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Autore: MissCherie    24/08/2012    4 recensioni
Gabriele , detto Lele , si nasconde nelle sue felpe larghe e sformi, nei suoi capellini firmati e dietro il suo carattere arrogante e pretenzioso che faceva innamorare ragazze innocenti. Ma non lei. Valentina. Una ragazza semplice, timida, insicura di se stessa e con la paura di fidarsi dei ragazzi. Eppure così bella. Da un gioco in spiaggia, da un bagno a mezzanotte qualcosa era cambiato tra loro due. Un qualcosa che aveva portato Lele e Vale ad inoltrarsi in un abisso di perdizione chiamato Amore.
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STORIA MOMENTANEAMENTE SOSPESA!
Genere: Romantico | Stato: in corso
Tipo di coppia: Nessuna
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno | Contesto: Contesto generale/vago
Capitoli:
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Capitolo 1
 

 
Avete presente quando la penna scorre veloce su un foglio di carta e la vostra mente si libera dei pensieri lasciando spazio all’immaginazione?L’odore di carta nuova, la finestra aperta che fa muovere dolcemente la pieghetta della pagina, facendoti sbuffare dal fastidio, e il silenzio assorto che ti culla in quel limbo di sogni e pensieri. Si, per me scrivere era tutto ciò. Una sorta di emozioni contrastanti, una specie di sfogo e un amico dove mi affidavo nei momenti bui. E proprio in quel momento, mentre me ne stavo seduta sul davanzale della finestra ad ammirare il mare di Brindisi, la mia mano si muoveva leggiadra e pulita contro quel pezzo di foglio che, più comunemente, chiamavamo diario …

“ Caro Diario,
oggi, come i giorni scorsi, è un’altra noiosa giornata di Giugno. Vorrei tanto divertirmi, andare in piscina, ma purtroppo non ho la compagnia giusta. La scuola è finita da almeno una settimana eppure mi sembra che sia passata un’eternità. Sai? Spesse volte mi ritrovo a sognare un’Estate con i miei amici, di innamorarmi, di diventare donna … Ma so che non accadrà, almeno non quest’ anno. Mia mamma già è pronta a mandarmi da mia nonna Carmen a Lecce, come ogni stramaledetto anno. La mia migliore amica, al contrario, trascorrerà due mesi da sua zia a Riccione. Beata lei! Mi ha invitata … peccato che mia madre, come al solito, non si fida a lasciare una ragazzina di 16 anni  sola a più di 600 Km di distanza da casa. Beh, che devo dire? Dovrò  divertirmi, come al solito, con i miei cugini di Lecce e badare a nonna Carmen. Adesso ti saluto, che mamma chiama! “
 
Chiusi il diario e lo riposi con cura sotto il cuscino del letto. Sospirai e pensai davvero che quel piccolo registro era l’unica valvola di sfogo che avevo. Mia mamma mi aveva consigliato di scrivere, di far fuoriuscire tutte le mie emozioni e i miei pensieri, nascondendoli però ad occhi invidiosi. Avete presente quando vi trovavate davanti ad uno specchio e poi, chissà come, vi mettevate a parlare al vostro riflesso? Beh, per me il mio diario era questo. Una specie di specchio, il riflesso di me stessa, un oggetto che non potrà mai deridermi perché faceva parte di me. Forse era da stupidi, da bambini, da sfigati, ma ogni volta che chiudevo quel piccolo diario mi sentivo libera. Il peso della giornata non c’era più, i segreti peccaminosi erano stati svelati e i nostri pensieri venivano concretizzati così da non ammassarsi nella mente.  Non ero mai stata una di quelle ragazze che riusciva facilmente ad esternare i propri sentimenti, anzi. Ero piuttosto timida e riservata. Non mi piaceva mettermi in mostra o fissare gli altri soltanto per provarci spudoratamente come, ad esempio, facevano alcune mie amiche di classe. Mi piaceva imparare le cose mano a mano, mi piaceva guardare i volti delle persone e fotografare quelle piccole imperfezioni che, però, ci rendevano unici ad occhi altrui. Forse per questo non avevo amici o almeno non tanti quanto i miei compagni di classe. Eppure una cosa di cui andavo fiera era che, seppure  chiusa e timida, ero me stessa in tutto. Amavo la fotografia perché sapeva immortalare i momenti bui e felici di una giornata, odiavo i capelli colorati, i piercing, i tatuaggi, ma amavo chi lo faceva per seguire la propria passione non per seguire la moda altrui. E più di tutto amavo la danza, la mia danza. Fin da quando ero soltanto una bambina di tre anni, mia madre mi portava sempre a seguire dei corsi di danza classica così da farmi seguire la sua passione. Quella di volare sulle punte. Mano a mano quell’amore mi aveva sopraffatta e portata a seguire corsi su corsi, a fare teatro, a partecipare a provini per diventare una ballerina professionista. Mi ricordavo ancora quando avevo fatto il mio primo saggio. Gli occhi puntati su di me, le labbra socchiuse e affascinate e alla fine quegli applausi che si, mi avevano detto che tutto era reale e che ero riuscita a  far avverare il mio sogno. Ma più di tutto mi ricordavo le lacrime felici di mia madre mentre mi abbracciava e mi diceva che ero stata bravissima, che era orgogliosa di me. Da quel momento per me la danza non era diventata soltanto un impiego, un lavoro … ma una passione. La mia danza andava oltre il collo del piede o la testa alta e pancia in dentro. Non c’erano regole perché la danza ero solamente io in quel frangente, il ritmo così sciolto che ti cullava e faceva muovere i piedi leggiadri in quelle note classiche dove si ballava per ore e ore, e la consapevolezza che ce la potevo fare mi faceva sorridere e andare avanti. Anche ora, alla sola età di 16 anni, continuavo con quella passione alla quale si era aggiunta quella della fotografia. Se mi giravo e guardavo le pareti della mia camera, potevo ammirare tantissimi scatti che ritraevano la mia vita e la felicità che la accompagnava. Le sfioravo chiudendo gli occhi  e facevo un salto nel passato. Rivedevo i miei amici, mia madre, il mio piccolo cagnolino Sparta e lui. Alex. Il mio primo ragazzo, il mio primo bacio, le mie prime esperienze, il primo dolore,  ma non il primo amore. Da quando ci eravamo lasciati avevo capito che lui, per me, non era stato altro che un amico e quel sentimento che credevo fosse stato amore, in realtà, era stata amicizia. Alex era uno di quei ragazzi carini e dolci, un principe azzurro. Biondo, occhi verdi e un sorriso che ti cullava nei momenti tristi. Forse era questo che non mi aveva attirato di lui. Il suo essere troppo perfetto. Ogni volta che mi aveva abbracciata, non avevo mai sentito quel solito calore protettivo che ognuna di noi provava con il suo ragazzo, anzi. Mi sembrava di abbracciare un fratello, un amico caro. Eppure dopo la nostra rottura, la mia vita sentimentale, diciamo, era andata a rotoli. Vedevo dei bellissimi ragazzi, ma non sentivo nulla. Non sentivo quella scintilla, non sentivo i brividi, non sentivo quella voglia di averli accanto. Niente di niente. Avevo passato le giornate a fare foto, a dedicarmi alla danza e alla scuola, mentre i miei “ amici” si divertivano, facevano le loro esperienze e si innamoravano. Io mi ripetevo spesso che avevo la sfiga incorporata, eppure sapevo che in un futuro avrei trovato anche io quel ragazzo che mi avrebbe fatto battere il cuore velocemente, che quando mi sorrideva mi faceva arrossire, che mi diceva che ero sua, che mi cullava e mi stava accanto anche nei momenti tristi e pieni di dolore. Non mi definivo una bellissima ragazza, ma carina. Non ero estroversa, abile a parlare e festaiola. Non avevo lunghi capelli biondi, ma rossi e lisci, non avevo gli occhi azzurro cielo, ma verde smeraldo e forse questa era l’unica cosa che mi piaceva di me. Non ero alta, arrivavo al massimo a 1.67 m, non ero formosa, ma magra come un fuscello. Non apparivo in strada e i ragazzi non si fermavano a guardarmi. Mi chiamo Valentina, per gli amici Vale e questa è la mia storia …

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Appena entrai in cucina, illuminata dai caldi raggi solari di un giorno di Giugno, sentii il profumo squisito della buonissima pasta al ragù di mia madre. Il suo nome era Patrizia e diciamo che non mi assomigliava per niente! Lei al contrario di me era spigliata e allegra, bella come solo una mamma poteva essere. Con i capelli ricci indomabili e mori, gli occhi azzurri e un fisico esile e aggraziato, dovuto ad anni di danza classica. E, anche se in quel momento aveva i capelli scomposti e raccolti e il volto sudato, Patrizia rimaneva pur sempre una donna affascinante. Mia madre si girò verso di me, regalandomi un sorriso smagliante mentre teneva in mano un mestolo sporco di sugo.

<< Tesoro, apparecchia per cinque, per favore >> mi disse dolcemente per poi riprendere a cucinare mentre il vapore si riversava sui suoi capelli rendendoli una massa indomabile. Non capivo come mai continuava a stare ai fornelli con tutto il caldo che faceva. Io di certo, se ero stata al posto suo, sarei campata soltanto di Insalata di riso e frutta. Sospirando incominciai ad apparecchiare la tavola mentre ascoltavo il telegiornale e pensavo a cosa avrei potuto fare quel pomeriggio per sconfiggere la noia. La risposta? Nulla. Improvvisamente sentii la serratura della porta di casa scattare e una voce familiare, accompagnata da un’altra che non sopportavo, entrare in casa ridendo. Ero già pronta a rifilargli qualsiasi battuta se avesse incominciato a punzecchiarmi, ma stranamente entrò in cucina con nonchalance senza degnarmi di uno sguardo, dirigendosi verso il garage. Vi domanderete chi era l’oggetto dei miei pensieri. Ebbene un cretino, un bambino, un donnaiolo e il migliore amico di mio fratello Riccardo, nonché Gabriele Ranieri. Faceva parte della “mia vita” da almeno cinque anni, nei quali il nostro rapporto non si era mai evoluto in amicizia, anzi. Ci punzecchiavamo peggio dei bambini dell’asilo e ogni momento della giornata era ideale per rifilarmi una delle sue “bellissime” battute sulla mia scarsa vita sentimentale. Certo, perché il signorino, oltre ad essere completamente deficiente, era anche veramente bello. Eh si, questo lo dovevo ammettere. Tutte le mie amiche sbavavano dietro quegli occhi color del mare, quei capelli neri e disordinati, quelle labbra che sembravano essere disegnate e una insolita e sexy barbetta ad increspargli le guance che non faceva altro che renderlo affascinante. E poi, grazie al suo lavoro part-time con mio padre, aveva messo su un bel po’ di muscoli e abbronzatura che non avevano fatto altro che moltiplicare la bava delle ragazze in paese. Certo dovevo ammettere che un pensierino ce lo avevo fatto anche io, ma non mi piaceva come ragazzo, come si atteggiava. Trattava le ragazze come le conquiste di una notte sola e passeggiava per strada come se soltanto lui era il più bello, quelle che tutte volevano. Beh, forse non si era reso conto che ancora qualcuna sognava di trovarsi davanti Johnny Depp e non lui. Non era affatto un tipo raccomandabile. Fumava, faceva risse e beveva per divertirsi. Eppure i segni di quella stanchezza sul suo viso non si vedevano, anzi. Ogni giorno che passava sembrava diventare sempre più bello e allegro. Nessuno sapeva come mai faceva tutte quelle cose, nessuno sapeva come mai ogni volta che vedeva bambini giocare con i propri genitori, una maschera di malinconia si dipingeva sul suo volto. Aveva una famiglia, un padre e una madre che l’amavano e una sorellina che era una vera peste. Ma Gabriele era per tutti un totale mistero. Una maschera che si nascondeva dietro quel carattere strafottente e arrogante per non lasciar trapelare quanto in realtà provava dolore per qualcosa che forse era più grande di lui.

<< Vale, con che media sei passata a scuola? >> mi chiese improvvisamente mio fratello Riccardo mentre sistemavo l’ultimo piatto sulla tavola. Beh che dire … io amavo il mio fratellone. Era il mio migliore amico, il mio confidente, la spalla su cui potevo contare quando mi sentivo sola. Era bello con quegli occhioni azzurri e i capelli castano chiaro. Era geloso e forse un po’ troppo possessivo, ma quello che contava era che mi voleva bene. Lui, assieme a Gabriele, erano come delle guardie del corpo. Tenevano alla larga ogni ragazzo che ci voleva provare con me e questo mi dava fastidio, tremendamente fastidio. Dio, anche io volevo divertirmi, farmi cullare dalle braccia del mio ragazzo e sentirmi libera di dire che mi ero innamorata.

<< Con 7.90, perché? >> risposi mentre mi sedevo al mio posto visto che mia madre aveva incominciato a scolare la pasta.

<< Beh …  ormai sei grande, che ne dici di venire con me e i miei amici a Riccione? >> mi chiese sorridendomi dolcemente. Spalancai gli occhi dalla sorpresa e, per un momento, credevo di aver capito male. Ma allora Dio esisteva!

<< Stai … stai dicendo sul serio? >> balbettai con un sorriso enorme in faccia e vidi mio fratello sghignazzare davanti alla mia faccia da pesce lesso.

<< Certo stupidina! Allora? >> mi chiese ed io, come un automa, mi girai verso mia madre e la guardai con i miei occhi da cucciolo ai quali, sapevo, non avrebbe resistito. Infatti la vidi alzare gli occhi al cielo scocciata e poi sorridermi dolcemente, prima di darmi un buffetto sulla guancia.

<<  Eh va bene! Vai con lui tanto non penso che quest’anno andremo da tua nonna a Lecce >> mi disse sospirando ed io la abbracciai di slancio sotto le risate di mio fratello. Finalmente, per una maledetta Estate, qualcosa andava per il verso giusto. Sarei andata a Riccione, mi sarei divertita, avrei preso il sole, avrei fatto il bagno a mezzanotte e sarei andata in discoteca per la prima volta. E tutto senza la supervisione dei miei genitori! Proprio in quel momento, mentre stavo ripetendo continuamente a mia madre infiniti “ Grazie”, entrò mio padre in cucina con la sua solita camminata strascicata e una nuvola di fumo ad avvolgerlo. Vicino a lui, anche se in quel momento non me ne importava niente, c’era Gabriele che mi guardava con un cipiglio strano in volto. Mio padre si chiamava Alberto ed era uno di quei papà possessivi e gelosi, un orsacchiotto in pratica. Lavorava come meccanico nell’officina di paese e qualche volta lasciava dei lavoretti a  Gabriele, nel garage di casa nostra, pagandolo. Sicuramente da come erano vestiti, soltanto con una canottiera e dei pantaloni della tuta, erano appena ritornati dal garage dove Lele forse gli aveva fatto vedere come procedeva la riparazione della moto di un caro amico di papà.

<< Che succede qui? >> mi chiese guardandomi con i suoi occhi verdi, che avevo ripreso, e un sopracciglio arcuato. Mi avvicinai a lui saltellando sui miei stessi piedi. Diamine, ero fottutamente contenta che almeno qualcosa nella mia vita andasse per il verso giusto!

<< Papi, papi! Posso andare con Richy a Riccione, vero? >> chiesi sbattendo le ciglia e tirando fuori il labbro inferiore in un espressione da cucciolo bastonato. Sentii la risata soffocata di Lele dietro mio padre, ma non me ne curai troppo.

<< Ah! Va bene, basta che non fumi, non ti ubriachi, non vai con qualcuno e …  >>  incominciò mio padre elencandomi subito le cose che non avrei dovuto fare da brava figlioletta moderna. Lo abbracciai ridendo.

<< Recepito capo! >> dissi ridacchiando leggermente e sentii mio padre darmi una leggera pacca sulla schiena in segno d’affetto. Dopo un paio di minuti, nei quali mio padre e mia madre avevano incominciato a fare le raccomandazioni a me e mio fratello, ci mettemmo tutti a tavola e subito vidi mio padre Alberto fiondarsi, come Lele, sulla pasta al ragù di mia madre come degli affamati. Trattenni una lieve risata e gustai dolcemente la mia prima forchettata mentre Riccardo aveva incominciato ad esporre dove avremmo alloggiato e fra quanto sarebbe stata la partenza. Io, invece, continuavo a sognare. Mi immaginavo come sarebbe stata la permanenza lì, se avrei conosciuto qualche ragazzo e se mi sarei divertita. Su quest’ultima questione non avevo dubbi. Gli amici di mio fratello erano dei tipi veramente simpatici, tranne Gabriele, ma quello era di un’altra categoria. E proprio quest’ultimo, in quel momento, se ne uscì con una frase che mi fece scuotere la testa. E ci risiamo …

<< Mi dovrei sorbire anche in vacanza la tua presenza? >> disse il ragazzo sbuffando sonoramente e facendo ridacchiare mia madre, che aveva una certa adorazione per Lele. Ci credo, il ragazzo se l’era ingraziata ben bene aiutandola a fare i lavoretti a casa!

<< Non ti preoccupare, puoi divertirti ugualmente con le tue amichette! >> sibilai guardandolo storto e Lele mi trafisse con quegli occhi di ghiaccio e uno strano brivido prese possesso della mia schiena. Mi riscossi quando sentii mio fratello dire “ Ci risiamo! “.

<< Non sarai di certo tu a fermarmi, scricciolo >> sussurrò ghignando malefico ed io gonfiai, indispettita, le guancie come una bambina piccola. Come si permetteva di insultarmi in quel modo?

<< Scricciolo a chi? >> ripetei mentre i miei occhi si erano assottigliati in modalità minacciosa che, sapevo, lo avrebbe fatto ridere come un cretino. E difatti, quest’ultimo, scoppiò a ridere contagiando perfino mio padre! Ma … si erano messi d’accordo? Subito mi venne in mente un piano malefico e ghignai dentro di me mentre, con la forchetta, prendevo un pezzo di polpetta dal piatto e gliela tiravo in faccia facendolo sporcare di sugo. Gabriele smise di ridere subito e si toccò la guancia sorpreso mentre io, dentro di me, gioivo come una ladra.

<< Sei proprio una bambina … >> sussurrò Lele scuotendo la testa. Sentivo i suoi occhi trafiggermi il volto in mille scaglie di vetro, ma non demordevo. Con lui era sempre una sfida aperta e di certo non sarei stata io a perdere. Strinsi i pugni fortemente e aprii la bocca per dirgliene altre quattro, ma mia madre chiamò all’ordine.

<< Ok, basta! Fine round! Continuiamo a mangiare come persone civili? >> disse spazientita ed io sospirai annuendo e portando la mia attenzione al piatto dove alloggiava un petto di pollo con patate. Il silenzio era sceso in cucina e veniva spezzato soltanto dal parlare ritmico della TV che annunciava un altro incidente. Forse il quinto della settimana …. Improvvisamente sentii qualcosa sfiorare il mio piede, ma pensai che era soltanto una mia sensazione. Quando alzai gli occhi e incontrai quelli famelici e derisori di Lele, capii che era lui e uno strano rossore invase le mie guance. Oh diavolo … Continuava a strusciarlo lentamente contro il mio e sorrideva malefico vedendo le mie guancie diventare sempre più paonazze, quasi quanto i miei capelli. Sentivo i suoi occhi trafiggermi peggio di una lama appuntita e non riuscivo a staccarmi da quel contatto che sembrava piacere al mio corpo più del lecito. Controllo Vale, controllo! Mi alzai improvvisamente dalla sedia e vidi subito mio padre ammonirmi con lo sguardo.

<< Ehm … tra poco arriva Federica, mi vado a preparare >> dissi sbrigativa sorridendo e poi, come una saetta, mi catapultai in camera. Non era affatto vero che dovevo vedere la mia migliore amica, ma avevo soltanto bisogno di scappare via da quella situazione imbarazzante. Lo odiavo con tutto il cuore perché sapeva farmi diventare vulnerabile anche con dei minimi gesti, lo odiavo perché anche con un solo sguardo sapeva azzittirmi, lo odiavo perché non mi lasciava vivere la mia vita e la rovinava soltanto con la sua esistenza. Mi sdraiai sconfitta sul letto e incominciai a guardare il soffitto della camera mentre cercavo di pensare a tutto tranne che a Lele. Allungai il  braccio verso il comodino e  presi il telefono inviando un messaggio a Federica.

“ Fefè, usciamo oggi? :D “

“ Subitooooo :D Vengo da te tra … 5 minuti! “

Perfetto! A dopo :P “

Così mi alzai di scatto e incominciai a frugare dentro l’armadio alla ricerca di qualcosa di decente da indossare. Optai per una semplice canottiera celeste, degli shorts chiari di Jeans strappati, le mie ballerine nere che si abbinavano agli orecchini a pallina che avevo e mi legai i capelli lisci e lunghi in una crocchia. Dopo un secondo sentii il campanello di casa suonare. Così presi la borsa bianca della Pinko e scesi in salotto dove mi ritrovai una scena alquanto … esplicita. La mia migliore amica se ne stava mezza abbracciata a quel energumeno di Gabriele e sorrideva complice. Chissà che porcate le stava dicendo. A Federica le era sempre piaciuto Lele e lui sembrava ricambiare la cosa. Beh, lei era veramente bellissima. Occhi verdi, capelli mori e mossi, labbra carnose e un fisico a dir poco perfetto. La solita amica della quale tutte erano invidiose. Quella che aveva più ragazzi, la più simpatica, la più bella … La più in tutto. Ed io in confronto a lei mi sentivo una specie di cacca. Ogni ragazzo che mi piaceva alla fine guardava ammirato lei, ogni ragazzo con cui uscivo alla fine si lasciava condizionare dalle sue battutine ammiccanti e dai suoi occhi magnetici. Soltanto Alex non era cascato nella sua tela e forse per questo a lei non era mai stato molto simpatico. Dopotutto però Federica era una di quelle ragazze che ti ascoltavano nel momento del bisogno, ti cullavano quando piangevi e ti facevano sempre scappare un sorriso per le stupidate che commetteva. Lei era semplice nel suo carattere estroverso eppure era alquanto modesta e precisa nelle cose. Si lasciava travolgere, come in quel momento con Lele. Il suo sogno proibito. L’avevo vista arrossire  per un momento e poi ridacchiare alle parole di quel ragazzo che continuava a carezzarle il braccio dolcemente. Se lui non era così donnaiolo sarebbero stati la coppia perfetta. Tossicchiai cercando di riportare l’attenzione e vidi i due ragazzi guardarmi. Federica sorridendomi imbarazzata mentre Gabriele non faceva altro che squadrarmi dalla testa ai piedi facendomi sentire una specie di insetto in quel momento.

<< Sei proprio una bambina … >> lo sentii sussurrare debolmente mentre scuoteva la testa con un sorrisetto derisorio che mi fece alterare ancora di più. Possibile che doveva essere così fastidioso? Ma cosa gli avevo fatto!

<< Ripetilo davanti a me se hai il coraggio! >> sbottai scendendo le scale e aspettando. Lele mi guardò con le sopracciglia aggrottate come a chiedersi “ Ma dice sul serio? “, e poi con il passo di un felino in caccia si avvicinò notevolmente arrivandomi ad una spanna dal viso e facendomi sentire inutile mentre il suo respiro batteva forte contro il mio viso e i suoi occhi non lasciavano i miei. Era forte, non aveva paura di nulla … Ed era terribilmente bello così vicino. La linea perfetta delle sopracciglia, il naso dritto, gli occhi intensi e perforanti, quelle labbra che ti mandavano al manicomio, una mascella forte e squadrata, un collo pulito e tremendamente sensuale … E … Dio, ma che stavo pensando? Mi riscossi dal mio stato di trance soltanto quando Lele disse : << Sei proprio una bambina, scricciolo >> e con una risata se ne andò, dirigendosi verso il garage e lasciandomi come una rammollita davanti ad una Federica leggermente alterata.

<< Lo odio con tutto il cuore … >> sibilai stringendo i pugni e la ragazza ridacchiò dolcemente per poi spingermi ad uscire di casa.

<< Guarda non lo sapevo! >> sbottò e un sorriso nacque sulle mie labbra. Si lo odiavo con tutto il cuore e non avrei mai permesso che quel suo sorrisino entrasse a far parte di me … Eppure non sapevo che, in futuro, il solo vederlo sorridere mi avrebbe fatta sentire la ragazza più felice del mondo …
 

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°Angolo Autrice!°

Eh si! Finalmente sono riuscita a postare il primo capitolo e mi scuso per l’attesa : ( Spero soltanto che questo capphy vi sia piaciuto anche se ancora siamo soltanto all’inizio della storia. Grazie se siete arrivate fino alla fine e spero che un commentino, almeno per sapere cosa ne pensate, me lo lasciate : ) Al prossimo capitolo!
MissCherie <3


P.S Per chi volesse leggere un'altra mia storia che sto per finire clicchi qui :http://www.efpfanfic.net/viewstory.php?sid=770263&i=1
         E la mia primissa storia completa :http://www.efpfanfic.net/viewstory.php?sid=721753&i=1
     Vi ricordo, per chi volesse, il link del profilo Facebook dove metterò spoiler, aggiornamenti e immagini dei protagonisti : http://www.facebook.com/misscherie.efp.9

  
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