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Autore: valli    23/08/2012    4 recensioni
Inizi del '900, Chicago (Illinois). Un matrimonio combinato, la finzione di un amore, il dolore di una donna. Finirà tutto così? Le cose si possono sistemare?
Genere: Romantico, Sentimentale, Triste | Stato: in corso
Tipo di coppia: non specificato
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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Old loves they die hard;
Old lies they die harder.

Capitolo XIV: incubi e sogni.


Regina

«Regina! Regina!»
Voltai il capo, cercando di individuare tra la folla il proprietario della voce che chiamava il mio nome.
La piazza era gremita, a causa del solito mercato domenicale nel quale avevo deciso di perdermi anch’io per una volta, dopo tanto tempo.
Solo il ricordo dell’ultima passeggiata di questo tipo mi provocava delle fitte allo stomaco.
I bisbigli ancora mi seguivano come ombre, nomi sussurrati e risatine di scherno represse a fatica.
Vorrei vedere voi al mio posto, maledette pettegole!
Dopo settimane il pettegolezzo di cui ero protagonista non aveva ancora smesso di dare scandalo: e come avrebbe potuto?
Di sicuro la notizia del matrimonio dell’ormai trentenne Miss Carter che portava con sé uno strano rigonfiamento al ventre non l’avrebbe superato e nemmeno le continue dichiarazioni di guerra alla Germania degli stati americani [1].
«Regina!»
Innervosita girai su me stessa, alla ricerca di chi continuava a chiamarmi.
O era solo la mia immaginazione?
Ero impazzita del tutto?
No, non lo sono, pensai quando trovai il proprietario della voce.
«Aaron…»

~

«Regina…» ripeté questa volta a bassa voce, data la nostra vicinanza.
«Aaron» ricambiai per cortesia.
«Come… Come stai?» chiese esitante e senza fiato.
«Bene, grazie. Tu?»
«Sì, bene. Ti prego, possiamo parlare. Ti offro un caffè; vuoi?» propose, con un’implicita preghiera negli occhi.
«Va bene» sospirai seguendolo verso il caffè più vicino. Ci accomodammo ad un tavolino abbastanza riservato in modo da poter parlare senza essere disturbati.
Un cameriere venne a ritirare le nostre ordinazioni e molto velocemente ci portò i nostri caffè, lasciandoci infine soli.
«Allora,» cominciò lui, «so che Breanna è venuta a farti visita, ieri…».
«Sì, purtroppo non abbiamo potuto parlare molto perché siamo state interrotte da una visita di Amelia Woods.»
«Lo so… Tutto apposto?»
«Alexander le ha scritto» spiegai telegrafica.
«Oh,» riuscì a dire, «e cosa…?»
«Le ha fatto gli auguri per il compleanno e l’ha rassicurata. Sta bene, se ti interessa» mormorai, svogliata di parlare di quell’argomento.
«Oh, capisco. Ehm…» aprì la bocca come per aggiungere qualcosa ma poi sembrò cambiare idea e si fermò. Infine, sospirò e parlò: «so che sei arrabbiata con me e ne hai tutte le ragioni, ma ti prego solo di capire…».
«Avresti potuto dirmelo prima, Aaron. Le cose sarebbero potute andare diversamente.»
«No, Regina! Lui era disposto anche ad arrangiarsi se gli avessi negato il mio aiuto. Sarebbe successo comunque, capisci? Arrivò a casa mia, quel giorno, tormentato, raccontandomi una storia che… era così inverosimile. Mi sono arrabbiato anche io, cosa credi? Gli ho detto che avrei fatto quello che voleva, sì, ma solo in onore dell’amicizia che ci legava da tempo. Non l’ho più sentito da tempo, se solo sapessi dove si trova…»
Mi passai le mani sul viso, non sapendo cosa dirgli.
«Come stai, Regina? Seriamente, ti prego. Dimmi se posso fare qualcosa per te…» riprese.
«Io… ho bisogno di un lavoro. Tu sei più informato, forse, di me. Ultimamente non sono uscita molto di casa, ma è tempo che mi impegni o… o impazzisco. Purtroppo non so fare molto ma… so cucire. Qualcosa che centra con la sartoria, magari. O anche la cameriera. Io…»
«Non… Regina, posso darti una mano se… Hai bisogno di soldi, è per questo? Posso darti qualcosa, se…» mormorò, preso alla sprovvista.
«No, non è quello il problema. Sotto quell’aspetto sono apposto e se anche non lo fosse chiederei ai miei genitori, non potrei mai farmi dare qualcosa da te, Aaron. Ma no né quello, è che… Non ne posso più di restare chiusa in casa, ho bisogno di fare qualcosa…» spiegai.
«Capisco. Ora come ora non mi viene in mente niente, ma mi informerò a proposito e ti saprò dire al più presto, va bene?»
«Certo, ti ringrazio.»
«È il minimo che possa fare, Regina. Non farti scrupoli a chiedermi qualsiasi cosa dopo che… Dopo i danni che ho causato… Eravamo amici, io e mia moglie siamo stati i vostri testimoni di nozze e… Mi dispiace così tanto. Non so davvero cosa fare per…»
«Mi serve solo del tempo, Aaron. Cerca di capirmi. Una cosa alla volta. Non posso… Non riesco a badare a tutto… Capiscimi…» sussurrai.
«Certo, ovvio. Tutto il tempo che vuoi.»

~

Io ed Aaron ci salutammo poco dopo ed io ritornai a casa.
Sistemai la piccola spesa che avevo fatto e mangiai qualcosa: niente di speciale, giusto un piatto di pasta che, come sempre, nemmeno riuscii a finire.
A metà pomeriggio decisi di uscire ancora, questa volta mi diressi verso la casa di Eloise.
Avevo bisogno di lei, della mia migliore amica.
Sapevo di essermi comportata male anche con lei, in particolare nel giorno in cui venne a trovarmi, poco dopo la fuga di Alexander.
Ma in quei giorni non ero me stessa, la mia mente si era come sconnessa.
Certi giorni non li ricordavo nemmeno.
Presi un respiro profondo, prima di suonare al campanello.
Passò qualche secondo prima che Eloise aprisse la porta con un sorriso cortese che sparì alla mia vista.
Ma non si trasformò in una smorfia rabbiosa o delusa, solo di sorpresa mentre i suoi occhi diventavano lucidi e le sue braccia si allungassero per abbracciarmi.
Ricambiai felice, mentre lei sussurrava la sua gioia nel vedermi e il suo dispiacere per non essere stata una buona amica.
Una falsità, quest’ultima, che le feci subito presente: «ma che dici, Eloise, non è per nulla vero! Non mi hai fatto mancare nulla, solo che io… Credo di essere io a dovermi scusare, non riuscivo a… Scusami, ma…» balbettai, senza riuscire a comporre una frase di senso compiuto.
«No, no. Tu non… Il tuo comportamento è stato del tutto normale, amica mia. Normale, capisci? Sei stata persino troppo brava. Guardati qui… Oh, mio Dio, scusami, entra, entra, non parliamone qui sull’uscio di casa. Ci sono sempre troppi curiosi…» sbuffò facendomi cenno di entrare.
«Soprattutto se si tratta di me, Eloise. Anzi, di tutta questa situazione. Sono così cattiva che non vedo l’ora che succeda qualcosa che possa far dimenticare tutto questo…».
«Non sei cattiva, tesoro. È normale anche questo. Odio persino io sentire parlare di questa storia, non posso nemmeno immaginare come puoi sentirti tu. Però sono contenta che tu sia qui, adesso. Davvero, ne sono molto felice» mi sorrise, mentre ci sedavamo sul divano del suo salotto.
«Ho… avuto giorni davvero difficili e non sono mai uscita di casa ma… finalmente ce l’ho fatta e infine sono venuta da te, perché tu… sei la mia migliore amica e ho bisogno di te, Eloise. Se puoi… Se vuoi… possiamo tornare ad essere come prima?» le domandai esitante.
«Oh, Regina, ma le cose non sono mai cambiate!» esclamò abbracciandomi. «Eravamo, siamo e saremo sempre migliori amiche. Sei come una sorella, Regina. Ti voglio bene e questo non cambierà mai. Non mi sono arrabbiata quella volta a casa tua. Anzi, ho sofferto nel vederti così inerme. Ma sapevo che sei una donna così forte e che saresti riuscita a rialzarti.»
Gli occhi mi diventarono lucidi a sentire quello che lei pensava di me.
Io, forte?
Illusa, stupida, debole, insicura. Ma non forte.
«Non lo sono. Se lo fossi… tutto questo non sarebbe successo. Sarei riuscita a salvare il mio matrimonio ed invece…»
«E come avresti potuto?»
«Non so... Forse avrei potuto capire qualcosa. Dio, ha frequentato un'altra donna per mesi, come ho fatto a non accorgermene?!» esclamai la mia frustrazione, chiesi quello che mi passava per la testa da giorni.
Come avevo potuto non accorgermene?
«Tu avevi un sospetto. Ne parlammo proprio qui, pochi giorni prima che tutto accadesse.»

« Anche stasera, mi ha detto che avrebbe cenato da questo suo collega, Daniel McGregor, ma non è vero. Come non è vero che è andato lì la settimana scorsa e quella prima ancora. E ne sono certa. Sì, perché una settimana fa ho incontrato Daniel e abbiamo scambiato qualche parola; da lì ho scoperto al verità: lui non ha nemmeno mai invitato Alexander a cena e men che meno lui si è presentato per una visita. Stasera… Stasera sono andata io stessa a controllare. Sono andata a casa di Daniel e… Alexander non c’era. Mi aveva detto che sarebbe stato da lui. E non c’era. E io ho paura. Perché c’è solo una risposta e io non voglio pensarci. Pensare che lui vada con… con altre donne…»

Ricordai la nostra discussione, quando lei cercava di convincermi che no, sicuramente c’era un’altra spiegazione.
Alexander non poteva avere un’altra donna.
Non Alexander, il migliore amico di suo marito.
Non Alexander, il marito della sua migliore amica.
Non Alexander…
«Ed era vero…» sussurrai prima di mettermi a piangere come non facevo da giorni. «Era vero. E sai cosa… La notte… Prima che lui… A pensarci col senno di poi, si è comportato stranamente... Mi chiese se lo amavo e io gli dissi la verità, che sì, lo amavo e lui… Anche lui me lo disse… Disse di amarmi mentre pensava a come fuggire da me per vivere con un’altra donna…»
Eloise mi cullava, accarezzandomi la schiena e i capelli come farebbe una mamma con la sua bambina capricciosa.
Non parlò, da brava amica e confidente mi lasciò sfogare, passandomi un fazzolettino mentre con la mano si asciugava un paio di lacrime cadute anche a lei.
«Sono una sciocca. Sono una sciocca,» ripetei. «Io lo amavo, io… Come ha potuto tradirmi in quel modo? Dopo così poco tempo. Dopo solo pochi mesi di matrimonio? E il matrimonio stesso… Tutto un inganno. Quell’amore era un inganno, una menzogna. E io ci credevo davvero…»
Eloise spezzò il mio monologo con una semplice domanda a cui non seppi dare risposta.
La guardai negli occhi, non sapendo cosa dire.
«Ma tu, nonostante tutto… Regina, ami ancora Alexander?»

~

Mesi di lavoro, sorrisi, ansie verso il futuro. Paura di essere trovati, preoccupazioni per le nostre famiglie lontane.
Preoccupazione per Regina.
Elizabeth era ormai al quinto mese di gestazione, il ventre si era ingrossato leggermente e spesso la trovavo ad accarezzarselo distrattamente, un sorriso luminoso sulle labbra e gli occhi pieni di sogni.
Elizabeth era una sognatrice
Parlava sempre della gioia del futuro, di tutte le tappe che dovevamo raggiungere, per lei non esistevano ostacoli e problemi, tutto era semplice.
Era tutto il contrario di me, che ero così realista…
Quello fu uno dei motivi che mi fece innamorare di lei. Sapeva farmi sorridere con le sue espressioni fanciullesche ed ingenue, riusciva davvero a far immaginare anche a me luoghi meravigliosi in cui vivevamo felici.
Io, lei e nostro figlio.
Maschio o femmina che fosse stato, non sarebbe stato un problema, noi l’amavamo già senza preoccuparci del sesso.
Anche se una parte di me, la parte legata alla società, quella cresciuta con gli insegnamenti di mio padre, desiderava un primogenito maschio, colui a cui avrei tramandato il cognome e i miei insegnamenti.
Quel bambino che, se sua madre fosse Regina, avrebbe già intestata a suo nome l’intera eredità dei Woods e dei Miller.
Ma sua madre si chiamava Elizabeth Sawyer, non era mia moglie e i miei genitori avrebbero difficilmente accettato che i loro piccoli possedimenti sarebbero finiti nelle mani della sua prole.
Come spesso in quei mesi, pensai alla mia famiglia, alle chiacchiere di paese che sicuramente li avevano travolti.
Mia madre, così ovviamente condizionata dai pettegolezzi ne stava sicuramente soffrendo molto.
Scossi la testa, impedendomi di pensarci ulteriormente.
Avevo una nuova vita da condurre che non potevo vivere con continui rimorsi e dolori per quello che avevo lasciato indietro.
«Alex? Tesoro, vieni a tavola, è pronto il pranzo!»
La voce della donna che amavo mi risvegliò dai miei pensieri.
Mi stampai un sorriso sulle labbra e uscii dalla nostra camera per entrare nella sala da pranzo che comprendeva anche il salotto.
«Eccomi. Scusami, avevo così bisogno di rinfrescarmi che non ti ho nemmeno chiesto come stai oggi…» mormorai sedendomi.
«Non ti preoccupare, con questo caldo… Comunque sto bene, il piccolo sta davvero iniziando a scalciare!» esclamò entusiasta.
Sorrisi, «e la fitta che hai sentito ieri sera? Si è ripresentata? Forse dovresti andare dal medico, Elizabeth, non mi sento tranquillo…».
«Ma no, Alex, non serve. Oggi non l’ho avuta, sarà stato un caso di ieri, sai ero stanca. Jeremy era iperattivo ieri e forse mi sono sforzata troppo, tutto qui…» si giustificò.
«Va bene. Cerca di non esagerare. Dovresti ridurre le ore con Jeremy, parlerò io con Mrs…»
«No, Alexander, non dire sciocchezze! Lascia stare. Mangia, su, prima che si freddi.» concluse indicandomi il piatto di pasta che aveva preparato.
«D’accordo, d’accordo. Ma prometti di non esagerare. Voglio che tu e mio figlio stiate bene» dissi accarezzandole la mano posata sopra il tavolo.
«Oh, Alex, certo!» sorrise.
Fissai il suo viso e non proseguii con le parole. Guardai i suoi occhi scuri e grandi che esprimevano una gioia e un amore immensi e il suo sorriso, le sue labbra rosse che amavo baciare che in quel momento mi sorridevano dolcemente.
Tutto quello che volevo era lì.




§§§



Nota di fine capitolo.
Scusate gli Orrori con i tempi verbali, devo aver fatto un casino assurdo, soprattutto nell’ultima parte.
Purtroppo non ho avuto tempo per controllarlo meglio, questa settimana è un po' impegnativa!
Spero vi sia piaciuto,
un bacio!

[1] Ricordo che la storia è ambientata nel 1918 (data strana, lo so, ma dovuta alla prima scrittura della storia, nel fandom Twilight, che poi non ho voluto cambiare). In quest’epoca ovviamente si è in piena Prima Guerra Mondiale e tra l’aprile e il maggio di quell’anno Guatemala, Nicaragua e Costarica dichiararono guerra alla Germania.

   
 
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