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Autore: neverwhere    13/03/2007    3 recensioni
Questa storia è stata scritta più di un anno fa per un concorso scolastico, ma ultimamente mi è presa la voglia di proseguirla quindi l'ho ritirata fuori e sistemata un po'... una delle poche cose che ho scritto a piacermi sul serio! ^_^ andando avanti la storia cambierà decisamente piega...
Genere: Malinconico, Science-fiction | Stato: in corso
Tipo di coppia: non specificato
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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Gli Inventori di Sogni

Judith si voltò a guardare le lunghe file di scaffali. Si fermò, osservando i flaconi colorati ed invitanti, ma dopo qualche secondo la mano di sua madre la strattonò avanti. -Muoviti, dobbiamo ancora comprare metà della roba e tornare a casa prima che faccia buio.- Il tono ruvido non ammetteva repliche; la bimba trotterellò seguendo la madre che fendeva la folla. Il Reparto Sogni. Tutte le volte immaginava di entrarvi, toccare, esaminare ed infine scegliere una, due, tre boccette da cui, immaginava, il sogno prescelto sarebbe uscito sottoforma di fata o farfalla per calarla in un dolce sonno. Ma sapeva benissimo che, anche se non era povera al punto di vestirsi di stracci, saltare i pasti o dormire in un ostello per i senzatetto, quei sogni erano per lei irraggiungibili. Osservava con invidia i borghesi ben vestiti per cui le porte di quel magico regno si spalancavano senza esitazioni. Con un sospiro, escluse il Reparto Sogni dalla sua mente tornando a concentrarsi sui problemi quotidiani.

Mentre sua madre sistemava la spesa nei ripiani dell’angusta cucina, Judith si ricordò all’improvviso di un sogno che aveva avuto quella notte. Come faceva ormai da tempo, aprì l’anta della libreria, frugando dietro ai libri. Eccolo. Trasse fuori un quadernetto sgualcito, la copertina decorata con fiori e cuoricini infantili. Lo sfogliò fino ad una pagina bianca ed iniziò a scrivere.

Ho fatto un sogno davvero strano. Ero in un prato e c’era il sole, e vicino c’era un bosco. Era davvero bello. Non so da dove venisse il bosco, perché non ne ho mai visto uno e qua in città di alberi non ce ne sono molti, forse ho visto una fotografia. Ero in questo prato e seguivo le farfalle. Lo faccio spesso nei sogni perché le farfalle mi piacciono. Ogni tanto se ne vede qualcuna anche qui, un po’ ammaccata e piena di polvere. Quelle dei sogni invece sono belle e brillanti, come i miei disegni. Le rincorrevo, e ad un certo punto una mi ha parlato. Era la più bella, ed anche la voce era bella. –vieni con me- mi ha detto –ti porto in un posto fantastico- Io l’ho seguita. È entrata nel bosco. Io non avevo paura perché mi fidavo di lei, ma dopo un po’ tutto era buoi e scuro ed ho iniziato a dire che volevo tornare indietro. –siamo quasi arrivati- diceva lei, e così l’ho seguita. Ad un certo punto mi sono voltata indietro ma non ho visto da dove eravamo arrivate, c’era solo un muro di alberi minacciosi e quando mi sono voltata di nuovo al posto della farfalla c’era un lupo che mi osservava famelico, si leccava i denti e sentivo una puzza di carne marcia che ho capito era il suo alito. E dopo ho provato a scappare ma il lupo mi ha seguita e mi ha morso a una spalla. E mi sono svegliata gridando. Mi chiedo cosa significhi.

Si fermò riflettendo. Il Nonno avrebbe saputo di sicuro dirle cosa significava. Il nonno del Nonno era uno psicanalista [scandì mentalmente la parola, psi-ca-na-li-sta] cioè uno che ascoltava i sogni e le parole della gente per risolvere i loro problemi. Questo prima del Regime. Allora, le raccontava il Nonno, tutti potevano sognare e dormivano sei, sette, otto ore al giorno, chi poteva anche di più, e tutti sognavano. Poi con il Regime era stato deciso che dormendo meno la gente avrebbe lavorato e prodotto di più. Gli scienziato avevano lavorato e sperimentato, finchè erano giunti alla conclusione che tre ore di sonno erano il minimo perché, con opportuni adattamenti, gli uomini potessero condurre vite normali. Tutta la popolazione [e così anche le genenerazioni successive] venne sottoposta a radiazioni controllate che modificarono adeguatamente il loro organismo. Chi si oppose veniva ucciso, come era successo al nonno del Nonno. Col tempo si scoprì che tre ore erano troppe poche per riuscire a sognare. Gli esseri umani diventarono sempre più grigi e tristi. I suicidi s’impennarono. Nessuno aveva più voglia di andare avanti; sembrava che la mancanza di sogni notturni prosciugasse anche i sogni e le ambizioni diurne. Fortunatamente alcuni ricercatori trovarono casualmente una soluzione. I bambini, fino all’età di 3-4 anni, sognavano e dormivano molto. Poi, dai 4 ai 6-7 anni, perdevano gradatamente la capacità di sognare fino a raggiungere il ritmo di tre ore di sonno a notte, ovviamente senza sogni. Questo accadeva ormai senza che fosse necessario sottoporli a radiazioni, perché la mutazione si era radicata più profondamente di quanto si fosse sperato. In alcuni di essi però il cambiamento non si verificava. Essi restavano in grado di sognare e necessitavano di almeno 6 ore di sonno a notte. Inizialmente si pensò di eliminarli, ma poi qualcuno ebbe l’idea. Con periodiche ispezioni annuali, queste persone [i Sognatori, od Inventori di Sogni come venivano chiamati] venivano trovati e mandati nelle varie sedi della Dreaminc. Qua venivano fatti cadere in un sonno perenne, alimentati per via endovenosa, ed i loro sogni venivano raccolti, suddivisi e catalogati ed immessi sul mercato. Nei punti vendita li si poteva trovare accuratamente etichettati; 'sogno di un pomeriggio estivo', per esempio, o 'sogno di avere la meglio su chi ti ha umiliato'. L’essenza di ogni sogno era reinterpretata da chi ne faceva uso. Così ad esempio, il sogno di un pomeriggio estivo era diverso per ogni persona, e la stessa persona poteva sognare pomeriggi diversi della sua vita, o delle loro rielaborazioni. Ovviamente i sogni costavano molto cari e solo pochi potevano permetterseli.

Judith pensò a tutto questo. Pensò a dove sarebbe finito se si fosse scoperto che lei era una Sognatrice. Lei aveva già 8 anni, e all’ultimo controllo era sfuggita solo perché mamma e papà erano riusciti a trovare al mercato nero una droga che inibiva la capacità sognatoria. Anche così era rientrata nei parametri per un pelo. 'Forse già la prossima volta non riuscirò a passare'... Pensava spesso da quel giorno 'E allora dovrò dire addio a mamma e papà e a tutti i miei amici,e mi porteranno via per chiudermi in una stanza, a vivere attaccata a una macchina.' Questi pensieri l’abbattevano molto. Sapeva che dopo qualche anno i Sognatori venivano scartati e rimpiazzati dai nuovi, perché i sogni dopo un po’ sbiadivano, diventavano sempre più deboli e tristi. E anche se nel Reparto Sogni esisteva la sezione 'Incubi' per chi desiderava emozioni forti, quei sogni più che paura portavano angoscia e depressione in chi li utilizzava. Una volta terminato il loro incarico, i Sognatori erano eliminati con un’iniezione e i loro corpi buttati in una delle tante discariche cittadine o nelle fosse comuni. Dopo tanto tempo passato a sognare, assuefatti alle droghe che gli venivano quotidianamente somministrate, sarebbero stati solo un peso nella società. Improduttivi. Inutili. Come ogni sera, questi pensieri spaventarono Judith. Tutti, anche i ricchi industriali come il più umile operaio, avvertivano costantemente un senso di instabilità, di insicurezza; ma per Judith e gli altri come lei era decisamente molto più forte. Una parola di troppo lasciata sfuggire per caso, magari mentre giocava con gli altri bambini in strada, avrebbe potuto esserle fatale. Sapeva che i sogni dei bambini erano molto più redditizi, e che chi veniva preso da piccolo poteva essere usato un po’ più a lungo rispetto agli adulti. Sapeva di essere una preda molto appetibile. Per questo aveva imparato a fingere. Controllare sempre quello che diceva, come si comportava, a volte anche come pensava. A soli 8 anni era come se vivesse due vite, una di giorno, e l’altra notturna, nel suo personalissimo mondo onirico. 'Basta con questi pensieri' si disse mentre scivolava nel primo sonno, 'Domani non ti succederà niente, e nemmeno il giorno dopo e quello dopo ancora...' Judith chiuse gli occhi ed iniziò a sognare cose che non aveva mai conosciuto, ma che nascevano da desideri così radicati nell’animo umano da essere comune a tutta l’umanità

Il sole tramontava sulla metropoli, tingendo di scarlatto i tetti degli edifici più alti. La piccola Judith, tenendo per mano i genitori, osservava dalla sommità della collina. La città, che un tempo le era parsa così triste ed ostile, ora appariva diversa colorata da un sole così raramente visto. Non c’era più la nube di smog. Le persone camminavano tranquille, si salutavano, parlavano sorridendo, mentre di solito tutti andavano di fretta ed erano sempre arrabbiati. E appena calò il buio, in ogni casa si accesero le luci. Viste da lassù la città sembrava un’unica entità che si stesse addormentando. E pian piano, le luci si spensero, segno che le persone dormivano. Dormivano come non gli era stato permesso fare fino a quel momento; si erano finalmente riappropriate di ciò che era loro, dei proprio sogni, e con essi avevano trovato la forza di cambiare.

Nel letto Judith sorrise, un sorriso dolcissimo che parlava di speranza.

  
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