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Autore: Neko no Yume    29/08/2012    2 recensioni
Wabi essenzialmente indica qualcosa dotato di una bellezza semplice e rustica.
Una bellezza che non avanza pretese, non ostenta nulla e rimane semplicemente se stessa, forse conscia del proprio fascino ma non particolarmente interessata alla cosa.
Perché del resto è un fascino modesto, che si lascia ammirare solo a chi riesce a scavare sotto la scorza di burbera semplicità.
E non è facile intaccare la scorza, bisogna avere la pazienza di picchiettare su una lastra di ghiaccio con uno spillo.

(d18; philosophical dino)
Genere: Fluff, Introspettivo | Stato: completa
Tipo di coppia: Shonen-ai | Personaggi: Dino Cavallone, Kyoya Hibari
Note: Missing Moments | Avvertimenti: nessuno
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Sebbene Dino sia inequivocabilmente italiano e abbia passato gli anni più spensierati, Reborn permettendo, in un assolato paesino del Sud di quelli con le case di un bianco accecante e le strade polverose, adora la cultura giapponese.
L'adora perché, essendo il ragazzino destinato a diventare nuovo boss dei Vongola originario del paese del Sol levante, gli è stata inculcata sin da piccolo da una donna dai modi pacati e un viso scuro incorniciato da un ordinato caschetto di capelli corvini che tendevano leggermente al grigio.
La donna gli si era presentata con un nome che ormai non ricorda più, intimandogli con un tono di voce calmo e duro come l'acciaio allo stesso tempo di chiamarla sensei.
E lui così aveva fatto, tanto da archiviare il suo vero nome e dimenticarsene.
A una voce del genere non si disubbidiva.
La sua sensei veniva a trovarlo di pomeriggio e lasciava le scarpe all'ingresso, pretendendo che lo facesse anche lui e che, assieme a quegli aggeggi da trekking sfondati, si lasciasse dietro anche la sua goffaggine.
Lo faceva sedere in ginocchio e con la schiena dritta, poi iniziava a raccontare con quella voce così chiara e imperiosa, miracolosamente priva di qualsiasi inflessione straniera.
Dino si chiede ancora adesso come diavolo abbia fatto e si sforza di ricordare il minimo caso in cui abbia sbagliato una "r", senza riuscirci.
Con un sorriso appena accennato e gli occhi a mandorla fissi su di lui, quella donna orientale gli insegnava la grammatica infernale del giapponese, le usanze, tutto lo scibile che conservava in sé.
E c'è da dire che lui imparava in fretta.
Lasciava che ideogrammi, concetti filosofici, norme di comportamento filtrassero attraverso la sua pelle e vi si restassero impressi come i segni che entrambi vergavano sulla carta con un pennello.
La sensei annuiva compiaciuta davanti a ogni progresso e sottolineava impietosa ogni difetto, ma lo faceva col garbo che soltanto più avanti lo studente sarebbe riuscito a riconoscere negli abitanti del Giappone e nei loro gesti.
Una delle parole risalenti agli insegnamenti della signora che preferisce è wabi.
Ormai i nipponici ne hanno contaminato il senso, rendendo il wabi-sabi un freddo termine per definire uno stile architettonico che si basa sul riciclo e l'austerità, ma è il significato originario a colpire Dino.
Wabi essenzialmente indica qualcosa dotato di una bellezza semplice e rustica.
Una bellezza che non avanza pretese, non ostenta nulla e rimane semplicemente se stessa, forse conscia del proprio fascino ma non particolarmente interessata alla cosa.
Perché del resto è un fascino modesto, che si lascia ammirare solo a chi riesce a scavare sotto la scorza di burbera semplicità.
E non è facile intaccare la scorza, bisogna avere la pazienza di picchiettare su una lastra di ghiaccio con uno spillo.

La prima volta che Cavallone riuscì a scorgere uno sprazzo di pura bellezza, di quella scarnificata sino all'osso che celebra il wabi, fu combattendo contro Kyoya.
Quel ragazzino dalla pazienza sotto le scarpe gli si stava scagliando contro munito di tonfa e pessime intenzioni da, beh, aveva perso il conto delle ore trascorse ormai.
Il punto è che, per quanto ormai ogni singola fibra del suo corpo lo assillasse con fitte di dolore e stanchezza, Dino era troppo rapito dai movimenti del suo nuovo allievo per fermarsi, oltre ovviamente al fatto non trascurabile che se si fosse arreso così facilmente sarebbe stato pestato ancora più brutalmente.
Hibari si muoveva con la fluidità di un gatto e covava gli stessi intenti letali, schivava la sua frusta piroettando su un piede e di rimando sfruttava la spinta per slanciarsi verso di lui, accorciare le distanze e tirargli un colpo di tonfa dritto al petto.
Negli occhi chiari manteneva la stessa fermezza di quando avevano iniziato, a tratti incendiata in modo quasi impercettibile da sprazzi di adrenalina, la pelle pallida era arrossata attorno ai punti in cui era stato colpito e sulle guance ormai congestionate dalla fatica, i capelli scuri gli si appiccicavano alla fronte madida di sudore, ma il petto sembrava alzarsi e abbassarsi a intervalli regolari, quasi come se stesse dormendo.
La fatica sembrava scivolargli addosso, schiacciata dall'eleganza di chi sta facendo ciò per cui è nato, ciò che adora.
A prima vista sarebbe sembrato un violento invasato con il solo scopo nella vita di ridurre la gente a una montagnetta di lividi e ossa rotte, ma se si riusciva a guardarlo più da vicino si riusciva a scorgere una scioltezza nei movimenti che lasciava senza fiato.
Era questa la bellezza wabi, la bellezza capace di fratturare al boss mafioso il setto nasale senza che lui avesse niente da ridire in proposito perché, maledizione, era una frattura con stile.
Decise che Kyoya sarebbe diventato suo alunno che lo volesse o meno e continuò ad assecondare la sua furia con un sorrisetto trasognato stampato in faccia, fiero di aver trovato una simile rarità.

Non sa quando di preciso la sua fascinazione per il lato wabi di Hibari si sia trasformata in fascinazione punto e basta, sino a diventare una cotta in tutto e per tutto, forse è qualche effetto collaterale degli  insegnamenti della sua sensei.
O forse è semplicemente colpa della bellezza.
Scrolla la testa e sorride, rassegnato all'idea di essere un masochista con un debole per una persona che vorrebbe morderlo a morte per la maggior parte del tempo.
In questo momento si trovano in una sorta di tregua, imbozzolati tra le lenzuola spiegazzate del letto di Dino, che ha sollevato la testa puntellandosi sui gomiti per osservare meglio il viso del suo protetto.
Kyoya ha gli occhi chiusi e il respiro regolare, la fronte è distesa in un'espressione quasi pacifica e sgombra dai capelli spettinati, il collo è reclinato verso l'altro e un braccio sbuca dalle coperte, posato sul petto.
Per qualcuno potrebbe essere un semplice ragazzo addormentato, per il boss dei Cavallone rappresenta uno dei rari momenti in cui può ammirarlo con aria compiaciuta senza essere chiamato "erbivoro" e preso a tonfate.
Uno dei rari momenti in cui il riccio (l'uomo è convinto che Roll non sia l'arma di Hibari per caso) abbassa gli aculei e smette di appallottolarsi in se stesso.
Poi il suo alunno apre gli occhi con lentezza studiata e gli lancia la sua solita occhiataccia del buongiorno.
-Mi stavi fissando?-.
Dino si sente gelare il sangue nelle vene, ma del resto se Kyoya non fosse così burbero sin da appena sveglio non sarebbe Kyoya.
-Pensavo che la mia sensei mi ha proprio incastrato per bene-, ridacchia, cercando di glissare.
L'altro inarca appena un sopracciglio, poi archivia la cosa come argomento di scarso interesse e il maestro ha giusto il tempo di pensare a quanto sia wabi la sua espressione, prima di ricevere un pugno alla bocca dello stomaco sotto le coperte.
-Ahia, questo per che cos'era?-, si lagna, dopo aver passato qualche secondo a boccheggiare.
Gli sembra che un guizzo di rossore colori le guance di Hibari per un attimo, ma potrebbe essere solo la sua immaginazione.
-Il tuo sguardo mi ha svegliato, stupido erbivoro-, è la risposta lapidaria e abbastanza assurda che riceve.
Con uno sforzo di volontà ammirevole riesce a non scoppiare a ridere e gli ruba un bacio frettoloso, approfittando di quella momentanea debolezza, per poi prendergli i polsi tra le dita con la stessa gentile fermezza della signora giapponese dall'accento inesistente che gli ha insegnato a riconoscere la bellezza, ma si è scordata di spiegargli come difendersi.



Yu's corner.
Buonassssera, miei cari!
Che cos'è questa cosa, vi starete chiedendo? (e ne avete tutto il sacrosanto diritto)
Bene, ciò che avete appena letto è il frutto della qui presente Yu che si legge, dopo anni di procrastinazione, il meraviglioso romanzo "L'eleganza del riccio" e, davanti alla spiegazione del termine wabi, rimane folgorata da un'idea malsana che le fa fissare come in trance le pagine.
Ispirazioneeh.
Comunque, ho pensato che Hibari rientri appieno nella definizione più chiara che sono riuscita a trovare e capire, dopo aver compreso una volta per tutte che i giapponesi sono terribilmente complicati.
E così è uscita fuori questa fanfiction, che spero non vi abbia fatto venire troppo il mal di testa...
Fun fact: Per la sensei di Dino, mi sono ispirata a Izumi, la mia vecchia e nipponica insegnante di danza classica di cui ho uno splendido ricordo. Che dire, spero che vi sia piaciuta e spero nei vostri commenti, positivi o negativi che siano.
Bye bye, Yu.
  
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