Capitolo
1: Riflessioni alla luce dell'alba
Fa
caldo, troppo caldo. Non riesco a dormire,
per colpa di quest’afa, che, qui nel Distretto 4, non ci
abbandona mai e allora
comincio a giocherellare con una ciocca di capelli.
Non
posso alzarmi dal letto, o correrei il
rischio di svegliare i miei genitori, ma soprattutto il mio fratellino.
Tutti
qui hanno bisogno di un po’ di sonno, dato che le giornate
sono terribilmente
estenuanti.
Ognuno
di noi, nel distretto, ha un compito:
gli uomini adulti partono all’alba a bordo delle loro barche,
le donne tessono
le reti da pesca e noi più giovani, invece, andiamo a scuola
di mattina e,
subito dopo, dobbiamo consegnare il pesce ai Pacificatori.
Ma
forse è un altro pensiero che continua a
tormentarmi. Domani, tutte le barche saranno sulla riva, la scuola
sarà chiusa,
la piazza centrale, invece affollatissima; nessuno però si
domanderà il perché.
Gli abitanti del distretto, ma anche quelli di tutta Panem,
già lo sanno: è il
giorno della Mietitura.
E
così, senza accorgersene, un altro anno è
passato. Se è per questo, è passata anche
un’altra notte in bianco. La luce
fievole del sole illumina un poco la stanza. Se non fosse per le mie
frequenti
notti insonni, questo sarebbe il momento della giornata che preferisco.
Domina
la quiete, e nessun pensiero si annida nella mia mente, a parte il
ricordo dei
bei sogni; la mia famiglia almeno in questo momento è
riunita, e nella penombra
posso distinguere le loro sagome: mia madre e mio padre, rivolti uno di
fronte
all’altra, si stringono teneramente una mano, come a
dimostrare che il loro
amore durerà per tutta la vita, mio fratello Rick, invece
dorme accoccolato a
una pezzetta ormai logora, che anch’io, alla sua
età, stringevo la notte. La
mattina di solito ha un sorrisetto sulle labbra, come tutti gli altri
bimbi a
cinque anni, ma oggi noto che qualcosa lo turba. Forse anche lui, che
ancora
dorme, pensa inconsciamente alla Mietitura, alla possibilità
che il mio nome
sia estratto dall’urna, che io lo possa lasciare solo, per
sempre. Quante
possibilità ho davvero di essere estratta? Circa 6 su 600.
Sì, le due che per
diritto mi spettano, più le quattro tessere per il cibo
extra, per me e mio
fratello. A casa non ce la passiamo molto bene, ma i miei genitori non
mi hanno
concesso di portare sulle mie spalle il peso di sfamare la mia
famiglia. Mi
sembra di discutere di nuovo con loro sul retro della nostra casa:
“
Ma
perché non posso!” gridavo io “in fondo
sono grande e voglio prendermi le mie
responsabilità!”
Questo
tono di voce i miei non lo accettano, ma
quelle volte erano stati molto indulgenti, e avevano lasciato correre.
Avevano
capito le mie intenzioni.
“Non
ci pensare proprio Vi!”, esclamavano i
miei genitori, all’unisono.
”
Capisco le tue ragioni, ma tu devi capire che
è nostro dovere darvi di che vivere” continuava
mia madre, cercando di assumere
un tono più dolce.
E
a quel punto io replico: “ Avete visto
quant’è magro Rick? Fa paura! E allora concedetemi
di prendere le tessere!”
E
così ebbe fine la nostra ultima discussione.
Ma i giorni seguenti li vidi più volte confabulare tra loro.
C’era speranza che
cambiassero idea? Ne dubitavo. E facevo bene. Finché un
sera, a cena, papà mi
disse:
“Abbiamo
deciso: tu e tuo fratello siete ancora
giovani e avete bisogno di crescere. Prenderai il cibo solo per voi
due”
Era
un accordo equo, e dopo il mio dodicesimo
compleanno, fu messo in atto. Io che mi aspettavo un ricco cesto di
alimenti,
rimasi sconcertata nel vedere che il cibo extra consisteva in un pacco
di
farina nera, dello zucchero e tre pannocchie di mais, arrivate
direttamente dal
Distretto 11. Ma in fondo era meglio che non avere
nient’altro. Da quello che
ricordo, mai i miei genitori ne hanno approfittato: si accontentavano,
sia in
passato che oggi, di qualche riccio di mare o cozza che mio padre trova
attaccati agli scogli, o qualche alga bollita. Mai si sono lamentati di
tutto
ciò, mai ce lo hanno fatto pesare. E quindi io sono del
tutto orgogliosa dei
miei genitori, ne ammiro il coraggio, la forza, la
generosità e la bontà
d’animo e di molte altre virtù che non sto qui ad
elencare. Invece sono
profondamente avversa a Capitol City: quella città che
domina Panem, che
sfrutta ingiustamente i frutti del lavoro della povera gente, che
lascia i
cittadini a marcire di fame.