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Autore: Helter Skelter    26/08/2012    4 recensioni
«Cosa si prova ad essere veramente liberi?»
Un piccolo racconto ispirato alla bellissima ed emozionante She's leaving home.
Ho semplicemente immaginato quali possano essere state le sensazioni della protagonista nel lasciare la sua famiglia e spero di aver fatto un lavoro accettabile.
Genere: Introspettivo, Song-fic | Stato: completa
Tipo di coppia: Nessuna | Personaggi: Altro personaggio
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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Un breve raconto che
spero apprezzerete.
L'ho scritto di getto, 
fra le undici e mezzanotte. 
Una delle mie canzoni preferite. 

 



She's leaving home.



Chissà cosa si prova  a camminare scalzi su una spiaggia di notte.

Mi hanno detto che i granelli di sabbia ti si infilano fra le dita e ti fanno solletico, che le scure onde del mare si infrangono sulla costa con dei guizzi e che, se sei abbastanza vicino, riesci anche a sentirne gli spruzzi salati sulla pelle.

Chissà com’è mangiare un gelato al cioccolato in pieno inverno.

Mi hanno raccontato che la lingua comincia  far male così tanto che per un po’ non riesci neanche a parlare  e che il freddo ti arriva fino al cervello facendoti venire mal di testa, come quando lasci per tanto tempo le forcine nei capelli.

Chissà com’è essere liberi…
Era arrivato il momento di scoprirlo da sola.
 
Mi svegliai insieme agli uccellini, proprio mentre il giorno stava iniziando.
Un piccolo spicchio di sole spuntava dall’orizzonte, rischiarando appena.
In quel momento più che mai, ero intenzionata ad ottenere la mia avventura, viverla.
Non ero più disposta ad aspettare che qualcuno mi descrivesse il sapore della libertà, volevo assaporarlo in prima persona,  fino in fondo.

Alle cinque del mattino la casa era ancora completamente addormentata e non c’era nulla , ad eccezione dei suoni della natura che si risvegliava, che ne spezzava il silenzio.
Decisi che avrei lasciato un messaggio, spiegando le mie ragioni. Non mi aspettavo la comprensione dei miei genitori; non volevo che capissero, non lo avrebbero fatto comunque.
Le assi del vecchio pavimento della mia camera da letto scricchiolarono sotto il mio peso. Cercai di arrivare alla scrivania facendo solamente due passi, per fare meno rumore possibile.
Per qualche secondo l’unico suono fu quello della punta della penna che graffiava sulla carta. Rilessi quelle poche parole ancora ed ancora, ed ogni volta sembravano dire sempre meno. Strinsi la pagina nel pugno e la sentii accartocciarsi. Non importava, non doveva essere bella, o rassicurante, doveva semplicemente dire la verità.
Afferrai la borsa che avevo preparato la sera precedente e la misi in spalla; l’avevo riempita con qualche libro, i miei risparmi, e tanta voglia di vivere.
 Salii in piedi sul letto prendendo un’orribile cornice dallo scaffale. La aprii ed estrassi il biglietto del treno che, qualche tempo prima, avevo nascosto proprio dietro la foto.
Il mio cuore iniziò a battere all’impazzata, lo sentivo perfino nelle tempie.

Stava accadendo.

Diedi un’ultima occhiata a quello che stavo lasciando.
Sorrisi felice, realizzando di non aver nessun rimpianto.
Si stava sistemando tutto, le tessere del puzzle stavano andando al loro posto.
Chiusi silenziosamente la porta alle mie spalle e lasciai il messaggio per i miei genitori a terra, di fronte alla loro camera. Dovevo essere sicura che lo leggessero.
I miei passi fecero cigolare i gradini. Scesi in cucina trattenendo il fiato.
I miei occhi cominciarono a pizzicare mentre, con risolutezza, mi avvicinavo sempre più alla mia nuova vita. Una lacrima scese calda lungo la guancia.
Sentendone il sapore sulle labbra, mi domandai ingenuamente se fosse come quello delle onde del mare di notte.
C’era un piccolo fazzoletto, proprio sul tavolino, col quale mi asciugai. Lo strinsi forte fra le mie mani e mi imposi di riprendermi.

Il dolore della delusione era molto più amaro di quello dell’abbandono.

Silenziosamente girai la chiave nella porta, che si aprì con uno scatto sordo.
L’erba del giardino, i fiori, erano ricoperti dalla brina. Sentivo l’odore dell’umidità impregnare l’aria.
Guardai il cielo mattutino che, diventando ogni istante  più sereno, sembrava volermi dire di non avere paura.
Un fresco vento primaverile mi accolse mentre facevo un passo fuori, verso l’ignoto.
Inspirai profondamente.

Ero libera.
 
 

La nostra bambina se n’è andata.

Perché ci ha tratttai così sconsideratamente?

Come ha potuto farci questo?

In cosa abbiamo sbagliato?

Non credevamo fosse sbagliato.

Le abbiamo dedicato quasi tutta la nostra vita, sacrificato la nostra vita, aveva tutto ciò che il denaro avesse potuto darle.  
 


C’era qualcosa in lei che in tutti quegli anni le era sempre stato negato.

 

“Addio mamma, addio papà.

Il divertimento è l’unica cosa

che il denaro non può comprare.”

  
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