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Autore: nothing_but_the_truth    30/08/2012    1 recensioni
Eccolo, finalmente. Il giorno della mietitura. Avevo atteso quel giorno da mesi, anzi, da un anno. Perchè ogni anno, ogni volta che non venuva sorteggiato il nome mio o di mio fratello, tiravo un sospiro di sollievo, ma già mi preparavo a immaginare l'orrore se l'anno successivo fosse stato scelto uno di noi.
Lui, Thomas, mio fratello, aveva buone possibilità di salvarsi anche questa volta. Il suo nome era lì dentro solo 3 volte. Io avevo 17 anni, quella sarebbe stata la mia ultima possibilità per finire con la testa fracassata in un'arena. E di bigliettini con il mio nome ce n'erano parecchi. Troppi per farmi sentire al sicuro come mio fratello. Ma mi sarei salvata. Dovevo. Altrimenti mio padre sarebbe rimasto a far cosa, con un figlio 15enne a carico, un ginocchio maciullato e nessuno che faceva tirare avanti la famiglia, nel Distretto 12?
Quella mattina non feci colazione, anche se non si poteva dire che quello della colazione fosse un vero rito: pochi soldi, poco cibo, meno pasti e più scarsi.
Era questo il modo di vivere nel Distretto 12, quasi ovunque.
Genere: Drammatico | Stato: completa
Tipo di coppia: Nessuna | Personaggi: Nuovo personaggio
Note: Cross-over | Avvertimenti: nessuno
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Eccolo, finalmente. Il giorno della mietitura. Avevo atteso quel giorno da mesi, anzi, da un anno. Perchè ogni anno, ogni volta che non venuva sorteggiato il nome mio o di mio fratello, tiravo un sospiro di sollievo, ma già mi preparavo a immaginare l'orrore se l'anno successivo fosse stato scelto uno di noi.

Lui, Thomas, mio fratello, aveva buone possibilità di salvarsi anche questa volta. Il suo nome era lì dentro solo 3 volte. Io avevo 17 anni, quella sarebbe stata la mia ultima possibilità per finire con la testa fracassata in un'arena. E di bigliettini con il mio nome ce n'erano parecchi. Troppi per farmi sentire al sicuro come mio fratello. Ma mi sarei salvata. Dovevo. Altrimenti mio padre sarebbe rimasto a far cosa, con un figlio 15enne a carico, un ginocchio maciullato e nessuno che faceva tirare avanti la famiglia, nel Distretto 12?

Quella mattina non feci colazione, anche se non si poteva dire che quello della colazione fosse un vero rito: pochi soldi, poco cibo, meno pasti e più scarsi.

Era questo il modo di vivere nel Distretto 12, quasi ovunque.

Mentre mio fratello cercava di mostrarsi il meno terrorizzato possibile -tremava-, io andai da mio padre, lo aiutai ad alzarsi come sempre e lo baciai sulla guancia. "Andrà bene", gli dissi, aissandolo.

Sedutosi sulla sedia, mi accarezzò i capelli mossi e biondi. "Ti si sono schiariti ancora", notò.

Alzai le spalle. "Beh, è possibile, perchè ultimamente c'è un pò di sole in più in cielo, e quindi con l'acqua si schiariscono un pò", dissi, appoggiando la mano sul ginocchio di mio fratello, che ora stava fermo, paralizzato. Dalla paura.

Lui temeva la mietitura molto più di me, e molto meno di Erik, nostro padre. Aveva perso la moglie, era comprensibile che non sopportasse l'idea di perdere anche uno dei due figli.

Passati un pò di minuti in silenzio in cucina, mi alzai.

"Vado di sopra a vedere i vestiti della mamma", dissi, salendo subito le scale, prima di vederli annuire impotenti.

La stanza era polverosa: nessuno ci dormiva più da 4 anni, da quando papà aveva fatto l'incidente ed era restato parzialmente paralizzato. Fare lo scale era uno sforzo troppo doloroso per essere ripetuto più volte al giorno, e alla fine si era arreso a dormire in salotto, su un vecchio, duro e cigoloso divano marrone.

Arrivata nella camera in cui avevano dormito una volta i miei genitori assieme, sentii le lascime di un antico dolore sfiorarmi le ciglia e sfuocarmi la vista. Era troppo tardi per mandarle indietro, e forse neanche volevo farlo: non quel giorno, non in quella situazione, non con quella paura. Le lasciai cadere sulle mie guancie, scavarsi dei solchi sulla mia pelle umida di sudore e infine cadere dal mento. Come ogni volta, non emisi alcun suono: era il mio modo di piangere, perfezionato negli anni.

Era difficile aprire le ante del vecchio armadio e scorrere con lo sguardo sui vari abiti che erano appartenuti a mia madre. Erano ancora tutti lì, consumati dall'usura e dalla polvere, ma c'erano. Tutti tranne uno, quello che aveva addosso quando è morta, che mio padre aveva bruciato nel camino la stessa sera. Quell'abito era di un rosso sbiadito e con il motivo di piccoli pallini bianchi ovunque. Un abito felice, per niente adatto ad essere indossato da una donna morente nelle sue ultime ore.

Trovai, scorrendo debolmente con un dito tra i vari tessuti dei vestiti, un abito scuro, lungo fino alle ginocchia, dietro molto scollato -formava una specie di X-, davanti un pò meno. Nello stesso momento in cui il mio polpastrello sfiorò distrattamente il tessuto stranamente liscio e lucente, seppi che era quello.

"Elisa, sbrigati, è quasi ora!", rimbombò la voce da di sotto di mio padre.

Con un rapido gesto mi asciugai la faccia dalle lacrime, rapidamente indossai il vestito -che mi stava bene- e poi scesi le scale di corsa.

Mio fratello, con i capelli leggermente più scuri dei miei, aveva addosso una vecchia camicia di mio padre, azzurra e spiegazzata, e dei pantaloni scuri che gli stavano un pò abbondanti: aveva fatto un risvolto in fondo.

"Sei bellissima", disse mio padre guardandomi, con gli occhi pieni di orgoglio e terrore. Io gli sorrisi, come sempre, per incoraggiarlo. "Andrà tutto bene", dissi, poi presi da una parte lui per mano, dall'altra mio fratello.

Usciti di casa, c'erano altre decine di famiglie nella nostra stessa condizione: la disperazione e il terrore nell'aria erano quasi palpabili, evidenziati dal passo lento e scomposto di molti. Tutti avevano addosso il proprio vestito migliore, nonostante fosse, pensandoci, un pò sciocco e perverso vestirsi eleganti il giorno della condanna a morte di due di noi.

Chi di loro sarebbe stato il condannato? Quale dei volti familiari dei ragazzi e delle ragazze del mio Distretto non sarebbe più tornato a casa? Io speravo solo che non fosse quello di mio fratello, o il mio.

La stretta delle nostre mani era salda e dura, e si sciolse solo quando io e mio fratello ci separammo,per andare a registrarci.

Nostro padre rimase più in fondo, come ogni stramaledetto anno.

Eccola, l'ansia. Finalmente, la sentivo esplodermi dentro, ora che ero lontana dai loro sguardi. Quando vidi la goccia di sangue uscirmi dall'indice, come ogni anno, di fronte ai Pacificatori, sentii una cascata di lacrime strabordarmi dagli occhi, ma non me ne preoccupai troppo: ovunque c'erano ragazzine terrorizzate in preda a crisi isteriche e pianti disperati, o ragazze paralizzate dalla paura con sguardi tanto vacui e assenti. Io ero solo una delle tante che stava piangendo, ma andava bene così: ero riuscita a resistere abbastanza a lungo da non essere vista nè da mio padre nè da mio fratello, che in questo momento era chissàdove a offrire il suo sangue come assicurazione sulla vita.

Seguii un gruppo di ragazze della mia età, di fronte al Palco Dei Condannati, come lo chiamavo nella mia testa da quando ero piccola.

'E' il mio ultimo anno, ti prego, fà che non sia io, fà che non sia io', mi ripetevo.

Salì sul palco Effie Trinket, odiosamente ridicola come sempre, e dopo le solite frasi di circostanza inserì la mano nella boccia che conteneva il nome del prossimo Tributo femmina del Distretto 12.

'Ti prego, non io, non io, non io, non io, ti prego', mi ripetevo, disperata.

Tirò fuori il bigliettino della condannata e, nel silenzio più assoluto, lo lesse.

Laurent Maya.

Non ero io. Io ero salva. Non vidi neanche la poverina salire, le lacrime mi impedivano di distinguere le scure e informi macchie che mi circondavano.

Mi sentii gioire e leggera per forse 3 secondi, poi la voce di Effie mi riportò alla realtà. Ora avrebbe sorteggiato il Tributo maschile del nostro Distretto.

Con un perverso sorriso sul volto, la donna estrasse il nome dell'ultimo condannato dell'anno del Distretto.

Reid Thomas.

NO.

"Che ha detto?", domandai alla ragazza al mio fianco, che non conoscevo.

"Reid Thomas, credo. Non lo conosco. Tu sì?" Chiese, evidentemente sollevata: nessuno della sua famiglia era appena stato condannato.

NO.

Attraverso i megaschermi posti a tutti gli angoli della piazza e del palco, vidi il viso di mio fratello, mentre surpassava tutti gli altri ragazzi del Distretto. Ragazzi che sarebbero tornati a casa quella sera.

NO.

"FERMATEVI!", gridai, costringendo le ragazze ai miei fianchi a scansarsi da me per lo supore.

"Che succede, signorina?", domandò Effie, provando a sorridermi sotto quella faccia imbottita di trucco e Dio solo sa che altro.

"Io... io mi offro volontaria come Tributo al posto di Reid Thomas!" Mi resi conto che stavo gridando solo dal rimbombo della mia voce dei megaschermi.

"E tu... come ti chiami, cara?" Domandò, senza rispondere alla mia domanda.

"Reid Elisa", risposi, furiosa. "Prendete me al posto suo. Prendete me."

"Oh, bene bene, immagino tu sia la sorellina. Cara, mi dispiace, ma il regolamento è molto chiaro. Il volontario deve essere dello stesso sesso del Tributo sorteggiato."

In lontananza, le grida di mio padre. Di Thomas. Mi dicevano di stare zitta.

No.

"Vi prego, prendete me come Tribito e non lui." Li supplicai: non stavo piangendo.

"Io non credo sia possibile", rispose Effie.

"Ripeti il sorteggio maschile. Lascia fuori il nome di mio fratello, scegline un altro, e prendi me al posto di quella", dissi, inventando tutto al momento: Maya, o come si chiamava, sembrava molto apprezzare la mia idea. Molti altri -Pacificatori, genitori,ragazzi, ragazze, Staff- no.

"Aspetta un momento", disse lei, a disagio, riunendosi con altre 4 o 5 persone vestite in modo ridicolo e colorato: perfetto per festeggiare la condanna a morte di due ragazzini.

Li odiavo così violentemente che ero certa quella fiamma mi avrebbe avvelenato il sangue e la mente, con il tempo. A meno che... non avvrebbero accetttato la mia offerta...

"Abbiamo deciso", disse Effie, sciogliedo la riunione improvvisata, "che la tua offerta potrà essere accolta."

Sentii la gioia esplodermi dentro: Thomas salvo..

"...in parte."

Il mondo mi cadde addosso: per la seconda volta quel giorno.

C'era il silenzio più totale nella piazza, nessuno si muoveva, e molti avevano sicuramente il fiato sospeso come me, perchè anche i loro destini potevano essere rimessi in discussione.

"Poichè nessun ragazzo si è offerto volontario al posto di tuo fratello, egli sarà a tutti gli effetti un Tribito del Distretto 12."

Le ginocchia mi tremavano: lui dentro no, lui dentro no, lui dentro no...

"Come te", aggiunse, provando a sorridermi.

Non mi mossi. Cosa stava...?

"Tu prenderai il posto di questa ragazza", disse indicando quella Maya, che iniziai ad odiare istintivamente, "ed entrerai nell'arena degli Hunger Games come Tributo femminile a tutti gli effetti del Distretto 12. Sali sul palco, ora, su. E anche lui", disse, indicando poi mio fratello.

Ero paralizzata: due Pacificatori dovettero spingermi più volte veementemente per farmi muovere.

Non un figlio, due. Ecco cosa avevo fatto perdere a mio padre, dopo la moglie. Come sarebbe soppravvissuto? Lui non era in grado di nuotare come me per pescare. Non era in grado di andare nelle miniere a lavorare come gli altri uomini. Lui era condannato quanto me e Thomas.

Appena mise piede sul palco mio fratello, scattai da lui, lo abbracciai e poi gli afferrai la mano, stretta stretta. "Scusami tanto", gli bisbigliai all'orecchio". La sua espressione era ferocemente arrabbiata. Non voleva che le cose andassero così. Neanch'io, ma... avrei potuto salvarlo, nell'Arena, o almeno provarci. Due Reid possono salvarne uno, con tanto impegno. Lo avrei protetto ad ogni costo.

"Allora.. volete dire qualcosa?", ci domandò Effie.

"Io..." mi avvicinai al microfono. "Scusa, papà. Perdonami.Ma non ti deluderò." Dissi, scoppiando in un pianto muto. Qualcuno ci portò via, ma non abbandonai neanche per un istante la salda presa nella mano di mio fratello,muto al mio fianco.

"Che i cinquantaseiesimi Hunger Games abbiamo inizio!" urlò qualcuno al microfono alle nostre spalle.

 

 
----ANGOLO DEL'AUTORE: SPERO CHE QUESTA FF VI PIACCIA, IO MI SONO EMOZIONATA A SCRIVERLA. E' ANCHE UN Pò AUTOBIOGRAFICA, IN REALTA'.

  
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