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Autore: Kornblume Cavalier    28/08/2012    5 recensioni
Alle otto, ogni giovedě mattina, puntuale -come la morte- come sempre, arriva lei, la professoressa di greco. Un sorriso, anzi, ghigno, fa capolino sulle sue labbra; sulla fronte, le sopracciglia si contraggono in un modo inquietante, irriproducibile per una persona normale –da studiare in laboratorio, a parere di molti.
Genere: Generale, Parodia | Stato: completa
Tipo di coppia: Nessuna
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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Ogni giovedì

Alle otto, ogni giovedì mattina, puntuale come la morte come sempre, arriva lei, la professoressa di
greco. Un sorriso, anzi, ghigno, fa capolino sulle sue labbra; sulla fronte, le sopracciglia si
contraggono in un modo inquietante, irriproducibile per una persona normale –da studiare in
laboratorio, a parere di molti.
«Buongiovno, vagazzi.»
Ad orecchie inesperte, parole simili possono suonare gentili, ma gli alunni sanno che non è altro che
una terribile minaccia. Si alzano tutti in piedi, non per rispetto –c’è qualche pazzo che osa pensarlo,
ah!-, bensì per l’occhiata truce che li induce alla fuga; restano incollati al terreno solamente per la
forza di gravità, che diventa improvvisamente più forte. Dopo poco crollano scompostamente sulle
 sedie, tra lo spaventato e il distrutto. Ma no, la professoressa non è contenta. Si siedono prima le
 ragazze, poi i ragazzi
. Quindi di nuovo tutti in piedi –forse dimentica di non insegnare educazione
 fisica?-, poi gli alunni si siedono come da lei imposto.
Accomodata alla cattedra, squadra tutti con il suo malevolo sguardo, fino a fermarsi su due alunni,
 un ragazzo e una ragazza, compagni di banco. Loro tremano, alla disperata ricerca dei compiti,
 perché hanno capito: loro sono le vittime sacrificali della giornata, loro sono gli interrogati. Tutti
 gli altri si rilassano impercettibilmente, ma non osano fiatare: lei potrebbe ancora cambiare idea.
L’insegnante sfila -con la gestualità che chiunque solitamente riserverebbe ad una katana- la penna
 dal portapenne e apre il registro, pronta a chiamare le ormai chiare vittime. No, lei non ha bisogno
 di fare l’appello: ha capito chi è presente e chi no con l’occhiata iniziale. Fa i nomi, i martiri si
 alzano, prossimi alle lacrime: fino all’ultimo avevano sperato di salvarsi. Illusi.
Con il passo dei condannati a morte, gli interrogati si avvicinano alla cattedra, e posano i quaderni
con i compiti. L’insegnante li apre, li sfoglia e segna una grande X rossa sulle pagine: sono
sbagliati, a prescindere. Una vittima geme piano: c’aveva messo ore il giorno prima a scrivere tutto.
Chiude i quaderni, li mette in un angolo, non servono. Sfila il libro agli interrogati, e loro iniziano a
recitare e tradurre a memoria le versioni. Il ragazzo si interrompe, vuole informare che quel pezzo
della versione non gli è ben chiaro, perché il complemento lì presente non è mai stato spiegato.
Dalla muta platea di alunni, si alza una risatina isterica. La professoressa guarda il ragazzo con
disprezzo: cioè, non è ovvio? Lei si dovrebbe abbassare a spiegare i complementi? Si devono
dedurre dal contesto: non importa che quei ragazzi sono del primo anno e che fino a pochi mesi
prima non sapessero nemmeno cosa fosse il greco - dovevano intuire. Quel ragazzo avrà quattro
subito, decide, ma vuole prolungare l’agonia. Inizia con le domande. Le declinazioni contratte. La
ragazza si oppone debolmente: non aveva mai assegnato quell’argomento. L’insegnate alza un
sopracciglio; secondo quella, dovrebbe interrogare solo su cose che hanno fatto?! Ah, la gioventù:
una manica di stolti ingenui! Manda a posto i due, delusa. Avranno quattro, non conta poi che le
cose le sapessero.
Ad un tratto decide di essere clemente e si alza: dice che se le cose non sono chiare, bisogna dirlo,
perché è disposta a ripetersi.
Un alunno alza la mano: non ha capito le contrazioni nei verbi. Lei punta il dito.
«Sciocchi, ve l’ho già spiegato la volta scovsa, se  non capite non sono pvoblemi miei.»
Lo sconcerto non fa nemmeno più presa nei ragazzi, stupidi loro che si erano fidati.
Qualche minuto ancora di silenzio, il terrore è palpabile. Lei sta scribacchiando ininterrottamente
sul registro.
La campanella suona, finalmente. E’ fatta, la prima ora è andata, e “adesso la vecchia deve spedire
quel suo maledettissimo culo fuori da qua
”, pensano tutti. Però no, lei non si alza. Inizia a guardarli
con aria di sfida, poi parla. «Ah, non lo sapevate? Devo fave supplenza quest’ova.»
Gli studenti si guardano l’un l’altro. L’inferno durerà ancora un’ora.

 

Note dell'autrice.
No, davvero non lo so. Non ho idea di come questo delirio mi sia venuto in mente, so solamente che
l'ho scritto e una volta riletto mi ha fatto ridere, così ho deciso di pubblicarlo: per strappare un sorriso
a qualcuno, magari. :)) E chissà se la vena comica ce la vedo solo io o cosa °_°
Oh, beh. Io l'ho pubblicato; comunque vada sono soddisfatta di questa cosa che non so neanche cosa
sia xDD
Fatemi sapere che ne pensate *3*
K.C.

   
 
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