Fanfic su artisti musicali > 30 Seconds to Mars
Segui la storia  |       
Autore: Ronnie02    29/08/2012    5 recensioni
I fratelli Leto hanno paura dell'amore, ormai è chiaro. Ma se fosse per precedenti e struggenti esperienze? Chi sono le ragazze che li hanno incantati? Che cosa è successo?
E se tornassero nella loro vita, riportando quella brama di desiderio puro in loro, invece che solita voglia di una botta e via?
Spero di avervi incuriosito!
Genere: Romantico | Stato: completa
Tipo di coppia: non specificato | Personaggi: Jared Leto, Nuovo personaggio, Un po' tutti
Note: What if? | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
 <<    >>
- Questa storia fa parte della serie 'One Day Maybe We'll Meet Again'
Per recensire esegui il login o registrati.
Dimensione del testo A A A

SALVE GENTEEEEE! Ok, sono in ritardo di qualche ora ma perdonatemi ;)

Dopodomani si parte, ma keep calm, resto via solo per il week-end. Destinazione... *rullo di tamburiiiii* BUDAPEST! In bus... AIUTO!

Anyway, passiamo alle cose "serie"... ecco il capitolo xD Le cose davvero importanti ve le dico in fondo, per quanto riguarda il "dopo" di questa storia. Per ora godetevi il capitolo.. il penultimo senza contare l'epilogo *piange disperata*

Ok, buona lettura ;)





Capitolo 38. Rebirth. Again

 





Ronnie
 
New York. In un certo senso era come ritornare a casa.
Dopo quasi quattro mesi dalla primissima tappa di Seattle, ovvero da quando era cominciato il tour, ero arrivata nella città che mi aveva accolta per anni, prima che incontrassi Solon.
Andy mi aveva pregata di fare mille e mille foto, sempre con la macchina fotografica professionale che quasi un anno prima mi aveva regalato quel pazzo del mio migliore amico.
L’avrei rivista ad Agosto, quando lei avrebbe quasi finito il film, dopo fin troppe registrazioni, e io avrei fatto tappa a Londra. Non vedevo l’ora.
“Io amo questa città!”, commentò Jared quando scese dall’aereo, guardando amorevolmente tutti gli edifici al di fuori dell’aeroporto. Appena fummo fuori, Jared chiamò un taxi e ci dirigemmo svelti verso l’hotel che Solon ci aveva prenotato. Per questo tour, essendo di poche tappe e abbastanza lontane fra loro, Solon aveva evitato il tour bus, almeno in America, così invece di dormire in scomodo letti senza un minimo di privacy, potevamo avere una stanza tutta a nostra completa disposizione.
“Sai, mi mancava la cara e vecchia New York”, dissi appena ci trovammo di fronte all’hotel. Ovviamente era uno di quelli super lussuosi che avrebbero ucciso pur di essere a disposizione di non uno, ma ben due superstar in visita. Sinceramente avrei preferito il mio piccolo appartamento condiviso con Andy che dava su Central Park West.
“La Signora in Grigio ha sempre il suo fascino”, ridacchiò. La signorina alla hall ci sorride, dandoci la camera numero 209. Di nuovo quel numero… era anche la camera di Lucy.
Jared per tutta risposta scoppiò a ridere, chiedendo alla ragazza se non lo stesse prendendo in giro. Lei prese la domanda come una superbia da vip e lo lasciò perdere. Al posto suo, mi feci dare le chiavi e lo trascinai nell’ascensore, sperando che smettesse di ridere.
“Ma si può sapere cos’hai?”, chiesi io, guardando l’ora. Le undici e due minuti.
“Niente, niente. Solo coincidenze”, disse sbirciando l’orologio del mio iPhone. “Uh, meno di un’ora. Preparati, domani sei tutta mia”.
“Dovrei avere paura?”, domandai non appena le porta si aprirono e cominciai a cercare la stanza. Non era lontana e la trovai abbastanza in fretta.
Infilai le chiavi e girai la serratura. “No… credo”, sorrise malandrino lui, facendomi venire qualche dubbio.
“Non so perché ma non ti credo, sai?”, ridacchiai entrando nella stanza. Era… enorme. Perché Solon pagava per queste camere quando sapeva che amavo le cose semplici e tranquille?
Non ha bisogno di lussi, lei è lei. Semplice anche nel suo nome, aveva detto Jared. Lo stesso Jared che forse ci aveva messo lo zampino…
“Forza, dormi, che domani sarà una giornata davvero speciale”, mi disse baciandomi la carne dietro l’orecchio, facendomi sentire dei brividi che da quel giorno erano davvero rari.
“Perché? Sarà l’ennesima prova che sto invecchiando, mentre tu con qualche misterioso gene del tuo stronzo dna, rimani sempre il solito gran figo”, misi il broncio, buttandomi sul letto, stanca del viaggio.
Vidi i suoi occhi balzare dai miei capelli, sparsi come fiumi concentrici di sangue, alla mia maglietta rialzata di qualche centimetro, mostrando la pancia orribilmente piatta.
“Tu rimarrai sempre stupenda. E Dio, se amo i tuoi capelli”, disse ridendo e sdraiandosi di fianco a me, cominciando a giocare con i boccoli. Non avevo idea del perché quelle curve potessero farlo eccitare così tanto, ma era sempre successo.
“Sempre il solito spara complimenti a raffica”, risposi aggrappandomi alle sue spalle, mentre lui mi abbracciava mettendo una mano alla fine della mia schiena e spingendomi verso di lui.
“Certe bellezze vanno apprezzate”, ridacchiò lui, baciandomi dolce sulla fronte, fino a che, davvero stanca, non cascai tra le braccia di un dio chiamato Morfeo.
La mattina dopo, però, non ero di certo messa meglio. Anche se il sole batteva forte e caldo sui miei occhi, non volevo svegliarmi. Era stata una bella nottata: Jared non mi aveva mollata un solo secondo e il calore del suo corpo era la medicina a qualsiasi cosa.
“So che il tuo cervellino si è svegliato e sta producendo pensieri”, esordì Jared, mentre sentivo una mano carezzarmi la guancia. “E’ il gran giorno, piccola. Forza, apri quegli occhi”.
Mugugnai, provando a girarmi dall’altro lato, ma sentii il suo corpo stringermi quasi in una morsa. Mugugnai più forte e per lo meno riuscii a voltarmi con la testa.
“Io ho passato i qu… ok, ora vado deciso”, si prese in giro da solo mentre io sorridevo, lontano dalla sua vista. “Io sono riuscito a superare il giorno dei miei qua… quaran… senti, gli anni che ho, quindi tu muovi il tuo bel culetto e ti svegli, affrontando i trenta!”.
“Odio i trenta”, brontolai con le labbra contro la stoffa del cuscino.
“E io odio i quaranta. Ecco, bene, l’ho detto: io ho qua… ok, no, non ci riesco”, continuò facendomi scoppiare a ridere. Lo stava facendo apposta, solo per me… forse.
Mi voltai con il sorriso e guardai quei tanto amati occhi color del cielo estivo. Lui fece un sorriso sghembo, mi spettinò un po’ i capelli, lasciando che io muovessi i suoi.
Aveva di nuovo cambiato acconciatura: erano lunghi e alzati come quando aveva girato Kings And Queens, ma con la sola differenza che ai lati erano un po’ più corti. Era una mezza cresta. A volte vorrei rifarmi la Pomawk, molte persone vogliono che ritorni lo stile Pomawk… ma ormai è passato. L’ho già sperimentato. Quindi vediamo di mescolare la cosa, si era giustificato al ritorno dal parrucchiere. Avevo scosso la testa, ridendo, e l’avevo lasciato fare.
Per me sarebbe stato bene anche con i capelli arancioni!
“Ti aspettano tante sorprese oggi, sai?”, mi disse cercando di convincermi a svegliarmi. E maledizione, lo sapeva che io odiavo le sorprese!
“Va bene, va bene, mi alzo”, cedetti mentre lui scattava in piedi e prendeva… no, non era possibile.
“Mi dispiace, ti tocca”, mi sorrise porgendomi un vassoio sul quale, in bella vista, c’era di tutto. Dalle brioches al cioccolato al cappuccino, allo yogurt alla fragola al succo di frutta alla mela verde.
“Wow… ma che combinazioni sono, Jay?”, lo presi in giro mentre si sedeva accanto a me e mi dava un bacio sulla guancia.
“Mangia!”, mi ordinò mentre, senza che me lo dicesse lui, ingoiai un pezzetto di brioche, evitando di sporcarmi tutta di cioccolato. Una volta avevo combinato un disastro, in aeroporto, prima di partire per un viaggio lungo molte ore. Non mi ero mai sentita così stupida!
Poi bevvi il cappuccino, mentre lui andava a cambiarsi e prendere dei vestiti anche per me: un nuovo vestito color prugna, dalle spalline leggere, stretto sotto il seno e con balze libere fino a metà coscia.
“Ti piace?”, chiese guardandolo un po’ male, non convinto.
“Non l’hai preso tu, vero?”, risposi io, mandando al diavolo la regola non si risponde ad una domanda con una domanda.
“No… in realtà questo è il regalo da Constance”, sussurrò quasi incerto se dirmelo o meno.
“Bè… è un genio”, lo tranquillizzai facendolo venire verso di me e porgendomi la stoffa. Era assolutamente ben fatto. Certo, il colore non era dei miei preferiti, ma non potevo avere sempre vestiti uguali, era perfetto! “Mi piace un sacco! Adoro i modelli così!”.
“Fiù! Meno male, o mamma mi uccideva”, disse passandosi comicamente una mano sulla fronte. “Non faceva che ripetere: oh, ma sarà un regalo troppo banale, oh ma poi cosa dirà, oh ma per Ronnie queste cose non vanno bene. E’ stato tragico convincerla che doveva stare calma”.
“Dille che è perfetto. Sul serio, è bellissimo”, sorrisi bevendo il succo, per poi infine passare allo yogurt. Erano una bella colazione sostanziosa, ma andava bene, visto che come sempre non mangiavo dal pranzo del giorno prima. In più la sera dopo ci sarebbe stato lo show newyorkese e volevo essere pronta al cento per cento.
“Bene, perché questo è solo l’inizio”, sorrise malefico Jared, portandomi via il vassoio appena ebbi finito e sdraiandosi su di me, sopra le coperte. Mi baciò dolce, per un primo momento, ma appena cercai di andare sul passionale si fermò, come a ricordarsi che avevamo da fare.
“Che…?”.
“Non c’è divertimento se parti dalla fine”, mi precisò. Mmm… quindi la fine prevedeva qualcosa di simile? Bene, bene. Molto bene.
Alla fine fui costretta ad alzarmi dal letto, così corsi in bagno, mi feci una doccia superveloce, mi legai i ricci in una coda alta e poi mi misi il vestito di Constance. Mi stava che era una meraviglia, se non fosse che stonava un po’ con i capelli. Rimediai mettendomi delle ballerine rosso fuoco.
“Sei stupenda”, mi sussurrò Jared all’orecchio, facendomi diventare dello stesso colore del mio vestito. Mi sentivo tanto quattordicenne quando arrossivo per colpa di Jared.
E invece quel giorno ne compivo trenta… oddio.
“Prima tappa?”, chiesi quando uscimmo dall’hotel, ritrovandoci nel bel mezzo della monotona vita newyorkese.
“Sorpresa”, mi sorrise, baciandomi dietro l’orecchio.
 
Era un idiota quell’uomo.
No, sul serio, non poteva farmi queste cose! In tutto il giorno visitammo, non so in quale strano modo, quasi tutta New York nel suo aspetto migliore.
Secondo me, avevamo volato in un certo momento. Era fisicamente impossibile, però ci eravamo riusciti.
Ed ora quel pazzoide mi stava chiudendo gli occhi con le sue mani, guidandomi a tentoni in mezzo alla strada. Era un pazzo!
“Dai, dimmelo! Sei cattivo!”, mi lamentai cercando di mordergli la mano, ma invano visto che dentro la mia bocca sentivo solo l’aria.
“No, no, no! È una SOR. PRE. SA!”, sillabò ridendo. Facemmo ancora qualche passo, per poi fermarci del tutto. “Oh, eccoci arrivati. Ti è costato tanto aspettare?”.
“Sì”, dissi mentre mi toglieva le mani di dosso. Ma poi notai dove ci eravamo cacciati. Oh… “Mio. Dio. È…”.
“Andy e Vicky mi hanno detto dov’era. È di nuovo in vendita, possiamo entrare”, disse lui facendomi entrare nel… mio vecchio negozio di fotografia. Era così strano! Erano passati quattro anni ormai!
“Sul serio possiamo entrare? Sei totalmente sicuro di quello che fai?”, chiesi io mentre girovagavo per quello che ricordavo fossero le pareti divisorie in cartongesso su cui appendevamo le foto migliori.
Il nostro negozio era quasi una mostra di fotografia sempre aperta. E poi, alla fine, c’era il bancone della cassa, dove, come in ogni negozio, potevi pagare la foto che dovevamo fare al cliente, oppure anche acquistare uno dei nostri lavori.
“Totalmente sicuro, non ci succederà nulla”,  mi promise Jared, e così cominciai ad avere paura. Risi della mia battuta, sentendomi un po’ cattiva nei suoi confronti.
Ma non era colpa di nessuno: Jared era una di quelle persone buone come il pane che provano sempre a fare del bene, ma per qualche strana ragione sconosciuta all’umanità, ogni cosa che faceva portava a qualche guaio.
Sentii un rumore assordante e lo vidi ironicamente per terra, coperto di fogli e da mezza scrivania. “Ma che hai combinato?”, scoppiai a ridere prima di avanzare a tentoni e aiutarlo a tirarsi su.
“Inciampato!”, mugugnò lui offeso. Prese la mia mano e cercò disperatamente di tirarsi su, ma aveva la gamba incastrata in un pezzo di scrivania. Non me n’ero accorta, ma a quanto pare mentre io lo spingevo lui soffriva come un cane.
“Oddio, scusami!”, urlai mollando la mano e cercando di tirare su il mobile. Dopo qualche minuto si liberò e così gli tolsi la scarpa e cominciai a massaggiargli la caviglia. “Ma lo vedi che sei un disastro?”.
“Non sono un disastro”, fece il muso, incrociando le braccia.
“Ah giusto, sei peggio di un disastro”, completai l’insulto, lasciandogli il piede e avvicinandomi a lui.
Misi le mani fianco al suo corpo, per tenermi in equilibrio, e mi spinsi verso il suo viso. Lui fece un sorrisino sghembo e mi aiutò l’impresa prendendomi il volto fra le mani affusolate e baciandomi con quelle labbra poco piene ma tanto calde.
“Potrebbe arrivare qualcuno”, mi staccai quando sentii un rumore. Ma non era nessuno: Jared si era spostato di qualche centimetro facendo cadere qualcosa dalla scrivania.
“Smettila di pensare agli altri”, ridacchiò lui dandomi un secondo bacio a fior di labbra. Poi ci alzammo entrambi e continuammo il nostro giretto.
Quando finimmo di guardare il mio vecchio negozio uscimmo a mangiare un gelato. Ovviamente, quasi come a prendersi in giro da solo, lui lo prese al puffo. Come quella volta a Milano.
“Vorrei rifarmi i capelli blu puffo. Cosa ne pensi?”, disse mentre leccava il gelato fresco.
“Che saresti un pazzo”, lo smontai in fretta facendogli venire il broncio, di nuovo.
“Ma perché?!”, chiese ridendo, mentre si avvicinava all’entrata di un piccolo parco senza molta gente in giro. Un po’ tutti ci stavano a fissare, soprattutto quando ci sedemmo sulla panchina appiccicati, con le mie gambe intrecciate alle sue.
“Perché mi piacciono così”, risposi alla fine, mangiando il mio gelato.
“Ma così ce l’hanno tutti. È fin troppo semplice, comune… banale!”, mi spiegò lui.
“Le persone comuni o semplici non devono essere per forza banali, Jared!”, ribattei pronta. Lui stava per rispondere ma lo fermai. “E poi anche Katy Perry si è fatta i capelli blu”.
“E’ rimasta abbagliata dal fascino Leto, mi sembra ovvio”, si vantò parlandomi vicino all’orecchio, facendomi il suo respiro caldo sulla pelle.
“Ma vaffanculo!”, scoppiai a ridere mentre lui rideva con me. Era una bella giornata. Bella dopo tanto tempo.
Era il momento di ricominciare a vivere, a ridere di gusto, a guardare il sole e sapere che niente sarebbe andato storto.
Non avrei mai dimenticato, non potevo e mai ne avrei avuto la forza, ma quel piccolo che tempo prima era stato dentro di me mi aveva fatto capire cosa ne stavo facendo io della mia vita.
Ora avevo tempo di sistemare le cose con Jared, con la casa discografica, con i miei fan. Sapevo cosa volevo e cosa doveva fare. Poi sarebbe arrivato il momento di riprovarci.
Ma per ora mi bastava sapere che, a trent’anni, ero rinata. Per la terza volta. E come per la seconda, era stato solo merito di Jared.
“Grazie”, sussurrai. Poco importava che forse lo avrebbe inteso per il mio compleanno, a lui avrei donato tutti i miei grazie da qui all’eternità.
“Manca ancora l’ultima tappa”, sorrise alzandosi.
Uscimmo dal parco, sempre stretti nelle mani o abbracciati, e ci dirigemmo, con anche qualche scorta di paparazzi che ci lanciavano fastidiosi flash, verso l’albergo.
Non avevo idea di cosa avesse in mente, ma sapevo dove voleva arrivare.
Non c’è divertimento se parti dalla fine…E non vedevo l’ora di viverla quella serata!
Jared cominciò a canticchiare mentre prendevo le chiavi della stanza, sotto un sorriso abbagliante della ragazza al bancone, e camminammo verso l’ascensore.
Non smise nemmeno salendo ne mentre continuavamo verso la stanza. Smisi di ascoltarlo, sorridendo a me stessa, e aprii la porta. C’era la luce spenta e, appena accesi l’interruttore, Jared smise di cantare, facendo una faccia fiera di sé.
Oh. Mio. Dio. Come aveva fatto a…?
Tutta la stanza era decorata con rose rosse, bianche e blu – le mie preferite – e l’atmosfera era incantevole grazie anche alle piccole lampadine che scendevano dai muri come una cascata di luce. Erano leggeri fili e se li toccavi ricreavi lo stesso movimento della candela. Sul letto c’erano rose ovunque e il profumo mi colpì immediatamente. Sul tavolo, dall’altro lato, invece c’erano cibi di qualsiasi tipo. A mezzogiorno mi ero rifiutata di mangiare, sapendo che poi mi avrebbe incastrato di sera, così mi staccai dalla mano di Jared e andai a sedermi.
Lui mi seguii compiaciuto del suo lavoro e si mise di fronte a me, cominciando a stuzzicare qualcosa. Mi guardava quasi affascinato, preso da pensieri tutti suoi.
“Da quanto organizzi questa cosa?”, ridacchiai mentre osservavo in giro per la millesima volta. Era tutto così assolutamente perfetto.
“Da quanto ho saputo che al tuo compleanno avremmo fatto tappa a New York. Il posto perfetto nel giorno perfetto”, sorrise semplicemente, come se gli avessi chiesto di dirmi un accordo di chitarra.
“Sei il migliore”, commentai felice mentre lui alzava gli occhi al cielo e rideva. Poi continuammo a mangiare, tanto che alla fine mi sembrava di non riuscire nemmeno ad alzarmi, cosa se fossi ingrassata tutta di un colpo.
“Chiudi gli occhi”, disse alla fine Jared fissandomi strano, quando ingoiai l’ultimo boccone.
“No”, sorrisi malefica. Qualunque cosa volesse farmi, odiavo le sorprese e lui lo sapeva. Stavolta occhi aperti.
“Chiudi gli occhi”, ribatté convinto.
“No!”, insistei mettendo le mani suoi fianchi.
“Come preferisci”, disse alla fine alzando le spalle, completamente indifferente. Si alzò e, dopo aver portato via solo i piatti, sorpassò il tavolo, in direzione della stanza dove c’era il letto pieno di rose.
“Ehi, dove vai da solo?!”, mi alzai ridendo, quasi per inseguirlo. Ma lui, come di sorpresa, si voltò di scatto, a pochissimi millimetri dalle mie labbra.
Lasciai perdere la mia testardaggine e chiusi gli occhi, cercando di avvicinarmi alla sua bocca. Ma all’improvviso mi sentii prendere dalle gambe e tirarmi su di peso.
“Jared! Lasciami andare!”, urlai scalmanata scoppiando a ridere. Tirando calci ovunque e muovendo le mani che avevo a penzoloni lungo la sua schiena, cercavo di liberarmi dalla sua stretta.
“La prossima volta accetta prima le condizioni”, scherzò ritornando nella direzione del letto.
Rise di gusto e poi, dolcemente, mi fece sdraiare sulle coperte morbide e leggere, colorate di un intenso blu elettrico.
Per qualche secondo l’unica cosa che vidi, nel perfetto silenzio, erano quegli occhi color del cielo che mi guardavano ammirati. Contraccambiai lo stesso sguardo, fiera che fossero rivolti solo a me. Tutto di lui era solo per me.
Così, quasi senza rendermene nemmeno conto, mi ritrovai con un pezzo della sua camicia in un mio pugno, mentre lo spingevo verso di me. Sentivo il suo respiro sulla mia pelle, i brividi lungo la schiena, i suoi capelli solleticarmi le guancie… e capii una cosa.
Mi era mancato davvero troppo.
Dopo il bambino non eravamo mai andati davvero a fondo. Avevamo giocato, come facevamo spesso, ma poi io mi sentivo morire nell’anima per quella perdita e Jared si spostava, sorridendomi e abbracciandomi, in modo da cullarmi e farmi addormentare.
A volte mi dispiaceva, insomma era comunque Jared Leto. Ma sapevo che non potevo evitarlo, era ancora troppo presto, faceva ancora troppo male.
Stavolta no, era diverso. Ora lo volevo, non mi sentivo infelice. Ogni centimetro che scompariva tra i nostri corpi mi faceva venire ancora più voglia di sentirlo.
“Jared”, sospirai, mentre vedevo la sua camicia prendere il volo, mentre il mio ragazzo spingeva in su il mio vestito nuovo con calma, toccandomi la pelle con le mani calde e provocando altri soliti brividi. Alla fine anche quello si tolse e, anche per il resto, il tempo fu molto più che veloce.
“Mi sei mancata, baby”, mi disse dolcemente dietro l’orecchio mentre entrava in me, facendomi graffiare la sua pelle, in circostanza delle spalle su cui mi appoggiavo.
Era assurdo come certe volte gli rimanevano i segni delle mie unghie, ma sembrava non farci caso, anzi ne andava pure fiero. Diceva che Sandy, al mio confronto, lasciava meno segni quando faceva la lotta con lei.
Ma non potevo farci niente, lo volevo vicino, avevo un disperato bisogno di lui. Era mio e potevo fargli ciò che volevo.
“Ti amo”, dissi cercando di non urlare, completamente assuefatta di nuovo dal suo profumo, dal suo corpo, da quello che mi faceva provare. Dal suo amore che mi dimostrava ogni giorno ciò che sarebbe arrivato a fare per me.
Tutto.
 
 
Jared
 
Non ce la facevo più, ero seriamente troppo stanco. Mi buttai sul letto e non mi mossi per almeno un quarto d’ora mentre Ronnie andava a farsi una doccia. Aveva lo spettacolo quella sera e non avevo la minima idea di come sarebbe riuscita a farlo.
Anche io certe volte arrivavo ai nostri concerti distrutto, ma cercavo comunque di dare il meglio. Ma così stanco… nemmeno per Hurricane, visto che l’avevamo spezzettato in tre giorni. No, questo tutto in una decina di ore.
Ma doveva farlo. C’era Andy e Shannon lì con noi stavolta, e lei era decisa a fare il miglior concerto della sua carriera. E non so perché…. ma sapevo che ce l’avrebbe fatta.
Eravamo a Londra e da quella mattina fino a dieci minuti prima eravamo stati occupati con le prove del suo nuovo video. Era semplice, l’avevamo pensato insieme.
Iniziava con Ronnie che suonava la chitarra in un teatro londinese, e poi Andy cominciava a ballare tra gli spalti, intorno alle poltrone per sedersi.
Alla fine Andy arrivava sotto il palco e Ronnie lasciava la chitarra, proprio mentre nella canzone c’era il pezzo nel completo silenzio. Appena ricominciava, Ronnie ed Andy ballavano insieme, con dei video che comparivano e le ritraevano da piccole. Ci avevo messo una vita a trovarli, ma alla fine ce l’avevo fatta.
Quel video, come la canzone (che in realtà era quella con Justin Timberlake e dedicata a Solon) era un elogio alla loro amicizia. Per dimostrare che non sono cambiate con la fama, nessuna delle due.
Mi piaceva far vedere la loro amicizia anche ai fan: perché era vera, reale e completamente fiduciosa. Il genere di amicizia che uno desidera, un legame quasi fraterno.
Come io avevo provato con Tomo, appena era arrivato nella band.
“Domani dormo tutto il giorno”, commentò Ronnie fintamente scocciata, uscendo dal bagno già vestita e solo con i capelli bagnati. Era agosto e, sebbene fossimo in Inghilterra, faceva un caldo terribile.
  Ridacchiai e l’aiutai a prendere tutto. Per quanto fossimo stanchi, dovevamo cantare, oggi insieme con la canzone che avevamo inciso a Natale. Era un idea di Shannon, visto che sapeva le mie intenzioni per la serata.
Quella serata che doveva andare come io avevo programmato.
Dopo un’oretta circa riuscimmo a finire e così lasciammo la stanza d’albergo. Scendemmo le scale, salutammo la ragazza al bancone della receptionist e lasciammo lì le chiavi, per il momento.
Prendemmo un taxi e ci dirigemmo verso l’arena, entrando dalla porta secondaria per evitare di vedere anche la folla scatenata. Ronnie era già satura di adrenalina, lo vedevo da come si muoveva.
Era fantastico. Riusciva sempre ad eccitarsi ad ogni concerto, senza mai vederlo come qualcosa di monotono.
A quel punto Ronnie trovò Andy e Shannon nel backstage e si portò l’amica di fretta nel camerino per un consiglio sul vestiario del concerto. Io restai quindi con mio fratello.
“Pronto?”, chiese come se fosse la prima volta. In effetti…
“Penso”, commentai.
“Pensi?!”, si scioccò, scoppiando a ridere, come suo solito. Era raro che Shannon prendesse davvero seriamente un problema. Per lui tutto aveva una soluzione veloce.
“Sì… voglio dire… Shannon non lo so!”, risi seguendolo. E io non riuscivo a non scherzare con lui, anche con in mezzo qualcosa di spaventoso o stressante.
“Jared… calmati. Va tutto bene, okay?”, mi chiarii le idee Shannon prendendomi per le spalle. Annuii piano e così cominciò a ripetermi quello che avevo scritto di dire, facendomi ripassare tutto.
“Grazie fratello” lo ringraziai abbracciandolo forte.
“Figurati. È la cosa migliore al mondo, sai?”, mi disse, per poi staccarsi visto che le ragazze stavano tornando. Belle come sempre.
E poi, come sempre, quasi fosse assillante, l’ora dell’inizio scattò e Ronnie dovette correre fuori, in mezzo a tutta quella folla. Quella stessa folla che poi avrebbe dovuto ascoltare il mio discorso.
“Iniziato”, esultò Andy cominciando a guardare il palco, dove la mia ragazza si stava totalmente scatenando.
E poi toccò a me.
Verso la fine del concerto Ronnie fermò tutti gli strumenti, mettendosi a suonare una delle sue canzoni acustiche.
Aveva una voce incredibile e quelle parole ti restavano nella mente come se venissero marchiate a fuoco.
Ma erano dolci, leggere, come quel tipo di venticello che non porta freddo, ma solo aria rinfrescante nelle giornate afose di piena estate. Erano bellissime.
“And now… I have the honor to introduce you the most awesome man in the all wold. Ladies, Gentlemen… Offbeats! He is… Jared Leto”,  disse indicandomi nel back stage.
Io uscii allo scoperto, salutando con la mano e avvicinandomi a Ronnie, mentre già la batteria cominciava a dare il tempo della nostra canzone.
Ronnie infatti partì spedita con la sua strofa, convinta e sorridente, mentre al mio turno… mi fermai. Ero come imbambolato e lasciai che la musica si fermasse. Erano tutto stupiti. Pensavano avessi dimenticato le parole della canzone?
Poi però parlai agli Offbeats.
“Ragazzi… ma quanto non è stupenda questa ragazza?”, ridacchiai mentre una folla cominciò ad urlare. “Voi lo sapete che stiamo insieme, no? Perché chiunque la tocchi, sappia che lo aspetto all’uscita con un manganello. Sono un po’ geloso, sì”, dissi da solo mentre alcuni ragazzi alzarono la mano. We love you!, gridò qualcuno. E io continuai. “Già… così geloso che non posso pensare di rischiare di perderla ancora. Non posso permettermi di non rivedere quei capelli rossi e quegli occhi verdi che amo. Non posso stare senza di lei”. Sentii fischiare, così scoppiai a ridere nel microfono.
Ma poi, seriamente, schiarii la gola, guardai un secondo Shannon e Andy nel backstage e mi feci forza.  
“Per questo, Veronica McLogan, nata a Monza, il 9 giugno del 1982, cantante ammirata e sognata da milioni di fan, ragazza perfetta per un disgraziato come me…”, cominciai tenendo il microfono con una mano sola, un po’ impacciato, inginocchiandomi ai suoi piedi e prendendo dalle tasche dei pantaloni una scatolina che ormai conoscevo meglio di qualunque altra cosa al mondo. Ora era tempo di mostrargliela. “Dammi il permesso di amarti per sempre. Dimmi di sì: sposami”.
E ci fu silenzio.
“Sì”, sussurrò dopo qualche secondo.
 Appena disse quella mini parola gli Offbeats reagirono alla notizia urlando, facendo video o foto a dismisura, piangendo e cantando. Cominciarono ad intonare alcune canzoni, tra le quali ‘You’re my sunshine, my only sunshine…’, che ovviamente non era di Ronnie ma riprendeva il titolo del suo ultimo album.
Sì, lei era il mio raggio di sole. Lei era il mio tutto.
Ronnie, quasi presa di una crisi isterica, si coprì il volto, imbarazzata. Ma poi si tuffò tra le mie braccia e pianse di gioia mentre il piccolo anellino si infilava nel suo anulare sinistro. “Ti amo, stupido idiota!”.
“Ti amo anch’io, bellezza”, la strinsi forte. 



...
Note dell'Autrice: IMPORTANTE
Ok, questo capitolo è superimportante anche perchè.. bè... ALLELUIA SI SPOSANO *è stata dura ma ce l'hanno fatta, o yeah!*
Allora, passiamo alle cose serie:
nuuuuuuuuuuuuuuuuuuumero 1. la storia, per vostra fortuna o sfortuna (vedetevela come vi pare :D), NON FINISCE QUI. Sì, c'è un seguito.
nuuuuuuuuuuuuuuuuuuumero 2. non è un seguito "normale", mi spiego: non sarà una storia continua a questa, ma sarà una raccolta di eventi, capirete meglio nell'epilogo, non disperate.
nuuuuuuuuuuuuuuuuuuumero 3. non mi ricordo... ve lo dico al prossimo capitolo se mi viene in mente (smemorata me ahahahaha)
nuuuuuuuuuuuuuuuuuuumero 4. VI ADORO! xD No seriamente vi adoro, quando mi fate i complimenti mi sciolgo xD

ok, la smetto di assillarvi :D Alla prossima
   
 
Leggi le 5 recensioni
Segui la storia  |        |  Torna su
Cosa pensi della storia?
Per recensire esegui il login oppure registrati.
Capitoli:
 <<    >>
Torna indietro / Vai alla categoria: Fanfic su artisti musicali > 30 Seconds to Mars / Vai alla pagina dell'autore: Ronnie02