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Autore: ermete    26/08/2012    23 recensioni
Prima che John possa stupirsi del gesto del micino, si sente gravare addosso un peso ben diverso: abbassa lo sguardo e si ritrova sdraiato su di sè un nudissimo Sherlock con tanto di orecchie feline ed una lunga coda nera ciondolante per aria.
“Sh-Sh-Sherlock?” indietreggia John, quasi sdraiato, facente perno sui gomiti “Cosa... diavolo...?”
“E’ un sogno, Jawn.” risponde Sherlock, gattonando verso John.
“Perchè diavolo dovrei sognarti nudo?” balbetta John, toccando con la schiena un muro bianco che gli impedisce di allontanarsi ulteriormente dall’uomo-gatto.
“Perchè è così che mi vuoi. Ovviamente.” Sherlock posa le mani sulle ginocchia di John, aprendole per riuscire a strusciarsi sopra di lui, per raggiungergli nuovamente il viso “Tu mi vuoi.”

Note: dream!catlock
Genere: Romantico, Sentimentale | Stato: completa
Tipo di coppia: Slash | Personaggi: John Watson , Nuovo personaggio, Sherlock Holmes
Note: What if? | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
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***Ciao ragazze! *_* Ecco, posso dire "ve l'avevo detto" e indicare Tom come colpevole del misfatto ahahah! XD Però vi adoro, pensavo che l'avreste odiato e invece la maggiorparte di voi lo ama e quasi quasi shippa JohM XD e siccome sapete che io "shippo johnlock like a bitch"(ringrazio Ire per questa spendida perla) siete già intristite all'idea di Tom solo soletto... ma io ve l'ho detto, fidatevi di me u_u salverò capra e cavoli! *feel like a farmer* (ok, questa era particolarmente stupida XD) Siccome sono troooppo in vena di sparare cavolate chiudo le note qui ahahah! Ah! Ho dovuto cambiare il rating perchè... insomma, con un sogno sono stata un po' più esplicita °_° nulla di osceno, mi conoscete, non sono capace a scrivere roba hot XD BACIO!!!***

Il gatto timido fa il topo coraggioso(0)
Quando John giunse da Angelo, era in anticipo dei suoi soliti dieci minuti, ma a differenza delle altre volte, non dovette aspettare Sherlock per un tempo indefinito: una volta arrivato davanti alla vetrina del ristorante, infatti, notò facilmente il consulente investigativo seduto al loro solito tavolo. Entrò dunque nel ristorante e mentre vedeva un frettoloso Angelo sparire in cucina dopo averlo salutato velocemente, prese posto affianco a Sherlock, replicando la disposizione assunta la prima volta in cui cenarono assieme e che, più o meno inconsciamente, conservarono per tutte le volte successive.

“Ciao, Sherlock.” gli sfiorò la spalla a mo’ di saluto prima di sedersi al tavolo “Aspetti da molto?”
“Sono arrivato da cinque minuti.” Sherlock, che non aveva staccato lo sguardo da John da quando l’aveva visto davanti alla vetrata, accennò un leggero sorriso. Era da quando avevano discusso sulla scena del crimine dell’uxoricida che non si parlavano, escludendo il monologo di John di qualche sera prima, quindi era davvero contento di poter parlare nuovamente con lui. Non osò dirlo ad alta voce, ma gli dedicò alcune piccole gentilezze che riservava solo a lui, come versargli il vino nel bicchiere, sistemargli il colletto della camicia sgualcito dal peso della giacca e porgli una domanda così banale che riteneva inutile. Ma per John esistevano tante piccole eccezioni, quindi non esitò neanche un istante “Come stai?”
“Bene, grazie.” John gli sorrise, dimentico del litigio che, di fronte alla bella serata organizzata da Sherlock, si trasformava in un piccolo e spiacevole episodio già archiviato e superato “Tu? Ti sei annoiato oggi?”. Non potè, nel frattempo, non pensare a quanto non si fosse annoiato lui, fino a poche ore prima, in compagnia di Tom. Non riusciva però a valutare, in realtà, se il suo senso di colpa fosse interamente giustificato. Stava uscendo con un altro uomo, certamente, ma non aveva una relazione sentimentale anche con Sherlock, quindi perchè rimuginarci tanto sù? E poi con Tom usciva solo da un mese, non era ancora nulla di serio. Particolare, intrigante, ma non impegnativo. Anche se avrebbe volentieri catalogato l’intero pomeriggio come la più intensa ed eccitante pomiciata del secolo.(1)
“Nessun mistero degno di nota.” sospirò teatralmente per poi osservarlo di sottecchi: si era praticamente già scusato e aveva organizzato una cena per entrambi, quindi non poteva in alcun modo trattenere ancora il lato fastidioso della sua personalità “E poi, ultimamente, è un po’ come vivere da solo.” rinfacciò prontamente: non voleva certamente litigare di nuovo, ma stuzzicare John era uno dei suoi divertimenti preferiti: vederlo sospirare, arricciare il naso già perfettamente all’insù, inarcare le sopracciglia finchè la fronte non gli diventava appena appena rugosa. Aveva catalogato e memorizzato tutte le espressioni che aveva visto nascere sul viso di John, ma la cosa che adorava era che lui riusciva sempre ad inventarne di nuove.
John, di fatti, sospirò ed inarcò entrambe le sopracciglia verso il centro della fronte “Sherlock...”
“E’ un momento.” Sherlock agitò la mano destra aria, come se volesse dargli l’idea che stesse minimizzando il tutto “Ti passerà anche questa volta.” aggiunse infatti, con un sorrisetto sghembo a rigargli il volto.
“E ti pareva.” John bevve qualche sorso di Lambrusco, quindi cedette alla tentazione di chiedere spiegazioni: d’altronde gli era mancata la voce di Sherlock “Anche questa volta?”
“Certo.” annuì Sherlock, ben felice che John avesse voglia di ascoltare le sue deduzioni “Quando esci con una nuova donna, vivi per due mesi con la testa tra le nuvole, non mangi quasi mai a casa e rientri tardi alla sera.” sbuffò, poi, aggiungendo una postilla alle sue precedenti parole “Oh, beh, ammesso che duri almeno due mesi. La media è di cinque settimane e due giorni.”
John sbattè le palpebre più volte: le deduzioni di Sherlock erano sempre geniali e piacevoli da ascoltare, ma se riguardavano la sua vita sentimentale risultavano anche leggermente imbarazzanti “Questa volta la situazione potrebbe essere diversa.” sussurrò, pur rimanendo ben udibile all’udito dell’altro: non voleva certamente parlargli di Tom, ma almeno qualche nozione generale voleva fornirgliela.
“Dici sempre così.” Sherlock si sforzò di rimanere impassibile nel tono di voce, ma era chiaro che aveva già intuito che la relazione che John stava intrattenendo con la nuova donna era diversa dalle precedenti. Ma non c’era alcun problema: bastava rendergli la vita di coppia impossibile, come al solito. Tuttavia voleva saperne di più “Anche se effettivamente c’è una variabile che è cambiata.”
“E che variabile!” si lasciò fuggire John, coprendo quell’uscita tanto involontaria quanto sincera con altri due sorsi di vino rosso.
Per la prima volta nel corso della serata, pur travisando completamente il riferimento di John, lo sguardo di Sherlock si assottigliò in maniera arcigna “Non mi interessa conoscere quanto la tua nuova fiamma sia abile tra le lenzuola. Non sto parlando di quello.”
John fece spallucce “Ma va? Neanche io parlavo di quello.” nonostante l’entità imbarazzante del discorso che stavano affrontando, era felice di poter parlare nuovamente con Sherlock e nella sua mente, sul suo personalissimo asse cartesiano, pendeva nuovamente verso di lui. Si domandò come potesse trovarsi bene con Tom che una persona solare, chiacchierona, gentile e sempre sorridente per poi riconfermarsi innamorato di Sherlock che era il suo completo opposto, ovvero taciturno, lunatico, arrogante... ma anche geniale, brillante e dotato di una bellezza impossibile. E capì che di esserne innamorato proprio perchè in mezzo ai suoi difetti, riusciva sempre a vedere anche la parte migliore di lui: riusciva sempre a distinguerla distintamente. A volte aveva confini netti, altre volte si mischiava ai suoi difetti, ma sicuramente, almeno nei suoi confronti, non spariva mai del tutto.
L’attenzione di John poi fu rifocalizzata su Sherlock che scrollò il capo, per poi spiegarsi meglio “Ad ogni modo, sto parlando della qualità del tuo sonno.”
John deglutì e a momenti si strozzò con la propria saliva “La qualità del mio sonno?”
“Sì. Mentre di sera torni a casa felice e rilassato, di mattina sei intrattabile. A volte esci all’alba e sei così di malumore che neanche mi saluti.” Sherlock tamburellò con le dita sul tavolo, palesando il proprio disappunto a riguardo “Anzi, fingi proprio di non vedermi.”
John stette in silenzio qualche istante, iniziando a giocherellare con il fuoco dell’immancabile candela che Angelo non faceva mai mancare sul loro tavolo “Non sto dormendo bene in questo periodo.”
“L’avevo intuito, così come ho dedotto che non hai degli incubi riguardanti l’Afghanistan. Non ti sento urlare: quando sogni la guerra, urli.” rimase con lo sguardo fisso su John, osservando il suo volto che, dalla sua prospettiva, sembrava stesse ardendo sotto il fuoco della candela “Sai perchè non dormi bene?”
John colse la nota retorica nella domanda di Sherlock “Sentiamo.”
“Ti senti in colpa.” gli svelò e per un istante vide John spostare lo sguardo dalla candela per posarlo su di lui: Sherlock la prese come una conferma della propria tesi “Tu esci di sera con la tua nuova fiamma, quindi torni a casa che sei allegro. Poi però, prima di addormentarti ti fermi a pensare ed emerge il tuo senso di colpa nei miei confronti.” si fermò qualche momento e quando vide John immobilizzarsi di fronte a quella rivelazione, ripetè il concetto “Questa tua nuova relazione ti fa sentire in colpa. Nei miei confronti.”
John rimase estremamente serio esteriormente, ma nella propria mente urlavano molteplici campanelli d’allarme, arrivando anche a domandarsi cosa avrebbe sognato quella notte dopo quella conversazione così illuminante “Sei fuori strada, Sherlock.” provò a negare, dunque, provando a rimanere il più calmo possibile: agitandosi avrebbe confermato che aveva qualcosa da nascondere e non poteva scoprirsi così tanto. Gli dispiacque senza dubbio l’idea di dover nascondere l’esistenza di Tom, ma Sherlock era più importante e su quello non aveva alcun dubbio.
“Perchè lei ti ruba del tempo che potresti dedicare a me.” tossicchiò poi, correggendosi “Ai casi.” quindi aggiunse velocemente “Infatti esci di casa senza avere neanche il coraggio di guardarmi in faccia.”
John doveva trattenersi dal ridere ogni qual volta Sherlock parlasse della sua nuova fiamma, come lo stesso detective usava chiamarla, riferendosi ad un individuo di sesso femminile: evidentemente aveva detto così tante volte di non essere gay che aveva convinto anche il più testardo degli esseri umani. Raccolse una goccia di cera calda sul polpastrello dell’indice sinistro, quindi tornò alla questione principale “E la variabile quale sarebbe?”
“Che con le tue precedenti ragazze non ti sei mai sentito in colpa al punto da non riuscire a dormire bene.” Sherlock inspirò per poi catturare tra le mani la mancina di John, incurante di avere il suo permesso per farlo: abbassò lo sguardo sulla goccia di cera ancora tiepida sulla quale pigiò il proprio indice “Per qualche motivo questa relazione ti rende nervoso nei miei confronti.”
John deglutì per il gesto e per le parole di Sherlock, cogliendo la vena di tristezza nella sua voce: rimase immobile con la mano mentre veniva creata una sottile patina di cera sui cui lati opposti erano presenti le impronte di entrambi. Si chiese se Sherlock si fosse reso conto del valore simbolico di quel gesto: avevano appena impresso l’unicità delle loro impronte digitali su una goccia di cera. Pensò che forse il detective avrebbe capito l’importanza di quella foglia sottile se avesse ipotizzato lo scenario di un omicidio in cui quella era la prova che li incastrava entrambi: loro due, insieme, a causa di qualcosa di così piccolo che simboleggiava paradossalmente qualcosa di altrettanto grande.
“John.” Sherlock richiamò l’attenzione di John stringendogli la mano con le proprie “L’hai promesso.”
John stette attento affinchè l’indice si salvasse da quella presa “Cosa?”
Sherlock sussurrò l’implicita domanda che gli stava rimbalzando nella mente sotto forma di urla insopportabili “Che non te ne saresti andato.”
“Non me ne vado da nessuna parte.” gli confermò John perchè era vero: con o senza Tom, non lo avrebbe mai abbandonato. E anche quella era una certezza.
Sherlock lesse la sincerità negli occhi di John: intuì che era veramente sincero a riguardo, quindi si calmò abbastanza da sciogliere la stretta sulla sua mano. Eppure c’era qualcosa che ancora non quadrava: doveva scoprire qualcosa di più sulla donna che frequentava “Perchè questa è diversa dalle altre?”
“Perchè è diversa.” rispose frettolosamente, poichè era un’altra la questione che gli premeva approfondire “Ma anche se è diversa, non cambierà nulla. Non mi perderai mai.” prese poi una pausa, durante la quale staccò dall’indice il cerchietto di cera, stando ben attento a non cancellare le due serie di impronte. Rimase a testa bassa, poi, quando gli venne da aggiungere “Anche se a volte dici delle cattiverie che fanno male.”
Sherlock annuì leggermente, dandogli incredibilmente ragione. Quando poi vide Angelo avvicinarsi coi piatti, si affrettò a confessare “A volte la paura fa dire cose stupide.”
Angelo battè i tacchi, fermandosi davanti al tavolo con un gran sorriso disegnato sul volto “Ravioli al ragù per il nostro John!” annunciò trionfale, posandogli il piatto tra coltello e forchetta, per poi fare lo stesso con il consulente investigativo “E risotto ai funghi per il nostro Sherlock!”
John aprì la bocca per lo stupore mentre sentiva lo stomaco gorgogliare in risposta al profumo invitante di quel piatto tipicamente italiano “I tuoi famosi ravioli fatti in casa? Di solito li fai solo di domenica.”
Angelo annuì, strofinando tra le loro i palmi delle proprie mani “Vero, ma Sherlock mi ha chiamato oggi pomeriggio e mi ha chiesto se potevo fare un’eccezione visto che è il tuo piatto preferito. E figuriamoci se so dire di no al tuo fidanzato!”
John non fece in tempo a sorridere per la spiegazione del gesto gentile compiuto da Sherlock, che provò subito a smentirlo “Sì, grazie, ma noi due...”
Angelo lo interruppe, perchè da quell’orecchio proprio non ci voleva sentire “Buon appetito, fii mii!”(2)
Angelo se ne andò e John aspettò solo qualche secondo per alzare lo sguardo su Sherlock “Grazie per il pensiero. Sei stato davvero molto premuroso.”
Mangiarono in silenzio per qualche istante, almeno finchè Sherlock non si bloccò di colpo voltandosi di scatto verso John “L’altra sera, quando hai detto che vorresti che io fossi più normale...”
John lo interruppe prontamente “Ero arrabbiato, Sherlock.” ammise senza troppi giri di parole “Non ti vorrei diverso, credimi.” giurò a Sherlock e a se stesso, sperando che se ne convincesse anche il proprio subconscio, in modo da non presentargli più una versione di Sherlock implorante e disperato. Fece spallucce, poi, incuriosito “Tu cambieresti qualcosa in me?”
“Uhm...” Sherlock ci pensò per qualche istante e concluse che, forse, l’unica cosa che avrebbe desiderato in quel momento, fosse che John avesse già capito i suoi sentimenti per lui e che avesse messo da parte la sua crisi di identità sessuale. Curiosamente inconsapevole che la seconda opzione fosse già stata risolta, propose a John la prima “Forse ti vorrei solo un po’ più intuitivo.”
“Se io fossi intuitivo come te, entreremmo subito in competizione, conoscendoti.” ridacchiò, approfondendo subito il proprio pensiero “E litigheremmo. Proprio come fate tu e Mycroft.”
Sherlock storse il naso a quell’obbiezione con la quale, tuttavia, si ritrovò col concordare. Passarono altri minuti e non aveva ancora ripreso a mangiare perchè aveva ancora una grande domanda che lo tormentava “Davvero non cambieresti nulla in me?”
John inspirò a lungo prima di posare la forchetta nel piatto “Potrei dirti di sì. Potrei dire che ti vorrei più sensibile, o che tu non odiassi tutto ciò che riguarda i sentimenti. Ma non saresti più tu, no?” alzò lo sguardo su Sherlock, al quale sorrise con una dolcezza che gli venne del tutto spontanea “E poi ogni tanto te ne esci fuori con gesti come questa cena, o il cibo cinese, o il Doctor Who sul divano che mi fanno capire che c’è già qualcosa dentro di te.” fu tentato di allungare la mano verso quella di Sherlock, ma decise di fermare quell’istinto, esprimendo a parole ciò che provava in quel momento “Questi piccoli gesti, queste rare dimostrazioni di amicizia... a me bastano.”
Sherlock si fidava di John, ma era più facile credere ai fatti reali e tangibili, quindi insistette “L’altro giorno però ti sei arrabbiato.”
“Sono umano, Sherlock.” sorrise pensando alla frequenza con la quale doveva ricordarglielo “Ho anche io quelli che tu chiami difetti, ovvero i sentimenti. E i sentimenti mi fanno avere reazioni emotive come la rabbia.” spiegò con pazienza perchè sapeva che con Sherlock non era mai facile riuscire a fargli capire il complicato mondo della sfera sentimentale. Sorrise, dunque, quando Sherlock gli annuì e a quel punto fu lui ad essere curioso “Quindi, proprio in luce dei miei difetti te lo chiedo di nuovo. Cambieresti qualcosa in me?”
“No.” rispose subito “La formula del tuo DNA è la rara combinazione che fa sì che tu mi sopporti.” spiegò in maniera razionale, per poi aggiungere una nota dolce che si affacciava dall’emisfero destro del cervello che riuscì ad intrufolarsi dentro all’assoluto raziocinio di Sherlock  “Non posso modificarla e rischiare di perderti. Neanche ragionando per assurdo.”
John gli sorrise, sfiorando con la mancina il pezzo di cera che aveva appoggiato sul tavolo a raffreddare, come per prendere il coraggio per fargli quell’offerta “Questa sera alle 11 c’è una replica del Doctor Who.” propose velatamente, redendosi conto, in fondo, di quanto non fosse banale aprirsi ad un’altra persona e comprese che se non era facile per lui, per Sherlock doveva essere ancora più difficile. Quindi lo perdonò, anche mentalmente, per tutte le volte che non sapeva dimostrargli il suo affetto.
Sherlock si accorse di stare sorridendo a piene labbra solo perchè sentì gli zigomi alzarsi in alto come raramente gli accadeva: allungò la mano verso quella di John e la strinse scuotendola appena. Non era bravo a parole e lo sapeva, ma era altrettanto conscio di quanto John apprezzasse quei piccoli gesti, quindi decise di donargliene almeno uno prima di ricominciare a mangiare.
John sorrise a sua volta, intenerito dal modo infantile e quanto mai spontaneo in cui Sherlock gli stava mostrando la propria gratitudine: ricambiò la stretta e lo osservò mangiare più in fretta che potè, intuendo la sua urgenza di finire presto per rincasare velocemente e passare il resto della serata insieme sul divano.
Dopo aver recuperato di nascosto il piccolo cerchio di cera, John si avviò a casa assieme a Sherlock. Passarono tutta la serata sul divano nella loro posizione abituale, stretti in quella specie di rimpatriata che contagiò entrambi con sorrisi e sospiri scambiati per la maggiorparte di nascosto l’uno dall’altro.
Lo smile giallo e il sorriso sghembo del teschio testimoniavano la ritrovata unione di quella coppia di amici, prendendoli silenziosamente in giro per la sorte imposta dalla dispettosa fortuna che li aveva fatti incontrare e che ciecamente impediva loro di vedere gli spessi e resistenti fili che li legava in modo molto più profondo.


°oOo°


Quando John apre gli occhi e vede tutto bianco, è felice di constatare di potersi muovere liberamente, mentre è altrettanto sorpreso del fatto di essere completamente nudo, come mai in quel particolare sogno ricorrente era ancora successo. Si alza col busto, però, quando si accorge di non avere affianco a sè nè il micino nero nè la sua figura già trasformata in uomo-gatto.
Non appena chiama il nome di Sherlock, John vede spuntare ai piedi del letto le mani dell’uomo-gatto che, nascostosi fino a quel momento, comincia a risalire il talamo con la grazia di un felino e il malizioso erotismo del miglior seduttore.
“Oh... questo sì che è un vero sogno erotico.” John può sentire chiaramente le potenti fusa nascere dal petto nudo dell’uomo-gatto che si avvicina inesorabile, sfiorandolo con la pelle bianca e vellutata.
“Jawn.” lo saluta Sherlock per poi chinarsi con testa, spalle e torace, segnando il proprio passaggio sul corpo nudo di John con baci umidi e morsetti appena pronunciati: agita intanto il resto del corpo, mostrando la propria schiena sulla cui fine si muove sinuosa anche la coda, quasi volesse distrarlo dalla visuale del suo splendido sedere.
“Sherlock... oddio.” John si sdraia completamente, abbandonandosi alla sensazione di piacere, chiaramente amplificata dal sogno, data dai baci di Sherlock che sembrano arrivare a toccare tutti i nervi più sensibili del suo corpo “Così... ti vorrei così... sì.”
L’uomo-gatto si cala lentamente su John con tutto il proprio corpo ed una potente scossa di piacere investe entrambi: Sherlock miagola così forte che sente John reagire anche sotto quello stimolo “Jawn. Perchè se ti piaccio, esci con Tom?”
“Ehi no. Abbiamo detto sogno erotico questa volta.” protesta John, per poi allacciare le braccia dietro la schiena di Sherlock e premerselo addosso, poichè ogni volta che lo fa sente il piacere concentrarsi tutto sul bacino, come se dovesse raggiungere l’orgasmo da un momento all’altro “Come ti vorrei.”
“Jawn.” miagola Sherlock, per poi fargli alzare le braccia sopra la testa, potendo così scendere sul suo torace con le unghie appena appena affilate, graffiando la sottile soglia tra solletico e piacere che fa sobbalzare John sotto di lui “Mi vuoi, ma ripieghi su Tom. Jawn.”
John inarca la schiena ed allarga le gambe, accogliendo l’uomo-gatto su di sè come meglio può, annullando qualsiasi distanza che lo allontanerebbe da quel piacere che sembra così fortemente tangibile “Shhh. Zitto, Sherlock.” suggerisce, perchè in quel momento non vuole pensare al senso di colpa, ma godersi il frutto della serata sul divano, con la testa Sherlock sulle proprie gambe, la mano destra tra i ricci neri e la sinistra intrecciata a quella di lui.
Ma l’uomo-gatto non riesce a stare zitto “Jawn. Tu mi vuoi.” ripete prima di iniziare a muoversi sopra di lui, lentamente, creando un leggero sfregamento che fa sussultare entrambi “Jawn.”
“Sì che ti voglio.” John apre la bocca per aggiungere qualcosa ma si blocca sotto i movimenti dell’uomo-gatto, del quale inizia a cercare il volto alla ricerca di un bacio “Vieni qui, vieni qui.” ansima con una certa urgenza, allacciandogli le braccia attorno alle spalle.
L’uomo-gatto nega il bacio, ma continua a sfregare il proprio bacino su quello di John “Non si può, Jawn. Non si può.” nasconde il proprio volto sul collo dell’altro, iniziando a morderlo.
“Perchè?” ansima di frustrazione, facendo scendere la mano destra sul gluteo dell’uomo-gatto e stringendoglielo a tempo con le spinte “Lo voglio. Lo vorrei. Anche nella vita vera.” porta la mancina sulla nuca di Sherlock, accarezzandolo e cercando di fargli alzare il volto.
L’uomo-gatto alza il capo all’improvviso, senza però arrestare i suoi movimenti pelvici “Jawn. Tu nella vita reale baci Tom.” il tono è accusatorio come se lo avesse pronunciato il vero Sherlock.
“Niente senso di colpa, è un sogno erotico.” ghigna John tra un gemito e l’altro, illudendosi di poter controllare il proprio sogno, essendone il padrone.
L’uomo-gatto chiude lentamente gli occhi e nasconde nuovamente il viso nell’incavo tra spalla e collo di John, aumentando la velocità dei propri movimenti, delle proprie spinte, della pancia premuta contro i loro sessi.
John non riesce più a dire a nulla: stringe le braccia attorno alla schiena dell’uomo-gatto e, mentre nella vita reale vede tutto bianco nel momento in cui ha l’orgasmo, lì, nella perla del suo sogno, quando chiude gli occhi e si abbandona al piacere vede tutto nero.

John si risvegliò pochi istanti dopo: era tutto sudato, con la bocca asciugata dall’arsura e la mancina nascosta nel proprio indumento intimo. Non gli ci volle molto a capire cosa fosse successo e, a differenza delle altre volte in cui sognava gatto-Sherlock, non si alzò di cattivo umore. Il senso di colpa non lo sfiorò minimamente, anzi, gli scivolò sopra, trascinato via dalle endorfine rilasciate dall’orgasmo appena provato: si riscoprì addirittura sorridente e rilassato, felice di aver sconfitto, almeno per quella volta, la frustrazione che si ostinava ad affliggerlo.


°oOo°


Trascorse un altro mese, durante il quale si concretizzò una determinata serie di eventi che sembrava aver preso una certa costanza nel susseguirsi.
Tom e John continuavano ad uscire assieme, anche se un appuntamento su due finiva regolarmente con l’essere interrotto da un sms di Sherlock che reclamava l’aiuto del suo insostituibile assistente per un caso. Aiuto che, nella maggiorparte dei casi, non necessariamente era da considerarsi indispensabile.
Una routine che John cercò di mantenere era la serata Doctor Who: non voleva scatenare in Sherlock dubbi riguardanti la sua permanenza a Baker Street, quindi decise di dedicare il giovedì sera esclusivamente al consolidamento della loro amicizia. Non che ce ne fosse poi molto bisogno, ma più Sherlock era tranquillo, più John poteva continuare a frequentare anche Tom.
Anche le fantasie di John continuavano a realizzarsi attraverso i suoi sogni ricorrenti: ormai aveva anche imparato ad interpretarli più o meno correttamente, aiutandosi anche con un manuale di psicoanalisi che gli aveva prestato il suo amico Robert. Gli atti erotici compiuti assieme al suo gatto-Sherlock erano spesso accompagnati, in modo più o meno evidente, da manifestazioni del suo senso di colpa sia nei confronti di Sherlock che, più recentemente e in modo meno pressante, nei riguardi di Tom.
A Tom andava bene essere il surrogato di un uomo fortemente innamorato del suo coinquilino, così come John era felicemente fiero di poter tenere due piedi in una scarpa, per non parlare di Sherlock che era completamente indifferente all’idea che l’unica persona importante della sua vita uscisse con qualcuno di così particolare da metterlo in secondo piano: bugie, tre enormi bugie. Si formò un’inconsapevole triangolo amoroso in cui tutti e tre i vertici, perfettamente equidistanti tra loro, fingevano che tutto andasse bene, che il proprio modo di comportarsi l’uno nei confronti dell’altro non fosse strano, che non si stessero nascondendo nulla, che fossero tutti felici e ridenti come la facciata che avevano costruito. Ma erano altrettando inconsapevoli che quella facciata messa in piedi con fondamenta friabili e tenute in piedi da troppe bugie e verità nascoste, sarebbe stata destinata a crollare molto in fretta.


°oOo°


Era un tiepido pomeriggio di inizio giugno quando Tom, steso su uno dei prati di Hyde Park, attendeva l’arrivo di John, completamente avvolto nei suoi pensieri. Il torace faceva da segnalibro a ‘L’inventore di sogni’ di Ian McEwan, pigramente poggiato sulla stoffa grigria della camicia che indossava: gli occhi erano chiusi e coperti dal braccio sinistro che offriva protezione dalla luce del sole. Dalla tasca destra destra dei pantaloni si intravedeva un i-pod nero da cui spuntavano i fili degli auricolari che via via risalivano e si nascondevano sotto i capelli neri di Tom, diffondendo la musica desiderata.
John si presentò all’appuntamento con almeno un quarto d’ora di ritardo, quindi iniziò a cercare Tom che riuscì a trovare molto in fretta, nonostante la vasta area occupata dall’intero parco: gli arrivò alle spalle, ma non lo chiamò subito per non spaventarlo, giacchè pensava che stesse dormendo.
Quando si avvicinò ulteriormente, gli si sedette affianco con cautela e solo in quel momento lo sentì mugolare una melodia che non conosceva: si accorse dunque che era sveglio e che non si era accorto della sua presenza perchè aveva gli occhi coperti e l’udito occupato dalla musica che stava ascoltando. Sorrise, quindi, dopo aver controllato che non ci fossero troppi eventuali spettatori, John si chinò fino a posare le labbra su quelle di Tom.
Tom trasalì solo un leggerissimo istante prima di riconoscere il profumo di John: sorrise sulle sue labbra prima di rispondere al bacio e cingergli il collo con una presa morbida, mostrando finalmente i propri occhi al sole e all’uomo col quale si stava intrattenendo.
Quando si staccarono, dopo qualche istante, fu John il primo a parlare “Scusami per il ritardo.” chiese, sfoggiando il suo sguardo più dolce e al tempo stesso più ruffiano “C’era traffico.”
“Io ti scuso per il ritardo.” premise Tom, alzando il busto finchè si sedette affianco a John  “Ma non raccontarmi bugie perchè, prima di tutto, non sei capace. E in secondo luogo non hai bisogno di farlo con me.” spense l’ipod e riavvolse le cuffie in modo non del tutto ordinato: così come era preciso nel vestirsi, mostrava parte della sua creatività in un leggerissimo disordine controllato “Tu sei un tipo puntuale, quindi se ritardi c’è solo un motivo. E so bene qual è.”
John mugolò in risposta, dispiaciuto per il ritardo e per il tentativo, miseramente fallito, di nasconderne il motivo “Scusa.”
Tom sbuffò intenerito “Dai, vieni qui. Quando fai quegli occhi da cucciolo smarrito non posso prendermela con te.” si battè due pacche sulle gambe in un palese invito “La canzone che stavo ascoltando mi ricorda un po’ te. O meglio, il vecchio te, quello appena tornato dall’Afghanistan.”
John si sdraiò, per poi appoggiare la testa sulle gambe di Tom: lo sguardo era rivolto verso di lui, così come la mancina era alzata, pronta ad elargire carezze sulla guancia dell’altro “Parla di stress post traumatico e di finti zoppi?”
“Non così nello specifico.” rise Tom, mentre lasciava che la mano di John trovasse il proprio volto “Parla di qualcuno che torna dalla guerra e si sente cambiato. Un uomo diverso da quello che era prima, in modo non positivo.” tossicchiò quindi, intonando il ritornello “Nothing’s what it seems to be, I’m a replica, I’m a replica. Empty shell inside of me, I’m not myself, I’m a replica of me.” (3)
John fermò le proprie carezze mentre Tom mostrava il suo ennesimo talento, cercando di non disturbarlo “Sai anche cantare?” si stupì più di quel suo pregio che del testo della canzone “Dimmelo, c’è qualcosa che non sai fare?”
“Mmh...” mugolò Tom, pensieroso “I lavori idraulici, cambiare le prese elettriche... Insomma, litigo spesso con gli elettrodomestici.” confessò in una risata mentre tornava alla ricerca della mano di John “Tornando alla canzone. Ti sei sentito così di ritorno dalla guerra?”
“Sì. Mi sentivo inutile, sapevo effettivamente di non essere più lo stesso. E il problema era solo nella mia testa, ovviamente.” ammise in un sospiro, per poi sorridergli “Finchè lui non mi ha guarito.”
Tom non riuscì proprio a reprimere un sospiro “Posso tirare fuori qualsiasi argomento, che tu lo riconduci a lui.” confessò, finalmente, togliendosi un peso che lo opprimeva da almeno due settimane “Vorrei avere un decimo dell’attenzione che dai a lui.”
John s’accorse della lunga serie di gaffe fatte con Tom solo nel momento in cui udì quel suo sfogo “Oh, cavolo, scusami.” si tirò sù, sedendoglisi affianco in maniera composta “Sono un idiota. Non mi accorgo nemmeno di farlo.”
“Non ti libererai mai di lui.” Tom scrollò il capo, spostando per qualche istante lo sguardo altrove “Perchè non vuoi farlo.”
“Tom.” John non solo si sentiva in imbarazzo, ma anche ampiamente dispiaciuto: con le sue ex ragazze non si era mai fatto troppi problemi. Ma pur ammettendo che Tom era diverso, non potè fare a meno di ricordargli il loro patto “Avevi detto che ti andava bene.”
“Infatti. Hai ragione.” Tom si voltò subito verso John, improvvisando un sorriso un po’ forzato “Non dovrei lamentarmene.” sospirò, coprendosi il volto con entrambe le mani “Oggi è solo una giornataccia.”
John si preoccupò perchè non era mai successo che Tom si lamentasse per qualcosa “Cosa succede?” gli passò un braccio attorno alla vita e lo tirò un po’ a sè.
Tom alzò il braccio opposto, appoggiandolo sulle spalle di John, addolcito dalla premura che stava manifestando: lo osservò dritto negli occhi, quindi, con aria grave, annunciò solennemente “Ho il ciclo.”
John scoppiò a ridere: era il lato di Tom che gli piaceva maggiormente. Riusciva a scherzare praticamente su tutto e sapeva infondere il buonumore anche solo col suo splendido sorriso “Tom, seriamente.” chiese, quasi con le lacrime agli occhi da quanto aveva riso “Proviamoci, almeno, ad essere seri.”
Tom sorrise di fronte alla risata di John, quindi tornò serio, stringendolo a sè “Ho scoperto che è tornata a Londra una persona.” sospirò prima di appoggiare la fronte sulla tempia dell’altro, cercando un po’ di pace in quel contatto effimero “Mi aspettavo che mi venisse a salutare. E invece niente.”
John non si stupì più tanto, d’altronde era ovvio che Tom avesse avuto altri uomini prima di lui “E’ un tuo ex?”
“Diciamo che è per me quello che il tuo coinquilino è per te.” rispose Tom, scostando la fronte dalla tempia di John solo per poterlo guardare negli occhi “E’ il mio amore irraggiungibile.”
Quella confessione, invece, stupì John, che iniziò a capire uno dei motivi per cui un ragazzo appettibile come Tom si fosse disturbato ad uscire con uno problematico come lui, quando in realtà avrebbe potuto avere chiunque “Perchè è irraggiungibile?”
“Era un mio studente.” confessò senza tanti giri di parole: sapeva di potersi fidare di John “Chris, si chiama così.”
“Lui ricambiava?” domandò John, non tanto per morbosa curiosità, ma per poter capire meglio la situazione.
“Sì.” annuì Tom, per poi spostare nuovamente lo sguardo altrove, cercando di nascondere il velo di tristezza che sapeva benissimo di mostrare in quel momento. Essere spontanei mostra facilmente la simpatia, la felicità e l’esuberanza, ma anche la tristezza, il dolore e la malinconia: è l'altra faccia della medaglia “Ma non potevo, era una cosa sbagliata.”
“Hai detto che è tornato.” John si sentì stringere il cuore nel vedere gli occhi di Tom farsi lucidi: non era giusto che una persona così dolce e gentile dovesse soffrire, non se lo meritava “Dove era andato?”
“A concludere gli studi in America. Gli si era presentata un’opportunità irripetibile.” si staccò da John, per poi andare a sbrogliare il piccolo codino disfatto “Sono stato io ad incoraggiarlo. Per il suo bene.” tirò i capelli più forte che potè, ripristinando la sua pettinatura ordinata “Così non c’era più la maledizione di vederci e non poter stare insieme.”
John rimase in silenzio per qualche istante, lasciando vagare la mente al loro primo incontro “Per questo hai deciso di uscire con me, nonostante tutto?” domandò dunque, osservando il bel profilo di Tom “Sapevi già cosa si provava ad avere un amore impossibile. Hai sentito che potevamo comprenderci l'uno con l'altro.”
“Sì. Ma...” ammise, per poi scuotere il capo e tornare ad osservarlo dritto negli occhi: alzò entrambe le mani sul viso dell’altro, tenendolo delicatamente per le guance “John, chiodo-scaccia-chiodo non funziona. Non con due persone oneste come noi.”
John si sentì confuso, quindi un po’ spaventato, infine intristito “Vorresti dire che non dovremmo più vederci?”
“Voglio dire che se usciamo insieme perchè ci piace farlo è un conto. E mi sta bene.” spiegò con calma, senza modificare il tono di voce o l’espressione dolce del proprio viso “Ma se tu esci con me con la speranza di dimenticare lui, sappi che questo non succederà.” spiegò con quella schiettezza così tipica di lui: era diretto e sincero su qualsiasi argomento, futile o importante che fosse “Lo dimenticherai se vorrai farlo. Non perchè hai il rimpiazzo.”
“Io...” si agitò John, sfuggendo dalla presa di Tom “Non volevo farti sentire un rimpiazzo.” sussurrò tutto il suo sincero dispiacere unito al senso di colpa che ora riaffiorava anche livello conscio.
Tom annuì, quindi avvicinò una mano a quella di John, stringendola appena “Inizi a piacermi sul serio.” sussurrò a sua volta, avvicinandoglisi un po’ col viso “Dimmi che esci con me perchè ti piaccio anche io.”
“Mi piaci e lo sai.” ed era vero: John non l’avrebbe mai negato. Così come non avrebbe mai negato la sua successiva confessione “Ma lo sai anche tu che sono ancora innamorato di lui.”
“Anche io sono ancora innamorato di Chris.” offrì sinceramente, riequilibrando la situazione tra loro due “Ma se esco con te, è perchè mi piaci, non per rimpiazzarlo.” precisò nuovamente, posandogli un leggero bacio sulla tempia “Hai capito?”
John annuì, voltandosi verso di lui “Sì.”
“Vuoi continuare ad uscire con me?” domandò Tom con un sorriso, ricordandosi tutte le numerose volte in cui glielo aveva chiesto, un po’ per gioco, a volte più seriamente.
“Sì.” rispose John, pensando a sua volta alla prima volta in cui Tom glielo chiese, illuminato dalle luci stroboscopiche del locale in cui si erano conosciuti “Ma se Chris dovesse venire a cercarti, giurami che farai di tutto affinchè vi mettiate insieme.” non diede l’accento marziale a quella frase, ma sembrava comunque, vagamente, un ordine “Beh, però avvisami se succede.”
“Va bene.” acconsentì Tom che recuperò il suo ottimo umore rubadogli un velocissimo bacio “E parliamo per l’ultima volta, almeno per oggi, del tuo. Ho questa domanda che mi frulla in testa dalla sera che ci siamo incontrati.”
John annuì “Va bene. Poi non parliamone più.” tossicchiò, poi, aggiungendo un sarcastico “Almeno per oggi.”
“Sei sicurissimo che non ci sia speranza per voi?” chiese, finalmente, dopo due mesi di esitazione “Sembra molto geloso di te. Geloso, possessivo... magari ti vorrebbe e non sa come dirtelo.”
“Sher...” si fermò in tempo, quindi si corresse “Lui? Ti ho detto cosa pensa dei sentimenti.”
“Ma tu sei la sua eccezione. L'hai detto anche tu.” fece spallucce, quindi si sdraiò nuovamente, incrociando le caviglie una sopra l’altra.
“Non in quel senso, a quanto pare.” John si coricò a sua volta, offrendo il proprio braccio a Tom, come era solito fare “Conviviamo da due anni, non pensi che sarebbe dovuto già succedere qualcosa se così fosse?”
Tom non si prese solo il braccio di John: si voltò su un fianco e lo strinse forte, stiracchiandosi addosso a lui “Magari è timido.”
“Sher... oh per la miseria.” stava per tradirsi di nuovo, ma effettivamente, pensare a Sherlock ed affibbiargli l’aggettivo ‘timido’, poteva giustificare qualsiasi svista “Lui? Timido? No, fidati.”
Tom notò il secondo lapsus di John, ma non gli diede importanza: conoscere il nome del fantomatico coinquilino non gli avrebbe cambiato di certo la vita “Magari aspetta che faccia tu il primo passo.”
“Facciamo così.” John prese il naso di Tom tra indice e medio della mano sinistra, riuscendo finalmente a zittirlo “Se dovesse succedere qualcosa te lo dirò, così come tu dovrai dirmi di Chris, ok?”
“Va bene.” annuì Tom, per poi liberare il proprio naso da quella simpatica stretta ed avvicinare le labbra al collo di John “Vuoi fare una passeggiata?”
John rabbrividì appena e di riflesso lo strinse a sè “No.” ringhiò quasi, lasciando scorrere le mani sulla schiena e sui fianchi di Tom “Sto bene dove sto.”


°oOo°


Tom parcheggiò la Vespa a Melcombe Street, una delle traverse più vicine a Baker Street: era già buio in quanto sera inoltrata, ma John non voleva rischiare psicodrammi o scenate isteriche solo per farsi lasciare sotto casa.
Non appena appoggiarono i caschi sul sellino del mezzo a due ruote, Tom avanzò verso John con uno sguardo tanto magnetico quanto famelico: sorrideva bramoso, come se il viaggio in moto e il lungo pomeriggio sul prato avessero risvegliato in lui chissà quali pensieri di natura primordiale.
John era sia divertito che vagamente intimorito dallo quello spirito di iniziativa che l’altro stava palesando e che fino a quel momento non era mai emerso così intensamente “Tom?” provò a richiamarlo mentre, a forza di indietreggiare, scontrò la schiena contro il muro adiacente al Tesco “Che ti prende?” domandò soffocando l’imbarazzo con una piccola risata.
Tom si appoggiò, letteralmente, su John, nel collo del quale nascose il proprio viso “Siamo tanto poveri di occasioni favorevoli che quando una si mostra conviene in verità approfittarne, visto che purtroppo non c’è nessuna arte nel sedurre una fanciulla, ma è solo question di fortuna trovarne una degna di essere sedotta.”(4) gli morse il collo non appena ebbe finito di recitare quella citazione: lasciò poi viaggiare le proprie mani sulla schiena di John, ricongiungendole sul suo fondoschiena che spinse verso di sè e al quale andò incontro col proprio bacino.
“Cosa?” domandò John prima di zittirsi sotto la spinta di Tom: non prese la sua stessa iniziativa, ma di certo non sfuggì al suo tentativo, per altro ben riuscito, di riuscire a provocarlo.
Tom mugolò prima di risalire dal collo al viso di John, sulla cui bocca si fiondò famelico e vorace, con un lungo bacio al quale alternò morsi e leggere succhiate "Devo pur esprimermi con un tono così caldo che ogni parola corrisponda ai suoi sentimenti. Così potrò penetrare nei suoi pensieri..." abbandonò le labbra per tornare sul collo, titillandolo con la lingua fino a che non trovò un punto particolarmente sensibile "Allora io faccio balenare sull'orizzonte un lampo che lascia intravedere un altro mondo lontano e diverso..." continuava intanto a recitare pezzi di frase, citazioni apparentemente scollegate l’una dall’altra.
“Tom...” John provò a chiamarlo e a risvegliarlo da quell’apparente stato di trance, ma fu bloccato dalla mano destra di Tom che finì col zittirlo indirettamente, posandosi sui suoi pantaloni, sopra la sua erezione già ampiamente risvegliata “Oddio...”
Mentre con le labbra insisteva sul collo di John, Tom fece scendere con la mancina sotto il gluteo destro di John, imprimendo abbastanza forza per fargli divaricare le gambe ed insinuarsi con un ginocchio tra le sue cosce “Legge eterna nell'amore è che due esseri debbano sentirsi come venuti al mondo l'uno per l'altro solo nel primo istante in cui hanno cominciato ad amarsi.” iniziò a muovere la mano sull’erezione di John, sfregando il palmo sul tessuto dei jeans mentre il ginocchio spingeva avanti e indietro, inesorabile “E so nello stesso tempo che il più grande godimento che si possa immaginare nell'amore è quello di essere amati sopra ogni cosa al mondo.”(5)
John si zittì, non riuscendo in alcun modo ad articolare non solo una frase intera, ma anche solo una parola: mugolava di piacere, dimentico di essere in mezzo ad una strana, vicino a Baker Street, sotto le mani di un uomo che non fosse il gatto-Sherlock dei suoi sogni. Finalmente mosse a sua volta le mani, che posò sui fianchi di Tom per avvicinarlo ulteriormente a sè.
Tom fermò i propri movimenti nel momento in cui John lo toccò, scatenando in lui una smorfia di disappunto “Questo è un assaggio, John.” rivelò, per poi mordergli il collo nel punto più sensibile che aveva trovato.
“Un assaggio?” domandò John, confuso dall’eccitazione e dalle parole di Tom “Perchè ora... io e te... non...?”
“In mezzo ad una strada? Oh, no John. Sarebbe poco elegante.” disse l’uomo che lo stava seducendo fino ad un minuto prima, con un sorrisetto fetente disegnato sul volto “Quando lo faremo voglio farti urlare sul serio, non possiamo rischiare di svegliare tutta la via, giusto?”
“E allora perchè...” John non finì neanche la domanda, perchè era chiaro cosa volesse domandare. Rilassò la propria postura, ma non accennò a voler lasciare andare i fianchi di Tom.
“Perchè sono due mesi che usciamo e non ci hai ancora provato.” gli ringhiò sulle labbra, succhiando poi quello inferiore prima di tornare a parlare “Volevo che capissi cosa ti stavi perdendo.”
“Direi che ho capito.” sussurrò John, sconfitto in quel gioco che l’aveva visto perdente fin dall’inizio, vergine in confronto al mostro di seduzione che aveva ancora tra le braccia.
“Bene.” lo provocò un’ultima volta, sia con la mano che con il ginocchio, prima di baciarlo velocamente e fuggire dalle sue braccia “Il prossimo appuntamento sarà a casa mia, allora.”
“Contaci.” assicurò John, sia col tono di voce che con lo sguardo deciso che gli incollò addosso “Mi lasci così, in queste condizioni.” piangucolò mentre si staccava dal muro e camminava, un po’ scomodo, subito dietro a Tom.
“Il tuo appartamento è dietro all’angolo, John.” Tom fece spallucce, mettendo il secondo casco a posto ed indossando l’altro “Vai sù, ti chiudi in bagno e chi fa da sè, fa per tre.”
“Bastardo.” ghignò John, nonostante tutto, divertito dall’altro “Ma quello che dicevi prima? Cos’era? Una poesia?”
“Erano citazioni tratte da ‘Il diario di un seduttore’ di Søren Kierkegaard, un filosofo esistenzialista.” fece poi spallucce, mentre si sedeva sulla Vespa dopo averla tolta dal cavalletto “A volte quando mi eccito inizio a citare i più grandi filosofi.”
“Uh, chissà quante cose imparerò allora.” ridacchiò John per poi chinarsi e baciare Tom sulle labbra “Non correre, Prof.”
“Lo spero bene, sennò ci saranno altre performance interrotte.” minacciò Tom, sorridendo poi le labbra di John “Tranquillo, Doc.” dopo avergli ammiccato, partì da Melcombe Street diretto verso il proprio appartamento a Westminster.
Nessuno dei due se ne accorse, ma nel momento in cui Tom partì, una curiosa ed impicciona telecamera a circuito chiuso montata sulla facciata del palazzo di fronte si mosse, pronta ad immortalare il numero di targa della Vespa, senza avere il benchè minimo permesso ufficiale per poterlo fare. D’altronde, chi la stava muovendo, non era certamente il tipo di persona che necessitava alcun tipo di autorizzazione. Per nulla.


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(0) Proverbio scozzese
(1) Siccome ho scoperto che in alcune parti di Italia vuol dire due cose differenti, per “pomiciata” intendo solo baci. John e Tom non sono stati a letto insieme °_° anche perchè su un tetto u.u poi Tom si sporcava i vestiti. “Eheheheh”

(2)”Fii mii” sarebbe un “figli miei” dialettale :D sicuramente marchigiano, ma penso un po’ del centro in generale :)
(3) “Replica” dei Sonata Arctica
(4)-(5) Tutte le frasi che Tom pronuncia dal punto 4 al 5 sono citazioni da “Il diario di un seduttore” di Kierkegaard.



   
 
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