Salve di nuovo! Ringrazio chi ha letto il mio piccolo esperimento e in particolare chi ha inserito questa raccolta tra le storie seguite – BlackCobra e Prez_Silverrope. Lo so che è difficile e a volte seccante scrivere una recensione, ma ci terrei veramente tanto a ricevere un parere sulla shot in questione: in un modo che non saprei nemmeno spiegare, qui c’è qualcosa di mio. Dopo questa parentesi accorata, passiamo alle cose che forse vi interessano. Questa volta il prompt è "go", che si prestava a un’ampia scelta di interpretazione. Beh, questa è l’idea che ho avuto immediatamente e che non ha voluto saperne di uscire dalla mia testa. Angst, tanta angst. Spero di essermela cavata bene. Come vi accorgerete, la narrazione è totalmente diversa sia come tempo che come persona. Non avrei potuto scriverla in altro modo. Direi che ho finito con le chiacchiere, alla prossima!
Martina
Frammenti di tempesta
II
Respira, John. È semplice, naturale. Persino automatico.
No. Non ci
riesco. Per la prima volta in vita mia sto sperimentando il classico momento in
cui si ha la sensazione che l’intero mondo sia precipitato senza tanti
complimenti sulle proprie spalle. E dire che credevo di aver già fatto una
simile esperienza in passato, talmente tante volte da aver perso il conto ormai.
Il mio cervello cerca di rievocarle per fingere di essere abituato alla
situazione.
Harry torna a casa ubriaca fradicia e in lacrime. La terza volta nel giro di un mese. Mamma strilla, è fuori di sé, le dà uno schiaffo, la insulta, scoppia in un pianto isterico. Sono in piedi sulla soglia della mia camera, la porta è appena aperta, non oso palesare la mia presenza. Oh, Harry. Perché? Perché non impari mai? Ti odio. Ma ti voglio così tanto bene. Anche se mi sono sempre preso cura di te nonostante fossi tu la sorella maggiore. Anche se non mi hai mai ringraziato. Non una volta.
Ho la vista annebbiata e il mio battito cardiaco è a dir poco irregolare. Ho bisogno di un dottore. Ah ah, davvero divertente. Mi domando come mi descriverebbe un osservatore occasionale se ora mi vedesse. Pietrificato, terrorizzato, in preda a un tremore incontrollabile. Annientato sarebbe il termine più adatto. Anzi, pensandoci, lui saprebbe trovare le parole perfette.
Voglio morire. Strapparmi il cuore e donarlo all’uomo – al cadavere – steso sul tavolo operatorio. Come se potessi salvarlo. Non è giusto. Non è giusto! Nessuno mi aveva preparato a questo. Negli ultimi mesi ne ho visti morire tanti, troppi. Ma ora è diverso, perché lui è il primo. Il mio primo morto. Ferita multipla d’arma da fuoco al torace e al ventre, emorragia, arresto cardiaco. E io non sono riuscito a salvarlo. No, grazie tante, non so cosa farmene della mano che mi stringe la spalla con fare incoraggiante. E non osate dirmi che non posso salvarli tutti, perché, dannazione, lo so. Fa male comunque.
Poco fa la mia mano destra è corsa immediatamente alla bocca ed è rimasta lì
mentre cercavo di realizzare tutto. Ora, lentamente, lascio che il braccio
ricada inerte lungo il fianco. E alla fine trovo il modo di aggirare questo
maledetto nodo alla gola che ha mascherato l’istinto di
gridare.
«Sh-Sherlock...»
È ancora vivo. Che Dio mi aiuti, è proprio qui
davanti a me.
Non posso crederci, non sta succedendo, non è reale. I miei sensi mi stanno ingannando. Non ho sentito il tonfo sordo e anomalo di un corpo che precipita sull’implacabile asfalto. Non ho visto il sangue. Tutto quel sangue cremisi ha formato una pozza, si sta lentamente seccando, resterà lì sul marciapiede come un costante monito. Ma non c’è, non esiste. Eppure dev’essere vero. Altrimenti per quale motivo starei piangendo? Non appartiene forse a me il gemito soffocato che riecheggia ovunque? Sherlock, Sherlock, Sherlock. Me lo stanno portando via, non voglio.
«Vattene.»
Nell’esatto momento in cui pronuncio a fatica quell’unica
parola mi sento morire. Eppure è esattamente ciò che avevo bisogno di dirgli.
Lui non reagisce, è una fredda statua di marmo, la sua mente è altrove. Ma
forse... Forse c’è qualcosa nel suo sguardo. Una luce che ben pochi hanno visto
nei suoi occhi.
«Ho detto vattene, Sherlock!» Esclamo ferito. Il tono di voce
insolitamente rauco rende ancora meglio l’idea del mio attuale stato d’animo.
Non sono pronto per tutto questo.
Finalmente ottengo una reazione: Sherlock
fa un lieve passo avanti e mi fissa. Ho sbagliato, gridano le sue iridi chiare e
imperscrutabili. Ho sbagliato, ma tu perdonami.
Solo che non posso. Quindi
gli sbatto la porta in faccia e me ne vado io.