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Autore: kiara_star    29/08/2012    4 recensioni
~ Raccontami, che cosa ti è accaduto sulla Terra che ti ha reso così fragile!? Non sarà stata quella donna!?
Oh, è cosi... Allora, magari, quando avremo finito qui, andrò a farle visita di persona! ~
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"Quando quella mattina Jane aveva chiuso la porta nell’uscire di casa, non si sarebbe mai immaginata che la sera si sarebbe ritrovata contro quella stessa porta in lacrime, con le ginocchia rannicchiate contro il petto e un’inquietudine annebbiante a scorrerle nelle vene "
[post-Thor; pre-The Avengers]
[uso lieve di violenza psicologica]
Genere: Angst, Dark, Suspence | Stato: completa
Tipo di coppia: Nessuna | Personaggi: Jane Foster, Loki
Note: Missing Moments | Avvertimenti: nessuno
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Storia ambientata a cavallo fra Thor e The Avengers.
Il personaggio di Jane è stato trattato molto blandamente nel film, quindi mi sono presa qualche licenza poetica, mentre ho cercato di mantenere Loki quanto più possibile IC.
Perdonate qualche classico cliché in cui sono conscia di essere incappata, ma semplicemente mi andava di inserirlo.
No romanticismo; no pairing.
Spero vi piaccia e se così fosse, ma anche nel caso contrario, un commentino mi farebbe felice.
Kiss Kiss Chiara

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Gelida promessa


Quando quella mattina Jane aveva chiuso la porta nell’uscire di casa, non si sarebbe mai immaginata che la sera si sarebbe ritrovata contro quella stessa porta in lacrime, con le ginocchia rannicchiate contro il petto e un’inquietudine annebbiante a scorrerle nelle vene.



What happened to you on Earth that turned you so soft? Don't tell me it was that woman?!...




Aveva appena spento il computer quando poggiò gli occhiali sulla scrivania, sulla quale Darcy aveva lasciato una busta contenente un hamburger. “Così eviterai di cucinare” risaltava l’ inchiostro blu sul bianco della carta.
Quella logorroica combinaguai era sempre così inaspettatamente premurosa. Da quando Eric se n'era andato per lavorare su quel progetto ultrasegreto, Jane si era sentita piuttosto sola, soprattutto quando si era trasferita in un'altra città per continuare le sue ricerche. Il fatto che Darcy fosse rimasta con lei un po' la rincuorava, in fondo non aveva un grande numero di amici, diciamo pure che non ne aveva praticamente nessuno.
Si ritrovò a sorridere aprendo l'incarto e annusando appena l’invitante aroma che ne scaturiva. L’orologio riportava l’ 1.16 del mattino e forse poteva anche tornarsene a casa. Accartocciò la busta e agguantata la giacca che sostava sulla sedia, uscì dirigendosi verso l’ascensore. Quando le porte si chiusero però un brivido le attraversò la schiena, e sebbene fosse completamente sola, le venne naturale guardarsi attorno; le pareti metalliche, il pannello con il numero dei piani che si illuminavano in maniera decrescente, l'odore stantio che si insidiava nelle sue narici. Scosse il capo dando la colpa di quella paranoia alla stanchezza causata dall’orario e all’enorme quantità di lavoro che si era volontariamente caricata sulle spalle. In fondo erano giorni che dormiva sì e no un paio di ore per notte.
Giunta nel garage sotterraneo si diresse verso il pick up e, sarà stata ancora la stanchezza, riavvertì quel brivido. Ma adesso c’era la possibilità che ci fosse qualcun altro.
«Chi c’è?» udì la sua voce riecheggiare nello spiazzo senza ricevere risposta. Girò velocemente con gli occhi nell'intero piazzale di cemento totalmente vuoto, riuscendo solo a scorgere un gatto che saltava agile su di un muretto. Darcy aveva ragione, doveva smetterla di fare quegli orari assurdi. Velocizzò il passo e in fretta salì in auto accendendo il motore, e piano piano una sensazione di mera sicurezza le attraversò il corpo.

Le strade erano isolate e di tanto in tanto qualche macchina le sfrecciava accanto con la musica sparata a tutto volume. Provò una certa invidia, in fondo anche lei avrebbe voluto essere capace di dimenticare lavoro e teorie e buttarsi in un po’ di svago. Ma non era nella sua natura. Per qualche malsana motivazione che ancora non conosceva, lo svilirsi fino al limite per inseguire quelle che per alcuni erano folli fantasie, era troppo importante.
Arrivata davanti al palazzo in cui abitava, parcheggiò in strada abbastanza felice di aver trovato il suo solito posto libero e si affrettò ad aprire il portone. L’odore acre che l'accolse appena entrò le fece storcere il naso: quel dannato David stava di nuovo fumando erba fregandosene bellamente degli altri condomini. Non che a lei importasse più di tanto, ma accanto a lui viveva Margaret ed i suoi due bambini. Un minimo di tatto sarebbe stato gradito.
Scosse la testa amaramente e salì presto le scale di legno che scricchiolarono fastidiose ad ogni passo. Voleva arrivare il prima possibile in casa, farsi un bagno e poi buttarsi sul divano a ingurgitare l’hamburger freddo di Darcy, magari davanti ad un film.
Non appena si chiuse la porta alle spalle si affrettò ad accendere la luce, ma con sommo stupore rimase al buio. Riprovò più volte senza successo.
«Ma che diavolo succede?» Si interrogò da sola quando per l’ennesima volta il click sul tasto non portò a nulla. Era anche tardi e non poteva disturbare nessuno affinché desse un’occhiata al suo impianto. Prese quindi il cellulare e decise di usarlo come una torcia. Purtroppo la luce non era delle migliori e riuscì solo a barcollare cautamente fino al cassetto della cucina in cui teneva le candele. Per le cene romantiche, si era detta quando le aveva acquistate, anche se da allora erano rimaste intatte lì, e non certo per colpa sua. Ma pensare a Thor ed al perché non si fosse ancora fatto vivo, era di certo inutile. Quando avrebbe trovato un modo per rintracciarlo -perché ovviamente ci sarebbe riuscita- prima di soffocarlo di baci, lo avrebbe adeguatamente rimproverato per tutti quei mesi di silenzio. Ma adesso aveva tutt’altra priorità. Riuscì a giungere a destinazione ed accese la prima candela. La posizionò su una mensola e ne accese altre che sparse un po’ in giro per tutta la casa.
«Beh.. alquanto suggestivo» si ritrovò a sospirare quando l’intera casa fu avvolta dal bagliore instabile delle varie fiammelle.
Poi un leggero soffio al suo orecchio e d’istinto si voltò.
Non c’era nessuno.
Maledizione, ci mancava solo la paranoia in quel momento! Inghiottì con poca convinzione obbligandosi a non cedere ad alcuno dei meccanismi che scattano nella testa delle persone quando si ritrovano in casa da sole al buio. In fondo ne aveva viste abbastanza per ritenersi un tantino più fredda della media e poi, andiamo, era una donna di scienza, sebbene avesse sprecato l’ultimo periodo alla ricerca di una specie di arcobaleno....
«È solo la tua immaginazione Jane» si fece forza con le sue parole, ma quanto si diresse verso il bagno un'ombra veloce le attraversò il campo visivo e, cavolo, stavolta era certa di aver visto qualcosa. Il suo cuore saltò un battito e si ritrovò a spingersi con le spalle contro il mobile del soggiorno.
Forse non era più solo la sua immaginazione, forse c’era davvero qualcuno in casa. Eppure quando aveva posizionato le candele non aveva notato nulla di strano, ma ora... un ladro? Un maniaco?
Prima di allarmarsi e farsi prendere dal panico, scivolò nuovamente in cucina tenendo le spalle incollata a qualcosa, fosse un mobile ad una parete scarna. Arrivò al ceppo di legno sul piano d'acciaio ed estrasse un coltello di media lunghezza. Non aveva abbastanza visuale, ma se ci fosse stato qualcuno lì, lei lo avrebbe di certo affrontato. Tirò fuori dalla tasca dei jeans il cellulare, ma quando provò a comporre il primo numero di emergenza, l’apparecchio si spense. Adesso ci si metteva pure la batteria!?
Fece un’ estrema fatica a rimetterlo a posto perché le dita iniziarono a tremare fastidiosamente.
Il battito del suo cuore accelerò nuovamente e si fece forza per non far risuonare troppo il suo respiro affannato nella stanza. La cucina era illuminata decentemente e non c’era nulla che non andasse.
Il corridoio e l’ingresso erano vuoti ed anche il soggiorno pareva completamente deserto.
Mancavano il bagno e la camera da letto.
Strinse gli occhi qualche secondo, forse a convincersi che era solo un brutto sogno, ma quando li riaprì si ritrovò immersa nella stessa luce arancione in cui era prima. Mille ombre sulle pareti che si muovevano al ritmo della fiamma delle candele. Forse anche quella di prima era stata un' ombra fasulla e lei l’aveva solo percepita male... Doveva assolutamente controllare.
Prese qualche lungo respiro e si decise a staccarsi dalla parete. Il coltello tenuto stretto nella mano destra e la sinistra che si appoggiava piano ad ogni superficie che incontrava.
Nel silenzio assordante, solo il macabro ticchettio dell’orologio sulla parete.
Giunta davanti alla camera sentì una forte inquietudine attraversarle il corpo e spingere la porta fu più difficile del previsto. Quando lo fece, i cardini malandati emisero un rumore sgraziato degno del miglior film di paura, ma dinanzi a sé non trovò nulla che non fossero i mobili economici che aveva acquistato da poco; il letto intatto, l’armadio a tre ante scoordinato dai comodini, le tende avorio... Diede uno sguardo attento in giro, ed assicuratasi che non ci fosse nulla di preoccupante, arretrò dirigendosi in bagno.
Stupida paranoica, sentì risuonare nella sua testa, ma il suo cuore non aveva smesso di battere forte e la bocca era completamente asciutta.
Percorse il corridoio sentendo il palmo che reggeva la lama totalmente madido di sudore e scosse piano la testa come a scacciare vie le comprensibili paure che le affollavano la mente ed il corpo. Stava per svoltare l’angolo quando d’un tratto l’appartamento fu illuminato a giorno. Sussultò appena e si voltò attorno sbattendo le palpebre: doveva essere saltato qualcosa prima e adesso era tornata la luce. Si sentì rincuorata ed aprì la porta constatato che non c’era nulla, solo il bianco della ceramica.
Tutta quella paura per niente...
Sospirò sentendosi un po’ stupida e si avvicinò al lavabo. Poggiate entrambe le mani sulla porcellana del servizio, sorrise al riflesso davanti a sé.
«Basta fare questi orari» si comandò aprendo l'acqua. Era davvero troppo stressata ed aveva assoluto bisogno di un po’ di riposo, magari poteva prendersi qualche giorno che di certo non avrebbe nuociuto al suo lavoro. Quando lo avrebbe raccontato a Darcy era sicura che l'amica le avrebbe sospirato sarcastica qualcosa sul fare più sesso e meno ricerche, e non poté che sorridere a quel pensiero.
Chiuse il rubinetto asciugandosi le mani, ma quando sollevò lo sguardo allo specchio per poco il cuore non le saltò in gola.
«Salve dottoressa Foster.» Una figura alta, capelli corvini, occhi aguzzi e un sorriso serafico a piegargli le labbra.
Si lasciò sfuggire un gridò e si voltò di gettò per ritrovarsi di fronte l’uomo che aveva visto apparire accanto al suo riflesso. Il respiro divenne irregolare ed il cuore iniziò a martellarle forte nelle tempie. «Non si agiti, non voglio farle del male.» Fissò le sue labbra pronunciare quelle parole senza davvero udirle. Saettò con gli occhi alla sua sinistra e afferrò velocemente il coltello che aveva posato pocanzi. «Andiamo, non sia stupida.» In meno di un secondo il coltello le sfuggì dalla mano piantandosi in quella dell’uomo. Poi con un gesto lo fece svanire nel nulla.
Jane scosse la testa inconsciamente mentre aveva solo voglia di urlare un nome. Di chiamarlo a gran voce e sperare che lui arrivasse all’istante.
«T-tu... chi sei?» ansimò con un filo di voce. Non era umano, di questo ormai ne era certa.
Non era stato per il coltello ed il modo in cui l'aveva fatto sparire, né per i vestiti insoliti che indossava. No, tutto di quell’uomo non era umano. La sua pelle pallida, quello sguardo destabilizzante, la stessa aura che emana non era umana. In qualche modo che trovò assolutamente sbagliato, troppo simile a quella di Thor.
Lo vide fare qualche passo e distruggere la distanza che li separava ed il suo petto iniziò ad abbassarsi ed alzarsi ancora più velocemente.
«Io sono Loki.» Quel nome le fece sgranare gli occhi, e nei brevi attimi che seguirono, nella sua mente ritornò Thor, le sue parole, quelle di Eric. Tornarono le immagini sui libri che le aveva mostrato. Rivisse in pochi frammenti di secondo, quel giorno di distruzione in New Mexico.
«Tu sei,» inghiottì appena «il fratello di Thor?»
L’uomo scosse il capo abbassando la testa con fare annoiato, o almeno così lo percepì Jane.
«Ancora con questa storia» pareva averlo sospirato più a sé stesso che a lei.
«Io credevo che... » Quegli occhi glaciali la trafissero ancora e lei sussultò.
Era questo l’uomo che aveva ingannato e tradito il fratello senza un minimo di rimorso? Che aveva mandato un mostro a distruggere la Terra solo per poter essere sicuro che lui non facesse più ritorno a casa?
Eric le disse un giorno che le antiche civiltà lo chiamavano il Dio delle malefatte, il Dio degli inganni...
«È stato divertente vederti gironzolare nell’oscurità... Spero vorrai perdonare il mio piccolo capriccio» ridacchiò lui provocando nella ragazza un feroce brivido lungo tutta la spina dorsale.
«Tu mi hai seguito?» più che una domanda era un’affermazione. Il sorriso che gli si dipinse sul viso le confermò quello che pensava. Altro che paranoia e stanchezza! Ogni stranezza di quella notte aveva una spiegazione, anche se era la più folle di tutte.
D’un tratto lo vide voltarsi e dirigersi lentamente verso il soggiorno. Avrebbe dovuto andargli dietro e colpirlo alle spalle, magari con la prima cosa che si trovava fra le mani, ma le sue gambe non riuscivano proprio a muoversi. Paralizzate più che dalla paura, dall’ignoto che sentiva di stare affrontando, da quell’unica certezza che qualunque cosa avesse fatto, non sarebbe riuscita a scalfire quell'uomo in alcun modo.
«Jane, ti ho detto che non voglio farti del male.» Il suo viso riportava un’espressione falsamente gentile mentre le porgeva la pallida mano come per invitarla a seguirlo. Non seppe di preciso in che modo, ma lo seguì fin dentro il soggiorno dove lo vide sedersi elegantemente sul suo divano. «Lo so che i miei modi sono un tantino difficili da comprendere per una mortale, ma volevo solo conoscerti.» Era strano come il tono cortese e il sorriso gentile stonassero con quello sguardo glaciale, che palesava senza troppi problemi la sufficienza con cui le si stava rivolgendo. «Perdonami se ti ho spaventato... forse mi sono presentato nel modo sbagliato.» Fece un cenno impercettibile con il capo per completare quelle scuse palesemente fasulle.
Per tutta la durata di quel breve monologo la dottoressa era rimasta ferma sulla soglia della camera fissandolo silente, senza riuscire a nascondere la sua diffidenza. Una parte di lei trovò desolante come, a parte la sensazione che aveva provato prima, quell’uomo non avesse la benché minima somiglianza con Thor. Eppure erano fratelli.
«In effetti spiare e terrorizzare a morte qualcuno non è il modo migliore per presentarsi!» Lo vide ridacchiare alle sue parole e in modo incomprensibile parve sciogliersi lentamente. In quel momento non c’era nulla che potesse davvero fare. Gli aveva detto che non voleva farle del male, ed il modo in cui si stava comportato in quel momento pareva confermare le sue parole, benché Jane non potesse dimenticare chi fosse l’uomo davanti a lei né il male che aveva causato.
Avvertì la gola farsi più secca.
«Io..i-io ho bisogno di bere qualcosa» biascicò sommessamente e, senza chiedersi se fosse la cosa giusta, svoltò nella cucina aprendo subito dopo l’anta del frigo. Buttò giù un sorso di acqua ghiacciata direttamente dalla bottiglia sentendo arrivare il freddo fino alle tempie.
Quella situazione era assurda!
Quando chiuse il frigo sussultò nel trovarsi la figura del dio nuovamente davanti.
«Oddio!» la sua stessa voce le risuonò stridula mentre la bottiglia le sfuggiva dalle mani andando a riversarsi sul pavimento.
«Perdonami, ti ho spaventato?» Più falso di quelle parole c’era solo il tono con cui le aveva pronunciate, come se lei non avesse capito che si stava perversamente divertendo a vederla saltare dal terrore ogni due per tre.
Era davvero troppo.
«Che diavolo vuoi da me... Loki?» cercò di mostrargli il suo lato più sicuro, ma non riuscì a non inghiottire nel pronunciare il suo nome. Nella testa aveva solo voglia di urlare come una ragazzina per far sì che qualcuno corresse a darle una mano.
«Te l’ho detto, volevo solo conoscerti » sentenziò lui e Jane scosse la testa scettica. Dèi, leggende, faide tra fratelli... Era stanca di tutto questo. Per la prima volta, il pensiero che incontrare Thor fosse stata la cosa peggiore che le poteva capitare la sfiorò appena, facendola subito sentire più debole.
No, non avrebbe permesso a quel Loki di rovinare l’unica cosa che gli restava attualmente di lui, il suo ricordo.
«Ok, mi hai conosciuto,» lo sorpassò con veloci falcate andando verso la porta d'ingresso «Ora se non ti dispiace...» l’aprì mostrandogli l’uscita con una mano non senza provare pena per sé stessa, come se fosse stato possibile liberarsi di lui in maniera così semplice. Difatti, non lo fu.
«Mia piccola Jane... non si caccia un ospite in modo così scortese. Non insegnano le buone maniere qui su Midgard?!» Era irritante in modo assurdo. Il suo ghigno, il tono di sufficienza, la sua sola presenza.
«Uno che si infila di nascosto in casa altrui non è un ospite, semmai è un maniaco o un ladro, e questa sarebbe in ogni caso violazione di proprietà privata!» lo sentì ridacchiare e strinse più forte la maniglia di ottone. Che diavolo doveva fare per togliersi da quella situazione?! «Te lo dico per l’ultima volta, esci da casa mia, oppure...» una risata fragorosa proruppe dalla gola dell’uomo facendola rabbrividire.
«Oppure cosa? Mi infilzi con un coltello? Inizi ad urlare?» ghignò lui teatralmente. Poi tornò serio e con movimento appena accennato della mano fece richiudere la porta con un tonfo secco. Jane non riuscì a trattenere un sussulto. «O magari, pensi di chiamare Thor?» il tono di voce si abbassò e lei inghiottì davanti a quello sguardo. C'era un qualcosa di spaventoso in quelle iridi, qualcosa che spaziava dalla semplice follia ad una più sottile e ragionata cattiveria. «Mi basta un semplice gesto per staccare di netto la tua piccola testa e fidati quando dico che trarrei una gioia immensa nel farlo, ma ti dirò di più, cara la mia dottoressa...» scandì esasperante le ultime parole e lentamente le si avvicinò finché non ci fu solo una decina di centimetri a dividerli. Il viso di Jane era una maschera di puro terrore. «Il tuo caro Thor non può più giungere da te... Grazie alla sua incommensurabile stupidità, ha distrutto per sempre l’unico modo per poter viaggiare fino alla Terra e quindi... mi addolora dirti che non lo rivedrai mai più.» L'ultima frase gliela soffiò all’orecchio e la donna pregò che le sue ginocchia non la tradissero.
Cosa stava farneticando? Era il Dio degli inganni, giusto? Allora perché credergli! Le sue minacce potevano anche terrorizzarla ma non avrebbe mai creduto che Thor non sarebbe più tornato. Glielo aveva promesso e lei gli credeva, e poi se Loki si trovava sulla Terra, perché Thor non poteva più...
Avvertì il suo ultimo pensiero carpito da quegli occhi chiari e lo vide ghignare.
«Oh, lo so cosa pensi, ma vedi, io ho altre risorse... Non ho bisogno di un inutile e pacchiano portale per andare dove voglio... e fare, quello che più mi aggrada.»
Se c’era un momento giusto per mettersi a piangere, Jane pensò che fosse quello.
Le poteva sentire tutte, le lacrime che le si erano fermate alla base degli occhi, o ancora più in profondità. Perché le parole di quell’uomo erano come veleno, ti si versavano addosso lentamente e con atroce freddezza ti uccidevano piano piano.
«Tu menti» si ritrovò a sorridere scuotendo la testa inconsciamente, forse preda di una disperazione che per qualche strano motivo ancora non l'aveva fatta crollare sulle sue stesse ginocchia
«Il più delle volte sì, ma adesso credimi, ora sono totalmente sincero.» Lo vide inumidirsi appena le labbra prima di regalarle un sorriso solo denti che fosse stato possibile, era più agghiacciante di qualunque altra parola potesse sospirare.
«Cosa vuoi da me?» tutta la forza che aveva cercato dentro di lei sfiorì non appena sentì le guance bagnarsi, e si morse inconsciamente il labbro inferiore per non iniziare a singhiozzare come una bambina. Non gli avrebbe dato altre soddisfazioni, perché mostrarsi in lacrime davanti ai suoi cattivi tranelli, per lei era già stata una sconfitta. Lui la guardò divertito e Jane poté percepire il senso di goduria che gli stava attraversando il corpo. Quell’uomo provava un palese gusto perverso nelle sofferenze degli altri, soprattutto se ne era lui la causa. Come potevano lui e Thor avere lo stesso sangue? Come poteva il cuore gentile di uno, essere affiancato all’animo nero dell’altro?
«Cosa voglio? Ora più nulla.» Loki arretrò di qualche passo, forse per meglio mirare la vista di lei completamente tremante che lo guardava con occhi carichi di salato odio. «Anzi, se volessi scusarmi, ho un genocidio impellente che necessita della mia presenza.» Jane rimase immobile mentre lui faceva un lento movimento della mano. «È stato un piacere conoscerti, Jane... Sono certo che ci rivedremo.» Pochi secondi dopo, il sorriso sinistro sparì dalla sua vista insieme all’uomo e alla sua inquietante aura, e Jane si ritrovò a scivolare con le spalle alla porta. Si portò la mano tremante sulla bocca e i singhiozzi iniziarono a susseguirsi con foga uno dietro l’altro; le braccia strette contro le ginocchia e nella testa un'orgia di domande e paure che non parevano avere risposte accettabili. Nel cuore si faceva largo la dolorosa ipotesi che quel pazzo sadico avesse ragione: lei non avrebbe mai più rivisto Thor.


Rimase immobile per quelle che sembrarono ore, mentre il suo cuore non aveva smesso di martellare impazzito per un solo istante. Quando il suo cellulare squillò ci impiegò qualche attimo prima di tirarlo fuori dalla tasca e fosse stata più lucida, si sarebbe chiesta come fosse possibile che si fosse accesso e avesse ripreso a funzionare da solo. Si sarebbe accorta che l’orario sul display testimoniava che era passata solo una decina di minuti da quando lui se n’era andato.
Inghiottì il cumulo di lacrime che le si era riversato in gola e rispose senza convinzione alla voce dall’altra parte. Ascoltava assente le parole che le giungevano all'orecchio riuscendo a percepire solo parte di esse.
«...Dottoressa Foster, purtroppo non abbiamo potuto tenere conto del fuso orario e aspettare che da lei fosse mattina, in quanto c’è una situazione urgente che ci preme risolvere, spero vorrà perdonarci...» La voce continuò a parlare ma Jane riuscì solo a cogliere quella che sembrava una proposta di lavoro come consulente chissà dove. Lo striminzito "d’accordo" che sospirò, non credeva neanche di essere stata lei a pronunciarlo.
Quando premette il tasto per chiudere la chiamata, il cellulare cadde a terra con un tintinnio metallico e Jane si ritrovò nuovamente in lacrime.
Riusciva ancora ad udirla quella risata cattiva risuonarle nella testa e senza che riuscisse a scacciarla, la terrificante sensazione di avere ancora addosso il suo sguardo gelido, le stava letteralmente bloccando il respiro.




Maybe, when we're finished here, I'll pay her a visit myself.












  
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