Avviso
importante: Questa
storia non ha la pretesa di essere un’opera storica e non lo
sarà mai.
Qualsiasi incongruenza o sbaglio temporale, comunque,
l’autrice se ne prende la
completa responsabilità. Questa storia vuole solo far
conoscere e rendere onore
ad un grande amore realmente esistito.
“
Sono proibiti
rapporti tra ebrei e cittadini dello Stato di sangue tedesco e
affine”.
Paragrafo 1, Legge “Per
la protezione del sangue e dell’onore
tedesco”.Norimberga 1935.
Roma,
1943
“Spesso
bastano poche
sillabe per esprimerti quello che dice il cuor, quando vedo
te…
E nell’estasi di una
musica io ti mormoro tre….del cuor, cuor…quello
che mi dice…
Treman le mie labbra
allor…parlono d’amor…”
“Ba
– Ba baciami
piccina con la bo – bo bocca piccolina”.
Canticchiò una ragazza, arricciando in
modo scherzoso la piccola bocca, rosea e piena, a mo di dare
baci.“ Dammi tanti
baci in quantità….”. Sollevò
le piccole braccia al cielo e fece una graziosa
piroetta su stessa, facendo così gonfiare la parte inferiore
del vestito che
portava addosso. Divertita per l’effetto, la giovane fece di
nuovo un’altra
piroetta, con più forza. E le lunghe trecce marroni, fissate
ordinatamente ai
lati del capo, si mossero insieme a lei, per poi pendolare dietro la
schiena
magra.
Quando la ragazza provò
a fare un’altra piroetta su se stessa, credendosi ormai una
ballerina, perse
l’equilibrio e cadde rovinosamente sopra il tappeto, con un
sonoro tonfo.
Leggermente dolorante,
lei alzò il busto , puntellandosi sui gomiti e sulle
ginocchia. Una volta che
si mise gattoni, improvvisamente dalla sua gola si spiegò
una risata sonora,
fresca e allegra. Era caduta davanti allo specchio e quando aveva visto
il suo
viso rosso e paonazzo, e le sue trecce penzolare ai lati del suo viso,
non
aveva potuto fare a meno di ridere per la scena ridicola e buffa.
“Alice, tu sei nata con
due piedi sinistri”. Si disse sola la giovane ragazza con un
sorriso una volta
che si mise in piedi. “Ha ragione tuo padre quando ti dice
che hai il grazia di
un elefante”. E sorrise divertita mentre si risistemava le
trecce e il vestito.
Sorrise soddisfatta e
compiaciuta davanti allo specchio. Indossava un bellissimo abito nero
con le
spalline abbassate color bianco. Gliel’aveva comprato sua
nonna durante uno dei
suoi viaggi, in Francia. La prima volta che se l’era provato,
e aveva appena
compiuto diciasette anni, sua nonna con un sorriso gli aveva detto che
somigliava
ad un’attrice. Anzi, sembrava una donna. Ovviamente tale
somiglianza a suo
padre non era suonata bene, così come il vestito, che subito
aveva iniziato a
litigare aspramente con la nonna. Diceva—anzi
urlava—che una brava ragazza,
soprattutto se italiana e di buona famiglia, non doveva indossare
simili abiti,
che lei era ancora una bambina. E alla fine aveva chiuso la
conversazione
sbattendo la porta e intimando ad Alice di far sparire immediatamente
il
vestito. Fortunatamente il vestito era rimasto in casa, grazie ad un
compromesso che aveva fatto con sua nonna. L’avrebbe
indossato solo nei momenti
in cui rimaneva in camera sua. Dove nessuno poteva vederla. Soprattutto
suo
padre.
Ultimamente però c’era un problema con quel
vestito. In alcuni punti gli
andava stretto. Nell’ultima estate era cresciuta. Da secca
come un chiodo, improvvisamente,
era diventata tutta natiche e braccia, cosce e seno. Soprattutto
quello. E il
fatto che gli stesse crescendo le costituiva non pochi problemi. Aveva
paura
che se gli continuava a crescere non avrebbe più potuto
indossare il suo
bellissimo vestito. Comunque, dal’altro canto, di altezza non
era cresciuta
molto, anche se il vestito gli arrivava di poco sopra il ginocchio. Era
quasi
di media altezza. E il suo viso aveva conservato tratti infantili,
rimanendo
pieno nelle guancie e morbido nei lineamenti della faccia, facendo
così
sembrare i suoi occhi molto grandi. Una volta una sua amica gli aveva
confessato che i suoi occhi sembravano quelli di una cerbiatta. Ma a
lei non
piacevano, soprattutto per il colore che era marrone e che sembrava che
gli
donasse un aspetto anonimo e scialbo. Come avrebbe voluto avere gli
occhi di
sua madre. Verdi come smeraldi. Così una volta gliela aveva
descritti suo
padre.
Comunque il vestito che
indossava gli dava l’impressione di essere
un’altra. Ogni volta che lo
indossava non vedeva più davanti a lei una ragazzina con il
corpo da donna e il
viso da bambina. Sgraziata e scialba, per niente armonica. Davanti a
lei si
presentava una ragazza, matura e bella, tanto armonica e aggraziata nel
corpo,
da potersi definire donna. Una donna con un futuro davanti, magari da
condividere un giorno con un uomo valoroso e coraggioso al suo fianco.
Una
volta che la guerra fosse finita.
“Sembro
proprio una donna”. Osservò
compiaciuta Alice, mettendosi su un fianco e poi sull’altro
per guardare meglio
la sua figura, magicamente trasformata.
“Alice”. Una voce,
bassa e grave, la chiamò dall’altra parte della
porta.
“Un attimo papà”.
Rispose agitata la ragazza cercando una coperta o qualcosa a portata di
mano
che gli permettesse di nascondere il vestito. Fortunatamente
trovò una vestaglia
e rapidamente la indossò mentre si avvicinava alla porta per
aprirla.
“Ti sei appena
alzata?”. Domandò con viso duro e accigliato suo
padre mentre con i suoi due
occhi neri e penetranti la osservava attento.
“Sì”. Mentì la ragazza
per poi portarsi una mano davanti alla bocca e fingere uno sbadiglio.
“Vestiti e vieni subito
nel mio ufficio”. Disse l’uomo, con quel tono
sbrigativo e autoritario che
usava solo con i suoi soldati o con le cameriere della casa.
“Sì, papà”. E chiuse
lentamente la porta mentre guardava la figura massiccia e imponente di
suo
padre allontanarsi con passo rigido e svelto lungo il corridoio.
Una
volta che si cambiò
di abiti, Alice si diresse verso lo studio di suo padre, che si trovava
nell’ala opposta della casa. Con passo veloce e leggero
percorse il corridoio
lungo e buio.
Una volta davanti alla
porta dello studio del padre, dove l'era stato assolutamente vietato di
entrare, bussò
piano e lentamente.
“Entra”. Gli rispose
severa la voce da dentro la stanza.
Alice aprì la porta e
si guardò intorno, molto interessata. Era la prima volta che
suo padre la
chiamava nel suo studio. La stanza era grande e ampia, il soffitto alto
e
bianco. I muri erano coperti da enormi scaffali di legno nero e lucido.
Vi
erano anche due grandi librerie, che contenevano al loro interno libri
dalle
copertine scolorite e logore, e anche alcuni oggetti antichi.
Alle spalle del
padre vi era una grande
finestra, da dove Alice poteva osservare il giardino, e sopra di essa
vi era
appesa orgogliosamente la bandiera italiana, a fianco un manifesto nero
che
recitava il famoso motto: Credere, Obbedire, Combattere.
“Siediti”. Gli disse
l’uomo, indicando con un gesto secco una poltrona di pelle
nera davanti alla
sua scrivania, ordinata e piena di fogli ammucchiati.
Lei obbedì e si mise
seduta sull’orlo della poltrona, cercando di assumere una
posa adulta ed
elegante.
“Devo dirti una cosa”.
Iniziò a dire suo padre, mentre la guardava con espressione
seria e importante.
“Riguarda te e il tuo futuro”.
Alice si mosse nervosa
sopra la poltrona, avvertendo uno sgradevole presentimento. Guardò fuori
dall’ampia finestra dietro le
spalle di suo padre. Le sue rose ancora non era sbocciate.
“Bene” iniziò suo
padre. “Io ti ho fatta venire qui, perché ho una
bellissima notizia da darti”.
La ragazza alzò gli
occhi.
“Tra poche settimane ti
sposerai”.
Alice si sentì mancare.
“Che cosa?” chiese con le labbra divenute
insensibili.
“Tra poche settimane ti
sposerai”. Continuò suo padre “Ormai
è già tutto organizzato. Celebrato il
matrimonio andrai a vivere in Germania”.
Alice sentì lo stomaco
stretto in una morsa dolorosa. La stanza oscillava davanti ai suoi
occhi e il
pavimento sembrava sprofondarle sotto i piedi.
“Non sei
felice?”. Domandò stranito suo padre
mentre la fissava dall’altra parte della scrivania.
La ragazza cercò di
dire “No, non sono felice”. Ma l’unica
cosa che riuscì a fare fu di scuotere la
testa.
“Bene, il ragazzo che
tu sposerai è figlio di un noto gerarca nazista a capo delle
SS e molto vicino
a Hitler. È di qualche anno più grande di te, ma
non troppo”. Continuò a
spiegargli suo padre con la voce tronfia e orgogliosa.
“è un ottimo partito”.
La ragazza guardò suo
padre, cercando di dominare l’ansia e l’agitazione,
che dopo la notizia avevano
iniziata ad assalirla, impedendole di parlare e difendersi.
“Ormai sei grande.
Direi che a diciotto anni sei quasi una donna. Quindi è il
momento per te di
costruire una famiglia”. Sorrise come convinto delle sue
parole “E quale
migliore occasione per te, figlia mia, di farlo a fianco di un valoroso
soldato
tedesco?”.
Lei lo fissò con il
cuore che gli scoppiava.
“Ma io non voglio
sposarmi!”. Nel dire l’ultima parola
sentì una nuova ondata di nausea. “Io non
voglio sposarmi. No, non voglio”. E scosse la testa con
vigore, da una parte
all’altra, strizzando gli occhi. “E le mie amiche e
l’università?”.
“Smettila di fare i
capricci. Ormai non sei più una bambina, Alice”.
Disse duro suo padre,
insensibile di fronte all’espressione di panico e paura
dipinto sul volto della
figlia.
“No, non voglio! Non
costringermi ti prego!”. Detestava il suono supplichevole,
lacrimoso della sua
voce, ma non riusciva a dominarsi. “Io non voglio
sposarmi”.
Ma il padre non gli
diede ascoltò e continuò a parlare.
“Sii ragionevole, figlia mia. Lo sai quanti
giovani italiani stanno morendo in questa guerra?”. E
fissò la ragazza con
espressione seria e ragionevole. “ Non possiamo sapere quanti
altri anni durerà
questa guerra e quanti soldati ci rimarranno alla fine. Quindi, figlia
mia,
dato che Dio ti ha concesso la grazia di essere donna, il tuo compito
sarà
quello di dare alla luce bambini, sani e robusti, che un giorno
combatteranno e
moriranno a fianco di altri soldati. Per l’Italia!”.
Alice continuò a
guardare suo padre, con occhi increduli e attoniti. Non riusciva a
parlare. La
sua mente era così smarrita e confusa dalle parole del
padre—così convinto e
serio—che non riusciva a rispondere. Ma davvero suo padre
credeva in quello che
stava dicendo?
“Sinceramente
parlando”. Continuò suo padre, tirando un sospiro.
“Quello che dovevi imparare,
intendo le cose basilari, le hai già imparate nella
società “Giovani italiane”.
Ricordati la prima lezione: alle donne sta il parto, come agli uomini
sta la
guerra. Quindi tu non stai altro che mettendo in pratica una regola
basilare e
sacra per una giovane donna. Dai più figli
all’Italia, come il Duce vuole, e mi
renderai orgoglioso!”. Esclamò alla fine con
fervore, quasi alzandosi dalla
sedia, come se si trovasse ad una delle famose assemblee in piazza che
il Duce
teneva.
Ad
Alice non sfuggì che suo padre non gli aveva fatto
cenno—come esempio che
avvalorasse quello che aveva appena detto—a nessuna delle
figlie dei suoi
subalterni che frequentavano il circolo insieme a lei.
Anche loro avevano diciotto anni come lei.
Anche loro potevano avere tanti figli, come lei. Ma Evidentemente a
nessuno dei
loro padri sembrava sano e naturale darle in spose, neanche fossero
state
oggetti, a soldati sconosciuti. Forse, i loro padri, le ritenevano
all’altezza
di frequentare università, degne di un futuro migliore.
Chiuse
le mani in due pugni, con rabbia e risentimento, mentre sentiva il suo
cuore
come trafitto da qualcosa di tagliente e freddo simile ad un coltello.
“Inoltre,”
proseguì suo padre. “l’avvicinamento a
questa famiglia non farebbe altro che
dare prestigio alla nostra—so quanto voi ragazze ci tenete a
questo genere di
cose—oltre che darmi l’opportunità di
avvicinarmi al Duce. Quello che stai per
fare, figlia mia, andrà a vantaggio di entrambi”.
“Non
voglio” ripeté Alice. Guardò con
insistenza suo padre “Non voglio, non
costringermi a farlo”. Ormai la sua voce, da determinata che
era prima, stava
diventando debole e fioca. Aveva la sensazione che qualcosa di pungente
e
fastidioso le stesse raschiando la gola, costringendola a tossire
più volte per
far sparire la sensazione e quindi a rimanere in silenzio.
“Non
posso” disse con voce fioca la ragazza, per poi abbassare il
viso, contrito per la paura, sul pavimento. Il cuore, per quanto
batteva veloce, le stava
facendo pulsare le orecchie in modo sgradevole.
Vide una scarpa di suo
padre strusciare nervosamente sul pavimento e sentì il
tamburellio scoordinato
di dita sopra la scrivania. Poche volte aveva visto suo padre fare
così, ma
quando si muoveva in quel modo significava solo che si stava
arrabbiando e
molto.
“Alice”. Lo sentì
ringhiare con voce bassa e minacciosa.
Cercando un’ultima
volta di opporre resistenza, lei disse “Ti prego, tienimi con
te”.
Battendo con forza la
mano sopra la scrivania, l’uomo tuonò “E
invece ti sposerai! Che tu lo voglia o
meno e non si discute!”.
Improvvisamente la
figura di suo padre si fece prima appannata e alla fine sfocata. Quando
si fece
di nuovo vivida sentì qualcosa di bollente e umido bagnargli
le guancie.
“E adesso vattene in
camera tua”. Ordinò il padre, indicando con un
gesto la porta.
Impaurita e spaventata
la ragazza si alzò dalla poltrona, si diresse verso la porta
e tentoni cercò la
maniglia, che riuscì a vederla solo dopo che le lacrime
scesero sul suo viso.
Una volta aperta, si allontanò con passo lento, che poi
divenne veloce, sino a
trasformarsi in una corsa disperata e cieca.
Spalancando la porta
della sua camera, la chiuse immediatamente dietro di sé e
goffamente si gettò
sopra il letto. E pianse a gola spiegata, soffocando ogni tanto i forti
singhiozzi che gli uscivano dalla bocca e gli facevano tremare il petto.
Lo
Speaker corner di
nena92: Questo mio piccolo angolino, che di solito l'uso per commentare
e
scusarmi, in questa occasione vorrei usarlo per spiegare delle cose
molto
importanti e serie. Innanzitutto ho voluto scrivere questa storia per
una
tesina che ho portato al mio esame di Maturità e soprattutto
ho deciso di
scrivere questa storia, per condividerla con altri. Grazie alla mia
tesina, per
pura casualità, ho incontrato un giorno un'anziana signora
sopra l’autobus. Era
bella e gentile. E mi ha parlato di questa storia. Di una storia che ha
potuto
vedere come testimone quando ancora era una bambina e della quale
conserva un
diario. Questa che presento è la storia raccontata da
un’anziana signora, un
tempo una bambina, tragica ma piena di amore e speranza. Nonostante il
tempo in
cui è svolta. La Seconda Guerra Mondiale. Una storia che mi
ha fatta piangere
dentro.
Del perché e del come questa storia continui, spero tanto
che voi
vogliate saperlo, continuando a leggerla. Questo amore è
realmente esistito e
fa riflettere molto. Quando leggiamo i libri di storia impariamo le
date e i
fatti. Non ci fermiamo mai a riflettere se quel determinato giorno o
anno, che
noi ripetiamo come pappagalli, abbia significato qualcosa per qualcuno.
Ci
dimentichiamo anche, che durante la guerra l’amore
è esistito, forse nascosto
come la luce nel buio, ma è esistito e ha portato un
po’ di luce nella vita
della gente. E questo amore che io racconto, ha portato una grande luce
ai due
protagonisti della storia.
L’unica domanda che vi
dovrete porre durante la storia, sarà la seguente
“ Quanto l’amore può essere
più forte della fede e superare una ideologia?”.
Con questa domanda, io
vi lascio, con la speranza che vogliate continuare a leggere.
Baci da nena92.