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Autore: Euphemia    30/08/2012    1 recensioni
"Era lì da un po’ di tempo, nel mondo degli esseri umani, quello che viene chiamato “Assiah”. Una parte di sé voleva ritornare a Gehenna, ma c’era qualcosa che lo legava in quel mondo fatto di umani: era suo fratello Mephisto, colui a cui voleva più bene in assoluto. Chissà se anche lui gli voleva bene. Era questa la domanda che spesso si faceva, e che lo tormentava in continuazione. Per una qualche strana ragione, che lui non riusciva a capire, Mephisto continuava a rimanere per secoli in quel mondo così diverso dal loro, e da quando se n’era andato non aveva più fatto ritorno a Gehenna. Gli era davvero mancato, e non voleva dirgli di nuovo addio. Forse, era per questo che il Re della Terra non era deciso ad andarsene".
Genere: Romantico | Stato: completa
Tipo di coppia: Shonen-ai, Crack Pairing | Personaggi: Amaimon, Mephisto Pheles
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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Breath of heart.

Parte 1.

 

 

 

Chissà.” pensava.

Un raggio di sole penetrava dalla finestra e attraversava la stanza, arrivando proprio nel punto in cui era. I suoi occhi di ghiaccio contrastavano con la luce, ma i suoi capelli verdi al tocco di essa creavano delle sfumature brillanti. La stanza era silenziosa. Era solo.

Non faceva altro che tempestarsi di domande, mentre ingeriva un dolcetto dopo l’altro. Era steso su un cumulo di cuscini rosa, tra carte di caramelle e lecca-lecca. Ogni tanto guardava il suo adorato Behemot, che dormiva tranquillo accanto a lui. Lo accarezzava, mentre quello rispondeva con dei deboli versi. Era lì da un po’ di tempo, nel mondo degli esseri umani, quello che viene chiamato “Assiah”. Una parte di sé voleva ritornare a Gehenna, ma c’era qualcosa che lo legava in quel mondo fatto di umani: era suo fratello Mephisto, colui a cui voleva più bene in assoluto. Chissà se anche lui gli voleva bene. Era questa la domanda che spesso si faceva, e che lo tormentava in continuazione. Per una qualche strana ragione, che lui non riusciva a capire, Mephisto continuava a rimanere per secoli in quel mondo così diverso dal loro, e da quando se n’era andato non aveva più fatto ritorno a Gehenna. Gli era davvero mancato, e non voleva dirgli di nuovo addio. Forse, era per questo che il Re della Terra non era deciso ad andarsene.

Amaimon!” Una voce lo chiamò con insistenza.

Amaimon si voltò; la sua espressione era la solita, un’espressione addormentata e vuota, ma dentro era così felice, perché quella voce l’aveva chiamato. Forse era la volta buona.

Mephisto era appena entrato nella stanza, il suo ufficio, e dopo aver dato una rapida occhiata intorno, aveva voltato lo sguardo pieno di rimprovero verso Amaimon. Ma il Re della Terra non si accorse dello sguardo arrabbiato del fratello, perché il solo fatto di averlo vicino lo rendeva completamente succube di felicità.

“Ciao fratello” Disse in tono pacato.

Amaimon, quante volte devo ripeterti che devi essere più ordinato?! Le carte devi buttarle in questo cestino qui! Devo metterci delle insegne luminose??!” Mephisto indicò con rabbia un cestino rosa shocking.

“Va bene, scusa. Sarò più ordinato.”

“Ah, adesso non importa. C’è qualcosa che devi fare.” Mephisto gli fece segno di seguirlo, mentre il suo ombrello si trasformava in quel demone-pipistrello.

Amaimon si alzò dal cumulo di cuscini e carte di caramelle. Diede uno scossone a Behemot, che immediatamente si svegliò, e si alzò facendo una giravolta attorno al suo padrone. Il Re della Terra si incamminò dietro il fratello, e uscì dall’ufficio del Preside. Mentre attraversavano i corridoi, un silenzio tombale regnava fra i due. L’unico a far rumore con i suoi versi era Behemot, evidentemente felice di uscire a fare qualcosa con il suo padrone. Mephisto procedeva a passo sicuro davanti ad Amaimon, svoltando di corridoio e corridoio. Conosceva molto bene l’Accademia della Vera Croce; dopotutto, ne era il Preside. Ogni segreto, anche il più nascosto, lui lo conosceva, e ne manteneva il silenzio.

Chissà cosa dovrò fare oggi.” Pensava Amaimon, mentre continuava a seguire il fratello. Sicuramente era qualcosa che riguardava il suo fratellastro, quel Rin Okumura, dal quale Mephisto era così ossessionato. Amaimon era stato sconfitto solamente una volta dal suo fratellastro, e in seguito, dopo qualche tempo, avevano ricominciato a combattere. Spesso Amaimon ne usciva ferito, ma non gli importava: per lui l’unica cosa importante era rendersi utile al suo adorato fratello. Non gli passava per la testa che però il fratello a cui voleva così bene, che avrebbe sempre accontentato, anche se gli avesse chiesto la sua stessa vita, forse lo stava usando. Usando per il suo desiderio personale. Ma Amaimon non lo pensava neanche. Aveva fiducia in Mephisto, per lui era come un dio. Ma in fondo in fondo, sperava che anche Mephisto dimostrasse dell’affetto per lui, anche un minimo di disponibilità.

Sarebbe bello se anche Mephisto facesse qualcosa per me.”

Ma ogni volta che questi pensieri gli invadevano la mente, li scacciava subito. Lui non doveva pensare a se stesso. Doveva pensare a rendere felice suo fratello.

Arrivarono su una grande terrazza. Mephisto fece apparire la sua solita poltrona, e vi si sedette. Il suo pipistrello si appollaiò sul lato sinistro.

“Forza, sali.” Disse ad Amaimon.

“Si.” Il Re della Terra prese il suo famiglio in braccio e, con un rapido salto, si sedette sul braccio destro della poltrona.

Iniziarono a viaggiare nel cielo. Era tardo pomeriggio, e il sole stava tramontando. Una leggera brezza soffiava da est, mentre loro andavano alla velocità della luce chissà dove, su quella bizzarra poltrona. Mephisto guardava dritto davanti a sé, sicuro di quel che faceva. Il suo sguardo era freddo e tranquillo, mentre sorseggiava come al solito del thè. Il suo pipistrello a sinistra ogni tanto ridacchiava. Amaimon invece si guardava attorno; osservava il cielo, il palazzo dell’Accademia da dov’erano partiti allontanarsi sempre di più, e soprattutto guardava in basso: le strade, la gente che camminava tra i viali alberati, le case, i bambini, gli alberi le cui chiome si scuotevano a ritmo del vento. Per lui era tutto nuovo. A Gehenna non c’erano strade, case, persone. Gehenna era un altro mondo, completamente diverso: lì i demoni regnavano, erano tutti così diversi dagli esseri umani. Ma Amaimon non rimpiangeva di essere un demone. Lui voleva essere così. Se fosse stato uno “stupido umano”, non se lo sarebbe mai perdonato. Non voleva essere un giocattolo.

Amaimon aveva un carattere particolare. Era infantile. Curioso. Giocoso. Ed era anche ingenuo. Pazzo di dolci. Ma allo stesso tempo era sadico. E soprattutto aveva una debole presa sulla sua autostima. Con quel comportamento ingenuo, sembrava voler fuggire dalla realtà. Per lui “uccidere” non significava nulla. Era un atto completamente vuoto e naturale. E per questo anche le sue lesioni fisiche non gli interessavano.

Arrivarono in una grande piana. Si nascosero dietro un grosso albero, e da lì iniziarono a osservare.

Nella piana, come volevasi dimostrare, c’era il loro fratellastro Rin, che si esercitava con la spada. Amaimon ormai era abituato a combattere contro di lui. Se fosse stato per lui, avrebbe continuato a ignorarlo, perché ormai aveva ottenuto ciò che voleva, da quella volta in cui fu sconfitto: aveva vinto, vinto e vinto di nuovo, perché lui era il Re della Terra, NON POTEVA perdere. Ma non poteva ignorarlo, perché Mephisto gli chiedeva di combattere con lui. Anzi, più che chiederlo, glielo ordinava. Però, dopotutto, anche lui si divertiva a “giocare” con Rin.

“Fratello, anche oggi devo combattere con lui?” disse Amaimon

“Ovviamente. Vai.” Rispose freddo Mephisto.

Amaimon diede un ultimo sguardo al fratello; i suoi occhi di color verde scuro guardavano dritti verso quello che sarebbe diventato il campo di battaglia. Quindi, rivolse lo sguardo assonnato a Rin, e saltò giù dalla poltrona, insieme a Behemot.

Era sera. La luna e le stelle emanavano una fioca luce bianca. C’era silenzio. Amaimon era seduto su un albero nella foresta nei pressi dell’Accademia della Vera Croce. Sanguinava dappertutto, ma in special modo dal braccio sinistro. Il suo guanto era impregnato di sangue, che non finiva più di sgorgare. Le ferite si sarebbero rimarginate presto. Non era più rientrato nell’ufficio di Mephisto, ma, insieme al suo Behemot, si era messo sull’albero più alto di quel bosco. Ripensava alla battaglia di quel tardo pomeriggio.

Lui e Rin, come sempre, avevano cominciato a lottare. Rin non gradiva a fatto quelle “visite a sorpresa”, e non capiva perché Amaimon veniva sempre a dargli fastidio. Ma neanche Amaimon sapeva il motivo di quelle continue lotte. Perché era Mephisto l’artefice di tutti quei combattimenti. Amaimon ad un certo punto era riuscito a dare un calcio nella pancia a Rin, e l’aveva schiantato a terra. L’esorcista blu, dolorante, aveva cominciato a sputare sangue. Amaimon, che rideva follemente, aveva approfittato di quell’occasione per dargli il colpo di grazia. Il suo sguardo folle era diretto verso Rin, e mentre correva verso di lui, diceva

“Hai visto fratello, di cosa sono capace?? Ahahahahahah!!”

Amaimon saltò addosso al fratellastro. Caricò un pugno.

“Dannazione, perché diavolo vieni sempre a rompere??!!” Urlò Rin.

“Perché mi diverto a giocare! E poi me lo dice mio fratello!!” Rispose Amaimon, sempre con quel folle sorrisino stampato sulla faccia.

“È quello che mi dici sempre!! Tuo fratello, tuo fratello, ma tu hai un cervello tuo??!” Sbottò in preda alla rabbia il figlio di Satana, sputando sangue.

Amaimon gli diede un pugno dritto sul naso.

“Devo fare tutto quello che vuole mio fratello. Se lo faccio, lo renderò soddisfatto.” Ribattè Amaimon

“Più che un aiutante, sembra che tu sia la marionetta del tuo stupido fratello! Sembra che ti stia solo usando!!” Rin ansimava.

Amaimon sentì una fitta. Usando? Che voleva dire?

Era rimasto imbambolato, con il pugno a mezz’aria, e i suoi occhi di un freddo colore erano rimasti immobili su Rin. Non aveva mai provato un dolore più immenso.

Intanto Rin aveva approfittato della situazione. Con un fortissimo colpo di spada, aveva colpito Amaimon al braccio sinistro, e l’aveva schiantato contro una roccia. Il Re della Terra era stato colpito. Rin l’aveva riempito di pugni, calci e colpi di spada, mentre Amaimon cercava di difendersi, invano. Dopo qualche minuto, Rin iniziò a ridere

Ahahahah, che c’è, te ne sei accorto solo adesso che sei solo uno stupido giocattolo nelle mani di tuo fratello? Sei proprio un ingenuo!”

Amaimon odiava che si ridesse di lui. Era la cosa che più odiava al mondo. Con tutte le sue forze, urlò, per rabbia, per dolore, per la fitta. La terra iniziò a tremare. Il Re della Terra era entrato in una collera quasi impossibile da placare. Come poteva ridere di lui? Come poteva insultarlo così? Lui era un Principe di Gehenna, nessuno poteva farlo arrabbiare. Eppure, in mezzo a tutti questi pensieri, spiccava la parola “usato”. Rin cadde al suolo dolorante. Dall’alto intanto, Mephisto applaudiva, come divertito da quello straziante spettacolo. Amaimon si era staccato dalla roccia, ed era scappato via, insieme al suo Behemot. Non aveva fatto più ritorno nell’ufficio del Preside. Non aveva più visto Mephisto da quel momento.

Su quell’albero, non faceva che pensare. Al combattimento, al fatto che Rin aveva riso di lui, insultandolo. Ma le parole del fratellastro rimbombavano nella sua testa: “la marionetta del tuo stupido fratello... Sembra che ti stia solo usando... uno stupido giocattolo nelle mani di tuo fratello...” Non erano le espressioni che lui usava per gli esseri umani? Lui, che rifiutava le responsabilità reali, adesso era seduto su quell’albero, in mezzo al bosco, alla luce della luna, pensando e ripensando a quello che era successo. Davvero suo fratello lo stava usando? Non poteva crederci.. non voleva. Lui voleva così bene a Mephisto.. Cercava sempre di realizzare i suoi desideri.. Voleva renderlo felice.. Aveva accumulato così tanta speranza, che era finita per tramutarsi in convinzione. E così, aveva iniziato ad essere convinto che Mephisto gli voleva bene. Ma adesso era confuso. Non riusciva più a capire. Era come se fosse andato in tilt, perché non sapeva più a cosa credere. Il suo desiderio era uno solo. Non voleva il potere, ne aveva già abbastanza. Non voleva l’invincibilità. Quel demone dai capelli verdi, così curioso, ingenuo, amante dei dolci, voleva solo essere amato. Da suo fratello Mephisto.

Lui lo amava. Per lui era un sentimento nuovo, mai provato prima d’ora. Era sepolto nella sua anima, coperto dall’ingenuità, dalla sua natura curiosa, da tutte le sue caratteristiche e da tutti i suoi pensieri. E solo ora se n’era reso conto, che quel sentimento esisteva, era in lui. Solo ora che aveva finalmente capito, che colui che amava così tanto lo stava solamente usando. Al solo pensiero, urlò più forte che poteva, tanto che Behemot sussultò. Amaimon si era alzato, e in preda alla follia, cominciò a distruggere ogni cosa che trovava. E intanto, quella delusione dentro la sua anima si espandeva, provocandogli così tanta rabbia, perché era solo stato preso in giro. Da colui che amava.

Le ore passavano, la foresta era semidistrutta. Amaimon non riusciva a calmarsi, continuava a distruggere tutto, seguito dal suo Behemot, che si dava alla pazza gioia. Era notte fonda quando da lontano, si udirono delle sirene. Amaimon si voltò verso la fonte del suono. I suoi occhi erano iniettati di sangue. Delle luci azzurre e rosse si avvicinavano, accompagnate da un rumore insopportabile. Erano camion e macchine grigie, e si fermarono davanti all’entrata della foresta. Amaimon non sopportava quel rumore. Un rumore continuo e straziante, così vuoto, che fece solo aumentare la sua collera. Dai camion e dalle macchine uscirono diversi uomini in divisa, armati di bombolette all’acqua santa e di pistole anti-demone. Da una macchina, infine, uscì un uomo dai capelli lunghi e biondi, vestito di bianco: era il Paladin, Arthur August Angel.

“Sei pronta Calibur? Questo qua è un pesce grosso” Il Paladin fece un ghigno.

Ohh, Arthur, sei proprio audace!” gli rispose la spada.

Il Paladin sfilò la spada dal fodero, e la puntò contro Amaimon.

“Tu sei Amaimon il Re della Terra, non è vero? Come Paladin, io, Arthur August Angel, ti giustizierò, per ordine del Vaticano! Non provare a porre resistenza!”

Amaimon era così infastidito da tutta quella gente. Voleva solo stare da solo, e quegli idioti lo stavano disturbando. Come si permettevano?? Non potevano importunare il Re della Terra. Non gli era concesso. Rivolse il suo feroce sguardo a tutti quegli Esorcisti, e, preso dalla rabbia, urlò

“State zitti!!!!”

 

Il Re della Terra scagliò un pugno per terra, e tutto tremò. La sua forma si trasformò. Non era più quella di un essere simile a un umano, adesso aveva una grossa coda e dei potenti arti verdi, oltre ad aver sviluppato delle enormi orecchie verdi appuntite. Behemot si ingrandì con un ruggito, e Amaimon vi saltò sopra. Dalla terra, che continuava a tremare, uscirono Goblin e altri demoni, parenti del Re della Terra. Nei suoi occhi era accesa una luce di follia. Un sorriso malefico gli attraversò il volto.

“Andiamo Behemot! UCCIDIAMOLI TUTTI!!!” Indicò il gruppo di esorcisti “Seguitemi, miei demoni!!” Una risatina folle riempì l’atmosfera, e Behemot iniziò a procedere verso gli Esorcisti. La foresta era diventata un vero e proprio campo di battaglia: pallottole che volavano, demoni che attaccavano gli umani, Aria che recitavano versi per uccidere i parenti del Re della Terra, il Paladin che cercava di distruggere Behemot e Amaimon che continuava a ridere e ad annientare tutto quello che gli capitava davanti. Era in preda alla follia più totale. Odiava tutti. A cominciare da Mephisto. Ma odiandolo la fitta si faceva sempre più forte, e questo l’aveva reso completamente pazzo e sadico ai massimi livelli

  
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