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Autore: dreamrauhl    27/08/2012    1 recensioni
Genere: Malinconico | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno | Contesto: Contesto generale/vago
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1.

 

«Dove vai?» chiesi cercando di mantenere la calma ma tradita dal mio poco autocontrollo mentre la voce si faceva via via più bassa, quasi diventando un sussurro a malapena udibile.
«Via da qui, Anne» mi rispose Josh.
«Allora lì c'è la tua roba», dissi indicando con l'indice qualche valigia sistemata davanti alla porta d'ingresso, «se è questo ciò che vuoi», continuai spiando la sua reazione all'udire quelle mie parole, sussurrate e per niente corrispondenti al mio pensiero reale.
Non piangere, non piangere, non piangere.
Continuavo a ripeterlo mentalmente, quasi fosse solo questo a mantenere saldi i miei nervi ed impedirmi di scoppiare in un fragoroso pianto, per niente adatto ad una ragazza come me, così ben educata e composta.
Ci trovavamo a due metri di distanza l'uno dall'altro, i suoi occhi azzurro cielo cercavano un appiglio nei miei castani. Per un istante potrei giurare di aver percepito un brivido percorrergli la schiena e un'espressione indecifrabile disegnargli i lineamenti tirati del viso. Mi guardò cercando una spiegazione alle mie parole, come se non si aspettasse da me una reazione tanto dura e fredda alla sua decisione.
Forse pensava che gli avrei gettato le braccia al collo pregandolo di restare, forse che mi sarei inginocchiata dinnanzi a lui afferrandogli le caviglie ed impedendogli di fare anche solo un passo, forse pensava che mi sarei opposta alla sua partenza.
Rassegnato, allungò una gamba e poi l'altra, dirigendosi a passi lenti verso l'atrio e prendendo entrambe le valigie non appena raggiunto l'ingresso.
Si girò un'ultima volta, quasi come si aspettasse un ultimo bacio o un addio sofferto, ma mi obbligai a mantenere la calma e a non cedere al suo volere. Devo essere forte.
«Ciao, Anne», disse aprendo le braccia nella speranza – vana – che io mi avvicinassi a lui restituendogli un tenero abbraccio.
«Ciao» dissi mentre gli occhi si facevano sempre più gonfi, sempre più colmi di gocce salate pronte ad uscire da quei piccoli contenitori d'acqua marroni quali sono i miei occhi.
Gli feci cenno con la mano che era ora di andarsene, non riuscivo a sopportare oltre la vista dell'uomo che amavo che se ne stava andando, lasciandomi qui da sola, con un bambino in grembo e nient'altro che un ricordo di suo padre.
Finalmente si decise ad aprire la porta, girando la maniglia lentamente.
Nei suoi occhi si leggevano sentimenti contrastanti: paura e gioia allo stesso tempo, panico e amarezza, malinconia e un sorriso velato da lacrime che persino all'uomo più forte avrebbero creato un nodo alla gola.
«Va' ora», lo esortai.
Inspirò ed espirò profondamente, per niente felice della decisione che aveva preso nel giro di pochi giorni. Persino il suo sangue freddo ora era messo a dura prova e, a quanto pare, il suo piano di non lasciar trapelare alcuna emozione dai suoi gesti e dalle sue parole, fallì miseramente.
Trascinando i piedi si fermò in piedi fuori l'uscio, tirando verso sé le valigie e appoggiandole sullo zerbino.
Si chiuse la porta alle spalle, tenendo la maniglia con le mani quasi non volesse far rumore, pur sapendo che Anne era in casa e seguiva quel suo movimento.
Chiuse per l'ultima volta la serratura, girando piano la chiave, e se la rimise in tasca.
«Ti amo, l'ho sempre fatto.», disse mormorando, sentendo solo lui le parole che aveva appena pronunciato.

Com'è possibile? Perché se n'è andato? Non riesco a farmene una ragione.
Diceva di amarmi, diceva che avrebbe voluto passare la sua vita con me, diceva tante cose... ma quante di queste sono vere?
Mi lascio invadere dalle mie emozioni, accasciandomi alla parete della cucina e scivolando giù, fino a ricadere a terra. Mi tengo le ginocchia con le mani e affondo la testa fra di esse, in questo momento ho solo bisogno di piangere. Spero che così la frustrazione passi, voglio riprendere in mano le redini della mia vita. Voglio stare bene, non ne posso più di stare male per un uomo.
Ma non posso, non posso fare ciò che voglio ora. Fra otto mesi e due settimane avrò un bambino, non sarò più da sola.
Dovrò crescerlo da sola. Dovrò essere forte per entrambi. Dovrò proteggerlo. Dovrò essere per lui – o lei – ciò che mia madre non è mai stata per me: un punto di riferimento, quella persona forte su cui poter contare, il coraggio che mi manca.
Non mi aspettavo una reazione del genere da parte sua. Credevo che sarebbe stato felice di saperlo, credevo che mi avrebbe gettato le braccia al collo e detto "amore, è il nostro bambino" e mi avrebbe teneramente appoggiato le sue labbra sulle mie, bagnate da lacrime di gioia mentre con una mano mi accarezzava la pancia.
Invece mi ritrovo qui, da sola, seduta sul pavimento gelido di casa nostra, con un piccolo essere che cresce dentro di me e nessuno a darmi conforto, nessuno a gioire con me, nessuno a piangere con me, nessuno a darmi la forza di cui ho bisogno per rialzarmi.
Non ce l'ho mai fatta da sola. Josh ha fatto tanto per me. Mi ha aiutato a credere in me stessa, cosa che nei miei venticinque anni di vita non ero mai riuscita a fare da sola, mi ha fatto scoprire le bellezze del mondo, abbiamo viaggiato e conosciuto posti nuovi, mi ha fatto riscoprire la dolcezza dei piccoli gesti e non delle feste di gran lusso a cui il mio precedente fidanzato, un uomo ricco e prestigioso, mi aveva abituata.
Credevo che sarei invecchiata insieme a lui, che un giorno avremmo coronato il nostro sogno dicendo "sì" in presenza dei parenti e degli amici più cari, unendoci in matrimonio davanti a Dio e non solo nei nostri cuori.
Mi feci forza e mi rialzai, appoggiandomi su entrambe le mani e sollevandomi lentamente.
Presi un fazzoletto di carta dal mobile della cucina, lo richiusi e soffiai sonoramente il naso... tanto ora non c'era nessuno a sentirmi o a farmi battute poco gradevoli sui miei modi di fare.
Decisi che non mi sarei arresa così facilmente. Io lo amo. E lui ama me... giusto? Devo convincerlo a tornare da me.

  
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