Titolo: Just One
Look
Pairing: ArthurxMerlin
Rating: Verde
Genere: Slice of life; Sentimentale; Romantico
Avviso: Slash;
AU; What if?; One-shot
Just One Look
Il pallone palleggiava invano da una
parte all’altra mentre ragazzi, dai quindici anni in su, la rincorrevano spintonandosi
qua e là ed insultandosi con soavi parole. Le labbra si incurvavano in lievi
sorrisi di complicità ed intesa e le risate echeggiavano nell’ambiente
circostante.
La palla venne recuperata e tornò
in orbita scivolando di mano in mano in un gioco infinito.
La complicità di conoscersi da
sempre e sapere di essere cresciuti insieme, ogni piccolo giorno passato tra le
mura della propria casa ed il citofono o il capannello che suonavano
imperterriti, giocosi e senza sosta.
Nessuna distinzione di età, ceto
o sesso, semplicemente giocare in quel piccolo pezzo di paradiso che il loro
residence, il Camelot, gli procurava; se poi
continuavano a crescere ed al loro gruppo si aggiungeva sempre qualcuno di
nuovo non aveva importanza, nulla cambiava, sotto quel punto di vista
rimanevano sempre gli stessi.
Merlin adorava semplicemente
tutto quello, smettere di pensare e lasciarsi travolgere; l’adrenalina si
impossessava del suo corpo e nulla aveva alcuna importanza.
C’erano momenti in cui uno di
loro veniva richiamato dal proprio genitore e si ritrovavano a dover tornare in
casa senza discutere e forse la festa un po’ si guastava; momenti che
appartenevano più ai più piccoli che agli altri.
Ma c’erano momenti, come quello,
in cui ognuno smetteva di far quello che stava compiendo attimi prima,
bloccandosi e lasciando che i loro occhi andassero tutti nella stessa
direzione, si creava uno strano boato silenzioso e quel cinguettare delle ragazze
cresceva e non appariva mai così fastidioso come in quei momenti.
Un’esclamazione uguale che rimbombava senza mezze misure e quegli ormoni, di
chi lo circondava, che impazzivano.
Arthur Pendragon,
figlio del progettista e costruttore di edilizia ed anche di quel residence Uther Pendragon, faceva bella mostra di sé e guadagnava sempre
la giusta attenzione e gli sguardi degli altri – donne, ragazzi, occhette impazzite e dolci bambini ingenui –, che fossero
per interesse, invidia, curiosità, poca dignità o gelosia non importava,
riusciva comunque a catturare tutta l’attenzione senza un perché particolare –
forse per i suoi capelli dorati e morbidi al tatto o per i suoi occhi che
sembravano catturare l’essenza del cielo, o per il suo corpo perfetto e quella
bellezza che non lo abbandonava mai o per quelle labbra piene che si
incurvavano in un sorriso sincero e solare, quelle stesse labbra che davano la
sensazione di poterle baciare per ore senza stancarsi mai.
Alle volte sorrideva, altre volte
salutava con un semplice gesto della mano o annuiva, o altre ancora lasciava
conciliare le due cose ed altre volte non li degnava di alcuno sguardo, andando
via, chissà dove poi, o ritornando alla sua dimora.
Merlin poteva giurare di non
averlo mai visto unirsi a loro, mai in nessuna occasione, giorno o minuto dei
suoi diciotto anni e la cosa non gli importava più di tanto.
Continuò a palleggiare il
pallone, senza degnarlo di alcuno sguardo – come sempre – ed aspettando la fine
di quella messa in scena.
Si era fatto davvero tardi e
Merlin era esausto, sudato, assetato ed affamato; non avevano fatto che
rincorrere quel pallone per tutto il giorno ed adesso voleva soltanto mettere
qualcosa sotto i denti.
Si separò dai suoi buoni amici
dirigendosi verso la propria scala, la K, pronto per usufruire dell’ascensore.
Nemmeno il tempo di poter premere il pulsante grigio, per poterlo chiamare, e
vederlo tingersi di rosso che due braccia forti e muscolose gli circondarono la
vita, trascinandolo sulle scale ricadendo sulle Sue ginocchia, nella nicchia
nascosta.
Quel nuovo calore, che conosceva
fin troppo bene, si impadronì del suo corpo e due labbra carnose e rosee si
depositarono sul collo, baciandolo con delicatezza. «Sei tutto sudato, Merlin.»
«Che occhio.» Proferì ironico il moro.
Quella bocca si incurvò in un
sorriso tenue, continuando a depositare piccoli baci. «Stavi correndo a
lavarti?»
«No, avevo intenzione di passare
l’intera notte qui.» Rispose con ancora quell’ironia.
«Lo sai che per me non ci sono problemi.»
Dichiarò divertito l’altro.
Merlin sbuffò, roteando gli occhi
da una parte all’altra. «Sto morendo di fame.»
Le braccia lo strinsero
maggiormente ed il fiato caldo gli accarezzò un orecchio. «Il mio piccolo
Merlin, tanto gracilino eppure riesce a mandar giù qualsiasi cosa.»
«Quanto sei noioso.» Pronunciò il
moro spazientito.
L’altro sorrise ancora,
baciandogli una spalla che rimaneva sempre scoperta per via dell’abitudine del
moro di indossare indumenti due volte più grandi della sua reale taglia quando
giocava. «Dovresti asciugarti o prenderai un malanno.»
«Arguto. Dovresti lasciarmi
andare, sai?» Proferì sarcasticamente.
Un asciugamano gli scivolò sugli
occhi, impregnato dell’odore dell’altro, e quelle grandi mani calde presero ad
asciugarlo con devozione in ogni parte. «Continui a non guardarmi, Merlin.» Asserì con quel tono annoiato
che aveva la pretesa di mascherare il suo stato d’animo, ma che Merlin sapeva
interpretare alla perfezione.
«Attiri abbastanza sguardi
durante la giornata, Arthur.» Dichiarò con tono neutro il più piccolo mentre si
scioglieva al tocco delicato di quelle mani.
«Non mi interessano quelli degli
altri.» Ma il biondo poteva vedere, impresso nei suoi occhi, quella penombra
che caratterizzava lo guardo scettico e derisorio del moro che sembrava dirgli:
vallo a raccontare a qualcun altro. «Okay, fanno star bene il mio ego, ma sono
irrilevanti.»
Merlin lasciò risuonare una lieve
risata divertita che si appropriò dell’udito del più grande. «Arthur, il tuo
ego è profondamente smisurato.»
Il biondo sorrise debolmente,
accarezzandogli la pelle con le labbra e stringendolo ancora tra le braccia,
lasciando ricadere l’asciugamano tra le sue mani. «A me importa solo del tuo e
continui a negarmelo con crudeltà.»
«Cerco solo di non alimentare
troppo il tuo ego.» Rispose prontamente Merlin con una nota di divertimento.
«Quanto altruismo.» Ribatté con
pura ironia l’altro.
Merlin sorrise leggermente e si
girò appena per incontrare le sue labbra, legandole alle proprie. «Cosa faresti
senza di me?»
Arthur se lo rigirò tra le
braccia, impadronendosi totalmente della sua bocca. «Nulla di quello che non
farei già.»
«Le ragazzine urlanti con gli
ormoni impazziti non ti bastano più?» Domandò con finto interesse il moro.
«Non esistono solo le ragazzine
urlanti.» Rispose il più grande sulle labbra.
Merlin lo strinse a sé in un
gesto automatico, lasciando scivolare le mani tra i suoi capelli dorati e
baciandogli la bocca con piccoli tocchi, chiudendo gli occhi a godersi il
momento. «Continui a spezzare file di cuori che battono in tuo onore?»
«Tra uno e l’altro. L’importante
è che non ne spezzi uno in particolare.» Proferì Arthur, accarezzandogli la
schiena.
Merlin aprì le palpebre ed
incontrò gli occhi acquamarina dell’altro, lasciando Arthur senza respiro.
«Eccolo.» Sussurrò distintamente il biondo.
Merlin arrossì improvvisamente,
pronto a distogliere lo sguardo, ma le mani di Arthur gli incorniciarono il
viso, impedendogli di muoversi. «Non negarmelo, Merlin.»
Merlin conosceva perfettamente
l’essenza dello sguardo che rivolgeva ad Arthur ed aveva sempre avuto timore
che qualcuno potesse vederlo e smascherarlo, impadronendosi di qualcosa che
apparteneva soltanto a loro. Dopo tutto quel tempo riusciva ancora ad
imbarazzarsi quando il biondo glielo faceva notare con quel sorriso sornione,
come se ce ne fosse bisogno.
Arthur si impossessò ancora una
volta della sua bocca e Merlin si abbandonò completamente, stringendosi
maggiormente a lui.
«Quanto ho dovuto penare per
avere questi occhi su di me, non negarmeli mai.» Proferì il biondo
specchiandosi nelle sue perle scure.
«Non hai compiuto chissà che
peripezia.» Dichiarò l’altro.
Arthur sorrise, morendogli il
labbro inferiore. «Ero inesistente ai tuoi occhi.»
Merlin gli leccò i denti
superiori, allontanandolo di poco da lui. «E hai pensato bene che sbattermi ad
un muro e baciarmi, quando non c’eravamo nemmeno mai salutati in vita nostra,
fosse la cosa giusta da fare.»
«Ho attirato la tua attenzione.» Si
difese prontamente il più grande. «Avremmo continuato ad ignorarci.»
«Avevamo quindici anni, Arthur.»
Gli ricordò il moro con tono soave.
«Quindici anni, venticinque,
trenta, dieci o otto, cosa cambia?» Chiese retorico il biondo.
«Otto anni, Arthur? Mi venivi
dietro da quando avevi otto anni?» Domandò con sorpresa e perplessità.
Arthur sembrò essere preso in
contropiede ed arretrò impercettibilmente. «Mi incuriosivi.» Si giustificò,
nascondendo l’imbarazzo. «E Merlin, eri tu a non guardare, non il contrario.»
Le braccia di Merlin si mossero
con autonomia e si avvolsero al petto dell’amante, incastonando il viso tra
l’incavo del collo e la spalla, sussurrandogli ad un orecchio. «Mi ami così
tanto?»
Il corpo di Arthur si irrigidì ed
il respiro si spezzò. «Non dovresti pormi una tale domanda.»
Le labbra del moro gli
accarezzarono con soffi delicati l’orecchio. «Perché conosco già la risposta?»
«Conosci molte risposte.» Proferì
l’altro.
«Alle volte mi chiedo se tu non
sia stato influenzato dai nostri nomi.» Pronunciò improvvisamente Merlin.
«I nostri nomi? Hai presente dove
viviamo?» Chiese retorico il biondo.
«È tuo padre che ha scarsa
fantasia.» Dichiarò il più piccolo imbronciandosi.
«O forse ne ha fin troppa.»
Asserì Arthur.
«Arthur Pentragon:
l’ereditiere di Camelot. Sì, effettivamente ne serve
tanta di fantasia.» Pronunciò con euforia e sarcasmo marcato, sbracciandosi con
eccessiva enfasi.
«Non abusare della mia pazienza, Merlin.» Lo ammonì il biondo, scocciato.
Merlin gli sorrise sul volto, sfiorandogli
la bocca con la propria in un tocco impercettibile. «Non posso non snobbarvi,
mio re.»
Arthur rise di gusto,
impossessandosi delle sue labbra in un bacio famelico e possessivo, esplorando
centimetro per centimetro la cavità orale e rubandogli tutto l’ossigeno
possibile. «Ti amo.» Pronunciò nitido, investendolo con quel sentimento che
predominava su ogni cosa, senza attendere una risposta che sapeva non sarebbe
mai arrivata.
Il volto di Merlin sfregò con
quello dell’altro, mugolando silenziosamente e le labbra di Arthur scesero sul
collo candido mordendo, succhiando e depositando lievi baci. «Non allontanarti mai da me, Merlin.» Ordinò
di riflesso l’erede tra un bacio e l’altro
«E come potrei se non fai altro
che rapirmi?» Domandò sarcastico.
«Non ti sei mai sottratto, Merlin.» Proferì con malizia l’erede.
Merlin gli pizzicò il ventre con
dispetto, sbuffando sonoramente. «Asino.»
La loro relazione non sapeva come
classificarla, non sapeva nemmeno se poteva farlo, ed andava avanti da tre
anni, tra sotterfugi ed il continuo celarsi agli occhi delle persone che li
circondavano.
Nessuno li aveva mai visti
insieme né per scambiarsi un saluto di circostanza né incontrandosi per caso
sulle scale, forse perché abitavano in punti differenti. Non si erano mai
rivolti alcuna parola fin da bambini né, accidentalmente, un pallone era finito
nelle loro vicinanze per potersi incrociare. Non avevano neppure una conoscenza
in comune. Nessuno dei due sembrava conoscere l’esistenza dell’altro e spesso
Merlin si chiedeva come poteva essere avvenuto un tale cambiamento.
Cosa sarebbe successo se quel
giorno di alcuni anni prima, armato di spavalderia e con l’intenzione di
mettere fine alla parola “basta”, Arthur non l’avesse aspettato, senza alcuna
motivazione, sulle scale come accadeva ormai quotidianamente?
Cosa sarebbe successo se quello
stesso giorno Arthur, preso da uno dei suoi scatti incontrollabili, guidato
dalla sua possessività e dal voler prendere tutto quello che reclamava suo, non
si fosse appropriato delle sue labbra – nascosti agli occhi degli altri, in
quello stesso angolo dove Arthur continuava a rapirlo ogni volta che ne aveva
l’opportunità – iniziando quel gioco?
Avrebbero continuato ad essere
ognuno all’oscuro dell’altro e com’era possibile che nessuno si fosse mai
accorto di loro?
I primi tempi erano sempre pronti
a scattare, pronti a separarsi nel momento in cui qualcuno li avesse colti in
flagrante, pronti a negare quello che esisteva tra loro ed a giustificare il
loro incontro come una casualità; ma nessuno posava gli occhi su di loro,
perché nessuno riusciva a vederli, ad immaginarli, a sospettare e loro avevano
cominciato a conoscere le abitudini degli altri ed a prevederli, senza mai
ritrovarsi impreparati e non sembrava volessero rinunciare a tutto quello.
Uno dei tanti giorni in
quell’asso di tempo, dopo aver sentito il millesimo portone chiudersi, la porta
dell’ascensore aprirsi e l’essersi distaccato dai suoi amici, Merlin – stretto
tra le braccia del biondo, carezzato dal suo respiro caldo e la testa
abbandonata sulla sua spalla – aveva pronunciato quella frase senza dargli
alcuna importanza, inebriato dall’altro. «Tutti quelli che ci conoscono pensano
che non ci siamo mai incontrati, neppure accidentalmente.»
«Sarà interessante vedere le loro
reazioni quando scopriranno che ci siamo incontrati
in molti modi e per nulla accidentalmente.»
Soffiò Arthur sulla pelle con quel tono sornione, velato di malizia.
Merlin gli aveva rifilato una gomitata
spontanea allo stomaco e l’altro si era semplicemente appropriato della sua
bocca, impedendogli di protestare.
Eppure sapeva esattamente quanto
quella situazione di segretezza stesse stretta ad Arthur, ciononostante
continuava a riderci su.
Com’era possibile che uno come
Arthur Pendragon gli avesse rivelato ogni suo
pensiero, confessandogli di amarlo tra un respiro e l’altro senza mai
aspettarsi una sua risposta ed assecondandolo sempre?
Merlin si strinse tra le braccia
di Arthur, lasciando vagare le mani tra i capelli morbidi dell’altro ed
inspirando il suo profumo. Arthur era incondizionatamente e senza ombra di
dubbio completamente suo.
Il respiro caldo gli lambì la
pelle e lui era totalmente soggiogato; l’enorme potere che aveva su di sé.
Quelli erano piccoli momenti di
estasi e intimità profonda che gli concedeva raramente, non che il Pendragon si lamentasse mai, e sembravano avere un tempo
illimitato o era Arthur a renderli tali, assaporandoli fino al midollo.
«Dovevo vederti.» Proferì Arthur
improvvisamente.
Merlin fu colto dalla sorpresa e
gli lanciò un’occhiata incerta. «Ieri a quest’ora eravamo nello stesso punto.»
Una mano del più grande andò a
cercare la sua ed intrecciò le dita. «Lo sai che tra due giorni parto e
mancherò qualche giorno.»
«Siamo stati separati per molto
più tempo.» Proferì il moro saggiamente.
Arthur tacque e strinse
maggiormente le dita fra le sue. «Non mi piace starti lontano.»
Merlin gli sorrise sulla pelle e
si sporse a baciargli la mandibola. «Sei il solito esagerato.»
L’erede mugolò in risposta,
sbuffando scocciato ed imbronciandosi.
«Forse dovrei farti confezionare
un pupazzetto con le mie sembianze da portarti in giro, benché attirerebbe non
pochi sospetti.» Proferì Merlin con ironia, respirandogli sulla bocca.
Arthur gli sfiorò le labbra con
le sue, carezzandole con lentezza. «Pensi che prima o poi ci scopriranno?»
Merlin parve irrigidirsi per un
momento, conoscendo perfettamente il significato di quella domanda. «Non dare
fretta al tempo, Arthur.»
Ed era normale quello che accadde
dopo, perché non doveva sorprendersi e perché Arthur aveva una pazienza fuori
da ogni schema – aspettava ed aspettava –; Merlin se la cercava, ma non
riusciva a fare diversamente e probabilmente avrebbe dovuto.
Arthur sciolse la presa sul moro,
scostandosi dal suo corpo e lasciandolo esposto. «Andiamo a casa, Merlin.»
Le urla riempivano il cortile, la
palla palleggiava senza sosta ed i ragazzi correvano da una parte ad un’altra;
le gote arrossate, il fiatone, le ginocchia sbucciate.
Merlin era assente e non prestava
attenzione a nulla; sembrava osservare il vuoto ed i suoi occhi erano immobili
e persi in chissà quali pensieri. Coloro che lo circondavano cercavano in tutti
i modi di liberarlo da quello stato di apatia momentaneo senza alcun risultato.
Il suono di piccole ruote che
strisciavano sul terreno richiamarono la sua attenzione e gli occhi
incontrarono alcune valigie che venivano depositate all’interno del
portabagagli di un’auto. Uther pronto a partire e
Morgana, l’adorabile sorellastra di Arthur, che gli augurava un buon viaggio.
Nel momento in cui una folta
chioma chiara entro nel suo raggio d’azione, gli occhiali scuri sul viso e la
solita spavalderia a caratterizzarlo, i suoi occhi si animarono improvvisamente
e Merlin sentì quella stretta al cuore aumentare, soffocandolo e reclamando una
boccata d’aria pura. Il ricordo del Suo sguardo spento e la sofferenza, come se
Merlin l’avesse rifiutato una volta per tutte.
Non lo vedeva da quel giorno.
Non fece caso ai vocii sorpresi
quando si diresse nella direzione del biondo né si rese conto delle proprie
gambe che si animarono di volontà propria, né fece caso agli occhi degli altri
che rimanevano fermi e concentrati sulla propria figura né alle loro voci che
proferivano parole incomprensibili.
«Arthur.» Lo chiamò quasi in una
supplica celata.
Il Pendragon
si fermò voltandosi appena verso la sua figura. «Merlin?»
Merlin indugiò un attimo,
sentendo l’imbarazzo crescere e poteva vedere quello sguardo sorpreso e
cogliere quella nota di incertezza nella voce. «So che sei adirato con me e mi
dispiace.» Proferì infine, avvicinandosi ulteriormente.
Arthur portò gli occhiali tra i
capelli volendo incontrare perfettamente lo zaffiro di quelle perle. «Non lo
sono, Merlin.»
Il moro lo guardò attentamente,
ignorandolo deliberatamente. «Non mi piace l’idea che tu parta furioso con me.»
Il biondo sorrise, sciogliendo il
cuore dell’altro. «Non è umanamente possibile poterlo essere con te né potrei
esserlo in questo momento.»
Il cuore di Merlin perse un
battito ed il corpo sfiorava il suo. Si morse le labbra ed il profumo
dell’erede gli invase le narici. Davvero voleva continuare a vivere nascosto
agli occhi del mondo e perderlo per un motivo tanto futile? «Vedo soltanto te,
Arthur.» Pronunciò con voce piena di quel sentimento che non riusciva più a
controllare.
Arthur sbatté le palpebre
sorpreso e le gote del moro erano quanto di più rosse ed adorabili avesse mai
visto e le perle color del mare lo investivano come a folgorarlo. Quello era
più di quanto potesse mai aspettarsi. Le sue mani si mossero automaticamente
senza rendersi conto del luogo a circondarli. «Ti amo anch’io, Merlin.» Le mani
gli circondarono il viso e le labbra si depositarono sulle sue e davvero,
quegli urletti pieni di sgomento, perplessità ed
enorme sorpresa non li stavano ascoltando né avvertivano gli sguardi fermi ed
immobili su di loro. Tutto quello che contava era il sapore, il calore e quel
bisogno impellente del moro; il resto poteva dissolversi come polvere di
stelle.
La bocca divorava quella
dell’altro e le mani del più piccolo si ancoravano alla sua maglia,
stringendola forte e senza dare l’impressione di voler diminuire la presa. Il
bacio si intensificava e veniva approfondito da entrambi, come se ne valesse
della loro vita.
Le labbra si scostarono ed i
respiri si miscelarono. «Lo stai mostrando a tutti, Merlin.» Proferì l’erede
bevendo la sua essenza.
Merlin avvampò e soffiò con
imbarazzo premente sulla sua bocca.
Lo sguardo deliberatamente e
senza alcuna vergogna innamorato di Arthur Pendragon,
così gelosamente custodito, alla mercé di ogni persona esistente.
Arthur viveva solo di quello e
l’aveva cercato ininterrottamente.
Merlin rimaneva nel suo guscio,
senza riuscire ad esternare ciò che provava e soffocato da tutto ciò. L’unica
parte di sé che sfuggiva al suo controllo, e che inizialmente non conosceva,
mostrava ogni cosa ed il Pendragon avrebbe smosso
mari e fiumi per trovare quegli occhi che non gli negavano nulla e che lo
sommergevano con quell’amore troppo grande per essere reale e che non avrebbe
trovato da nessun’altra parte se non in lui.
«Asino.» Sibilò Merlin sulle
labbra prima di legarle nuovamente alle sue.
Quando si straccarono e non era
più possibile ignorare le lancette dell’orologio che procedevano spedite per la
loro strada e lo sguardo severo e scocciato del padre del più grande, si resero
conto che forse avrebbero dovuto interrompere le loro effusioni in pubblico e
riparlarne in un secondo momento, quando l’aereo designato non minacciava di
decollare senza i legittimi passeggeri.
Merlin avvertì quel vuoto che
investì il suo corpo ed il cuore quando vide Arthur salutarlo con un cenno
della mano una volta entrato nell’auto e varcato il cancello.
Fu circondato immediatamente da
ogni persona nei paraggi che avesse avuto l’onore di assistere a quella verità
rilevata ed il cellulare, abbandonato in una tasca qualsiasi, prese a
squillare.
«Ti sono mancato?» Domandò il
proprietario di quella voce possente ed amabile; Merlin si lasciò andare in una
risata vera.
Questa
storia è nata senza alcuna pretesa verso maggio e conclusa i primi di giugno. È
zucchero puro per i miei canoni e credo sia così perché in quel periodo ero
sommersa dai libri scolastici e desideravo una sana evasione dal mondo ed un
distacco sincero da Give me all the peace and joy in your mind; in realtà è l’ultima storia che mi sarei
aspettata di ritrovarmi a scrivere con tutte quelle che mi frullano nella mente
da molto tempo. Ma ha vinto ed eccola qui. Avrei voluto postarla una vita fa,
ma c’era sempre qualcosa che si opponeva: la mia psiche malata. ù.ù
Spero
apprezziate la sua leggerezza ed i suoi spezzoni di vita.
Vi
ringrazio anticipatamente per chi le dedicherà del tempo.
E
ringrazio ancora una volta la mia beta, che per qualche misterioso motivo l’ha
riletta fin troppe volte, più di me.
Alla
prossima.
Antys