, pur di avere qualcosa da portarle che potesse distrarla dalla sua malattia.

Anche dopo che mi ebbe lasciata, per tutto il tempo che trascorsi a Londra, ogni volta che non ero sicura a proposito di quello che scrivevo, tornavo con un mazzolino di fiori al cimitero e, rannicchiata contro la sua lapide di marmo verde, leggevo ad alta voce perchè anche lei potesse sentire, ovunque si trovasse, e consigliarmi; e ogni tanto scoppiavo a piangere, dicendomi che stavo perdendo la mia sanità mentale, imponendomi di non tornare più lì, per poi arrendermi qualche giorno dopo e tornare singhiozzante ad abbracciare la lapide, rimanendo poi per ore a  scribacchiare intirizzita su un taccuino, la schiena premuta contro il familiare conforto della pietra fredda.
Solo dopo che ebbi portato a termine a termine la maturità a scuola e che una multinazionale ebbe acquistato la vecchia libreria in cui lavoravo, sottraendomi l'ultimo ricordo di Mary Margaret, tornai al cimitero un'ultima volta con un grosso mazzo di fiori finti, li fissai bene alla sua lapide e promisi che, quando fossi riuscita a pubblicare il mio libro, sarei tornata a cambiarle i fiori, a portarle un enorme mazzo di fiori veri.
Poi partii per l'America, un sogno che avevo da anni, e qui inizia la storia come la conoscete voi.
Ecco, pensavo solo che doveste sapere con chi avevate a che fare.




Haloa! Ecco la seconda (e ultima) parte della storia personale di Grace :) Spero che questo ve la faccia sentire un po' più vera e vicina; in ogni caso, ditemi cosa ne pensate, e vi ririripeto che anche le critiche sono gradite :]!
Grazie a tutte le persone che seguono e recensiscono la storia: dire che mi motivate a scrivere è poco <3!
Ultima cosa: se vi piace Harry Potter, ho iniziato una storia ambientata nel suo fandom e, se volete leggerla, la trovate nel mio profilo :)
AH! Ultimissima cosa: ho aggiunto delle illustrazioni ai capitoli 4, 9 e 10, se avete voglia di "visualizzare" meglio le situazioni, o vedere se la Grace che immagino io assomiglia alla vostra, o... be', se siete curiosi/e xD!
Bacionissimi!
Liz
   
 
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