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Autore: MartinaN    29/08/2012    3 recensioni
Ma il suo è un pianto silenzioso, raccolto, a tratti insicuro. John è normale, eppure non è come tutti gli altri. Ecco, se potessi parlargli gli direi questo. E gli ordinerei di preparare un tè caldo – con latte, lo prendiamo entrambi con latte. E alla fine... Alla fine gli chiederei semplicemente scusa. Senza parlare. Lui capirebbe.
Genere: Angst, Sentimentale, Slice of life | Stato: in corso
Tipo di coppia: Slash | Personaggi: John Watson , Sherlock Holmes
Note: Raccolta | Avvertimenti: nessuno
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Salve di nuovo! Ringrazio chi ha letto il mio piccolo esperimento e in particolare chi ha inserito questa raccolta tra le storie seguite – BlackCobra e Prez_Silverrope. Lo so che è difficile e a volte seccante scrivere una recensione, ma ci terrei veramente tanto a ricevere un parere sulla shot in questione: in un modo che non saprei nemmeno spiegare, qui c’è qualcosa di mio. Dopo questa parentesi accorata, passiamo alle cose che forse vi interessano. Questa volta il prompt è "go", che si prestava a un’ampia scelta di interpretazione. Beh, questa è l’idea che ho avuto immediatamente e che non ha voluto saperne di uscire dalla mia testa. Angst, tanta angst. Spero di essermela cavata bene. Come vi accorgerete, la narrazione è totalmente diversa sia come tempo che come persona. Non avrei potuto scriverla in altro modo. Direi che ho finito con le chiacchiere, alla prossima!

Martina

Frammenti di tempesta

II

Respira, John. È semplice, naturale. Persino automatico.
No. Non ci riesco. Per la prima volta in vita mia sto sperimentando il classico momento in cui si ha la sensazione che l’intero mondo sia precipitato senza tanti complimenti sulle proprie spalle. E dire che credevo di aver già fatto una simile esperienza in passato, talmente tante volte da aver perso il conto ormai. Il mio cervello cerca di rievocarle per fingere di essere abituato alla situazione.

Harry torna a casa ubriaca fradicia e in lacrime. La terza volta nel giro di un mese. Mamma strilla, è fuori di sé, le dà uno schiaffo, la insulta, scoppia in un pianto isterico. Sono in piedi sulla soglia della mia camera, la porta è appena aperta, non oso palesare la mia presenza. Oh, Harry. Perché? Perché non impari mai? Ti odio. Ma ti voglio così tanto bene. Anche se mi sono sempre preso cura di te nonostante fossi tu la sorella maggiore. Anche se non mi hai mai ringraziato. Non una volta.

Ho la vista annebbiata e il mio battito cardiaco è a dir poco irregolare. Ho bisogno di un dottore. Ah ah, davvero divertente. Mi domando come mi descriverebbe un osservatore occasionale se ora mi vedesse. Pietrificato, terrorizzato, in preda a un tremore incontrollabile. Annientato sarebbe il termine più adatto. Anzi, pensandoci, lui saprebbe trovare le parole perfette.

Voglio morire. Strapparmi il cuore e donarlo all’uomo – al cadavere – steso sul tavolo operatorio. Come se potessi salvarlo. Non è giusto. Non è giusto! Nessuno mi aveva preparato a questo. Negli ultimi mesi ne ho visti morire tanti, troppi. Ma ora è diverso, perché lui è il primo. Il mio primo morto. Ferita multipla d’arma da fuoco al torace e al ventre, emorragia, arresto cardiaco. E io non sono riuscito a salvarlo. No, grazie tante, non so cosa farmene della mano che mi stringe la spalla con fare incoraggiante. E non osate dirmi che non posso salvarli tutti, perché, dannazione, lo so. Fa male comunque.

Poco fa la mia mano destra è corsa immediatamente alla bocca ed è rimasta lì mentre cercavo di realizzare tutto. Ora, lentamente, lascio che il braccio ricada inerte lungo il fianco. E alla fine trovo il modo di aggirare questo maledetto nodo alla gola che ha mascherato l’istinto di gridare.
«Sh-Sherlock...»
È ancora vivo. Che Dio mi aiuti, è proprio qui davanti a me.

Non posso crederci, non sta succedendo, non è reale. I miei sensi mi stanno ingannando. Non ho sentito il tonfo sordo e anomalo di un corpo che precipita sull’implacabile asfalto. Non ho visto il sangue. Tutto quel sangue cremisi ha formato una pozza, si sta lentamente seccando, resterà lì sul marciapiede come un costante monito. Ma non c’è, non esiste. Eppure dev’essere vero. Altrimenti per quale motivo starei piangendo? Non appartiene forse a me il gemito soffocato che riecheggia ovunque? Sherlock, Sherlock, Sherlock. Me lo stanno portando via, non voglio.

«Vattene.»
Nell’esatto momento in cui pronuncio a fatica quell’unica parola mi sento morire. Eppure è esattamente ciò che avevo bisogno di dirgli. Lui non reagisce, è una fredda statua di marmo, la sua mente è altrove. Ma forse... Forse c’è qualcosa nel suo sguardo. Una luce che ben pochi hanno visto nei suoi occhi.
«Ho detto vattene, Sherlock!» Esclamo ferito. Il tono di voce insolitamente rauco rende ancora meglio l’idea del mio attuale stato d’animo. Non sono pronto per tutto questo.
Finalmente ottengo una reazione: Sherlock fa un lieve passo avanti e mi fissa. Ho sbagliato, gridano le sue iridi chiare e imperscrutabili. Ho sbagliato, ma tu perdonami.
Solo che non posso. Quindi gli sbatto la porta in faccia e me ne vado io.

  
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