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Autore: Gufo_Di_Inchiostro    26/08/2012    2 recensioni
Storia che riprende dal finale del nostro amato Queer As Folk.
Una raccolta di sensazioni, situazioni che riporteranno alla vita i nostri personaggi preferiti tra la Pittsburgh della serie e la Grande Mela. Ritroverete il solito Justin sognatore, o il solito Brian tra discoteche e sballi di una sera insieme a Emmett, Ted, Michael, Ben e Debbie? Scopritelo solo leggendo.
Un viaggio continuo nei pensieri e nella vita di questi personaggi che ci hanno fatto sognare, piangere e ridere, lasciando il segno in un modo o nell'altro, ognuno diverso e unico nel nostro cuore.
Genere: Erotico, Introspettivo, Romantico | Stato: in corso
Tipo di coppia: Slash | Personaggi: Brian Kinney, Emmett Honeycutt, Justin Taylor, Michael Charles Novotny-Bruckner, Un po' tutti
Note: Lime, Missing Moments | Avvertimenti: Spoiler!
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It's only time.

 


 

Un respiro profondo,

poi un altro,

occhi su quel pallore così candido difficile da poter intaccare.

Eccola, la tela bianca, grande, appena davanti a lui, così intatta che solo un colpo di pennello avrebbe potuto rompere quell’equilibrio così perfetto e surreale.

Il pennello si avvicina più e più volte alla superficie porosa per poi tornare qualche centimetro indietro, quasi intimorito, scottato da quel candore.

La sua prima opera NewYorkese l’avrebbero chiamata; il primo capolavoro nella grande mela di Justin Taylor, ma in quell’appartamento che dava su quella Central Park notturna, illuminata solamente da qualche lampione e Taxi che sfrecciava lungo le strade, la nuova “promessa della pittura” era proprio come quella tela: piatto, svuotato, bianco. 

Era passato una anno, dodici mesi, trecentosessantacinque giorni eppure alcuni scatoloni del trasloco erano ancora sparsi nella casa; lì, mezzi aperti , come in attesa di uno scossone forse proprio come lui, che per troppo tempo aveva tenuto il piede in due staffe senza nessun riscontro positivo: Pittsburgh e New York.

Con una sigaretta a metà tra l’indice e il medio, lascia che il fumo gli carezzi le dita sporche di pittura, passando poi per la leggera barba bionda per salire su fino al soffitto insieme al fumo biancastro che esce con un soffio dalla bocca carnosa, piegata leggermente all’ingiù. 

Si allontana di qualche passo, lentamente, piegando la testa da un lato, guardando prima la tela immacolata , poi il panorama appena dietro questa: la città urlava,si dimenava e faceva festa, ma quel vetro freddo sembrava filtrare quel mondo così travolgente agli occhi cerulei di Justin. Non sentiva che rumori, non vedeva che luci confuse in quella città forse troppo grande, che non aveva ancora nessun sapore, nessun odore particolare per lui. Eppure era passato un anno...

La mascella si serra automaticamente quando per l’ennesima volta la pittura tenta di rompere quel monotono bianco surreale per poi ritirarsi impaurita, gocciolando a pochi centimetri di distanza dalla tela, macchiando il pavimento. Era passato un anno eppure quelle tele non erano ancora state toccate; era passato un anno eppure non aveva smesso di comprare colori che finivano lì, ammucchiati in un angolo inutilizzati; era passato un anno eppure quella mano ancora tremava se sottoposta a sforzi eccessivi.
Justin posa per un attimo la testa sulla tela, serrando la bocca, occhi su quella mano che tremava debolmente. E’ un attimo: con una spinta butta giù il grande quadro immacolato dal cavalletto e lancia quel dannato pennello con tutta la sua forza lontano da lui. Una mano sulla fronte, che lo sporca giusto un poco di quella pittura rossa scarlatta: era un anno, eppure non aveva smesso di pensarci. Non poteva scacciarlo dai suoi pensieri, perchè s’insinuava indisturbato nella sua memoria, ricordandogli di quei momenti, di quegli istanti che solo con lui avrebbe passato; solo con Brian. Era come veleno, come un frutto proibito di cui si diventata dipendenti; una droga , un nettare che nutriva la mente e la uccideva allo stesso tempo. Non se l’era mai chiesto “come sarebbe stato se..”, perchè aveva paura della risposta, specialmente ora che le loro strade si erano divise. Aveva provato a mentenere qualche contatto, ma con Brian non poteva funzionare, non così, lo sapevano entrambi...

Neppure una chiamata c’era stata, neppure una visita: è solo tempo si erano detti quell’ultima notte, tra lacrime e gemiti che avevano riempito quel loft di Pittsburgh appena un anno prima ed era vero; ora era solo tempo che li divideva: un muro di tempo e spazio difficile da scalfire, proprio come quella tela.

La sua vita a New York era andata avanti, seppur con intoppi, in un turbine di nuovi amanti e prove continue di quella sua passione che faticava a mostrarsi ora che quasi non ricordava più quegli occhi scuri su di lui; quelle labbra morbide che lo baciavano con foga e di quel sorriso irriverente, ampio, perfetto.

Un altro sospiro profondo, per poi scuotere la testa e rimettere la tela al posto, intatta, sul cavalletto. Si fa presto a dire che il tempo è solo tempo, che sistema le cose, ma si fa un po’ meno presto a convinversi che sia veramente così e Justin, dal quinto piano del suo piccolo appartamento lo sapeva bene. Qualche passo e riprende in mano il pennello, lasciato abbandonato lì, tra qualche schizzo di colore a fianco di uno di quei vecchi scatoloni. Si piega leggermente , ma le sue dita esitano per un istante: con la coda dell’occhio intravede una vecchia foto in una cornice pacchiana con in rilievo un grosso e grasso gatto argento. Dentro solo quattro volti.

Il primo portava i capelli corti, quasi a spazzola, castani, che incorniciavano un viso magro e chiaro. Alto, portava un paio di pantaloni attillati di pelle rossa e una maglietta leopardata coperta da una finta pelliccia blu. Era abbracciato ad un tipo dal sorriso sincero e una bandierina arcobaleno che fuoriusciva dal taschino della camicia chiara leggermente larga.

Il terzo era invece il più sorridente di tutti, con in mano un fumetto con su scritto “Furore 1” vicino all’uomo più alto, dai capelli scuri che tracannava birra noncurante della fotografia scattata.

Emmett, Ted, Michael e Brian: quella foto l’avevo scattata lui, quel Justin così diverso da quello che guardava ogni mattina allo specchio, forse troppo ingenuo per capire che tutto prima o poi portava ad una fine, nel bene o nel male che fosse.

Quasi poteva immaginarli ora, quella notte, magari nel Diner, tra una risata e un colpo dietro il collo di Michael da Debbie, con sempre più spille su quella divisa consumata dalle ore di lavoro. Un sorriso si dipinse lieve, ricordando, ripensando, ma ormai era tutto diverso: quella era solo una vecchia fotoe solo un vecchio ricordo...

Non la prese, ma lo sguardo cadde per più di qualche istante sugli occhi scuri di Brian; quegli occhi che stavano svanendo nella sua mente come già erano svaniti nel suo presente e futuro, quello sguardo che difficilmente avrebbe rincontrato...

 Ora aveva la sua vita, un lavoro e una casa: era diventato un adulto in piena regola, un JT che aveva imparato il sapore dell’abbandono, della sconfitta ma anche quello della vittoria e del cambiamento.

Battè più volte le palpebre poi, coprendo quella foto con vecchi album da disegno riesumati da dentro quello scatolone, come a seppellirla, per poi rialzarsi e prendere il pennello, avvicinandosi alla tela.

Nuovo biancore, nuovo “non colore” che stavolta fu subito ferito da quella cicca di sigaretta che premette senza esitazione, trafiggendo, sporcando, macchiando finalmente. 

E il colore prese vita lento, pennellata dopo pennellata scura, prima rossa, poi nera, poi grigia quasi in automatico. Gli occhi di Justin erano attenti su ogni sfumatura, ogni angolo e ogni schizzo di colore perchè quella che ritraeva velocemente quasi in automatico era il vecchio Babylon tra i rottami di un incidente ancora impresso nella sua mente. Quel rosso, quel grigio e quel bianco della gente, dell’esplosione erano ancora   tutti nella sua testa. Tratteggiò ogni particolare con pennellate decise dettate solo dalla sua mente , perchè è con quella che si dipinge.

Quando poggiò il pennello appena dietro l’orecchio la luce del sole iniziava a farsi vedere timida su quel cielo ancora neutro, a metà tra la notte e il giorno.

Ora due grandi occhi fissavano quel mondo, scuri, profondi, impressi sulla tela: quelli di Furore, tra le pennellate di quella notte disastrosa.



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Ho sempre amato questa serie e, anche se forse non ci crederete, ho amato l'ultima puntata. Non si aspira al lieto fine, al vissero felice e contenti, non all'altare: si da spazio per riflettere sulle scelte della vita, sui cambiamenti e sull'amore, lasciando aperto all'immaginazione dei fan il continuo. In questo capitolo ho voluto mettere in risalto la situazione Justin un anno dopo, nella grande mela: le sue impressioni, i suoi pensieri, tutto e probabilmente farò la stessa cosa nel prossimo capitolo con Brian, perchè in anno le cose cambiano, si evolvono... Spero sia piaciuta e spero di rivedervi al prossimo capitolo! Non esitate a commentare con recensioni positive o negative! E' la prima fanfiction che scrivo ed è quasi venuta da sola ascoltanto Sleep dei Dandy Warhols, una delle colonne sonore del telefilm che merita davvero. Non so ancora in cosa o come si evolverà in questa storie: una raccolta di sensazioni, un ritorno ai vecchi tempi, ma cercherò di trattare al meglio che posso le tematiche e i personaggi! Grazie del vostro tempo!

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