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Autore: Mrs Hanks    13/03/2007    1 recensioni
Breve One-Shot ambientata nell’antica Grecia. Nel periodo dove i giovani destinati alla vita militare venivano affidati ad un maestro. Questa storia si colloca al termine dell’istruzione di un giovane soldato. La storia è sviluppata sui pensieri del “maestro”, su sue riflessioni riguardanti i tre anni di istruzione, sul primo incontro, sui cambiamenti del giovane ma soprattutto su un amore incompreso e incondizionato che non avrà mai modo d’esistere… E’ la mia prima Fanficion!! Mi piacerebbe riceve qualche commento/suggerimento ecc… ma per favore siate clementi^^ Grazie!!
Genere: Generale, Triste | Stato: completa
Tipo di coppia: Shonen-ai
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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Ti guardo

Dunque innanzitutto salve a tutti! Come scritto nella trama di presentazione sono una “novellina”. Infatti non ho scritto MAI storie, perlomeno non ne ho mai pubblicata una. Spero che questa mia inesperienza sul campo non vi freni nella lettura del mio testo. Comunque, spendo due parole per l’idea della mia  storia. Tutto è nato qualche anno fa, studiando (prima superiore)  la storia greca in generale. Cercando tra il web trovai un sito alquanto interessante che spiegava questo “strano rapporto” tra allievo e maestro. Una specie di “amore” riassumendo molto approssimativamente che doveva terminare al completamento del cammino istruttivo dell’allievo.

Partendo da questo presupposto ho creato una storia.

Bene ho terminato ciò che volevo dire spero che ciò che vi apprestate a leggere sia di vostro gradimento. Aspetto commenti!!!!

P.s. Mi scuso per eventuale cretinate grammaticali (spero di aver revisionato con attenzione!!!!)

 

 

****

 

 

 

Ti guardo. Occhi fieri, sorriso compiaciuto.

 Non eri affatto così tre anni fa, quando venisti da me. Non avevi quell’aria da guerriero che ora mostri, splendente come il sole, non sfoggiavi quel sorriso, quasi prepotente ed intimorente.

 

Quando ti affidarono a me eri solo uno come tanti, un ragazzino insicuro, debole e fragile che parlava timoroso senza discostare gl’occhi dal terreno, che camminava strascicando i calzari, che non alzava mai la voce nemmeno se offeso.

Adesso sei là. Seduto su una roccia ad osservare il sole. Raggi dorati illuminano il tuo viso, seppur cresciuto, sempre fanciullesco e contrastano i tuoi lunghi capelli biondi.

Sei rimasto con me per ben tre anni e ancora mi stupisco della tua bellezza. “Un animo femmineo ed efebo rinchiuso nel corpo vigoroso e smagliante di un guerriero” ; ti etichettai così, quando entrasti sotto la mia custodia e tuttora, a volte, ti definisco tale.

 

Tre anni sono tanti. In tre anni possono cambiare molte cose.

L’intero mondo che agl’uomini e concesso di conoscere può essere perso e riconquistato più di una volta in questo lasso di tempo. In tre anni ho trasformato un cuore nobile e apparentemente fragile in uno spudorato e imponente. Intelligente, curioso, avido di sapere e con uno spiccato senso per le arti classiche. Saresti potuto diventare un filosofo, uno dei più grandi. Saresti stato ricordato nella storia per il tuo poetare o per i tuoi concetti ma non era questo il destino che doveva gravare sulle tue spalle. Tuo padre ti affidò a me, poiché ti rendessi il selvaggio guerriero che sei ora, poiché seguissi le sue orme e diventassi anche tu degno erede di una discendenza sanguinea di valorosi combattenti.

 

Ancora ricordo con piacere il primo giorno che venni a conoscerti. Eri seduto sulla medesima roccia ove ora ti osservo; chinato a leggere non so quale poema e non osasti guardarmi con quei tuoi occhi scuri e innocenti nemmeno per dirmi il tuo nome. Demetrìos. Tua madre mi spiegò che ti fu dato quel nome affinché Demetra, dea della fertilità sorella di Zeus, ti proteggesse garantendoti fecondità che ti rendesse capace di proseguire la dinastia bellica alla quale appartieni.

 

Solo quindic’anni avevi e già qualcuno aveva scelto per te chi saresti dovuto essere. Eppure te ne stavi inconscio su quella roccia quasi non t’importasse.

 Non parlasti con me nemmeno una volta nel primo mese che ti portai a casa. Ti limitasti ad eseguire ogni mio ordine con efficienza e rispetto come si conviene ad un guerriero. Cercasti invano di nascondere la tua vera repulsione per l’obbligo che tuo padre ti aveva imposto, ma io me ne accorsi. Il tuo corpo era già visibilmente adatto a quello di un soldato ma il tuo cuore e il tuo cervello non lo erano, appartenevano e appartengono ancora alla sapienza e alla conoscenza.

Inizialmente non sopportavo quel tuo comportamento restio e solitario, rifiutavi la compagnia di qualsiasi essere umano, preferivi rifugiarti nelle tue letture. Deviavi ogni contatto umano.

Solo l’anno successivo cominciasti a parlarmi e riuscii per la prima volta a godere della vista dei tuoi occhi innocenti e di quel tuo sorriso che stava progressivamente diventando cioè che ora è; ovvero quel raggio di luce talmente carico e luminoso da essere in grado da far risplendere perfino il più tetro e scuro angolo terrestre. Tra questi il mio cuore.

 

In due anni cambiai parere su di te. Cominciò a piacermi il tuo modo di fare e il tuo modo di essere e tu cominciasti a fidarti di me e mi rivelasti i contrastanti sentimenti che alimentavano il tuo cuore. Ovvero il tuo sogno di gloria, nutrito dalla speranza di compiacere tuo padre, deceduto in guerra un anno dopo la tua partenza, in netto conflitto con il tuo desiderio di conoscere e di sapere le cose che fino ad allora all’uomo non era dato comprendere.

Non mi stancai mai di ascoltare qualunque cosa tu fosti stato disposto a dirmi. Inconsciamente ti feci mio, ti ritenni mio possesso e sperai invano di poterti tenere qui, al mio fianco per sempre.

 

In verità, il tuo addestramento terminò ben un anno fa. In soli due anni ti resi uno dei migliori allievi che avessi mai istruito. Ma, non volli lasciarti andare. Dissi a tua madre, allor recente vedova,  che non eri sufficientemente pronto per rimpiazzare la figura di tuo padre, che mi sarebbe servito ancora del tempo. Purtroppo l’esercito necessitava di giovani ragazzi, come te, così il capitano mi concesse ancora un solo anno. Il terzo. Sbagliai.

Sbagliai ad accettare quella condizione e a tenerti qui ancora con me. Avrei dovuto lasciarti partire verso il tuo destino. Ma non riuscii a lasciarti andar via dal mio nido.

 

Questo terzo e ultimo anno non ha fatto che ferirci entrambi. Ha fatto si che ci lasciassimo abbandonare futilmente all’idea di restare l’uno al fianco dell’altro per sempre. Entrambi sapevamo che non era questo il nostro destino. Entrambi sapevamo che tu saresti dovuto partire due anni fa e che io avrei dovuto istruire altri giovani speranzosi come lo eri tu, altre fresche promesse destinate a far parte dell’esercito, consapevoli di poter varcare le porte dell’Ade in ogni momento.

 

A noi non è concesso restare insieme. C’è concesso solo un dato periodo di tempo, dopo quello niente più.  Mio Demetrìos, è forse questo il motivo per il quale due anni sarebbero bastati. Un solo anno è stato sufficiente per illuderci per lasciarci trasportare in fantasie effimere e scriteriate.

Abbiamo trascorso molte altre ore a parlare e in un attimo di smarrimento mi hai detto di amarmi.

Non puoi amarmi, non possiamo amarci. Non è amore questo.

 

Non nego di essermi lasciato ingannare dalla mente e di aver pensato che tu potessi diventare poeta, saziando così la tua fame di conoscenza che ti pervade l’animo. Sarebbe stato questo l’unico modo per permetterci di stare fianco a fianco. L’egoismo ha pervaso la mia mente. Il tuo destino è già stato scelto, promettesti a tuo padre sul letto di morte che non avresti abbandonato ciò che era stato il suo volere nei tuoi riguardi. Non ci è dato cambiarlo, gl’antichi ci insegnano che colui che cerca invano di cambiare il proprio destino è folle poiché esso è inevitabile.

 

Ti giri e mi hai rivolgi ancora una volta il tuo sguardo. Diverso. Ho colto in quell’occhiata fugace, un senso di risentimento, quasi distruttivo.

Non darmi colpe mio Demetrìos. Il destino è una cosa troppo grande per poterci combattere.

Il tuo cuore è ancora troppo giovane e inesperto per poterlo capire così come la tua mente. Ma un giorno capirai.

 

Il sole è calato ormai. I raggi che illuminavano il tuo viso ora sono scomparsi e rimango ad osservarti in penombra. Solo poche ore e tutto sarà finito. Resti ancora lì, su quella roccia. Non ti alzi. Non voglio che tu lo faccia. Resta lì ancora per qualche secondo, lascia che ti guardi, lascia che guardi l’uomo che ho istruito, che agl’occhi miei è ancora quel timido giovane dagl’occhi scuri ed ingenui.

 

Domattina tornerò dove siamo stati fin ora e ti saluterò proprio ove t’incontrai. Ho voluto io portati a casa. Per quel mio inspiegabile desiderio d’osservarti proprio dove mi colpisti di più. Non te l’ho detto non lo farò, non ne avrò il tempo. E’ paradossale pensare che nonostante siano passati tre lunghi anni, il tempo non mi sia bastato per dirti veramente ciò che dovrei.

 

Di nuovo penso a te, poeta o filosofo. Quel sentimento egoistico non da segno di volermi abbandonare. Non riesco a fare a meno di pensare che se tu fossi stato un poeta avresti potuto ottenere gloria ed essere ricordato nei secoli avvenire. Mentre come soldato potresti morire, magari in una semplice campagna rivendicativa senza che nessuno abbia potuto conoscere il tuo nome.

 

Ho istruito altri ragazzi prima di te, alcuni di loro sono morti dopo pochi giorni dal loro arrivo nel mondo militare. Non ti dirò nemmeno questo, ma il timore che tu faccia quella fine mi strugge.

Da quando ti lascerò temerò ogni giorno che qualcuno giunga da me, ormai troppo tardi, per comunicarmi la tua morte. E’ successo con tutti i ragazzi che ho istruito, ma al sol pensiero che accada a te basterebbe per privarmi della mia stessa vita.

 

Mi consola pensare che se non fosse stato per il volere di tuo padre, non ci saremmo mai incontrati.

Non avrei mai potuto godere della tua presenza, udire la tua voce soave e provare emozioni tra loro in contrasto che ancora, nonostante la mia età tarda, non comprendo.

 

Tutto ciò mi porta ad una decisione. Non partirò domattina. Partirò questa notte stessa. Quando tu ti sarai ritirato nelle tue stanze. Non ti dirò addio. Me ne andrò senza che tu lo sappia. Eviterò ogni forma di accomiato, in grado di rovinare questa situazione ormai imminente.

La verità è che non sarei capace di dirti addio. Temo che l’egoismo prenda il sopravvento, temo di accettare la tua proposta. Temo di incorrere in una battaglia tra i nostri destini che non potrei che perdere.

 

Arriva dunque il momento da me più temuto. Ti alzi da quella roccia. Questa volta mi guardi negl’occhi, cammini fiero e orgoglioso senza alcun timore alzando le tue ginocchia verso l’alto, quasi stessi marciando. Noto che anche tu avresti qualcosa da dirmi ma non parli. Mi dai l’arrivederci a domattina. Non sai che non ci sarò ma avverto nei tuoi occhi che intuisci qualcosa. Mi passi accanto senza esitare. Ti allontani e dirigi verso casa, senza proferir parola.

Ti sei comportato come un vero uomo, hai saputo accettare l’imminenza. Mi hai reso fiero di te ancora una volta. Considerò questo come il nostro addio.

 

 

 

 

 

  
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