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Autore: IamShe    22/08/2012    9 recensioni
Cosa succederà nel momento in cui Ran si ritroverà da sola, dopo la morte di Shinichi, ad affrontare la più grande paura della sua vita, e a salvare quella delle persone a lei care?
Cercherà di reagire o subirà impotente, aspettando che il destino si compi?
*
"Perché Shinichi non mi aveva detto niente quel giorno? Aveva inventato la scusa del caso semplice, di un cliente che lo aveva chiamato. Aveva detto che sarebbe tornato la sera, che avrei dovuto cucinargli il suo piatto preferito, che non avrebbe tardato.
Invece aveva deciso di andare ad uccidersi, senza preoccuparsi di nulla e di nessuno. Non vidi più il suo sorriso, e non ascoltai più la sua voce da quel giorno. Ritrovammo solo un corpo senza vita, senza più ricordi e senza più speranza."
Genere: Introspettivo, Mistero, Sentimentale | Stato: completa
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Heiji Hattori, Nuovo personaggio, Ran Mori
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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- Questa storia fa parte della serie 'Una vita d'emozioni'
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Nono capitolo
Un gioco pericoloso

 
 

 WARNING:
Il capitolo sarà un po’ violento da un certo
punto in poi, e prego quindi le persone troppo
sensibili  a non farsi trasportare dalla lettura.
Nulla di esagerato, il rating arancione
dovrebbe comunque andare bene.
Have a nice reading.

 
 
Lancio lo sguardo fuori dalla finestra, poggiando il capo su di essa.
E’ umida e appannata, raffreddata dalle temperature gelide degli ultimi tempi. Aldilà, una Tokyo spenta, assonnata, e stanca di alzarsi, tenta in tutti i modi di partire, e cominciare la sua, inesorabile e quotidiana, corsa. E come lei, anche i suoi cittadini, persino io.
Protetta da quattro mura spoglie, in questo estraneo, ma pur sempre mio, appartamento, aspetto che i minuti passino e che l’orologio segni l’ora esatta, quella che darà inizio ad una nuova e stupida sceneggiata. E così afferrerò la mia maschera, ne coprirò il mio viso, e spegnerò man mano quello di Ran Mouri.
Ma infondo, a che pro essere una Ran senza uno Shinichi accanto?
Potrei solo fingere di esserlo pienamente.
E il sentirsi incomplete, inadatte, inutili e fragili, riempirebbero le giornate di ogni Ran a cui manchi il suo Shinichi, e che lo ricerchi costantemente, senza mai fermarsi, in ogni piccola cosa. Perché forse scegliere di illudersi è più facile dell’affrontare la realtà, e sbattere contro un muro che non si ha ancora voglia di incontrare.
Una parete alta e maestosa, oltre il quale la mia vita cessa di esistere. E se quello è il limite che mi separa da Shinichi, non voglio superarlo, ma cullarmi della convinzione che infondo, lui, è ancora con me.
Di un’effimera convinzione dalla quale però, trovo la forza di andare avanti.
“Pensierosa?”
La voce di Heiji mi distrae, e mi porta a guardarlo, ancora nella sua originale identità. Gli sorrido accondiscende, ritornando a poggiare il viso lì, su quella fredda finestra.
“Chissà cosa vorrà dirmi quel Kuroba.”
Mio cognato sospira, e con le braccia si aiuta a sedersi a fianco a me, sopra il davanzale che costeggia il muro. Nemmeno lui sembra conoscere l’identità di quell’uomo così somigliante a Shinichi, che si aggirava furtivo nell’oscurità dei palazzoni nipponici.
Un uomo che, dal buio, sapeva di me e della mia doppia identità. Mi aveva seguita, spiata, ed osservata. E conosceva mio marito, aveva il suo braccialetto, e l’aveva donato a Conan, come un regalo qualsiasi.
La curiosità di sapere molto di più su di lui mi sta divorando dall’interno, ma devo fare i conti con le apprensioni del mio amico, che sembra più che restio a lasciarmi andare. Heiji sostiene che potrebbe essere una trappola architettata da Kemerl, che stia facendo di tutto per rivelare la mia vera identità, e portarmi man mano nella sua tana, al cospetto della morte.
Ma il mio intuito dice altro, ed intendo seguirlo.
“Io, ovviamente, starò lì vicino. Non voglio che stai da sola con quel tipo.”
Mi volto a guardarlo, intenerita dal suo sconfinato senso di protezione. E’ così simile a Shinichi, così intraprendente e coraggioso come lui, che nel stargli vicino mi sento serena e sicura, proprio come lo ero con mio marito.
Gli sorrido, e divertita gli parlo, con un leggero tono ironico.
“Grazie cognato, sei unico.”
 Lui sembra arrossire, tant’è che distoglie lo sguardo e tossicchia qualche colpo, nascondendosi il viso con un pugno. Rido, credo di averlo messo in imbarazzo.
“Lo faccio per Shinichi, lo sai. Lui non mi perdonerebbe mai se ti succedesse qualcosa.”
Ridacchio, cercando di stemperare la tensione.
“Nemmeno Kazuha me, quindi cerca di stare attento!”
Stavolta sorride anche lui e torna a guardarmi con sicurezza. Gli occhi gli brillano al nome della moglie, che pare mancargli davvero molto. Ma tenerla distante è la scelta più giusta, che non potrebbe mai ritorcersi contro di lui, lei e la piccola Sophie.
“Già me la immagino” mi dice, per poi ingrossare ed alterare la voce, imitando quella dell’amata. “Razza di un idiota! Sempre a cacciarsi nei guai sta!”
Rido di buon gusto, mentre nella mia mente si forma l’immagine della mia amica che, lontana e al sicuro, pensa al giovane marito e aspetta con impazienza il suo ritorno, nella speranza che il destino le riservi una fortuna che, a me, non ha concesso.
Il nostro dialogo è spezzato dal suono del campanello, che ci fa sobbalzare dalla panchetta e ci porta ad alzarci e a raggiungere repentinamente le maschere.
“Ehi voi due! Bellezza? Su, aprite!”
E’ la voce di Gin che, insistente, sbatte ripetutamente il palmo contro la porta, facendola vibrare. Indossiamo rapidamente quelle facce di plastica che tornano ad adattarsi perfettamente al nostro viso, mutandolo in ogni suo tratto. Mando giù un lungo sospiro, pronta a riprendere la mia identità di femme fatale, ed Heiji quella di uomo scontroso e noioso. Mio cognato apre la porta con non troppa cura, ritrovandosi di fronte Gin e, poco più in là, Wunderwaffe.
“Tutto questo tempo?” domanda con impertinenza il nostro complice, mentre Arthur si appoggia alla ringhiera del corridoio d’entrata.
“Stai calmo, Gin. Cerca di non stressarmi” lo rimbecca il mio amico, per poi dirigersi verso il divano ed afferrare il suo giubbotto. Prende anche il mio e me lo lancia, sperando di farlo finire tra le mie mani. Lo raccoglie al volo Gin, che con violenza lo strattona, e si avvicina a me, con occhi maliziosi.
“Posso mettervelo io, madame?” mi chiede, mentre osservo Heiji lanciarmi delle occhiate cupe, ed Arthur, assistere alla scena seccato.
“Certo, che gentile.”
Il giovane si posiziona alle mie spalle e mi aiuta ad indossare il soprabito, sfiorandomi la pelle con le sue mani. Un brivido mi drizza i peli e mi porta a scansarmi bruscamente, incapace a trattenere le mie emozioni, restie ad assecondarlo. Cerco comunque di non fargli notare quel mio atteggiamento, lanciandogli un sorriso finto, piena di vuota sicurezza. Lui resta fermo a fissarmi, ancora con le mani in aria, preso dalla mia figura.
“Andiamo?” chiede d’improvviso Arthur, con tono brusco. Gin mi affianca, e simula con le labbra una smorfia.
“Stai zitto tu Wunderwaffe.”
L’hacker lancia lo sguardo altrove, in attesa che io e l’altro raggiungessimo lui ed Heiji. La volpe d’argento che tanto e poco mi ricorda Shinichi, si avvicina al complice e gli da un colpetto al petto, facendolo indietreggiare di qualche centimetro.
“Non mi dici tu quello che devo o non devo fare! Qui comando io.”
Esclama, imbottendo la voce di un potere esaltato e fastidioso. Può mai essere questa persona il mio Shinichi? E’ così diverso da lui e dai suoi modi di fare, che mi pare impossibile che sotto quella maschera di sicurezza si nasconda mio marito. Eppure, c’è il suo nome, che tanto ha a che fare con lui e col suo passato, che tiene viva quella piccola speranza.
Dopotutto, anche io sto fingendo di essere qualcun altro, in questo gioco di identità e bugie.
“Non ti sto dicendo niente.” Prova a scusarsi Arthur, riuscendo a sostenere il suo sguardo.
“Non devi fiatare!” sbotta Gin, ergendosi al suo cospetto. Il giovane informatico abbassa il capo, mentre sfoga tutta la tensione nei pugni che, saldi, affiancano i pantaloni.
A dire la verità, mi fa un po’ pena. E’ colui che viene maltrattato più di tutti nell’organizzazione, e non può far nulla per far si che lo si rispetti, anche solo per qualche minuto. E’ sempre agli ordini di qualcuno, e non ha mai provato ad obiettare ciò che gli si imponeva. Ha ancora il capo abbassato, e i pugni tremanti trattengono un’ira che presto o tardi sfocerà. Decido d’intervenire, e poggio una mano sulla spalla di Gin, che prontamente si gira verso di me e l’afferra, portandola in basso, vicino alla tasca dei suoi jeans.
“Dimmi dolcezza.”
“Non perdere tempo” dico, ordinando glielo quasi. “Andiamo.”
 
*
 
“Avete novità sui Kudo?”
Sospiro al di sotto della mia pelle di plastica, consapevole di non essere vista. Cikage Kemerl sembra sempre più ossessionata dell’idea che io, Ran Mouri, e mio figlio, Conan Kudo, potremmo essere ancora in vita, a chilometri e chilometri da Tokyo, sfuggiti ai loro stupidi progetti.
Il marito, invece, continua a mostrarsi più ambiguo che mai. Non partecipa alle riunioni, non si interessa dei piani, non prende alcuna posizione.
Resta tutto il giorno seduto, lì, su di un divanetto che accosta il muro del loro appartamento sotterraneo. Ho notato che spesso e volentieri mi lancia delle occhiate profonde, che sembrano volermi dire più di quello che dovrebbero.
Come adesso.
E’ fisso a guardarmi da un paio di minuti, ignorando completamente le grida della moglie che, quasi indemoniata, tenta inutilmente di cavare informazioni su di noi.
“Signora, non abbiamo più avuto avvistamenti da un paio di giorni. Sembrano essere scomparsi.”
“Ma non lo sono!” continua a rimbeccarli, mentre un colorito rossastro va ad impadronirsi del suo viso. “Trovateli dannazione!”
“Purtroppo, l’ultima volta che la vedemmo fu quando inscenai Kudo, poi nulla più.”
La voce di Gin mi richiama, riportandomi al concreto.
Mi interesso d’un tratto alla discussione, abbandonando lo sguardo magnetico del mio ex fidanzato, che sorride enigmaticamente.
Inscenare... chi?
“Inscenare... chi?” chiedo, cercando di non mostrarmi troppo interessata.
Gin mi osserva, e mi risponde con un tono seccato. “Sì, mi travestii da Kudo e mi feci vedere dalla moglie, cosicché da testare la sua reazione.”
Strabuzzo gli occhi a quella confessione. Quindi, quello, non era il mio Shinichi.
Era solo una stupida maschera, proprio come quella che indosso io, adesso.
Ed io che ci avevo creduto, ed io che ci avevo sperato.
“Sì, se non sbaglio era insieme agli Hattori. A proposito, sono spariti anche loro.” Medita sull’occasione la donna, corrugando la fronte.
“Hattori è stato esonerato. Ha fatto a pugni con un suo collega” aggiunge un loro complice con un leggero tono sarcastico, avvisandoli della situazione che sarebbe dovuta rimanere segreta. Come fanno ad avere anche quest’informazione? Vedo Heiji muoversi con nervosismo, mandando giù lunghi sospiri.
“Magari è partito per una bella vacanza con tutta la compagnia” riflette ancora Cikage, strofinandosi il mento. “Su, scopritemi se in centrale sanno qualcosa di lui, probabilmente la puttana è con loro.”
Deglutisco, sentendomi catalogare in tal modo. Questa donna prova un profondo odio nei miei confronti, che non posso fare altro che biasimare. Non capisco cosa avremmo fatto io e mio figlio per meritarci tutta questa pressante attenzione e stupido rancore. Infondo, se il loro obiettivo era Shinichi, perché continuare con noi? Mando lo sguardo al marito, che è ancora intento a guardarmi. Cosa le avrà detto per far sì che mi odi così tanto?
“Agli ordini.”
Gin abbandona il luogo, accompagnato da alcuni suoi complici. Fortunatamente, ad Heiji è stato ordinato di rimanere a fianco a me e a Wunderwaffe, poiché ritenuti ancora troppo inesperti per agire da soli. Approfitto del momento per avvicinarmi alla donna, e cercare di guadagnarmi la sua fiducia. Sembra restia a parlarmi, intenta a sistemare alcuni documenti all’interno di un mobiletto.
“Come mai tutto quest’accanimento?” le chiedo, tentando di apparire più indifferente possibile. Mio cognato mi guarda, e con gli occhi sembra implorarmi di stare attenta a ciò che dico.
“Che domanda è?” mi chiede a sua volta.
“Beh, sono una di voi adesso. Vorrei sapere i particolari della vicenda.” Le impongo, assumendo un tono che pare far paura anche a me stessa, tanta è la finta sicurezza ostentata.
“Non c’è bisogno che sai nulla. Devi solo fare quel che ti diciamo.”
Non sembra demordere. Ma ha davanti un tipo più duro di lei, e non mi farò bloccare da quattro paroline che stanno cercando in tutti i modi di intimorirmi.
“Potrebbe giovarvi però.”
“Eh?”
“Conoscevo la Mouri, potrei essere un’arma in più” Rivelo, senza soffermandomi troppo a pensare alle probabili conseguenze delle mie parole. Gli occhi dei presenti guizzano e corrono su di me, traboccanti di sorpresa.
“Tu... conoscevi quella troia?” chiede ancora la donna, marcando l’accento su l’ultima parola. Mi blocco un po’ prima di risponderle, rimuginando su cosa e come inventarmi.
“Sì, sono una karateka come lei.”
La donna incomincia a stizzirsi, e si cinge i fianchi con le mani, guardandomi con aria infastidita. Lancia poi un’occhiata al marito che, lontano di qualche metro, vicino ad Heiji ed Arthur, sta ascoltando la conversazione.
“E l’hai conosciuta prima o dopo che s’intromettesse tra me e Toichi?”
Alla domanda sobbalzo, incredula.
Io mi sarei intromessa tra loro?
Io che ero stata soltanto ingannata da lui?
Io che ero stata un’esca, un piccolo pesce da sfruttare, per catturare quello più grosso?
Non riesco ad evitare di strabuzzare gli occhi e sfociare in una buffa espressione, che colora il mio viso finto e spento.
“Ehm, ... non sapevo fosse stata con tuo marito.” Invento, e mi stupisco di quanto sia diventata brava a mentire.
Lei assottiglia gli occhi, seccata.
“Sì, c’è stata.”
“Cikage dai, Ran era solo un modo per avvicinarmi a Kudo, nulla di più.”
S’intromette nella discussione, e si fa notare dopo tanto, troppo, tempo, Kemerl. Ha il sorriso stampato sulla faccia, come se il dialogo tra me e la moglie lo stia divertendo molto. Di tutt’altra espressione sono Heiji, visibilmente preoccupato per le nostre identità ed Arthur, che continua ad osservare la scena dai suoi computer, senza perdersi una singola parola.
“Sì, ma intanto ti sei intrattenuto con lei!” esclama, evidenziando una nota di gelosia, la signora Kemerl. Sospiro, cominciando a capirci qualcosa.
La conversazione va avanti così per molto. Il tema principale sono proprio io, e le opinioni di Cikage Kemerl su di me, mi hanno capire come stanno effettivamente le cose. Evidentemente, la donna in nero porta rancore nei miei confronti per essere stata la fidanzata dell’amor suo, e per essermi ‘intromessa’ inconsapevolmente nel loro matrimonio. Certo, se invece di dar colpa alle donne che frequenta il marito, cominciasse a farsi due domande sul loro rapporto, capirebbe molte cose su di lui e su di lei, che adesso finge di ignorare.
“Guarda che non abbiamo mai fatto nulla.” Le dice, rivelandole la verità. Quasi vorrei annuirgli e dargli ragione, tanto che mi pare che mi stia difendendo dalle grinfie paranoiche della consorte.
“Capo ma che era? Una santa?” chiede di getto uno dei suoi loschi uomini, abbandonato al divanetto vicino alla tv, dove poco prima era seduto Kemerl.
L’interessato sbuffa, per poi lanciarmi un’occhiata ambigua. Un misto tra ironia e beffa, che si mischia ad una punta di divertimento.
“Oh sì, con me, sì.”
Abbasso il capo, sentendomi chiamata in causa. Effettivamente, come dargli torto...
“Capo, senza offesa, si vede che non ci sapevi fare” esclama divertito, ma allo stesso tempo impaurito da un’eventuale reazione, Gin. Appare sulla soglia della porta dopo aver svolto il suo compito, quello affidatogli dalla cara Cikage. Ma per essere tornato così in fretta credo che non abbia risolto un bel nulla.
Guardo Heiji, che intanto sembra più interessato alla conversazione che all’uomo appena arrivato.
“No, era presa da tutt’altro, la Mouri, a quei tempi...” dice, continuando a guardarmi con un’aria che si fa pian piano sempre più maliziosa.
Ma perché mi fissa? Perché proprio me? Che abbia capito tutto?
“Ma che presa e presa! Con me non avrebbe resistito!”
Vorrei andargli vicino e dimezzargli quell’aria da bulletto che si da, ma sarebbe fiato e tempo sprecato. Infondo, l’importante, è esserne convinti.
“Non ti dai troppe arie, Gin?” gli chiede sarcastico Heiji, quasi divertito da quella discussione. Ed io che volevo soltanto avere delle informazioni su mio marito e la sua morte, mi ritrovo ad ascoltare, dall’interno, commenti di uomini depravati ed allupati di sesso.
Assottiglio li occhi, seccata.
“Caro, io le donne le stendo, non lo sai?”
“Sarà forse per il tuo alito non sempre troppo fresco?” gli chiede, ironizzando, ed azzardando un ghigno soddisfatto, Arthur. Ridacchio, portandomi una mano davanti alla bocca. I presenti mi imitano e cominciano a ridere, mentre Gin, nel sentirsi umiliato, pensa bene di rispondergli per le righe, tentando di metterlo a disagio.
“Tu non parlare proprio, che una donna non l’hai vista nemmeno col cannocchiale!” esclama compiaciuto, mentre Arthur non sembra scomporsi né tantomeno imbarazzarsi. Lo ignora semplicemente, riportando lo sguardo sul computer, e continuando a pigiare i vari tasti.
“Secondo me, invece, il nostro amico piace alle donne.” S’intromette nuovamente Kemerl, sorridendo al suo subordinato. Wunderwaffe, seguito da Gin ed Heiji, sbatte più volte le palpebre, sorpreso. Un leggero silenzio cala nell’ambiente, spezzato unicamente dalla risata del Kitsune.
“Ma chi? Lui?” continua a domandare, con la voce rotta dal riso. Gli occhi quasi gli lacrimano, e la risata non tende a scemare, alimentata dal volto del nostro capo che, con convinzione, annuisce ridente. Wunderwaffe si mostra leggermente imbarazzato, fingendosi impegnato nella decifrazione di alcuni codici informatici.
“Vanille” mi chiama improvvisamente Kemerl, facendomi sobbalzare. Mi giro verso di lui, e pronta a rispondergli, lo invito a continuare. Nella mente viaggiano le lezioni di donna fatale che mi ha impartito mia suocera, e che devo costantemente ascoltare, in modo che la mia vera natura non possa fare brutti scherzi.
“Dimmi.”
“Tu andresti a letto con Arthur?”
I volti dei presenti si concentrano su di me, che intanto, sotto la mia pelle di plastica, arrossisco violentemente. Lascio scorrere alcuni secondi, durante i quali lo stesso Wunderwaffe si mostra interessato alla risposta che darò.
Mi verrebbe da chiedere scusa a Shinichi per tutto quello che sto combinando, ma infondo so che se fosse vivo, mi perdonerebbe di certo. O almeno credo.
“Perché no” rispondo sorridendo, cercando di lanciare al diretto interessato un’occhiata (che sarebbe dovuta essere) maliziosa. Il mio sguardo invece si mostra goffo ed impacciato, quasi come se volessi urlare la verità attraverso i miei occhi.
Distolgo il viso, concentrandomi su quello degli altri. Gin ha un’espressione sconcertata ed incredula, come se si fosse appena reso conto che non è l’unico uomo al mondo con cui una donna vorrebbe stare. Heiji ridacchia, abbassando lo sguardo, e con lui lo fa anche Arthur, che per la prima volta, dopo la mia improvvisa apparizione, mi mostra il suo sorriso. Un bellissimo sorriso. Kemerl tossicchia, interrompendo quella strana atmosfera che si era venuta a creare, e si avvicina a Gin, dandogli una pacca sulla spalla.
“Allora? Cosa hai scoperto?” gli chiede, ma il nostro complice appare tutt’altro che sveglio, ancora frastornato dalla mia confessione.
“Eh?”
“Cosa hai scoperto?” ripete ancora il capo, leggermente spazientito.
“Che Vanille andrebbe a letto con Wunderwaffe?”
Non riesco a trattenere una risata, che si apre fragorosa sul mio viso. Mi imitano i miei compagni di malefatte, tra cui lo stesso Arthur, che continua a ridere, quasi soddisfatto, di quell’evenienza.
“Gin, torna tra noi. Intendevo di Hattori.”
“Ah” emette un suono smorzato, resosi conto della situazione. “Ehm, nulla.”
Lancio lo sguardo ad Heiji, soddisfatta, che ricambia la mia occhiata furtiva.
“Come nulla? Toichi, ma dove l’hai preso a questo qui?” Si lamenta la signora Kemerl, che intanto aveva assistito a tutto l’allegro dibattito in silenzio, standosene in disparte.
“Tesoro” la chiama il marito con tono sarcastico, voltandosi verso di lei. “L’hai scelto tu.”
Ancora una volta il riso preme per nascermi in volto, divertita dalla situazione. La donna e il giovane uomo mi guardano cupamente, infastiditi dal mio atteggiamento. Mi ricompongo in un istante, tossicchiando più volte per nascondere la mia bocca. Kemerl mi sorride, e lancia un’occhiata ad Arthur che, intanto, ha ripreso la sua solita espressione oscura e subdola, che tanto mi aveva fatto pensare e sperare in questi giorni.
“L’avrò sopravvalutato.”
“Ovviamente.” Le risponde il marito, assottigliando gli occhi.
“Gin, stasera rimani di guardia insieme ad Arthur, Nishi e Vanille. Così ti riprendi un po’, eh?”
Strabuzzo le palpebre, sconcertata. Vorrei ribattere, ma non posso dire loro la verità. Come faccio ad incontrare quel Kaito se dovrò restare rinchiusa in quest’appartamento per tutta la nottata? Mi mordicchio il labbro, guardando Heiji. Con il volto ondeggiante, mi fa cenno di no, che non ha nessuna idea per aiutarmi.
Ma, stranamente, è Wunderwaffe a parlare e a guadagnarsi man mano sempre più spazio all’interno dell’organizzazione. Adesso, non sembra più il ragazzino timido che incontrai a Tokyo, insieme a Gin.
“Non c’è bisogno di loro. Io basto” dice, rivolgendosi al suo capo. Kemerl sbatte le palpebre, sorpreso dalla sua affermazione. Vi è un gioco di sguardi tra quei due, che ancora, dopo tanti giorni, non riesco a decifrare. Avrei quasi esultato, se Gin non si fosse intromesso di nuovo.
“Wunderwaffe, tu non comandi nulla! Zitto!” gli urla contro, proprio come stamattina. “Ok, almeno perderò tempo piacevolmente.”
E mentre lo dice, mi guarda con occhi maliziosi ed assetati, che cominciano a farmi un po’ troppa paura. Il mio ex fidanzato non pronuncia parola, e lascia le cose così come le aveva decise, convinto forse di aver fatto la scelta giusta. Impossibilitata a pronunciar parola, rivolgo nuovamente lo sguardo verso mio cognato, che mi osserva con aria preoccupata.
Dall’altra parte della stanza, lo sbuffo seccato di Arthur arriva, con profonda chiarezza, sino alle mie orecchie.
 
*
 
Osservo l’orologio impaziente, ticchettando le dita sul tavolo da cucina. Sono le otto di sera, e mentre un silenzio assordante è calato nell’ambiente, sto cercando di scrollarmi di dosso gli occhi di Gin e Kemerl, che è rimasto con noi alla base principale per dare una controllata alle telecamere. Io che tra un’ora avrei dovuto incontrare quel ragazzo, che pareva dovermi raccontare qualcosa di importante, e che probabilmente avrebbe riguardato Shinichi, sono qui, bloccata ed impossibilitata ad andarmene. Timbro i denti sulle labbra, lasciandoci sopra un piccolo solco. Deglutisco, facendo avvertire il mio nervosismo agli uomini che mi circondano. Cosa posso inventarmi affinché Kemerl mi dia il permesso di uscire?
Mando lo sguardo a destra e a sinistra, ricercando anche nei più piccoli oggetti un’idea che possa salvarmi dalla situazione. Sento la testa girare, pesante ed oppressa dell’innumerevole mole di nervosismo e stress accumulato in questi giorni di stupida recita. Mantengo il capo con una mano, ed abbasso gli occhi per qualche istante, rilassandomi. Nel riaprirli, mi accorgo che degli uomini che erano con me nella stanza non è rimasto nemmeno l’ombra. Mi alzo dalla sedia, ricercandoli. Risalgo lungo le scale, ritrovandomi nel piccolo salone d’entrata della villa, ed attraversandolo, apro le varie porte delle stanze, tentando di non fare troppi movimenti bruschi. Nell’uscire da una di queste, sbatto contro qualcosa, ed irrimediabilmente, cado a terra. Alzo lo sguardo verso  l’ostacolo che mi ha ostruito la strada, ed incontro gli occhi neri e brillanti di Gin.
“Scusami bellezza, non ti avevo visto.”
“Non preoccuparti.”
Mi alzo all’in piedi, aiutata dalla mano del mio complice che mi sorregge e mi porta verso l’alto. Cerco di lasciargliela, ma avverto una certa resistenza da parte sua, che comincia a stringermela, causandomi un lieve dolore. Deglutisco, leggermente impaurita.
“Dove credi di andare?” mi chiede, facendomi rabbrividire. Il suo tocco violento mi chiarisce le idee ed allontana tutti i dubbi che avevo sulla sua identità. Il mio Shinichi, quello che conosco da una vita, non mi tratterebbe mai in questo modo. Lancio lo sguardo alla porta, che è a pochi metri di distanza, e spero invano che Heiji appaia all’improvviso, così da allontanarmi da questo essere, che non reputo nemmeno degno d’essere chiamato uomo.
“Lasciami Gin.” Gli ordino cercando di dimenarmi con le braccia, ma non riesco ad allentare la sua presa, che si fa sempre più possente sul mio polso. Stringo i denti, tentando di mantenere la calma.
“Perché non ci divertiamo un po’?” mi domanda, avvicinando la sua bocca al mio orecchio, e il suo corpo ai miei fianchi.
“Non è il momento.” Cerco di ribattere, ma a nulla servono le mie parole. Gin comincia ad annusarmi il collo, fino a scendere lungo la clavicola. Il suo respiro pesante sulla mia pelle mi inorridisce e tento con tutte le forze di allontanarlo, dandogli degli spintoni al petto.
“Ho detto di no!” esclamo, stizzita. I miei occhi trapelanti di paura sembrano divertirlo, tant’è che indietreggia di qualche passo e chiude la porta alle sue spalle, bloccandomi con lui all’interno di quel piccolo e lugubre spazio.
“Ma come? Wunderwaffe sì, ed io no?” mi chiede, ritornando a fare presa sul mio braccio. Con violenza fa aderire il mio corpo al muro, facendomi sbattere le teste contro un quadro che oscilla e cade miseramente a terra. Spero che il rumore abbia allertato il mio amico che, in un momento come questo, desidererei tanto avere accanto. Non posso nemmeno difendermi col karate, avendo bloccati entrambi i polsi, e le gambe ostruite dalle sue.
“Lasciami, smettila!” urlo, nel tentativo di fargli almeno un po’ di pena.
“Fai tanto la puttana, ed ora ti mostri santa. Così non va!”
Gli punto gli occhi contro, pullulanti di paura e rabbia.
“Ho detto lasciami!”
Il suo viso si avvicina al mio, tant’è che riesco a sentire il suo fiato sulle labbra. Agito il volto, evitando il suo, svincolandomi e rendendogli impossibili i suoi propositi.
Ho un brutto presentimento, che non mi permette di ragionare lucidamente.
Oltre a ricevere da lui una violenza fisica, la mia maschera infatti potrebbe cedere e svelare la mia vera identità. Bisogna che faccia qualcosa, e al più presto.
“Se mi lasci ti faccio divertire io, senza bisogno di utilizzare la violenza.” Cerco di convincerlo, ostentando un tono troppo poco sicuro.
“No, mi diverte questa situazione” mi sussurra alle orecchie, per poi allungare la sua lingua sul mio volto di plastica, che riesce, almeno per il momento, a proteggermi dalla squallida sensazione d’essere toccata da qualcuno che non sia Shinichi.
Sì, il mio Shinichi.
Le lacrime scorrono lungo il mio vero volto, ma sono così tante che trapelano oltre la maschera, cadendo a terra. Gin mi osserva compiaciuto, quasi come se avesse ottenuto quello che voleva.
Così, continuando a tenermi le gambe, mi straccia la camicetta, frantumandola. Essa cade a pezzi sul pavimento, mostrando al mostro di fronte a me il mio vero corpo, quello di Ran Mouri.
“Che bellezza!”
Approfittando del momento, riesco a svincolarmi dalla sua presa, ma non ho nemmeno il tempo di fare un passo, che torna a prendermi il polso, riavvicinandomi a lui. Con violenza mi sbatte nuovamente contro il muro, e mi lancia uno schiaffo sul viso, talmente forte, che riesco a sentirlo anche sotto la maschera.
Priva di forze, riesco solamente ad alzare lo sguardo al soffitto, e sussurrare il nome di Shinichi.
Gin, preso dalla foga del momento, nemmeno si accorge delle mie parole, impegnato ad abbassarmi il pantalone, che porta allo scoperto i miei slip. Sento le sue mani luride attraversarmi il corpo, e toccarmi ovunque, privandomi della mia intimità.
Shinichi...
Mi sento sporca e violata, spogliata della mia essenza. Il suo brutale tocco lascia lividi un po’ ovunque, mentre la mia pelle comincia a colorarsi di rosso nelle zone abusate.
Shinichi... ti prego...
Sta per abbassarmi gli slip, e togliermi il reggiseno, quando la sua violenza trova una veloce fine, all’improvviso aprirsi della porta. Da essa appare Kemerl che, alla scena, rimane per qualche istante sulla soglia, con gli occhi spalancati. Gin si distanzia da me, staccando le sue luride mani dal mio corpo.
“Capo, ci lasci soli? Ci stavamo divertendo un po’.”
Il mio ex fidanzato ha la bocca aperta, e gli occhi fissi su di me. Io, incapace a trovare la forza di chiedere aiuto, lo guardo speranzosa che, nonostante tutto e gli anni passati, gli sia rimasto un briciolo di pietà e ritegno. Ad un tratto, abbassa il capo, stringendo forte le mani in pugni. Poi lo rialza, puntando gli occhi verso Gin.
“Vai via.” Gli ordina, con voce sicura e marcata, leggermente arrabbiata.
“Cosa?” cerca di ribattere lui, sorpreso dall’atteggiamento del suo padrone.
Effettivamente, me ne sorprendo anche io, che intanto, riesco ad alzarmi le spalline del reggiseno, usurato dalla violenza che ha subito.
“Sparisci! Subito!”
Stavolta Gin non risponde, e sbuffando, attraversa la porta, scomparendo nel giro di qualche secondo. Ho il cuore che mi batte all’impazzata, e le gambe che stentano a reggermi. Mi rannicchio su me stessa, accovacciandomi al pavimento, nascondendo il viso tra le mie ginocchia. Sento i passi di Kemerl avvicinarsi a me, costringendomi a guardarlo. Tende la mano verso la mia, aiutandomi a rialzarmi, proprio come aveva fatto Gin una decina di minuti fa. Una volta all’in piedi, cerco di coprirmi il corpo con le mie stesse mani, nel vano tentativo di riserbare quel poco di dignità che mi resta. Ma, con mia sorpresa, il mio ex fidanzato si allontana di qualche passo, si avvicina ad un mobiletto e ne estrae una coperta. Dopodiché, me la lancia.
“Tieni, copriti.”
L’afferro al volo, alzando lo sguardo verso di lui che, intanto, è fisso a guardare il mio corpo.
Ma perché mi ha salvata?
Mille e più domande mi affliggono il cervello, alle quali però non posso e non voglio, adesso, dare alcuna risposta.
Così, non posso fare altro che abbassare il capo, e regalargli parole che mai avrei creduto di potergli dire.
 “G-grazie.” Riesco a sussurrare, con la voce rotta dalle lacrime. “D-davvero.”
Non mi risponde subito, anzi, sembra non volerlo fare. Il suo sguardo corre lungo il mio corpo per poi risalire sul mio volto che, sebbene di plastica, appare afflitto e turbato.
Poi sbuffa, seccato, stropicciandosi gli occhi con una mano.
“Questo è un gioco troppo pericoloso per te.” Mi dice, sospirando. “Vai via da qui.”

 
 


 
Angolino autrice:
Ehilà, cari/e!
Mamma mia, è il capitolo più lungo che ho scritto ò.ò Allora, prima che mi ammazziate, vi voglio specificare che Ran non è stata violentata,
come avrete capito, ma soltanto spogliata. Purtroppo, Gin è ancora più squallido di quello che pensava/pensaste.
Ve lo sareste aspettato? Non solo la sua violenza, ma anche l’intervento di Kemerl!
Lui salva Vanille! E le dice quelle poche e semplici parole... “vai via”...
E’ ancora più ambiguo di quanto credevate, eh? XD
Ed Heiji, testa di rapa, dove sarà in un momento come questo?
Attente proprio a lui, nel prossimo capitolo ne capiteranno di tutti i colori! ;)
E la moglie di Kemerl? Che appare più esaurita che mai? XD
Lei è convinta che Ran si sia messa in mezzo, è che è colpa sua che sia successo tutto quello!
Sì, lo so, è impazzita XD
AH, e come avrete capito, quel tizio che vide Ran per strada era Gin, e non il vero Shin ^^' Comunque, spero che alla fine il capitoletto vi sia piaciuto ^^
Volevo ringraziare CupidSBow, Black_Princy, Martins, Kaori_, LunaRebirth_, aoko_90 e Delia23 per aver commentato l’ottavo capitolo.
E 1sere1 per aver inserito la storia tra le preferite, e Black_Princy ed asha___98 per averla inserita tra le seguite!
Grazie anche a chi legge soltanto!!!
Arigatou!

*inchino*
Bene, adesso Tonia vi lascia, va a guardare il piccolo detective in tv ù.ù
Mi raccomando, recensite :P
Un bacione grande!
:*
   
 
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